Il commento dell’ADi su 24 ore e altro
Abbiamo volutamente lasciato passare la prima ondata di sdegno sui provvedimenti relativi alla scuola contenuti nel disegno di legge di stabilità, nella speranza inconfessata che la crisi stimolasse un dibattito non recintato entro la difesa dell’esistente.
Non è stato così.
E’ tempo allora di esprimere il nostro commento fuori dal coro, ben consci che sarà un solitario abbaiare alla luna.
[stextbox id=”info” image=”null”]La mossa ad arte del MIUR[/stextbox]
Le norme varate, in particolare quelle relative alle 24 ore per gli insegnanti della scuola secondaria, sono talmente maldestre, che abbiamo il sospetto che siano state costruite ad arte dal MIUR (in eterno conflitto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze) per essere respinte e far sì che il che fare sia trasferito, ancora una volta, ai protagonisti veri, ossia alle burocrazie ministeriali e sindacali.
Due burocrazie, vale la pena di ricordare, guidate costantemente dall’idea che:
1) l’efficienza (ossia il rapporto virtuoso tra risorse impiegate e obiettivi raggiunti) è un “male necessario”, non un criterio di gestione e direzione,
2) l’innovazione è tale solo se accompagnata da un incremento di organico.
[stextbox id=”info” image=”null”]Perché le 24 ore generalizzate sono una misura “stupida”[/stextbox]
Consideriamo l’aumento generalizzato a 24 ore settimanali di insegnamento per i docenti della scuola secondaria una misura “stupida”. Come è ben chiarito nella relazione tecnica: si prevede l’utilizzazione del personale docente della scuola secondaria, nelle sei ore eccedenti l’orario di cattedra, per la copertura di spezzoni di orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità e per l’attribuzione di supplenze temporanee. Ora è noto che queste attività riguardano una piccola parte del corpo docente, la restante parte rimarrebbe “a disposizione” a non fare nulla, come quando vigeva il completamento a 18 ore (per anni molte cattedre sono state a 14 e 15 ore), creando peraltro inaccettabili discriminazioni.
Non solo, i famigerati 15 giorni aggiuntivi di ferie (il grottesco compenso alle 6 ore in più) sarebbero goduti anche “dal primo settembre all’inizio delle lezioni e dal termine delle lezioni al 30 giugno”. Una vergogna.
Non importa al MIUR che in quel periodo le scuole che funzionano predispongano la programmazione, facciano attività di sostegno, corsi di formazione, ecc.. Ci si adegua semplicemente al peggio, nell’atavica convinzione che a scuola, al di là delle lezioni e al di fuori del calendario scolastico degli allievi, non si fa e non si deve fare nulla. E oggi la si istituzionalizza pure! Complimenti Ministro.
[stextbox id=”info” image=”null”]E’ tempo di scelte: sottoccupazione o professionalizzazione?[/stextbox]
Se si vuole intervenire nel merito del “che fare”, e non limitarsi ad adottare il motto “resistere, resistere, resistere” (non nobile nel nostro caso), occorre sciogliere un nodo, particolarmente doloroso in questa fase di crisi e di disoccupazione.
Si deve operare la scelta fra:
1) perseverare con la politica adottata da partiti e sindacati dal dopoguerra ad oggi, ossia l’utilizzo della scuola come valvola di sfogo per la sottoccupazione di diplomati e laureati, con i guasti che conosciamo (precariato inesauribile, assenza di formazione e di selezione, sanatorie, retribuzioni vergognose ecc..)
2) invertire la rotta, innescare un processo di professionalizzazione guidato dal binomio efficienza-innovazione, impedendo che qualsiasi riforma sia condizionata dal numero di cattedre e di posti da salvare.
E’ nostra convinzione, comprovata da 50 anni di esperienza, che nessun serio cambiamento potrà avvenire se non si ha il coraggio di scegliere la seconda strada.
Noi abbiamo scelto da sempre la strada della professionalizzazione
[stextbox id=”info” image=”null”]Quattro capisaldi della professionalizzazione[/stextbox]
Se si sceglie la professionalizzazione, le cose fondamentali a cui mettere mano sono quattro: 1) qualificata formazione iniziale, 2) reclutamento selettivo decentralizzato, 3) orario di servizio onnicomprensivo, 4) retribuzione adeguata.
Abbiamo trattato mille volte i primi due argomenti.
Non abbiamo quasi mai affrontato il tema dell’orario di servizio. E’ questa l’occasione per farlo.
L’attuale orario di servizio è inadeguato rispetto ai bisogni educativi delle nuove generazioni e alla creazione di comunità professionali.
Occorre intraprendere la strada di un orario onnicomprensivo, che non significa aumento dell’orario di cattedra, ma un modo e un tempo diversi di fare scuola e di vivere la scuola. Un orario entro cui si svolgano tutti i compiti legati alla propria funzione, che non è più un lavoro solitario, ma condiviso entro una comunità di professionisti. Un orario in cui la relazione con gli studenti non si limiti alle ore di cattedra, ma ci sia anche disponibilità per l’ascolto individuale e per altro ancora. Questo avviene in molti Paesi europei.
Certo l’edilizia delle nostre scuole non aiuta, ma ci sono già esempi di istituti che hanno assegnato le aule agli insegnanti anziché agli alunni, creando la possibilità per i docenti di avere propri spazi di lavoro.
Scegliere la via della professionalizzazione vuole dire adeguare a questo nuovo ruolo le retribuzioni, mettendo in discussione anche il fondo di istituto oggi disperso in mille rivoli, nonchè le attuali funzioni strumentali.
[stextbox id=”info” image=”null”]Non ci sottraiamo al tema degli spezzoni orari e delle supplenze[/stextbox]
Siamo convinti, e non da oggi, che i così detti spezzoni orario debbano essere ridistribuiti all’interno della scuola ai docenti disponibili ed essere, ovviamente, retribuiti.
Anche la maggior parte delle supplenze deve essere coperta all’interno della scuola. Con gli strumenti informatici si possono realizzare interventi intelligenti ed efficaci che non siano, come quasi sempre avviene, il puro “badantato” della classe priva del proprio insegnante.
Le supplenze non vanno alimentate, gonfiando il mercato del lavoro e provocando una costante insostenibile pressione per aumenti di organico.
[stextbox id=”info” image=”null”]Ma il vero “risparmio” verrà dalla conclusione del percorso scolastico alla maggiore età[/stextbox]
Per quanto ancora i diciottenni italiani saranno costretti a rimanere in una scuola costruita a misura dei minori?
Per quanto ancora i nostri giovani dovranno impiegare un anno di più dei loro coetanei europei per ottenere il diploma?
Per quanto ancora rimarremo ciechi di fronte allo spreco di anni, di risorse e di intelligenze dentro a un’istituzione che si rifiuta di adeguarsi alla trasformazione dei costumi e dei modi di apprendere dei giovani?
Per quanto ancora prolungheremo lo spreco della separazione fra Istruzione professionale statale e Istruzione e Formazione professionale regionale, quando almeno in questo settore era già stata prevista l’unificazione in un percorso quadriennale, prima della nefasta legge 40/2007?
Quo usque tandem … ?
Su questo mediti il governo dei tecnici e intervenga.
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- Disegno di legge del Governo sulla stabilità del 19/09/12
- Relazione tecnica di accompagnamento al Ddl sulla stabilità del 19/09/12
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