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Certificazioni e dintorni

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Si è tenuto a Genova l’11-13 settembre 2013 un interessante Convegno su “Il riconoscimento e la certificazione delle competenze professionali”, promosso da CIOFS/FP, un’importante rete dei centri di formazione professionale dei salesiani. Tiziana Pedrizzi, che da lungo tempo si occupa di questi temi, ha seguito per ADi il seminario.
All’interno un istruttivo resoconto del convegno.

Il contributo del convegno di Genova   promosso da una rete di CFP

a cura di Tiziana Pedrizzi

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]A che punto siamo con la questione delle certificazioni?[/stextbox]

br-ped1Nell’ultimo decennio la necessità di garantire trasparenza alle dichiarazioni circa gli esiti di apprendimento che una volta veniva garantita dai voti – ora evidentemente non più attendibili, soprattutto in un paese come il nostro – ha trovato espressione nella diffusione delle certificazioni e delle valutazioni standardizzate.

Unite dallo scopo, le due  si differenziano invece per altri aspetti.

Le certificazioni nascono e si sviluppano sul terreno delle competenze professionali, coprono potenzialmente un arco molto ampio di apprendimenti, sono affidate per larghi versi alla soggettività dei valutatori esterni o interni; patria di elezione la Francia ed amplificatore l’Unione Europea.

Le valutazioni standardizzate esterne nazionali ed internazionali sono più figlie della cultura anglosassone empirica e concreta, hanno minori pretese perché fin qui si sono attestate sulle competenze di base  e suscitano maggiore interesse fra gli economisti dell’istruzione, che in questo momento determinano le tendenze delle politiche internazionali nel merito. In questo mondo la diffidenza verso le fumosità certificatorie di francesi ed europei è alta.

In Italia negli ultimi tempi sembrano avanzare maggiormente, anche se molto faticosamente e lentamente, PISA ed INVALSI. Il fatto è che le certificazioni nel sistema di istruzione ristagnano: quella dell’obbligo sembra essere diventata un adempimento poco compreso e – come tutto – fagocitato, quelle al termine della primaria e della secondaria inferiore sono vanificate dall’assenza di un modello nazionale che nessuno sembra avere il coraggio di varare. Per non parlare della madre di tutte, la certificazione della maturità che, pur risalendo alla fine degli anni Novanta all’epoca di Berlinguer, non è mai stata applicata.

Oltretutto, nel paese dei guelfi e dei ghibellini, la valutazione sembra essere diventata di destra e la certificazione di sinistra …

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Il convegno di Genova[/stextbox]

br-ped2Un Convegno organizzato dall’importante rete dei centri di formazione professionale dei salesiani e tenutosi a Genova dall’11 al 13 settembre ha aiutato a mettere a punto la situazione della certificazione a livello europeo ed italiano.

La situazione in Italia

Arenatasi nel mondo dell’istruzione, nel mondo della formazione professionale italiana deve invece di necessità avanzare, anche se con il solito macroscopico ritardo. Per permettere il riconoscimento a livello nazionale ed interregionale dei titoli di studio (qualifica e diploma) erogati a livello regionale è infatti necessario che siano definiti standard comuni in applicazione del Decreto Legislativo n. 13 del gennaio 2013 sullo stesso oggetto. Intorno a questo tormentone si stanno da mesi arrabattando ai più diversi tavoli tecnici gli esperti delle varie regioni: nel corso del convegno sono state anche fornite notizie in proposito. Notizie non esaltanti: il leitmotiv di questa attività sarebbe infatti l’”armonizzazione”, termine che indicherebbe la ricerca di una soluzione minima che potrebbe andare bene a tutti. Il rischio: in nome della condivisione e del consenso  un appiattimento sull’esistente ed un orizzonte limitato sul piano tecnico, anche collegato ad uno scarso approfondimento delle realtà europee. Nel nostro paese il clima di omogeneizzazione al basso continua a trionfare e non c’è crisi che tenga.  In ogni caso stanno uscendo i primi standard relativi alle diverse figure professionali – è stato nel corso del Convegno annunciata l’uscita di quelle del campo delle professionalità collegate all’edilizia – e le valutazioni in proposito potranno essere fatte in modo più attendibile.

La situazione in Europa

br-ped3Più confortanti le notizie del campo europeo. Entro il 2013 sono stati messi a punto dai Paesi membri dei dispositivi di sistema che hanno inquadrato i diversi titoli di studio sulla base dell’European Qualification Framework.Anche l’Italia ha prodotto alla scadenza dei termini un “Rapporto Nazionale di Referenziazione” del quale l’elemento meno scontato è la collocazione allo stesso livello del 4° anno (Diploma) della Istruzione e Formazione Professionale e dei titoli di studio dell’Istruzione al termine di percorsi quinquennali. La rappresentante dell’ISFOL presente al Convegno ha individuato quali elementi di naturale differenziazione presenti fra i dispositivi dei diversi paesi il numero dei livelli (8 nell’EQF ma anche 10 in alcuni casi) ed il valore attribuito alle esperienze di carattere professionale e non.

Ed infatti un sistema di validazione degli apprendimenti non formali ed informali dovrà essere messo a punto dai paesi membri entro il 2018. Questo sarà l’approdo di numerose esperienze realizzate nei diversi paesi a livello di sistemi istituzionali o di sperimentazioni limitate, come è stato il caso dell’Italia.

L’esperienza francese del VAE

br-ped5Anche dal Convegno è emersa l’importanza dell’esperienza francese del VAE (Validation des Aquis d’Experience) in atto dal 2002 e che sta per essere introdotta anche nel sistema formativo svizzero.

Dopo più di 10 anni è possibile tracciare un primo bilancio di questa esperienza preziosa perché progettata e realizzata in modo sistematico, collegata ad un sistema istituzionale solido che ha come base la definizione di un sistema condiviso di Référentiels (Standard diremmo noi), di un protocollo razionale per il percorso dei riconoscimenti e di una rete attiva di istituzioni (commissioni) a ciò preposte. L’obiettivo è quello di costruire una modalità di acquisizione di normali titoli di studio attraverso il riconoscimento di competenze maturate in ambito lavorativo e più latamente esperienziale (attività di tempo libero, di volontariato) che possono anche essere integrate con moduli di apprendimento più tradizionale. Un sistema diverso da quelli anglosassoni che attribuiscono meno valore ai titoli di studio formali e “completi” e più importanza ad una validazione accurata e sul campo ed alla certificazione di singole anche frammentate competenze di carattere professionale.

Osservazioni problematiche

br-ped7I relatori  hanno sostanzialmente presentato due tipi di osservazioni problematiche.

1)    La prima è quella dei “numeri”.Sembra che queste validazioni siano numericamente limitate; i sistemi in cui sono inseriti questi protocolli reagiscono molto diversamente, in modo diversamente flessibile. I paesi nordici danno tradizionalmente più importanza all’apprendimento informale; altri invece sembrano alquanto impermeabili e non è difficile ipotizzare che siano quelli di area mediterranea. La Francia ha costruito un sistema illuministicamente perfetto ma non molti riescono ad uscirne vivi: la capacità di costruire un dossier che faccia il bilancio delle proprie capacità anche se supportata da esperti non è facile da sviluppare in soggetti a bassa scolarità, i tempi sono lunghi e faticosi anche per i recuperi delle parti mancanti, le commissioni non sempre benevole. Tanto è vero che in alcune regioni (la Bretagna)sembra si stia andando ad una riforma e semplificazione del tutto.

br3-ped42)  L’altra osservazione è legata alla contingenza economica attuale.
Da un lato essa potrebbe incrementare la disponibilità anche degli autoctoni ad un sacrificio personale che le vacche grasse occupazionali e non dei tempi passati non richiedevano più.
Dall’altra però un sistema che valorizzi le competenze può non essere necessariamente negli interessi dei datori di lavoro che mirano oggi maggiormente alla fidelizzazione e/o alla flessibilità e d’altra parte, dal punto di vista dei dipendenti, persa la fiducia in una progressione di carriera su posto sicuro, questa logica è più coerente con il “marketing di se stesso” fino ad arrivare all’autoimprenditorialità.

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