Non celebrazioni ma riflessioni sulla frattura scuole statali/comunali
Il 18 marzo la scuola dell’infanzia statale ha compiuto 50 anni (18 marzo 1968 – 18 marzo 2018). Tante le celebrazioni a cui non ci sentiamo di unirci acriticamente.
Troppe sono le contraddizioni irrisolte dopo il D.Lgs 65/2017.
A distanza di 50 anni, si vive ancora un’insanabile frattura con le scuole dell’infanzia comunali, considerate “altro”, come se i Comuni non fossero, al pari dello Stato, parti costitutive della Repubblica (Art. 114. “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”).
Definite “private” fino al 2000, ora “paritarie”, le scuole dell’infanzia comunali rimangono soggette ad autorizzazione e controllo da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale, nonostante che sulla base dell’attuale Decreto Legislativo 65/2017, i Comuni siano gli Enti che “autorizzano, accreditano, vigilano sui soggetti privati per l’istituzione e la gestione dei servizi educativi per l’infanzia; coordinano la programmazione dell’offerta formativa integrata, promuovono iniziative di formazione in servizio per tutto il personale del Sistema integrato”!
La schizofrenia politico-amministrativa in Italia
Nemmeno alla luce della riforma costituzionale del Titolo V e della sottrazione allo Stato della “gestione” delle scuole, si è avuta la capacità, o meglio la volontà politica, di decentralizzare almeno la gestione delle scuole dell’infanzia statale, unificandola a quella comunale.
Si continua a parlare ipocritamente di sistema integrato scuole statali/comunali e sistema integrato 0-6 quando la dicotomia gestionale tra Stato e Comune crea difficoltà insormontabili e ha portato gradualmente alla chiusura delle scuole comunali nella grandissima maggioranza dei Comuni.
Oggi in Italia le scuole comunali rappresentano il 9%, quelle statali il 63%, quelle paritarie private il 28%.
Una politica miope ha disperso un patrimonio incalcolabile. Patrimonio che i Comuni hanno volentieri ceduto allo Stato senza minimamente porsi il problema della completa decentralizzazione della gestione di queste scuole, nemmeno quando si è posta la questione dell’unitarietà del segmento 0-6.
Ed ora si inventano poli 0-6, di difficilissima realizzazione, e improbabili coordinamenti pedagogici per le diverse gestioni. E le sezioni primavera 2-3 anni, che avrebbero dovuto essere rilanciate in grande stile, rimangono confinate a sporadiche sperimentazioni soprattutto nei nidi e scuole paritarie.
La discriminazione delle insegnanti comunali
Entro questa contraddizione si colloca una situazione di grande sofferenza e disagio delle insegnanti della scuola comunale dell’infanzia, a lungo tenute precarie e sottoposte ad un orario molto più pesante di quello delle colleghe statali: 30 ore settimanali con i bambini e un monteore annuo doppio per attività integrative.
Questo da anni provoca un esodo incontrollato delle insegnanti comunali verso le scuole dell’infanzia statali.
Continuiamo a farci del male!