Traduciamo volentieri questo breve articolo del 16 aprile 2009 sull’importanza dell’intelligenza emotiva nella scuola redatto dall’inglese Sonia Sodha, ricercatrice a Demos e responsabile del Capabilities Programme.
Si tratta di un tema colpevolmente trascurato, che invece, oggi più che mai, andrebbe attentamente considerato dagli insegnanti e non solo.
L’intelligenza emotiva
di Sonia Sodha
Dobbiamo abbandonare l’idea che l’intelligenza emotiva sia un lusso rispetto al curricolo.
Durante le vacanze pasquali c’è stato il solito giro di congressi dei sindacati degli insegnanti. Come al solito, si è dedicato moltissimo spazio al comportamento degli alunni: le discussioni hanno anche toccato il recente utilizzo dei “buttafuori” per controllare la condotta nelle scuole.
L a disciplina rimane una questione che preoccupa trasversalmente tutte le forze politiche, con politici di entrambi gli schieramenti che si mostrano duri e determinati nei confronti dei problemi di comportamento nelle scuole.
Di fronte a questa persistente presenza dei temi della disciplina, quale spazio può trovare la discussione sull’intelligenza emotiva a scuola?
L’intelligenza emotiva ha rappresentato in Inghilterra una parte importante dell’agenda educativa degli ultimi anni, con lo sviluppo del programma Social and Emotional Aspects of Learning’ (SEAL) realizzato dal governo per aiutare le scuole a sviluppare negli alunni l’intelligenza emotiva. Questo programma è stato però denigrato da vari commentatori, che lo hanno definito uno spreco di tempo per fare “lezioni di felicità”, quando c’è urgenza di insegnare agli alunni a leggere e a scrivere e le scuole non possono permettersi di dedicare tempo ed energie al benessere degli alunni.
Ma è evidente che questo punto di vista nasconde l’incapacità di capire che cosa sia l’intellligenza emotiva. L’intelligenza emotiva si riferisce ad un ampio spettro di competenze sociali ed emozionali, quali la consapevolezza di sé, l’empatia, la capacità di capire e gestire i propri sentimenti (come l’ira, la frustrazione e la tristezza), la motivazione e la perseveranza, e ancora la capacità di comunicare e stare con gli altri.
L’attenzione a queste competenze, lungi dall’essere pura distrazione, rappresenta la base dell’apprendimento e della buona condotta in classe.
Se i bambini non hanno queste capacità, non riusciranno mai a trarre fino in fondo vantaggio dalla scuola.
Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva non può quindi costituire una preoccupazione secondaria; in questi ultimi anni le indagini hanno dimostrato che essa ha un forte impatto su quello che bambini e adulti fanno nella vita: si è verificato che in persone che avevano 30 anni nel 2000, l’attitudine a completare un compito all’età di 10 anni, ha avuto la stessa importanza della competenza matematica nel predire i guadagni in età adulta.
Anche se tutto questo viene ammesso, i tradizionalisti affermano che sviluppare queste qualità nei giovani è compito dei genitori, non della scuola. Naturalmente questo è vero per certi aspetti. La cura dei genitori nei primi anni è la chiave per porre le basi dell’intelligenza emotiva – la psicologia ha dimostrato che un atteggiamento insieme affettuoso e autorevole da parte dei genitori, fatto di amore, di disciplina e di regole solide, è il modo migliore di svilupparla. Questa è la ragione per cui programnmi volti a sostenere i genitori sono di cruciale importanza e le indagini ci dicono che investimenti precoci raccolgono frutti più tardi.
Ma anche le scuole devono giocare un ruolo. Come la competenza in lettura e aritmetica, l’intelligenza emotiva si sviluppa dall’infanzia attraverso l’adolescenza. Gli studi sul cervello hanno dimostrato che la corteccia prefrontale, che è la parte del nostro cervello responsabile di molte competenze sociali auspicabili negli adulti (quali la capacità di posticipare la gratificazione e di autoregolare il proprio comportamento) si sviluppa solo nell’adolescenza.
Via via che i bambini crescono, l’influenza dei genitori si affievolisce e aumenta quella della scuola e dei pari.
La ricerca educativa ci dice che le scuole possono influenzare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e che sono, in particolare, importanti la cultura della scuola e della classe e la qualità della relazione fra studenti e insegnanti.
E studi su vasta scala hanno dimostrato connessioni tra “la qualità emozionale” della classe (misurata sulla base delle buone relazioni studenti-insegnanti) e i progressi in lingua e matematica.
Alla luce di tutto questo, è bene accogliere positivamente e utilizzare il programma SEAL predisposto dal governo per sostenere le scuole nella promozione di stili culturali e di apprendimento che sviluppino l’intelligenza emotiva.
Ci sono però due questioni da considerare.
La prima è che finora gli interventi sull’intelligenza emotiva non hanno goduto delle stesse condizioni di quelle sugli standard. Se in teoria le due questioni non sono contrapposte (in generale si conviene che standard migliori dovrebbero essere costruiti sull’intelligenza emotiva) nella pratica a volte si scontrano, poiché capita spesso che si esercitino pressioni sulle scuole perché adottino strategie di breve periodo per riuscire nei test.
La seconda riguarda la maggiore difficoltà delle scuole secondarie rispetto a quelle primarie a promuovere l’intelligenza emotiva. Questo perché vi è un drastico cambiamento di cultura quando si passa da una scuola di piccole dimensioni in cui gli alunni hanno di norma una sola insegnante, a istituti più grandi ed anonimi, in cui l’insegnamento viene impartito da tanti diversi insegnanti, fino a tredici in uno stesso anno scolastico.
I dati delle indagini ci indicano un deterioramento significativo nella qualità della relazione fra studenti e operatori scolastici quando i bambini passano alla scuola secondaria, e gli studenti sentono di avere meno autonomia nel loro apprendimento via via che crescono.
Molto c’è da imparare da quelle scuole che che hanno sperimentato modelli di gruppi classe composti da studenti di età diverse, e hanno costruito piccole comunità di apprendimento all’interno di grandi istituti.
In conclusione dobbiamo abbandonare l’idea che l’intelligenza emotiva sia un lusso rispetto al curricolo, un impegno che puo’ distrarre le scuole dalle loro funzioni fondamentali.
E’ invece qualcosa che le scuole non possono più permettersi di ignorare.
Perché ciò avvenga la politica nazionale dell’educazione deve dare alle scuole lo spazio per dedicare cura allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, e riconoscere che questa educazione non può essere lasciata alla responsabilità delle singole istituzioni scolastiche.
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- Originale dell’ articolo di Sonia Sodha sulla rivista inglese PROGRESS