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Gaudeamus igitur? No, non c’è nulla di cui godere. OCSE: raffronto dati PISA 2000-PIAAC 2012

a cura di Tiziana Pedrizzi

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La literacy dei 15enni (PISA) peggiora a 27 anni (PIAAC)

Grande mobilitazione di TG3, giornali, sindacati e addirittura del Ministro Fedeli e di Matteo Renzi in persona per rallegrarsi dei risultati usciti in una ricerca OCSE che compara i risultati in PISA 2000 dei 15enni italiani con quelli di un campione (ovviamente differente) di 27enni, cioè di uomini e donne della stessa classe di età indagati con altri test e con altre metodologie a proposito pressappoco degli stessi ambiti di literacy.

L’obiettivo della ricerca era quello di capire se le differenze che si riscontrano a 15 anni fra giovani con status economico sociale basso e giovani con status economico sociale alto (in particolare con un genitore in possesso o meno di una formazione terziaria e di un adeguato numero di libri) si attenuano, si incrementano o rimangono stabili dopo un congruo numero di anni e dopo l’impatto con il mondo del lavoro.

Gli stessi ricercatori nel paper presentato mettono in rilievo i limiti scientifici del tutto, anche a proposito delle diverse performance di maschi e femmine. A 27 anni infatti il gap rilevante fra i generi che si registra a 15 anni si attenua significativamente. Le ragioni? Forse il fatto che a quell’età si può scegliere cosa leggere, che la lettura può avere anche un legame con il lavoro; o forse anche – dicono gli stessi ricercatori -che le “prove” sono necessariamente diverse in particolare di natura più operativa e che soprattutto le modalità di somministrazione lo sono significativamente. In PISA gli studenti debbono automotivarsi e molto dipende dalla loro diligenza e senso del dovere (che l’analisi delle risposte rivela essere latitanti nei maschi) mentre in PIAAC l’intervista personale spinge anche gli uomini a performance migliori.

Tuttavia è evidente che OCSE deve mettere a frutto i dati raccolti e cerca di utilizzarli in analisi che vanno peraltro prese con il beneficio di inventario e comunque considerate come delle interessanti  piste iniziali di approfondimento.

Detto questo, quali i risultati internazionali su cui ci si è tanto scaldati? In generale il gap di competenze fra questi due campioni (che, ripetiamo, sono diversi, solo apparentati  ciascuno dal fatto di appartenere alla stessa classe di età, i 15enni da un lato i 27enni dall’altro) tende ad allargarsi. In Repubblica Ceca, Polonia e Danimarca il gap già ampio in PISA tende ad allargarsi ulteriormente in PIAAC e si amplia anche in Svezia, Nuova Zelanda e Norvegia dove il gap era ridotto. In Belgio, Canada ed USA il gap invece diminuisce. L’ Italia appartiene al gruppo di Paesi (fra cui Australia, Austria, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Spagna) in cui la ricaduta della differenza di status in PISA viene definita da OCSE  solo media  ma si allarga arrivando ai 27 anni. Solo nel caso della Germania sembra rimanere sostanzialmente stabile. (vedi fig 3.1 e 3.2 pg 41-42 OECD Working Paper n.155 Youth in transition How do some of the cohorts partecipating in PISA fare in PIAAC)

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In conclusione. Secondo i parametri OCSE l’Italia appartiene ai Paesi i cui quindicenni fanno registrare un gap negli apprendimenti – correlato a fattori economico sociali- di grandezza media anche se sotto la media OCSE (e dunque non basso!) e questo gap si amplia dai 15 ai 27 anni. Cosa c’e’ da festeggiare?

Ma vale la pena di tornare su questo gap medio, anche se al di sotto della media OCSE. Forse è questa la notizia che ha suscitato i mal riposti entusiasmi a scoppio ritardato che si sono inopinatamente registrati. Parliamo di equità. Ed in particolare del fatto che, come sopra riportato, nelle graduatorie internazionali l’Italia si trova una volta tanto in una posizione media  in proposito. Infatti nel nostro Paese le performance degli allievi con lo status socioeconomico più alto non si discostano di molto– come in altri Paesi- da quelle degli allievi con lo status socioeconomico più basso. E analisi “di gradiente” hanno già dimostrato nel passato, in particolare nel caso della Lombardia che, mentre esiste un parallelismo costante fra la crescita dello status e la crescita del livello degli apprendimenti, in alto, là dove lo status è più alto, questo parallelismo si interrompe e la curva degli apprendimenti “flette”.

In realtà non si tratta di una grande novità. Infatti fin dal primo PISA 2000 la situazione era la stessa. Il problema però sta nel fatto che tutti insieme appassionatamente, ricchi e poveri, noi italiani ci collochiamo in basso nei risultati complessivi  (per esattezza ricordiamo che la misurazione di status si basa sul titolo di studio e professione dei genitori non sulle entrate, impossibili da conoscere per PISA così come per la nostra Agenzia delle Entrate).

Mentre altrove si assiste ad uno sgranarsi della popolazione dei quindicenni nei 6  livelli di performance previsti, i quindicenni italiani si addensano nei livelli medio-bassi. Sono in numero inferiore ad altri Paesi nei livelli 1 e 2 (i famigerati low performers), ma nei livelli 5 o 6, che ospitano le eccellenze (ovvero i top performers), i nostri 15enni sono molto scarsi, se non quasi assenti come al Sud. Il risultato è che la media assoluta del Paese Italia è costantemente sotto quella dei Paesi OCSE. Possiamo perciò vantarci di essere “equi” ma complessivamente ignoranti!

Naturalmente è tutta una questione di graduatorie di valori. Una parte significativa del mondo scolastico italiano, compresi i livelli accademici, mette al primo posto notoriamente la pace pedagogica e demonizza la competitività che sarebbe causa di malessere scolastico se non addirittura di disastri sociali. Purtroppo se non prevale la famigerata meritocrazia, vince il clientelismo ed il familismo.

In conclusione stupisce un tale polverone basato presumibilmente su fraintendimenti. Forse il Ministro, e non solo, dovrebbero cercarsi informatori migliori sui numeri della scuola

 

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