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EMBODIED EDUCATION E DIDATTICA ENATTIVA

di Marisa Chironna

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La didattica enattiva e l’embodied education offrono un paradigma fondato sull’interazione mente-corpo-mondo

Sono passati più di sessanta anni dalla pubblicazione di “Le due culture” di P. Snow, quaranta dal “Passagio a Nord-Ovest” di M. Serres, venti da “I nuovi umanisti” di J. Brockman, un quarto del nuovo secolo e non riusciamo ancora a integrare le conoscenze scientifiche – e nello specifico delle neuroscienze – nell’azione didattica. Non sarebbero i “tempi lunghi” delle mentalità di F. Braudel e nemmeno gli “ostacoli epistemologi” di G. Bachelard a rallentare il  connubio tra umanisti e scienziati, forse soltanto la paura di perdere quello che la tradizione ha garantito finora attraverso la trasmissione del sapere anche con l’alternarsi o sovrapporsi di tentativi di ammodernamento o “mode” e nel disorientamento di cambiamenti  epocali come digitale, WWW, AI.

Oggi abbiamo l’opportunità di conoscere le condizioni e il funzionamento dell’apprendimento: non esiste se non c’è coinvolgimento di tutto il corpo.  Le nuove connessioni sinaptiche sono un dato biologico e non metafisico, la curiosità è un sentimento che ha luogo nel corpo, e il corpo è il luogo della memoria a lungo termine, della parola pronunciata o scritta. E’ lo studente adolescente, il gruppo classe, il docente, il vivo del dialogo, della vita che non resta fuori dalla soglia della scuola in attesa che gli studenti si preparino per affrontarla, ma è, per dirla con J. Deway, la scuola stessa.

Niente di nuovo, si potrebbe obiettare, e in certo senso è così: il corpo a corpo della maieutica ha origine con Socrate e persino il suo allievo, Platone, per quanto svaluti la sensibilità ai fini della conoscenza del vero, non può non riconoscere il valore dell’incontro fisico tra due o più persone come lo spazio della ricerca  e del sapere: lo schiavo Menone, se adeguatamente supportato dal maestro, può conoscere.

Oggi, però, sappiamo cosa accade nel nostro cervello, che a dire il vero non è più confinato nel nostro cranio, sappiamo cosa accade nella nostra mente che non è più limitata dal nostro corpo ma, come dice E. Clark, è “estesa” al mondo artificiale ed è “relazionale” (D. Siegel); la stessa domanda su “Cosa significa essere umani” (U. Morelli, V. Gallese), trova risposte  basate sulla  complementarità tra umanisti e scienziati.

E se in Italia – nonostante studi sistematici  come quello di P.G. Rossi del 2011- il dibattito e la stessa pratica didattica sembrano spesso ancora bloccati ai dualismi oppositivi mente-corpo,  cognitivo-emotivo, individuo-collettività,  umanistico-scientifico – e potremmo continuare -, un nuovo paradigma basato sulla integrazione tra i due elementi si sta affermando attraverso la didattica enattiva e la valorizzazione di uno dei pilastri su cui si fonda: la embodied education (EE). Si conosce ciò che è “tirato fuori” –enagito – dall’interazione col mondo: pertanto, il processo conoscitivo presuppone una stretta relazione tra mente, corpo e mondo. Il 2024,  è stato l’anno della messa a fuoco dei risultati di questa rivoluzione epistemologica maturata con un lavorio internazionale e nazionale  costante. Ne sono testimonianza la prima conferenza internazionale sulla  EE (https://conferences.au.dk/embodied-education2024) tenutasi  lo scorso maggio a Copenaghen e il ciclo seminariale sulla EE avviato ad ottobre – con chiusura a Gaeta nei prossimi 20 e 21 giugno – a cura del professor Filippo Gomez Paloma (embodiededucation.it). Attraversando l’Italia con esperienze formative basate sul confronto tra accademici e docenti di ogni ordine e grado, incarna egli stesso, come abbiamo avuto modo di osservare a Lecce e a Enna, la rivoluzione paradigmatica di cui si fa promotore.

A testimoniare l’interesse dell’ ADI per EE è stato, in primo luogo, l’invito di Gomez Paloma al Seminario Internazionale di Bologna del 2022 con una relazione su “Cognizione incarnata” e apprendimento”. In secondo luogo, l’istituzione dal 2024 all’interno dell’ADI, di gruppo che, nato con l’intento di  coniugare SEL (Social Emotional Learning) con le specifiche didattiche disciplinari. Facendo leva su esperienze di ricerca-azione e su percorsi di formazione consolidati, oltre che ricettivi alle opportunità offerte dai progetti Erasmus – la prima settimana del prossimo Aprile è programmata un’attività di job shadowing a Helsinki – sta provando a declinare l’enattivismo nelle specifiche didattiche disciplinari  della scuola secondaria superiore. Come?

Prendiamo uno dei diversi cardini della didattica enattiva, la centralità dello studente e prima ancora di provare a declinarlo in una lezione di Filosofia, ancora una riflessione. Come intendiamo lo studente: come individuo o come individuo parte di un gruppo? Potrebbe sembrare questa una domanda retorica con prevedibile risposta – certo la classe è un gruppo – ma qui entriamo in campo, nel “vivo” della relazione, noi insegnanti e la nostra formazione, i nostri valori, i nostri schemi comportamentali, i nostri timori e paure. Quanto spazio diamo alla crescita dell’individuo e quanto a quella del gruppo? Cosa intendiamo per studente? Sappiamo cos’è l’adolescenza? Cosa intendiamo per gruppo: il gruppo dei pari o il gruppo di lavoro di cui sono parte come insegnante? E L’acquisizione di questa consapevolezza è un altro pilastro della didattica enattiva.

Torniamo ora alla lezione. Tutti concordiamo sull’importanza della relazione insegnante-studente e forse sul superamento della concezione trasmissiva del sapere.  Siamo in una quarta di Liceo Classico. Ho come obiettivo il coinvolgimento cognitivo ed emotivo degli studenti intesi come singoli e come gruppo e chiedo di scrivere su un foglio di carta: 1. Cosa intendono per emancipazione; 2. Se e in quali contesti a loro noti possono osservarla; 3. Se richiede particolari condizioni d’animo; 4. Se espone a rischi. Mi accordo con loro sulla durata della scrittura. Successivamente chiedo di condividere liberamente. Scrivere e condividere nel gruppo classe: due operazioni non scontate. Scrivere quello che osservano in prima persona. Passare dalla forma impersonale, dal manuale e/o dall’esposizione dell’insegnante alla prima persona è un cambio di prospettiva radicale: soltanto dopo diverse sollecitazioni gli studenti si danno il diritto di scrivere quello che osservano. All’inizio alcuni non intendono bene cosa significhi la consegna. A volte chiedono ulteriori spiegazioni ed esempi. Secondo passaggio: condivisione nel gruppo classe. Non tutte le classi sono uguali, è vero, ma è un dato è oggettivo: la iniziale resistenza alla condivisione aperta. Hanno timore di dire stupidaggini, di sembrare banali e infantili (loro dichiarazioni, in genere come premessa alla condivisione), di essere giudicati dai compagni di classe prima ancora che dall’insegnante. Hanno bisogno di essere rassicurati e sostenuti e l’esercizio all’ascolto attivo – si impara! – con relativa sospensione del giudizio, crea lo spazio della scoperta di sé e dell’altro. Il gruppo classe è pronto per il testo kantiano “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?”. Molto di quanto hanno condiviso sarà nella prima parte del testo kantiano, compreso “sapere aude”, poi potranno scoprire il ruolo interessato dei tutori e molto altro. Si obietterà che il difficile viene dopo con La Critica della Ragion Pura e il resto. Al contrario, quei passaggi restituiscono allo studente l’autonomia e il valore della sensibilità personale nell’osservazione e nell’articolazione della scrittura, la potenza del gruppo – le condivisioni vengono trascritte alla lavagna con parole chiave -, la valorizzazione delle singole esperienze. Gli studenti si sentono riconosciuti, valorizzati e galvanizzati. E il risultato è l’ulteriore suggello del patto di alleanza non solo tra insegnante e studenti ma tra gli stessi studenti, condizione indispensabile per affrontare ristrutturazioni cognitive che necessiteranno di sforzi, studio e verifiche scritte e orali, e anche di lezioni frontali durante le quali ognuno potrà condividere la propria difficoltà. Il rischio di rendere banale un’azione didattica complessa trascrivendola in poche righe è alto, il vantaggio potrebbe essere accrescere l’interesse per tale approccio didattico.

Sono i primi passi di un processo che necessita di uno stretto raccordo tra ricerca scientifica e sperimentazione sul campo e formazione. Coniugare il rigore degli statuti epistemologici delle discipline con una didattica fondata su conoscenze scientifiche. Questa la sfida, alta. Ma i tempi sono maturi.