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INTRECCIARE LE “INTELLIGENZE MULTIPLE” CON LA RICERCA DEL “BENE”

di

Testo tradotto da ADi dal blog di Howard Gardner

s1A distanza di quasi quarant’anni da quando ho iniziato a scrivere di “intelligenze multiple”, l’argomento riempie ancora la mia casella di posta, con domande che mi arrivano ogni giorno, spesso da studiosi, ricercatori o educatori che vivono in angoli remoti del mondo. E anche se quasi tutte le domande sono già state poste, provo, per quanto possibile, di dare una risposta sintetica e utile.

Ma sono anche frustrato. Raramente o quasi mai chi fa la domanda parla degli usi ai quali devono essere rivolte le diverse intelligenze. L’assunto è: è importante di per sé scoprire quali intelligenze possiede una persona e/o quali intelligenze possono essere coltivate; i loro usi (presumibilmente buoni) vanno da sé.

s2Ahimè, non è così. Per decenni, ho cercato di sottolineare che le intelligenze sono moralmente ed eticamente neutre. Si può usare la stessa intelligenza per fini buoni o malvagi. Ci sono innumerevoli e noti esempi. Sia Nelson Mandela che Slobodan Milosevic avevano un’elevata intelligenza interpersonale. Mandela ha usato la sua intelligenza interpersonale per ispirare i suoi concittadini e gli esseri umani in tutto il mondo; Milosevic ha usato la sua intelligenza interpersonale per sostenere e diffondere l’odio etnico e, in ultima analisi, le attività genocide.

Allo stesso modo, sia Johann Wolfgang von Goethe che Joseph Goebbels avevano una notevole intelligenza linguistica. Goethe ha usato questo talento per scrivere grandi prose e poesie; Goebbels ha usato la sua intelligenza linguistica per creare le forme più obbrobriose di propaganda. E si potrebbero fare esempi simili per ciascuna delle restanti intelligenze – musicali, spaziali, corporee, naturalistiche, logiche – forse solo per l’intelligenza intrapersonale è abbastanza difficile delinearne un uso malvagio – probabilmente il masochismo.

Allora propongo una nuova serie di “regole della strada“. D’ora in poi, quando mi verrà chiesto delle “Intelligenze Multiple”, risponderò: “Quale uso ti proponi di fare dell’intelligenza o delle intelligenze a cui sei interessato?” Con questa “mossa”, spero di spingere le persone a considerare i valori che stanno cercando di promuovere (e, almeno implicitamente, quelli che rifiuterebbero o vorrebbero abolire). E forse, una volta messo a fuoco ciò che si vuole ottenere con quelle intelligenze allora si potrà considerare quale sia il modo migliore per raggiungere l’obiettivo. Oppure, se l’obiettivo appare inutile o distruttivo, diventerà importante intraprendere una discussione su fini e mezzi.

Naturalmente, una volta che si inizia a discutere di ciò che è bene e ciò che è male, si entra nella sfera dei valori, una zona nei confronti della quale gli scienziati (e molti non scienziati) sono diffidenti. Va bene minimizzare la questione dei valori quando si discute di atomi o geni, ma quella neutralità può spingersi troppo oltre. Dagli atomi si può produrre energia e quell’energia può essere utilizzata per scopi buoni o malvagi. Allo stesso modo, ora si possono creare e manipolare i geni, ancora una volta, per scopi positivi o discutibili.

E così, quando si affrontano questi problemi, si entra in un dominio su cui io e i miei colleghi abbiamo lavorato quasi quanto sulle intelligenze: cosa significa essere buoni e cosa significa fare del bene. Questo è l’ambito che ora chiamiamo The Good Project, Il Buon Progetto.

s3Abbiamo cercato di identificare le tre componenti di un buon lavoro (le tre E, rappresentate da una “tripla elica”): un buon lavoro è tecnicamente Excellent, Eccellente, è personalmente Engaging, Coinvolgente, ed è realizzato in modo Ethical, Etico

Allo stesso modo, abbiamo identificato le tre componenti della buona cittadinanza. Ancora una volta, il buon cittadino è eccellente: conosce le leggi; è impegnato: si preoccupa di ciò che accade nella società, e cerca di svolgere le sue funzioni in modo etico.

In quali sfere si manifesta la “bontà”? Per migliaia di anni gli individui hanno riflettuto su come ci si deve comportare con gli altri nella propria ristretta cerchia di relazioni – ciò che abbiamo definito “moralità del vicinato“. I principi chiave della “moralità del vicinato” sono contenuti nella Regola d’oro, i Dieci Comandamenti e in altre massime fondamentali, proverbi, racconti e in testi che sorgono e circolano all’interno di una precisa comunità.

Ma attualmente, le società sono diventate più complesse, le relazioni umane sono diventate sempre più transazionali e si svolgono su lunghe distanze. In questo ambiente mutato e sempre più globale, è importante delineare una nuova serie di ruoli, che chiamiamo il ruolo di lavoratore / professionista e il ruolo di cittadino. Diventa importante definire i diritti, ma anche gli obblighi, di coloro che trascorrono buona parte della propria vita in una comunità di lavoratori o in una comunità di cittadini. Per comprendere questo terreno e integrare la “ moralità del vicinato”, abbiamo coniato l’espressione “etica dei ruoli”.

Realizzare la “moralità del vicinato” può essere difficile, ma quando si considerano i ruoli più nuovi di lavoratore e cittadino, la definizione di ciò che è etico e ciò che non lo è, diventa davvero una sfida. Non esiste una formula per l’accertamento dell’etica: in effetti, un problema si considera etico proprio perché non consente una soluzione facile e convenzionale.

Per avanzare su questo terreno, per affrontare questioni etiche specifiche, abbiamo trovato utile delineare, in ordine approssimativo, diverse D:

  • Dilemma (riconosciuto come tale inizialmente o indicato da un individuo competente)
  • Discussione o dibattito sul dilemma, come meglio articolare e affrontare la sua risoluzione
  • Decisione (e conseguente azione o inazione)
  • Debriefing, o rapporto, su ciò che è accaduto e se il dilemma avrebbe potuto essere gestito in modo più efficace e su come gestirne uno simile quando si presenterà in futuro.

È più facile pensare al processo deliberativo in termini di linguaggio. Ma si possono anche considerare dilemmi etici rappresentati da opere d’arte – per esempio drammi o documentari o persino dipinti. E, naturalmente, queste sono questioni che coinvolgono il cuore, oltre che la mente.

Decidere ciò che è buono, e quindi perseguire il bene, non è mai stato facile. E ai tempi di Internet, dei media digitali, dei social network, dell’intelligenza artificiale, del deep learning e simili, è più difficile che mai. La disinformazione dilaga, ed è spesso più diffusa e più facilmente recepita di quanto non lo siano le informazioni documentate e affidabili.

Ma a meno che non decidiamo di limitarci a gettare in aria una monetina o ignorare del tutto il “buono”, non abbiamo altra scelta se non quella di mettere in campo le nostre migliori risorse per cercare di delineare e difendere ciò che crediamo sia buono, e quindi per raggiungerlo.

E forse – e questa è la mia più grande speranza – possiamo mobilitare le nostre diverse intelligenze per determinare sia ciò che è bene sia il modo migliore per realizzarlo.

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