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Precariato e proletarizzazione della docenza Dai partiti un sol grido: sanatorie!

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Precariato e proletarizzazione della docenza
Dai partiti un sol grido: sanatorie!
Si ripete immutato il dramma del precariato, di cui nessuno si assume la responsabilità, che è di tutti i partiti, nessuno escluso, e mentre si invoca ipocritamente il merito, si propongono nuove sanatorie, che sviliscono la professionalità e minano la qualità della scuola pubblica.

Precariato: una mutazione antropologica dell’insegnante

br9_precariIl precariato è una malattia cronica della scuola italiana, una normale emergenza che dura da oltre 50 anni.  In questi ultimi tempi essa ha assunto però caratteristiche del tutto nuove.

I precari hanno in media  37 anni e mezzo,  gli uomini 39,7 (Fonte MIUR , Osservatorio sulle graduatorie 2007) e verranno assunti, ad un’età media di oltre 45 anni.

Chi oggi aspira ad insegnare subisce quindi trattamenti destabilizzanti per circa 20 anni, quali:

  • mobilità estrema tra sedi e ordini di scuola,
  • cambiamenti casuali e senza un senso preciso delle materie che insegna,
  • varietà altrettanto casuale del pubblico dei suoi allievi,
  • intermittenza costante delle relazioni professionali,
  • trattamento anonimo negli uffici e a scuola,
  • solitudine dell’aula,
  • pervasività dello status di precario nella vita pubblica e privata.

L’anomalo prolungarsi di queste condizioni ha dunque fatto del “precario” un personaggio a sé, non riconducibile a nessun prototipo professionale. Si tratta di una tipologia di insegnante che :

  • non riesce a percepire l’insegnamento in termini di “fedeltà” a dei principi e a dei valori, perché non ha potuto sviluppare nessun senso di appartenenza e nessuna identità professionale;
  • non ha ideali, perché non ha avuto e non ha un ambiente in cui coltivarli, consolidarli e condividerli;
  • è portato ad autodifendersi, assumendo atteggiamenti utilitaristici che evitino che i costi del mestiere superino i benefici;
  • manifesta insofferenza e inquietudine verso i cambiamenti e le riforme, perché non ha nessuna aspettativa professionale e ha fatto della routine la norma di sopravvivenza.

Se questi atteggiamenti e comportamenti, che sono oggi dominanti nell’anomalo e abnorme mondo del precariato, dovessero invadere un intero ricambio generazionale, saremmo di fronte a una vera e propria mutazione antropologica del ruolo dell’insegnante: una tipologia docente che si è lasciata alle spalle tutti i modelli formatisi e susseguitisi nelle precedenti fasi storiche.

La domanda allora è: “Quali conseguenze può avere sul futuro della professione docente, un modello di insegnante che, sorto sulle ceneri di un precariato protrattosi per decine d’anni, è connotato da sfiducia e diffidenza e da una degradante immagine professionale?”.

[stextbox id=”grey”]Proletarizzazione: l’altra faccia della stessa medaglia[/stextbox]

br9_precari_aLa proletarizzazione è l’altra faccia della stessa medaglia. Essa consiste nel mantenere un alto numero di insegnanti mal pagati, privi di status sociale, non selezionati e non valutati, senza carriera e prospettive, per i quali la formazione in servizio è un optional.

In un mercato del lavoro burocraticamente amministrato dal Centro, il precariato è infatti rimasto il solo strumento in mano ai ministri economici per controllare la spesa dell’istruzione, dal momento che su tutti gli altri aspetti non riescono ad intervenire. La professione docente è stata  così  mandata, drammaticamente, alla deriva.

[stextbox id=”grey”]Per  tutti i partiti una sola soluzione: sanatorie![/stextbox]

br9_precari_b I partiti, come è noto, hanno da lungo tempo  demandato la questione insegnante ai soli sindacati, i quali nella rincorsa al consenso e alle tessere affrontano i temi in termini costantemente utilitaristici e contingenti e sono i principali fautori delle sanatorie, lo strumento che più di ogni altro ha svilito e dequalificato la funzione docente.

Su questa deleteria strada sono allineati tutti i partiti.

[stextbox id=”grey”]Le opportunistiche mozioni della Camera  nel giorno della protesta dei precari[/stextbox]

br9_precari_cIl 15 luglio 2009, mentre fuori dall’Aula, si stava svolgendo la manifestazione dei precari, la  Camera discuteva 4 mozioni, una del PD, una della maggioranza (PdL, Lega, Mpa), una dell’Italia dei Valori e una dell’UDC.

Come sempre, nel tentativo illusorio di salvare la faccia, dentro alle mozioni c’è di tutto, dall’edilizia scolastica ai problemi delle zone terremotate, ma era ovvio e palese che le mozioni servivano ai partiti per presentarsi  ai precari con una risposta in mano.

Ma non si tratta di risposte, quanto di avvilenti riproposizioni dell’abusato, irriducibile strumento delle sanatorie, senza nemmeno avere avuto il pudore di coprire la vergogna con una foglia di fico che facesse riferimento a nuove modalità di reclutamento. Nulla!

Così mentre il ministro Gelmini, dopo aver chiuso le SSIS, si accinge a sostituirle con un’improvvisata formazione abbreviata di un anno, il TFA ( Tirocinio Formativo Attivo),  che andrà a rimpolpare le graduatorie ad esaurimento, che torneranno in tal modo permanenti, tutti i partiti ignorano il problema e chiedono solo soluzioni immediate.

Ed è veramente triste che il più grande partito di opposizione, il PD, arrivi ad usare il termine  stabilizzazioni utilizzato dal Governo Prodi nella finanziaria 2007, non per gli insegnanti, ma genericamente per i dipendenti del Pubblico Impiego, e ne chieda addirittura la reiterazione.

Sono 10 anni che non si fa un concorso, l’ultimo risale al 1999. E mentre nella Finanziaria 2008  il ministro Fioroni, sostenuto dall’allora sottosegretario Mariangela Bastico, riproponeva il vecchio concorso biennale, già in vigore prima dei decreti delegati del 1974, che non ha mai risolto il problema (si veda su questo sito il saggio del settembre 2004: Il precariato in Italia), il ministro Gelmini ha dal canto suo del tutto cancellato la questione del reclutamento, varando una formazione iniziale totalmente avulsa dalle modalità di accesso al ruolo (si veda Il Regolamento dimezzato).

[stextbox id=”grey”]Le proposte dell’ADi[/stextbox]

Che fare? Noi riproponiamo quanto veniamo dicendo da anni:  1) un nuovo stato giuridico della docenza che valorizzi questa professione, 2) la decentralizzazione dell’amministrazione di tutto il personale scolastico alle Regioni. 

Un nuovo stato giuridico

Da anni proponiamo, con l’opposizione di tutti i sindacati e della maggioranza delle associazioni professionali storiche, un nuovo “Stato giuridico” che attribuisca alla docenza lo status di “professione“. Questo obiettivo fu autorevolmente posto dall’UNESCO fin dal lontano 5 ottobre 1966, nel documento tanto fondamentale quanto ignorato,  “La Raccomandazione sullo status degli insegnanti. Essa era rivolta ai governi di tutti i Paesi perché equiparassero l’insegnamento alle altre professioni, fondandolo su alti standard professionali, su un codice etico-deontologico, e su adeguate retribuzioni.

Un nuovo Stato giuridico è necessario e indispensabile, per valorizzare il merito professionale in tutte le sue forme, anche attraverso coerenti modalità di valutazione, e per dare contestualmente avvio a quella fascia di docenti specializzati o esperti, che fu prevista dalla legge 59/1997, ma che non è mai stata creata, nonostante la gestione delle scuole autonome e la stessa formazione degli insegnanti abbia assoluta necessità di queste figure professionali. specializzate .

La decentralizzazione dell’istruzione

  Il secondo provvedimento riguarda l’attuazione del Titolo V della Costituzione, inapplicato da otto anni, con l’assunzione da parte delle Regioni di tutti i compiti loro attribuiti in materia di istruzione, ivi compreso la programmazione e la gestione del reclutamento dei docenti in un rigoroso regime di federalismo fiscale, con modalità concorsuali decentrate, gestite da reti di scuole e da apposite commissioni miste interne ed esterne.

Con la riforma costituzionale del 2001, statali rimangono solo le regole (le “norme generali sull’istruzione” i “livelli essenziali” e “i principi fondamentali”), mentre la gestione del servizio e quindi del personale, diventa quasi per intero regionale e per gli aspetti funzionali dell’istituto scolastico. Questa ridistribuzione di competenze appare oggi indispensabile per rimettere in moto una situazione scolastica drammaticamente ingessata da un persistente inossidabile centralismo. Una situazione che il ministero, fortemente sostenuto dai Sindacati, è riuscito saldamente a mantenere, qualsiasi sia il governo in carica.

La strada è tutta in salita, ma se non saremo capaci di  sconfiggere il mammut della burocrazia ministeriale e sindacale, anche procedendo a geografia variabile, dovremo davvero lasciare ogni speranza di vedere il rilancio di questa professione.

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