Il Piano Nazionale Formazione, presentato dal ministro Giannini il 3 ottobre in un incontro pubblico con la partecipazione di rappresentanti internazionali, è una sorta di trattato in 88 pagine, complicato più che complesso, che appare rivolto agli apparati amministrativi più che ai docenti, i quali pare debbano subire il Piano più che padroneggiarlo e farlo vivere.
Sia chiaro, siamo da sempre fautori di un’impostazione della formazione in servizio come dovere imprescindibile della professione docente. Ne abbiamo parlato infinite volte, basti considerare l’intervento del nostro “socio onorario” Prof. Carlo Marzuoli, ordinario di Diritto Amministrativo all’Università di Firenze nel lontano 2008, “Così è se vi pare”. Il paradosso della formazione in servizio.
Ci accostiamo pertanto al Piano con le migliori intenzioni e prima di indicarne i limiti e fare le nostre proposte, vogliamo sottolinearne gli aspetti positivi, di cui va fatto tesoro.
Gli aspetti positivi
- Le risorse: il Piano prevede un investimento di 325 milioni di euro a cui si aggiungono gli 1,1 miliardi della Carta del docente, per un totale di 1,4 miliardi stanziati nel periodo 2016/2019 (sulla Carta del docente abbiamo già detto e non ci torneremo su).
- Il principio secondo cui la formazione in servizio deve essere collegata allo sviluppo professionale dei docenti e al miglioramento degli apprendimenti.
- Il principio secondo cui compete principalmente alle scuole e alle reti organizzare la formazione in coerenza con il Piano dell’Offerta formativa.
- L’organizzazione della formazione in unità formative, che dovrebbero quantificare in modo non ragionieristico il percorso obbligatorio di formazione. Un’unità formativa potrebbe corrispondere, ad esempio, a un Credito Formativo Universitario (CFU) vale a dire a 25 ore di lavoro, comprensivo non solo di frequenza a laboratori o corsi in presenza o online, ma anche dello studio e della preparazione individuale e collegiale. Le scuole dovrebbero garantire che i docenti effettuino almeno una Unità formativa all’anno, la cui organizzazione è comunque flessibile sul triennio.
- Il portfolio elettronico, che se non viene burocratizzato e imposto a tutti, costituisce un utile strumento di documentazione della propria attività di docente.
Gli aspetti problematici o negativi
- Centralismo: la procedura di attuazione segue esclusivamente la linea gerarchico-amministrativa (dai direttori generali all’ultimo dei dirigenti), senza il supporto di competenze riconosciute. Non si tiene conto che nella nostra amministrazione manca la cultura della pianificazione strategica (non ne ha le competenze minime), così come quella gestionale e manageriale, e che non si può ridurre tutto a una serie infinita di procedure e di adempimenti, sperando che i risultati vengano da sé. A peggiorare le cose, la nostra amministrazione è incrostata di abitudini e pregiudizi burocratici…: la vicenda dei concorsi dovrebbe aver insegnato qualcosa.
- Appesantimento burocratico. La formazione, per come è organizzata, rischia di tradursi in un ulteriore insopportabile appesantimento di pratiche e infiniti adempimenti, con scarso effetto nei comportamenti e negli atteggiamenti;
- Offuscamento delle priorità. Il Piano contiene – ad ogni passaggio – un infinito elenco di obiettivi (di linee strategiche, di priorità….) senza che siano reperibili né poche autentiche priorità (tutte sono ugualmente importanti) né l’immagine dell’insegnante che si vuole costruire.
- Verifica burocratica versus monitoraggio. Propone il monitoraggio come unica strategia di valutazione, confondendo una tecnica gestionale di controllo dell’attuazione del piano con una semplice verifica di esecuzione degli adempimenti.
- Richiamo agli standard professionali senza che ci siano. Il Piano richiama continuamente gli standard professionali, senza che ve ne sia ancora traccia, mentre dovrebbero essere preliminari alla pianificazione dello sviluppo professionale, così come ad ogni selezione.
- Una formazione collegata a obiettivi di miglioramento, ma i curricoli…… Il Piano definisce 9 tematiche prioritarie, incentrate quasi tutte sulle “competenze”, che si incrociano con i 18 ambiti (5 trasversali e 13 specifici) definiti dalla Direttiva 170/2016 ( il coordinamento non è del MIUR). La formazione per tematiche e ambiti, dovrebbe condurre a migliorare la didattica, ma si dimentica sempre che abbiamo a che fare con curricoli bulimici, la cui flessibilità è solo sulla carta. In realtà ciò che la L.107/15 richiede è di procedere per aggiunte. Vogliamo parlarne?
- MA SOPRATTUTTO IL PIANO PREFIGURA UNA DIVISIONE DEL LAVORO IN CUI SONO TUTTI VOLONTARI. NESSUN ACCENNO A UNA REALE LEADERSHIP INTERMEDIA! Tutte le azioni hanno, nel Piano, dei destinatari ben definiti. Si elencano nell’ordine: Figure di coordinamento, Animatori digitali, Coordinatori dell’inclusione, Responsabili di plesso, Responsabili dell’alternanza, Collaboratori del DS, Responsabili di dipartimento. Tutte figure di staff che hanno di solito grandi responsabilità nelle scuole. In questo tempo di cambiamenti vorticosi e di dirigenze assenti o dimensionate, queste figure sono spesso la memoria storica delle istituzioni scolastiche, ma il loro lavoro e le loro competenze sono considerate meno di zero e trovano al massimo riconoscimento nella “valorizzazione “ della L.107/15, totalmente inadeguata e divisiva. In breve continua a mancare quella leadership intermedia che andiamo auspicando da 15 anni, ma che è ancora lontanissima dall’essere realizzata
Le proposte dell’ADi
- Va riscritto un documento snello, che non significa fare le slides sintetizzando tutti i contenuti delle 88 pagine, significa definire con più realismo alcuni graduali obiettivi strategici.
- L’impostazione rigidamente top-down del Piano va ribaltata. Va abbandonata la pretesa di cambiare la testa (pratiche, comportamenti, valori di riferimento, ecc.) a tutti gli insegnanti con una specie di addestramento. Va quindi concepita e costruita gradualmente una rete di nuove istituzioni stabili sul territorio ( reti di scuole, poli, centri di formazione per insegnanti, ed altri possibili), attrezzate con spazi, laboratori, biblioteche, collegamenti con la ricerca e l’università, con l’associazionismo professionale, che diano sostegno continuativo ai bisogni di formazione.
- Occorre definire poche realistiche priorità, privilegiare la formazione di gruppi di insegnanti motivati all’interno delle scuole, senza avere la pretesa di controllare centralmente la formazione di tutti, sovraccaricando le scuole, dirigenti ed insegnanti, di nuovi impegni burocratici per soddisfare un controllo puramente ragionieristico.
- Appare opportuno utilizzare la formazione anche ai fini della costruzione, non più prorogabile, della LEADERSHIP INTERMEDIA, con percorsi definiti di formazione, rispetto a precisi standard professionali che rispecchino le specializzazioni che si vogliono garantire ( di tipo gestionale o pedagogico-didattico).
- Lo “sviluppo professionale” dei docenti, affermato nel Piano, va visto all’interno di una seria riconsiderazione dello status giuridico e contrattuale degli insegnanti: orari, doveri ed opportunità, stabilità ecc.., che attende da troppi anni un’aggiornata ridefinizione
- Gli Istituti a Statuto Speciale . Rimaniamo convinti che smuovere contemporaneamente tutto il sistema scolastico sia impresa impossibile, per questo riteniamo che occorra prioritariamente investire nelle situazioni scolastiche che presentano i maggiori livelli di dispersione e farne delle scuole modello, con grandissima autonomia e la possibilità di contare sui dirigenti e gli insegnanti più motivati e preparati. Abbiamo chiamato queste scuole Istituti a Statuto Speciale.