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L’arretratezza del dibattito sulla scuola

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Il confronto di fine agosto 2008 fra E. Galli della Loggia, G. Tremonti e M.Gelmini Nei giorni 21 e 22 Agosto si è svolto sul Corriere della Sera un confronto a distanza fra il politologo Ernesto Galli della Loggia, il ministro Giulio Tremonti e la ministra Mariastella Gelmini. Lampi di mezza estate che hanno aperto […]

Il confronto di fine agosto 2008 fra E. Galli della Loggia, G. Tremonti e M.Gelmini

Nei giorni 21 e 22 Agosto si è svolto sul Corriere della Sera un confronto a distanza fra il politologo Ernesto Galli della Loggia, il ministro Giulio Tremonti e la ministra Mariastella Gelmini. Lampi di mezza estate che hanno aperto nuovi squarci sulla lontananza siderale che separa politica e intellettuali dalla scuola, dalle ragioni profonde della sua crisi e dei suoi fallimenti. In questi ultimi cinque anni la scuola è diventata terreno privilegiato dei laudatores temporis acti, sulle cui esternazioni i politici sono sempre pronti e proni a sintonizzarsi, al punto che oggi non hanno nessun ritegno a considerare risolutivi il 5 in condotta, gli esami di riparazione e la divisa.

Un’apertura alta di Galli della Loggia nel suo articolo Una scuola per l’Italia, che non riesce però a liberarsi dell’idea che la scuola nata nell’Ottocento con gli stati nazionali sia tuttora il modello da riproporre.

Nonostante due meritevoli indicazioni finali (1. fare piazza pulita delle troppe materie e degli orari troppo lunghi che affliggono la nostra scuola, 2. considerare fra i capisaldi della nuova scuola le matematiche, cioè il linguaggio generale del presente e del futuro universali), l’idea che domina il suo articolo rimane quella di una scuola concepita per la costruzione dell’identità nazionale, una scuola che su quei valori deve continuare a impostare e sviluppare l’educazione morale e culturale delle giovani generazioni (La scuola pubblica europea è nata intorno al compito di testimoniare un’idea del proprio Paese, i caratteri e le vicende della collettività che lo abita, sentendosi chiamata a custodire l’immagine di sé e gli scopi di una tale collettività.).

Sta qui il grande limite dell’intervento di Galli della Loggia, nel non riuscire a scorgere le modificazioni irreversibili, intervenute a livello sociale, economico e culturale, che hanno definitivamente messo in crisi quel modello di scuola, e nel non riuscire a scorgere, in questa difficile fase di transizione, nuovi possibili scenari per l’educazione che riescano a parlare alla mente e al cuore delle giovani generazioni.

L’ambiente entro cui la scuola è chiamata oggi a riorganizzarsi è contraddistinto dall’emergere della società liquida, secondo la felice definizione del sociologo Zygmunt Bauman.

« Nel corso della storia umana – afferma Bauman – il lavoro della cultura è consistito nel selezionare e sedimentare nuclei duri di perpetuità estraendoli dalle vite umane passeggere e dalle precarie azioni umane, nel creare il duraturo dallo scorrevole, di ricercare la continuità nella discontinuità e nel trascendere pertanto i limiti imposti dalla mortalità umana ponendo uomini e donne mortali al servizio di una specie umana immortale (Bauman, 2000).»
Ora, questa capacità di un tempo di determinare le tappe successive, che costruivano una storia continua orientata a una meta, non esiste più, la modernità liquida nella quale siamo immersi, sostiene Baumann, è fatta di legami mutevoli e fragili, le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure.

Da una modernità solida, definita, localizzata, vincolata da legami nazionali, siamo passati ad una modernità liquida, una frase in cui si riassumono gli effetti della globalizzazione, del nomadismo, delle reti virtuali, delle trasformazioni prodotte da internet, un mondo e soggettività ridefiniti dalle enormi, e per certi aspetti affascinanti, potenzialità delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

La scuola non può esimersi dal fare i conti con queste modificazioni, che sono interiorizzate dalle nuove generazioni di nativi digitali al punto da sentirsi alieni entro l’attuale struttura scolastica, che continua ad essere impostata sull’uniformità di riti, procedure e impalcature ottocentesche, come la lezione, i compiti, i voti, gli esami, le scansioni temporali, la rigida costruzione dell’edificio scolastico, l’organizzazione per classi d’età affidate a gruppi di adulti che un tempo erano detentori quasi unici delle conoscenze. Un’immensa organizzazione burocratica concepita per il governo della popolazione e per il disciplinamento dei comportamenti di massa, con il compito prioritario d’inculcare condotte e valori senza i quali le società non avrebbero potuto funzionare. Un apparato definitivamente giunto al capolinea entro cui non si può più pretendere di educare, con minacce e obblighi non condivisi (5 in condotta, esami di riparazione, divise ecc..), una generazione che vi è lontana anni luce.

C’è bisogno di una grande ricerca in educazione, che si apra a quanto sta avvenendo in Paesi molto più avanzati di noi, e che tenti, per quanto faticosamente, di delineare un nuovo scenario educativo, capace di vincere la sfida finora drammaticamente persa dalla scolarità di massa, di conciliare l’acquisizione da parte di tutti delle competenze necessarie e indispensabili per vivere in modo attivo e consapevole in questa società e l’opportunità, per chi ha attitudini e volontà, di raggiungere l’eccellenza.

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(28 agosto 2008)

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