Intervento della Presidente dell’ADI
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Nuovo incontro al MIUR sui temi della legge 107/2015 oggetto di delega.
Il 20 ottobre 2015 ha avuto luogo quello sulla Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale.
PREMESSA
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L’istruzione professionale è da sempre uno dei campi su cui l’ADi si è spesa maggiormente, perché gli insuccessi e le espulsioni in questo segmento dell’istruzione sono drammatici. E “quando i più deboli sono espulsi dal sistema di istruzione e formazione, l’intero sistema ha fallito”.
Ci siamo confrontati con le migliori esperienze nazionali e internazionali, da Bolzano a Trento, dalla Germania all’Olanda, dall’Inghilterra a Singapore, da Hong Kong a New York, e con esperti OCSE. Abbiamo sentito rappresentanti di Isfol e di realtà importanti come i Salesiani di Cnos FAP. Rappresentanti di tutte queste realtà sono stati relatori ai seminari internazionali che ADi tiene annualmente a febbraio, e tutte queste relazioni sono riportate sul nostro sito.
Gli istituti professionali statali detengono il primato non invidiabile della più alta percentuale di abbandoni, con il 38,4% nazionale di studenti dispersi tra il 1° e il 5° anno, una percentuale che in tante regioni è molto più elevata, vicina al 50%: Sardegna 49,3%, Sicilia 47,1%), Campania 46,5%, Lombardia 41,2%, Calabria 41,1%, Puglia 40,4%. Inoltre solo il 3% delle matricole provenienti dagli istituti professionali si laurea.
L’ADi considera pertanto che non tenere conto di questa situazione e non intervenire con misure drastiche sarebbe grave. Occorre innanzitutto un cambio di mentalità che porti nell’istruzione il valore della “cultura del lavoro”
Ben venga quindi una delega specifica sull’argomento, anche se da una prima analisi essa appare debole e tutta interna all’attuale sistema. Ci riferiamo in particolare al punto in cui si parla di rimodulare i quadri orari “a parità di tempo scolastico”. Il tempo è una variabile fondamentale in qualsiasi processo di riforma, ad esso è, peraltro, sempre collegato l’organico, che in Italia è come il Corpus Domini, intoccabile, è il freno a qualsiasi riforma, che impone di procedere sempre per aggiunte, mai per riduzioni e ristrutturazioni. Quindi mettere un vincolo di questo genere può essere un impedimento grave alla riforma. Non solo, nella delega si continua a parlare di primo biennio, come se anche l’attuale struttura (2+2+1), identica a quella di tutto il secondo ciclo, debba rimanere immutata.
Necessità di riflettere sulle ragioni dell’attuale stato dell’IPS
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Per individuare corrette soluzioni all’istruzione professionale, bisogna brevemente ripercorrere la mutazione che ha subito in questo secolo. Dopo il varo del nuovo Titolo V nel 2001 l’istruzione professionale passa alle Regioni. La legge 53/2003 , riforma Moratti, fissa i livelli essenziali , ma, nel rispetto del dettato costituzionale, delega la competenza dell’IP alle Regioni.
Con l’avvento del ministero Fioroni questo passaggio è bloccato, ma gli Istituti professionali non possono comunque più impartire qualifiche professionali triennali e diplomi professionali quadriennali, costituzionalmente delegati alle Regioni. L’operazione attuata dal ministro Fioroni con la Legge 40/2007 segna dunque la fine dell’istruzione professionale statale. La struttura degli IPS è omologata agli Istituti Tecnici (2+2+1), e non possono più impartire autonomamente le qualifiche.
Trento si ribella a questo pasticcio, elimina gli IPS, che diventano o Ist. Tecnici o Istruzione e Formazione Professionale (IeFP).
Con la L.133/2008, varata dal Ministro Gelmini, da un lato si stabilisce definitivamente che l‘obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale regionali (IeFP), varato solo sperimentalmente dal ministro Fioroni, ma dall’altro si completa la distruzione degli Istituti Professionali (IPS), in particolare:
- si sancisce definitivamente con Regolamento l’assoluta omologazione agli Istituti Tecnici (2+2+1), ma gerarchicamente di rango inferiore;
- si sopprimono tantissime specializzazioni, perché già presenti negli Istituti Tecinici, ne rimangono solo 6 fondamentali;
- si licealizza il curricolo. Al biennio assoluta predominanza delle materie di cultura generale. Enciclopedismo: 14 discipline al 1° anno! Si lasciano solo 3 ore settimanali di insegnamenti “tecnico-pratici” autonomi.
Il rapporto con l’IeFP
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Nel frattempo cresce e si afferma l’Istruzione e Formazione Professionale regionale (IeFP), ma con grandi differenze fra Nord e Sud, dove è quasi assente.
La Conferenza Stato-regioni stabilisce forme di collegamento fra IPS e IeFP secondo due modelli:
1) tipologia A, detta “integrativa”: agli studenti iscritti agli Istituti Professionali quinquennali è data la possibilità di conseguire, al termine del terzo anno, la Qualifica professionale, integrando il loro percorso statale e superando il relativo esame regionale;
2) tipologia B, detta “complementare” prevede che gli Istituti professionali assumano un ruolo di sussidiarietà e svolgano per conto delle Regioni i percorsi IeF di Qualifica triennale e Diploma quadriennale.
La grandissima maggioranza delle Regioni opta per la tipologia A) integrativa, che soddisfa sicuramente gli organici degli insegnanti, ma è deleteria per gli studenti,. costretti a seguire sia l’ipertrofico curricolo quinquennale statale sia la preparazione integrativa per l’esame di qualifica regionale.
Secondo l’ultimo Rapporto Isfol, marzo 2015, relativo all’a.f. 2013-2014, i dati degli studenti iscritti al primo anno dell’ IeFP sono:
- 38,4% erogazione diretta nelle Istituzioni formative regionali
- 56,3% nelle scuole con IeFP integrativa ( tipologia A);
- 5,3% nelle scuole con IeFP complementare ( tipologia B)
Intanto gli iscritti all’IeFP sul totale della popolazione in età si stanno avvicinando agli iscritti all’Istruzione Professionale statale: Totale iscritti IeFP (compreso il quarto anno): 11,3 %, rispetto al 18% dell’ IPS quinquennale
Permangono forti squilibri regionali: metà degli iscritti a corsi IeFP sono in Lombardia, Sicilia, Piemonte ed Emilia Romagna. Non c’è IeFP in Sardegna
La IeFP erogata nei Centri di Formazione Professionale risulta migliore di quella svolta negli Istituti Professionali Statali rispetto a tre indicatori:
- gli abbandoni,
- gli esiti occupazionali,
- i costi pro capite.
Ciò è dovuto al fatto che gli Istituti professionali dove si svolge la formazione professionale in sussidiarietà mantengono quasi sempre il modello tradizionale di insegnamento e organizzazione del lavoro.
Il mismatch fra domanda e offerta
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Non va sottovalutato un altro dato: il disallineamento tra istruzione e mercato del lavoro.
Se è vero che abbiamo il 40,9% di disoccupazione tra 15 e 24 anni , è anche vero che non è reperibile il 21,7% delle figure professionali richieste dal mercato del lavoro.
In questa situazione abbiamo l’assurdo di avere un’istruzione professionale statale con solo 6 specializzazioni di base, in Germania nel sistema duale vi sono 348 qualifiche professionali, regolarmente aggiornate. In questo panorama la IeFP regionale quantomeno annovera 21 qualifiche articolate in 44 profili e 27 percorsi di diploma quadriennale.
PROPOSTE
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La situazione è matura per una ristrutturazione dell’ IPS, che si avvicini al modello trentino, e cioè:
- Soppressione dei curricoli degli Istituti professionali,
- Trasformazione di alcuni IPS in Istituti tecnici.
- Trasformazione della maggior parte degli IPS in Istituti che impartiscono la IeFP secondo il modello complementare, assumono cioè in toto i percorsi regionali di IeFP, sopperendo in questo modo anche la grave mancanza di istruzione e formazione professionale al Sud.
Ma perché la Istruzione e formazione professionale attuata nelle scuole abbia effetti positivi occorre fissare alcuni elementi:
- Definire in Conferenza-Stato regioni modalità omogenee sul territorio nazionale di certificazione delle qualifiche e dei diplomi quadriennali.
- Concedere un’autonomia speciale a questi istituti (li abbiamo chiamati Istituti a statuto speciale), che possono anche diventare fondazioni con un Consiglio di amministrazione: assunzione dei migliori dirigenti scolastici e dei docenti più adatti e costantemente formati, con un orario onnicomprensivo di 30 ore settimanali, definendo criteri di stabilità e incentivi sia normativi che retributivi. Possibilità di assumere anche esperti dal mondo del lavoro con contratto professionale.
- Dare massimo spazio alla formazione laboratoriale, con una maggiore integrazione fra area culturale e professionale.
- Favorire l’innovazione di modelli organizzativi, didattici e pedagogici.
- Attuare forme di personalizzazione, prima che avvenga la dispersione.
- Promuovere l’extrascuola, non solo con l’alternanza scuola-lavoro, ma con un costante stretto collegamento con il territorio e le famiglie (v. esempi stranieri)
Infine un cenno all’Apprendistato
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L’apprendistato, che è la sola vera forma di alternanza scuola-lavoro, gli altri sono tirocini o stage, deve diventare percorso formativo di pari dignità degli altri percorsi statali e regionali del 2° ciclo, come avviene in altri Paesi, o semplicemente a Bolzano. Di leggi sull’apprendistato se ne sono avute tante, compreso ora il Jobs Act, ma l’apprendistato per l’assolvimento dell’obbligo, la qualifica e il diploma non decolla, anzi è andato diminuendo. Chiediamo che l’apprendistato per il conseguimento di qualifiche, diplomi professionali e diplomi di stato sia parte del sistema dell’istruzione, sia cioè una delle modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo. L’orientamento va fatto anche verso l’apprendistato e il primo anno dell’Istruzione e Formazione Professionale (nuovi IPS) va organizzato in modo che possa essere propedeutico anche all’apprendistato che ha inizio a 15 anni.