L’ISTRUZIONE NELLA VISIONE DELL’ADi – Un percorso lungo 20 anni

di Alessandra Cenerini

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PREMESSA

ADi è figlia di una stagione di fermento riformatore

ADi nasce in un periodo di raro fermento riformatore da parte del ministero dell’istruzione guidato da Luigi Berlinguer, ma anche di persistente ottuso conservatorismo del sindacalismo scolastico. In quel clima si sviluppa la voglia di ri-aggregarsi in qualcosa di nuovo perpensare in grande”, per “guardare oltre”, liberi da antichi lacci e persistenti provincialismi.

Di quella stagione di riforme ADi ha assimilato alcuni principi che tuttora costituiscono i pilastri su cui si fonda la strategia dell’associazione, una strategia che si è sviluppata in una comparazione costante con ciò che avviene a livello internazionale.

E’ una storia che si sviluppa in 20 anni e di cui, in estrema sintesi, ripercorrerò le tappe fondamentali, entro le quali va anche annoverata la crescente consapevolezza  che tutte le nostre vecchie idee sulla scuola stanno andando in frantumi scosse dagli inediti sconvolgimenti e dalle radicali incertezze dell’epoca presente.

Per comodità tratterò in una relazione a parte la questione docente e dirigente che è ovviamente organicamente collegata al tema generale dell’istruzione.

ANNO 1999: AUTONOMIA E VALUTAZIONE

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ADi nasce nel 1999, l’anno in cui viene varato il Regolamento dell’autonomia scolastica (DPR 275/99) e viene istituito l’INvalSI, dopo successive trasformazioni del CEDE, a cui altre seguiranno.

Autonomia e valutazione rimarranno per ADi pilastri della riforma dell’istruzione, un binomio indivisibile, come titola uno dei primi seminari internazionali dell’Associazione.

ANNO 2000: RIORDINO DEI CICLI

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La stagione di riforme della scuola guidata dal ministro Berlinguer si completa con la Legge 30/2000, Legge quadro di riforma dei cicli di istruzione.

Quella riforma prevedeva:

   una scuola di base unitaria di 7 anni a cui seguiva una scuola secondaria di 5;

   – la fine della scolarizzazione a 18 anni.

Come noto con il Governo Amato (25 aprile 2000 – 11 giugno 2001) Berlinguer viene messo da parte, dopo pesanti attacchi sindacali sul famoso “concorsone”, e gli subentra Tullio De Mauro per poco più di un anno, a cui seguirà Letizia Moratti con il governo Berlusconi II. La legge non andrà mai in vigore

ADi ha condiviso molti degli obiettivi della Legge 30/2000 e continua a condividere l’esigenza di maggiore unitarietà del primo ciclo e della conclusione della scolarizzazione alla maggiore età.

Anno 2001: RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE

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Il Governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato vara nel 2001 la riforma del Titolo V della Costituzione, che entra in vigore con la legge n. 3 del 18/10/2001, dopo la consultazione referendaria, quando il governo che l’aveva varata era già cambiato (al Governo Amato subentra il Governo Berlusconi II).

Cosa è cambiato nel Titolo V dal 1948 al 2001

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Novità:

  • ordine inverso: al primo posto l’ente più piccolo e più vicino ai cittadini (il Comune)
  • non articolazione della Repubblica (“si riparte”), ma un insieme di elementi costitutivi (“è costituita”), in cui lo Stato è uno fra pari.

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Si attua un’inversione del criterio di riparto delle competenze.

Per le Regioni si ha il passaggio dal precedente elenco “in positivo” (alle Regioni la potestà legislativa per le sole materie elencate, tutte le altre allo Stato) ad uno “in negativo” (sono elencate le competenze dello Stato, tutte le altre alle Regioni).

La scuola nell’ art. 117 del Titolo V del 2001

Secondo il nuovo art. 117 le competenze relative all’istruzione sono così ripartite:

5Allo Stato competono:

  • i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
  • le Norme Generali sull’istruzione;
  • i Principi Fondamentali.

Alla legislazione concorrente, ossia alla potestà legislativa delle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali riservati allo Stato, compete:

  • l’istruzione

ma…

  • con esclusione della istruzione e formazione professionale” di cui ha competenza esclusiva la Regione,
  • “fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”.

Con il Titolo V passaggio dal decentramento alla decentralizzazione

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Il nuovo Titolo V definisce sostanziali trasferimenti di potere dallo Stato alle Regioni, determinando un passaggio dal decentramento (trasferimento di decisioni dall’amministrazione centrale verso i suoi apparati periferici, es. gli USR) alla decentralizzazione (trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali).

Con la decentralizzazione dell’istruzione  allo Stato spettano solo norme e principi, non più la gestione dell’istruzione, pertanto

  • la gestione di tutto il personale della scuola NON dovrebbe più essere statale;
  • gli Uffici Scolastici Regionali NON dovrebbero più esistere, ma divenire uffici della Regione, come stabilito dalla stessa Corte Costituzionale.

Come noto questo trasferimento di competenze non ha mai avuto luogo ed è stato fortissimamente contrastato.

ADi ha condiviso e condivide la decentralizzazione dell’istruzione alle autonomie locali e alle autonomie scolastiche, fra loro complementari, poichè vede nella decentralizzazione la sola possibilità di avviare a soluzione annosi irrisolti problemi, sottraendoli all’immobilismo burocratico centralistico. ADi era ed è comunque ben consapevole dei rischi di un nuovo centralismo regionale, che va parimenti combattuto.

ANNI 2006-2019
TENTATIVI E FALLIMENTI DELLA DECENTRALIZZAZIONE

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Alla fine della XIV legislatura, il 16 novembre 2005, il governo Berlusconi III, vara una seconda riforma costituzionale, che coinvolge, questa volta, tutta la Parte II della Costituzione. La consultazione referendaria, svoltasi il 25 e 26 giugno 2006, sotto una nuova legislatura e con un nuovo governo (Prodi II), boccia la riforma, lasciando invariata quella del 2001. Sotto il governo Prodi, si riprende quindi il cammino interrotto per dare attuazione al Titolo V in materia di istruzione, ma senza approdare a risultati concreti.

Queste le tappe incompiute della decentralizzazione dell’istruzione:

  •  92006: viene varato il Master Plan, ossia piano delle azioni per l’attuazione del Titolo V della Costituzione in materia d’istruzione, sollecitato anche da due sentenze della Corte Costituzionale
  • 2010: abbandonato il Master Plan, si dà corso a una bozza di accordo Stato-Regioni, anche alla luce di una nuova pronuncia della Consulta, la n. 200 del 2009, che, questa volta, entra minuziosamente nel merito della ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni, soffermandosi in particolare sulla differenza fra norme generali e principi fondamentali. Di quella bozza non se ne fece nulla.

La pietra d’inciampo su cui ogni volta si è arenata, e continua ad arenarsi, la decentralizzazione è costituita dal personale che vuole rimanere “avvinghiato” allo Stato. E’ quella che abbiamo chiamato  Sindrome di Stoccolma: l’attaccamento volontario e morboso degli insegnanti allo Stato che li maltratta (precariato, stipendi indecenti, nessuno sviluppo di carriera ecc..), instaurando una sorta di alleanza solidale tra “vittima” e “carnefice”.

Il pasticciaccio  dell’Istruzione Professionale

8Nell’annosa vicenda dell’applicazione del nuovo Titolo V all’istruzione si inserisce il “pasticciaccio” dell’istruzione professionale.

Un pasticciaccio che ha comunque origini lontane. Questi i passaggi:

  • 1978 Legge quadro n. 845 in materia di formazione professionale”, che dà applicazione, dopo 30 anni, all’art. 117 della Costituzione. Gli Istituti Professionali, che si erano nel frattempo sviluppati, si schierano contro la propria regionalizzazione. La legge 845 sancisce la distinzione bizzarra nel panorama internazionale fra “formazione professionale”, termine non presente nella norma costituzionale del 1948, e “istruzione professionale”: la prima alle Regioni, la seconda allo Stato.
  • 1998 Dlgs. n. 112, noto come decreto Bassanini. Dopo un preliminare tentativo di rilanciare il passaggio alle Regioni di tutta l’istruzione professionale, la questione si risolve con il passaggio alle Regioni solo di poche decine di Istituti Professionali, quelli privi dei corsi quinquennali.
  • 2001 Nuovo Titolo V art. 117, nonostante questi persistenti segnali di opposizione, il nuovo Titolo V ha riproposto la separazione dell’istruzione professionale dal resto dell’istruzione secondaria superiore, assegnandola alle regioni.
  • La legge 53/2003 (Riforma Moratti) assume la divisione costituzionale fra «istruzione» e «istruzione professionale». L’istruzione professionale diventa regionale. Così per gli Istituti professionali la legge 53 definisce solo i livelli essenziali delle prestazioni tra cui la durata a 4 anni, che li distingue dai licei quinquennali (nella riforma Moratti anche gli istituti tecnici sono chiamati licei, come nella Riforma Berlinguer)
  • La Legge 40/2007 (Ministro Fioroni) raccoglie l’estesa protesta di insegnanti e Dirigenti scolastici degli Istituti Professionali che si rifiutano di essere regionalizzati, sancisce che gli Istituti Professionali rimangono statali, costituiti da un biennio e da un triennio, in quanto non possono più impartire autonomamente né la qualifica triennale né il diploma professionale quadriennale, che sono per Costituzione di competenza regionale. Hanno inizio accordi con le Regioni per il conseguimento della qualifica e del diploma quadriennale, ma è anche l’inizio della decadenza dell’istruzione professionale statale diventata la brutta copia degli Istituti Tecnici.
  • Il Dlgs 61/2017, applicativo della L.107/2015, non muta nella sostanza la struttura dell’istruzione professionale e non porta ad alcun miglioramento sostanziale del raccordo fra istruzione professionale statale e istruzione e formazione professionale regionale.

Proposta ADi sull’ istruzione professionale

10Le proposte dell’ADi sono sempre andate nel senso della riunificazione fra istruzione professionale statale e formazione professionale regionale. Siccome allo stato attuale ciò non è possibile, l’ADi ha proposto, in analogia con quanto fatto in Trentino, di:

  • eliminare l’attuale istruzione professionale statale;
  • trasformare una parte degli Istituti Professionali in Istituti Tecnici;
  • utilizzare una parte consistente degli Istituti Professionali per impartire le qualifiche e i diplomi dell’Istruzione e Formazione professionale, in termini di sussidiarietà complementare. Questo comporta che lo Stato si faccia quasi interamente carico del finanziamento di questi percorsi, tenuto peraltro conto che si propongono in sostituzione degli IPS, e che in essi si assolve l’obbligo di istruzione. Questa soluzione è tanto più importante al Sud dove sono quasi inesistenti i Centri di Formazione Professionale.

L’ADI chiede infine che agli Istituti Professionali, che diventano centri per lo svolgimento dell’IeFP, sia accordato uno Statuto speciale, che li liberi dalle pastoie burocratiche attuali.

ANNI 2015- 2019 AVVENTO E FINE DELLA BUONA SCUOLA

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Governo Renzi/Gentiloni

eeI primi innovativi spunti contenuti nella Buona Scuola, sono andati in larga misura scomparendo, e in parte aggrovigliandosi su loro stessi, nel passaggio dalla 1^ bozza alla L.107/2015.

La legge 107/2015 potrebbe essere definita con la locuzione latina ceteris paribus, ossia come cambiare tutto lasciando intatto tutto il resto, come ha brillantemente definito il nostro Rosario Drago in una relazione ancora assolutamente attuale.

Alla fine la riforma è risultata un tentativo abortito di rinnovamento, caratterizzata da un’ondata di immissioni in ruolo ope legis su posti inesistenti che sono andati ad ingrossare il così detto “organico potenziato” (non dissimile dalla Dotazione organica aggiuntiva del 1982, L.270/82, che stabilizzò 140.000 precari, di cui 85.000 soprannumerari).

Alla bulimia degli organici si è accompagnata la bulimia dei curricoli, con l’indicazione di un numero incredibile di discipline/attività aggiuntive facoltative. Nessun intervento sulla struttura del sistema scolastico, né per la conclusione della scolarizzazione a 18 anni, né per l’unificazione fra “istruzione professionale “ e “istruzione e formazione professionale”.

Nessuna “liberazione” delle scuole autonome dai grovigli della burocrazia centralistica. Sugli insegnanti diremo nella successiva relazione.

Governo giallo – verde

qqIl governo giallo verde si è dato come obiettivo la definitiva abolizione della L.107/15, senza nulla sostituire. Abbiamo assistito ad un attacco senza precedenti all’ INVALSI, ad un forte indebolimento dell’ alternanza scuola-lavoro, e abbiamo verificato il drammatico ritorno alla formazione e reclutamento degli insegnanti di gentiliana memoria, con l’eliminazione della nuova formazione e del nuovo reclutamento dei docenti, di cui si dirà nella specifica relazione. E, dulcis in fundo, sanatorie e ancora sanatorie.

ADI: ROMPERE L’ IMMOBILISMO E GENERARE UNA SCUOLA EQUA E DI QUALITÀ

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A conclusione dei 20 anni esaminati, che denotano, come direbbe Sabino Cassese, la “ inesorabile tragedia della perseveranza storica”, matura in ADi la convinzione che riforme globali e complessive non passeranno mai, quindi ci si orienta ad imboccare la strada delle “riforme con chi ci sta”. Di qui la proposta, a lungo meditata ed elaborata, degli ISAS, Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale, nonché la convinzione che sia opportuno dare attuazione all’art. 116 della Costituzione, con l’avvio di forme di Autonomia Regionale Differenziata, da parte delle Regioni che si sentono pronte a farlo.

Ci guida la convinzione che queste due autonomie, locali e scolastiche, rappresentino un utile binomio se si vogliono contestualmente perseguire qualità (attraverso l’autonomia scolastica) ed equità (attraverso le autonomie locali, le sole capaci di operare compensazioni nei confronti delle situazioni più deboli e problematiche).
Vediamo i due provvedimenti.

ISAS – Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale

13Il percorso che ci ha portato alla formulazione di un disegno di legge sugli ISAS, è stato lungo e partecipato, con la presentazione di successive bozze in diversi convegni.

Si tratta di scuole «diversamente pubbliche» nelle quali l’autonomia scolastica è sostanziale, in parte come era stata concepita dall’art. 11 del DPR 275/1999.

Sono di scuole che godono di reale autonomia:

  • nell’allocazione delle risorse;
  • nel riadattamento dei curricoli, pur sottoponendosi ai test nazionali e agli esami di stato nazionali e non attuando nessuna discriminazione degli studenti all’accesso;
  • nella riorganizzazione della scuola secondaria di 2° grado su 4 anni e nel riadattamento degli Istituti Professionali
  • nella organizzazione e gestione del personale, nel rispetto dei minimi contrattuali e di principi fondamentali di stato giuridico, ma con arricchimenti organizzativi e possibilità di diversificazione della carriera docente.

Autonomia Regionale Differenziata

14ADi, di fronte ai ripetuti fallimenti di attuazione della decentralizzazione prevista dal nuovo Titolo V, ha ipotizzato, in tempi non sospetti, la possibilità di dare attuazione all’art. 116 della Costituzione con l’avvio di forme di Autonomia Regionale Differenziata.

Recentemente, di fronte all’autonomia rivendicata da Veneto e Lombardia, ADi ha però assunto una posizione molto critica, si veda il nostro dettagliato documento.

ADi ne ha infatti disapprovato l’impianto in quanto:

  • gli ambiti su cui si rivendica l’ autonomia sono troppi,
  • le deroghe alle norme generali sull’istruzione vanno oltre le “funzioni in relazione al contesto sociale ed economico della Regione”,
  • l’autonomia scolastica risulta appena citata,
  • rimane irrisolta la questione del personale, per il quale la regionalizzazione sarebbe a scelta dei singoli,
  • manca ancora l’ indicazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, che dovrebbe invece precedere una tale operazione, a garanzia dell’unitarietà nazionale.

Ulteriori sviluppi a livello del governo giallo verde ci dicono che ancora una volta il personale costituirà la reale pietra d’inciampo.

ADi produrrà a fine settembre una propria dettagliata ipotesi su cui faremo specifico convegno nazionale.

Per ADi l’autonomia regionale differenziata dovrà prevedere:

  1. la decentralizzazione rispetto a specifici obiettivi, quali il rafforzamento dell’autonomia scolastica, la ricomposizione di istruzione professionale statale e istruzione e formazione professionale regionale, la decentralizzazione della gestione del personale, in cui vanno inseriti il reclutamento e la leadership intermedia degli insegnanti;
  2. in via prioritaria e preliminare la definizione dei LEP a livello nazionale e dello Stato Giuridico degli insegnanti;
  3. la valutazione dei risultati, affidata a INVALSI e alla funzione ispettiva.

ADI E I CONTATTI INTERNAZIONALI

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ADi ha fatto delle relazioni internazionali la sua principale caratteristica e questo le ha permesso di ampliare i propri orizzonti, verificare le grandi somiglianze fra i diversi sistemi scolastici, ma anche le peculiarità positive di alcuni sistemi e scuole che riescono ad avere risultati positivi in termini di apprendimenti e di benessere.

Vediamo in breve come si sono sviluppati e consolidati questi contatti internazionali.

L’annuale seminario internazionale

I seminari internazionali che ADi svolge da oltre 15 anni alla fine di febbraio, inizialmente avviati con la sollecitazione e supervisione di Norberto Bottani, rappresentano un’occasione unica nel panorama dell’istruzione in Italia. Meeting che permettono di venire in contatto diretto con altri mondi, altre esperienze difficilmente raggiungibili a livello singolo. I seminari internazionali sono un felice mix di elaborazioni teoriche ed esperienze pratiche che ci mostrano fino a dove si sono spinte la ricerca scientifica sull’educazione (dalle neuroscienze all’intelligenza artificiale) e la sperimentazione nelle scuole di tutto il mondo.

I progetti europei

I progetti europei, in cui da anni ADi è coinvolta attraverso l’impegno instancabile di Silvia Faggioli, hanno raggiunto ampie dimensioni e numerosi coinvolgimenti. Sono stati e sono un tramite prezioso per nuove relazioni internazionali e nuovi avanzamenti.

La pubblicazione in italiano di significativi testi e rapporti stranieri

La pubblicazione in italiano sul sito ADi di significativi testi e rapporti stranieri, non ancora tradotti nella nostra lingua, costituiscono un valore aggiunto dell’Associazione. Un lavoro meritorio e disinteressato svolto da Tiziana Pedrizzi, Marco Bardelli, Mariagrazia Marcarini e Silvia Faggioli, che viene gratuitamente offerto ai colleghi e alle comunità educative.

Alcune importanti relazioni internazionali

L’ADi ha sviluppato relazioni, che si sono andati approfondendo ed ampliando a vari livelli internazionali.

Si citano:

  1. OCSE.
    ADi ha stabilito contatti costanti con il settore educazione dell’OCSE di cui ha tradotto in italiano tutti i Focus PISA e molte importanti pubblicazioni, di cui ha dato divulgazione attraverso il sito e la nostra rivista mensile online. Ha stabilito inoltre un prezioso contatto con il direttore generale dell’Education, Andreas Schleicher, che ha tenuto key speeches in due seminari internazionali dell’ADi.
  2. UNESCO.
    ADi ha stabilito da tempo rapporti fruttuosi con il direttore delle politiche educative dell’UNESCO, Francesc Pedrò, che ha tenuto key speeches in ben tre seminari internazionali dell’ADi.
  3. Commissione UE.
    In relazione alle competenze chiave definite dall’UE, ADi ha stretto rapporti significativi con la responsabile della competenza “imprenditorialità”, Margherita Bacigalupo, che ne ha fatto la presentazione in un seminario internazionale ADi, dopo che l’associazione aveva tradotto in italiano e divulgato i documenti più importanti, da EntreComp a EntreLearn.
  4. Università straniere.
    In occasione dei seminari internazionali ADi ha stretto rapporti proficui con docenti universitari di varie università straniere, tra cui (citando solo la città) l’Università di Oxford, di Birmingham, di Londra, di Bordeaux, di Kongsberg (Norvegia), di Vienna, di Innsbruck, del Canton Ticino.
  5. Ministeri dell’istruzione stranieri.
    In occasione dei seminari internazionali ADi ha stretto rapporti con consulenti di vari Ministeri dell’istruzione stranieri, tra cui quelli inglese, francese e polacco.
  6. Agenzie e fondazioni straniere.
    Proficui sono anche i rapporti con agenzie e fondazioni straniere che si occupano di istruzione, tra queste ricordiamo la Fondazione inglese delle Studio Schools, la danese Autens, la Global School Alliance.
  7. Scuole di tutto il mondo.
    Le relazioni con le scuole straniere, pubbliche e private sono davvero numerosissime, dagli Stati Uniti a Singapore, dall’India alla Cambogia, e in Europa dalla Norvegia alla Svezia, dalla Finlandia alla Gran Bretagna, dalla Francia alla Spagna, dalla Germania alla Danimarca, dalla Polonia alla Turchia ed altre ancora, ADi ha intessuto una rete con le scuole più innovative a livello mondiale davvero unica.

LA VISIONE ADi A CONCLUSIONE DI QUESTO PERCORSO VENTENNALE

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La ricchezza del lavoro e delle relazioni intessute in questi 20 anni ha contribuito a consolidare la visione di ADi sull’istruzione, pur nella consapevolezza che la velocità esponenziale dei mutamenti che stiamo vivendo ci assegna come unica certezza l’incertezza.

Sulla struttura del sistema

Alcuni punti fermi per ADI sono:

  • Autonomie scolastiche e autonomie locali.
    Queste due autonomie rappresentano un binomio necessario e indispensabile per perseguire contestualmente qualità (attraverso l’autonomia scolastica) ed equità (attraverso le autonomie locali, le sole capaci di operare compensazioni nei confronti delle situazioni più deboli e problematiche).
  • Valutazione esterna.
    L’istruzione che si basa su queste autonomie è indivisibile dalla valutazione esterna, a garanzia dei risultati.
  • Condizioni a favore del cambiamento.
    Di fronte al drammatico perseverare dell’immobilismo e della burocratizzazione centralistica, ADi ha maturato sfiducia nelle riforme globali e la convinzione della necessità di dare condizioni a chi vuole il cambiamento di poterlo realizzare. Di qui la proposta degli ISAS, Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale e, a certe condizioni, dell’autonomia regionale differenziata.
  • Conclusione della scolarizzazione alla maggiore età (18 anni).
  • Curricoli: less is more.
    Necessità di snellire curricoli bulimici, introducendo opzionalità nelle discipline del curricolo, che è cosa ben diversa da discipline/attività facoltative in aggiunta al curricolo.
  • Ricomposizione di istruzione professionale statale e istruzione e formazione professionale regionale.
  • Sviluppo dell’ istruzione terziaria professionalizzante (ITS).
    Nel contesto internazionale l’Italia è in grave ritardo nella diffusione dell’istruzione terziaria professionalizzante, poco appetibile rispetto alle lauree triennali. Una carenza grave per colmare il gap fra formazione e occupazione.
  • Sviluppo dell’apprendistato.
    Nonostante un susseguirsi di norme e leggi, che hanno dato la possibilità di svolgere l’obbligo d’istruzione anche nell’apprendistato, questa reale forma di alternanza scuola lavoro in Italia colpevolmente non decolla.

Sull’impostazione culturale

  • Tutti gli studenti possono imparare.
    Ci guida la convinzione che tutti gli studenti possono imparare. Le conoscenze scientifiche e gli strumenti di cui oggi disponiamo rendono inaccettabile l’incapacità di garantire le competenze essenziali a tutta la popolazione. 50 anni fa siamo sbarcati sulla luna e oggi ancora non riusciamo ad alfabetizzare chi frequenta le nostre scuole! Non è davvero accettabile.
  • Benessere.
    La scuola deve essere un luogo di benessere per gli allievi e gli insegnanti. Lo stare bene dei ragazzi non solo favorisce l’apprendimento, ma è una finalità in sé. Fattori essenziali nella generazione del benessere sono gli spazi e i tempi in cui si organizza l’apprendimento.
  • Autonomia e responsabilizzazione, disciplina e rispetto delle regole, senso di identità e di appartenenza.
    Sono questi per ADi principi inderogabili su cui fondare l’educazione dei giovani. L’auto-organizzazione non ha nulla a che fare con il laissez-faire, autonomia non è anarchia, ma ordine e organizzazione.
  • Organizzazione del sapere scolastico: interdisciplinarità e transdisciplinarità.
    Fino ad oggi, l’approccio che meglio è riuscito a superare la separatezza delle discipline e a riorganizzare il sapere scolastico, puntando anche sullo sviluppo dell’autonomia e della responsabilizzazione degli allievi, è stato il Project Based Learning, di cui ADi è convinta sostenitrice.
  • Educazione sociale ed emozionale, soft skills.
    Queste educazioni, ancora profondamente carenti nella scuola italiana, sono fondamentali nella formazione del carattere e nella capacità di continuare ad imparare per tutta la vita.
  • Valorizzazione della cultura del lavoro e del fare.
    A lungo negletta e delegittimata nella scuola, la cultura del lavoro e del fare vive ovunque una forte rivalutazione. L’apprendimento esperienziale deve assolutamente affiancarsi all’apprendimento simbolico-ricostruttivo, se vogliamo che tutti apprendano.
  • GENTILEZZA.
    Concludo con un valore che dovrebbe stare in cima a questo elenco: la “rivoluzionaria” gentilezza. Viviamo tempi pervasi da una recrudescenza di forme di odio e di violenza, di egoismi e di conflittualità che stanno deteriorando la pacifica convivenza civile. Se vogliamo invertire queste tendenze dobbiamo cominciare dai giovani. Vivere e studiare in una scuola “gentile”, alimentarsi di gentilezza, che incarni in sè la pace, la verità e la non violenza, può costituire un’ancora rivoluzionaria per i giovani “cittadini globali”, a cui è affidato il compito di ripulire il disordine del passato e del presente e portare la società verso una pace sostenibile. Nel 150° anniversario della nascita di Gandhi, il rivoluzionario gentile e non violento, l’UNESCO ha lanciato una campagna dal titolo Kindness matters, La gentilezza conta, in correlazione con il raggiungimento dei 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Facciamocene interpreti e partecipi!

Grazie a tutti voi formatori ADi, ora ci aspetta la semina!

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