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LA POLITICA SCOLASTICA DOPO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE

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LA POLITICA SCOLASTICA DOPO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE
L’articolo si chiede se gli sconvolgimenti delle elezioni amministrative avranno incidenza sulla scuola, ed esamina alcune questioni affrontate dai partiti di opposizione, in particolare dal Movimento 5Stelle e dalla Lega. Un termometro per valutare le innovazioni è la politica del personale, ma su questo fronte nulla di nuovo. C’è poi un esame della politica sullo 0-6 e su Ip e IeFP, due settori dirimenti.

 Gli sconvolgimenti delle elezioni amministrative avranno incidenza sulla scuola?

La politica del personale

image003In una fase di smottamento degli assetti politici tradizionali, che posto occupa la scuola?
Un termometro efficace per valutare la politica scolastica dei vari partiti e movimenti è costituito dalle proposte per gli insegnanti.

Ebbene, l’atteggiamento dominante rimane quello di tipo sindacale.
Basti ricordare le persistenti battaglie della pentastellata Silvia Chimienti per il diritto di tutti i docenti della 2^ fascia di essere immessi in ruolo senza concorso, per non parlare delle posizioni di Mario Pittoni, responsabile scuola della Lega, fautore di nuovi PAS.

Impossibile trovare  un ragionamento su una più qualificata ed efficace allocazione delle risorse, nonché  sulla differenziazione della carriera docente ossia sulla leadership intermedia.

Ma oltre al personale quali proposte da partiti e movimenti? Vediamone alcune:  1) un Ddl del Movimento 5Stelle su scuole aperte e diffuse, 2)  alcune posizioni sull’istruzione e formazione professionale in particolare della Regione Veneto, 3) la politica dei Comuni per la fascia 0-6.

Le proposte del Movimento 5Stelle

image005Il 24 giugno a Roma il Movimento 5Stelle ha tenuto un convegno dal titolo Nuove frontiere della didattica, durante il quale il cittadino Luigi Gallo ha lanciato il disegno di leggeIstituzione dei nuclei per la didattica avanzata e introduzione di progetti di scuola aperta e di scuola diffusa negli istituti scolastici di ogni ordine e grado” (2934)”, di cui è il primo firmatario. Il Ddl contiene 3 proposte :

  1. Nuclei per la didattica avanzata (NDA): istituiti presso ogni Regione con finalità di ricerca, formazione, sperimentazione e sviluppo. Sono costituiti da insegnanti e dirigenti scolastici comandati e da universitari, hanno un presidente . Buona l’intenzione, ma pare una riesumazione dei vecchi IRRE, aboliti con la finanziaria del 2007 dal ministro Fioroni.  Una loro ricostituzione, anche se sotto altro nome, dovrebbe quantomeno fare i conti con quanto non ha funzionato allora, tra cui un organico fatto solo  di comandati, che invece si ripropone.
  2. Scuole aperte. Si prevede l’apertura delle scuole durante le ore pomeridiane o nei giorni festivi o in estate, per iniziative didattiche integrative. Anche in questo caso nulla di nuovo sotto il sole. Già il decreto delegato n. 416 del 1974  aveva previsto attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche, fuori dall’orario curricolaree  le “scuole aperte” sono state ripetutamente proposte . Recentemente il MIUR  ha lanciato il progetto “Scuole al centro”,  con uno stanziamento di 10 milioni  per istituti aperti di pomeriggio e d’estate nelle aree periferiche e ad alta dispersione di Napoli, Roma, Palermo e Milano. A tutt’oggi risulta una partecipazione molto inferiore al previsto. Anche il Forum Scuole Aperte  non gode ottima salute
  3. Scuole diffuse. Si prevede che le scuole svolgano una percentuale del monte ore curriculare fuori dalle pareti scolastiche presso altre sedi: luoghi pubblici di richiamo culturale, ambientale, paesaggistico, artistico o formativo, nonchè  aziende,  ditte o cooperative. Un’alternanza scuola- lavoro allargata anche ad ambienti non di lavoro

In linea di principio sono  proposte condivisibili ma del tutto “precarie”, per  la presenza di almeno tre condizioni che rimangono immutate:

  1. I curricoli sovraccarichi di discipline frammentate e privi di qualsiasi opzionalità
  2. La rigidità dell’organico e l’inadeguatezza dell’orario dei docenti
  3. La mancanza di figure specialistiche stabili nella scuola dedicate all’innovazione didattica ed organizzativa (la leadership intermedia)

 Finchè non si avrà la forza di mettere mano a queste  tre questioni, si avranno solo palliativi, temporanei e inefficaci.

Quale strategia per l’istruzione professionale? Il referendum della Regione Veneto

image008Chi ci legge sa che consideriamo l’istruzione professionale questione dirimente. Dopo lo scempio della legge 40/2007 e l’omologazione degli istituti professionali agli istituti tecnici, è tempo di mettere mano all’unificazione fra istruzione professionale statale e istruzione e formazione professionale regionale. Una dicotomia incomprensibile in altri Paesi. Unificazione significa abolizione dei curricoli dell’istruzione professionale statale, con le assurde 14 discipline e la desertificazione dell’attività laboratoriale.  Se si vorrà ascoltare ( ed è ora) il monito che è venuto dalle periferie, non si potrà non intervenire anche su queste scuole che continuano a respingere una percentuale di ragazzi indegna di  un Paese civile. Il tema è caldo perché è oggetto sia di un decreto attuativo della legge 107/2015, sia della riforma cos tituzionale. In nessuno dei due provvedimenti si va delineando però l’unificazione da noi auspicata.
Per quanto riguarda i partiti di opposizione non sono noti interventi del Movimento  5 Stelle  in questo settore. Ora, rafforzati dal voto elettorale se ne occuperanno?
E’ invece da segnalare la posizione della Lega, in particolare le decisioni del governatore  del Veneto Zaia che si accinge a fare un referendum ( già approvato dalla Corte Costituzionale) per ottenere  autonomia differenziata sul modello Trentino. Se passa la riforma Costituzionale è comunque già previsto il così detto “regionalismo differenziato”. Nell’un caso o nell’altro il Veneto conquisterà maggiore autonomia e sicuramente interverrà anche su IPS e IeFP. Come? Come ha già fatto il Trentino, che ha abolito gli Istituti Professionali statali?

Quale strategia per lo 0-6?

image009Il settore 0-6 tocca molto più direttamente le amministrazioni comunali insediate dopo il voto elettorale. In che modo si collegheranno al gruppo ministeriale che sta lavorando al decreto 0-6?
Come per l’istruzione professionale statale e l’istruzione e Formazione professionale regionale, anche nella scuola dell’infanzia ci troviamo di fronte al perdurare di un’assurda divisione fra gestione statale e gestione delle Autonomie Locali, fra scuole dell’infanzia statali e comunali.
In questa fase, in cui si sta lavorando sulla delega del settore 0-6, due questioni sono a nostro avviso importanti:

  • Le sezioni primavera. Se è insostenibile economicamente ( e già il MEF si è espresso) equiparare il nido alla scuola dell’infanzia, rendendolo, al pari della scuola, servizio educativo gratuito, si possono però attivare passaggi intermedi in quella direzione. Il primo riguarda la sistematizzazione e progressiva estensione delle sezioni primavera ( la scuola dell’infanzia dei 2 anni), tuttora precarie e limitate. Abbiamo già invitato le forze politiche a guardare alla Francia, che sta per l’appunto cercando di estendere la scuola dell’infanzia ( gratuita) ai due anni nelle periferie, per garantire ai figli delle popolazioni più deprivate un’educazione e una cura precoce. Su questo punto come si rapporteranno con  il Governo Comuni come Roma e Torino ora “colorati” a 5Stelle?
  • La politica per gli insegnanti comunali. Ci sono due questioni relative agli insegnanti che da anni minano le scuole dell’infanzia comunali: a) la precarietà, b) la differenziazione contrattuale fra insegnanti comunali e statali, che provoca un continuo esodo  dei primi verso lo Stato.

a. Sul primo punto il recentissimo Decreto-Legge 24 giugno 2016, n. 113, all’art. 17 prevede un piano triennale straordinario di assunzioni, sarà quindi interessante vedere come si comporteranno i sindaci pentastellati a Roma e Torino.

b. Ma il punto dirimente e di prospettiva è l’unificazione contrattuale degli insegnanti comunali con quelli statali C’erano  rimaste 3 città in cui gli insegnanti comunali avevano il contratto omogeneo ai colleghi statali: Verona, Firenze, Bologna. Il primo a dare il via alla trasformazione del contratto scuola in contratto enti locali è stato il sindaco leghista Tosi di Verona, buttando le scuole nel caos, anni di ricorsi conclusisi con il doppio regime contrattuale, i vecchi ruoli hanno mantenuto il contratto scuola, i nuovi hanno assunto il contratto Enti Locali. La Lega ha fatto scuola. Tosi è stato seguito dal sindaco PD di Firenze e per ultimo dal sindaco PD di Bologna, dove è scoppiato l’inferno con un esodo incontrollato verso la scuola statale. E’ tempo di essere lungimiranti e impostare una politica, anche a livello comunale che abbia valenza nazionale. Molto ci aspettiamo dai 5Stelle!

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