In Inghilterra li chiamano serious games (v. Università di Coventry), in Francia jeux sérieux , ma ormai a livello internazionale si parla di gamification. Il Café Pédagogique ha fatto un’intervista a Julian Alvarez e Dalien Djaouti, autori con Olivier Rampnoux del libretto Apprendre avec les serious games, uscito in maggio 2016.
Gli autori si chiedono se i “giochi seri” possano avere spazio in classe e, se si, a quali condizioni e con quali obiettivi. Il libro esamina sia i contributi che i giochi possono dare all’insegnamento sia i limiti del loro utilizzo. Ma soprattutto aiuta a scoprirne l’uso proficuo in classe. In cento pagine quest’opera mostra piste concrete per fare entrare i giochi nell’insegnamento e induce alla riflessione su cosa questo ingresso può implicare..
I tre autori sono docenti universitari, Alvarez all’università di Lille, Djaouti all’università di Montpellier e Rampnoux all’università di Poitiers. Tutti e tre lavorano sulla gamification da parecchi anni.
L’opera ha il pregio di mostrare luci e ombre dei giochi in classe. I limiti all’uso dei giochi vengono soprattutto dall’impreparazione degli insegnanti e dalla rigida organizzazione scolastica. Le luci ci vengono indicate attraverso 10 Comandamenti che spiegano come utilizzare al meglio i giochi in classe.
Un’opera di facile lettura, sintetica e insieme particolarmente ricca, che sa trovare il giusto equilibrio tra consigli pratici e riflessione teorica. Un libro scritto con grande onestà intellettuale, che ci dice che i giochi non “salveranno” la scuola, ma che possono dare un grande contributo all’istruzione.
Intervista di François Jarraud con Julien Alvarez e Dalien Djaouti
François Jarraud: Perché pubblicare ora un libro sui “giochi seri”? E’ venuto il momento di introdurli in classe?
Julien Alvarez: Lavoro all’ESPE (École Supérieure du Professorat et de l’Éducation) di Lille, che è impegnata nelle strategie dell’apprendimento della matematica e nell’approccio ludo-pedagogico. Il libro ci è stato richiesto dall’Editore , Canopé, che è impegnato in questi stessi settori.
Damien Djaouti : A Montpellier abbiamo la stessa apertura verso questi problemi. Il gioco ci sembra una buona porta attraverso cui fare entrare la matematica in classe. Il gioco è già presente nella società e in diversi settori di attività come la sanità, mentre si sta sviluppando molto più lentamente nel campo educativo. Ma ora stiamo constatando che gli insegnanti giovani, che hanno maturato una cultura con i videogiochi, hanno interesse a introdurre il gioco in classe.
Julien Alvarez: Vedo anche dei dirigenti scolastici che chiedono formazione sui giochi, mentre fino a 10 anni fa era solo un interesse pionieristico.
François Jarraud : Ma si è sempre giocato a scuola!
Julien Alvarez: E’ vero che fra i giochi seri ci sono anche giochi tradizionali. Nella prefazione al nostro libro, Andrè Tricot, spiega che nella storia della scuola ci sono cicli di apertura nei confronti dei giochi e cicli di chiusura. Nel MedioEvo la chiesa ha condannato il gioco, paventando il gioco d’azzardo. Il gioco è stato marginalizzato e questo è andato avanti per molto tempo. Oggi i video giochi sono accusati di generare violenza. Così un nuovo freno è entrato nella scuola.
François Jarraud : Perché un insegnante dovrebbe interessarsi ai giochi per la sua classe?
Damien Djaouti : All’inizio per motivi personali. In seguito si inoltra su un percorso più pedagogico, perché il gioco gli consente di lavorare in modo diverso. Il gioco diventa uno strumento in più nella sua valigia degli attrezzi didattici, ma non è ovviamente qualcosa già pronto all’uso. Per esempio il gioco aiuta a differenziare gli approcci all’insegnamento. Permette agli alunni di procedere per tentativi ed errori, senza incappare in giudizi negativi. Un ragazzo può ricominciare cento volte il suo compito senza essere ripreso. Col gioco inoltre si impara a collaborare con i compagni
Julien Alvarez: Il gioco aiuta molto anche alla concettualizzazione. La maggior parte degli esercizi scolastici sono totalmente estranei all’universo quotidiano degli alunni. Il gioco può renderli più vicini ai ragazzi, per esempio in matematica e fisica. Il gioco dà anche l’opportunità di esplorare ambienti dove i giovani non andranno mai, come i fondali marini o il pianeta Marte. Infine se l’insegnante è ricettivo all’uso dei giochi, il loro uso può rendere piacevole l’apprendimento.
François Jarraud: In che modo un insegnante potrà giudicare se un gioco è buono?
Damien Djaouti: Un gioco potrà essere giudicato eccellente da un insegnante e pessimo da un altro. E’ l’insegnante che sperimentandolo capisce se è adeguato alla sua pratica didattica. Per sostenere i docenti abbiamo pubblicato nel libro una griglia che aiuta a chiarire le caratteristiche del gioco. Per esempio a ricercare l’equilibrio tra gli aspetti ludici e quelli seri.
Julien Alvarez : Bisogna vedere quello che apporta il gioco. Ed è l’insegnante che lo identifica. Ciò che conta è la cultura degli insegnanti nei confronti dei giochi. E’ questa cultura che permette di identificare un buon gioco.
Damien Djaouti: Questa cultura è tanto più necessaria in Francia perché da noi non si producono giochi seri per l’istruzione. Il mercato è troppo chiuso, troppo angusto. Bisogna dunque andare a cercare tra i giochi esistenti quelli che possono interessare l’istruzione. E per fare questo occorre una cultura del gioco.
François Jarraud: Il gioco può sconvolgere gli apprendimenti?
Julien Alvarez: Nel libro fissiamo dei limiti per l’utilizzo dei giochi. Il primo problema è che il gioco sia adatto alla pedagogia dell’insegnante. Per questo è importante che l’insegnante possa appropriarsene. Se l’insegnante ha una cultura del gioco è più facile che possa trovare un gioco interessante. Potrà sempre modificare il gioco, agire sul programma e sulle regole.
Damien Djaouti: Ovviamente il gioco deve integrarsi in una sequenza pedagogica. Se ci si limita a mettere un alunno davanti a un gioco si rischia una grande delusione. Yvan Hochet, per esempio, mostra come Simcity sia utilizzato in un corso sulle città americane. Il gioco ha permesso agli alunni di verificare la conformità al modello e di autovalutarsi.Una ricerca ha dimostrato che per uno stesso gioco una condivisione alla fine del gioco ha un impatto molto positivo.
Julien Alvarez: Bisogna anche pensare al modo in cui si porta l’alunno ad uscire dal cerchio magico del gioco. G Brougere pone per esempio la questione della valutazione. Se si valuta un gioco si incorre in un paradosso.
Damien Djaouti : E si rischia di perdere l’aspetto ludico
François Jarraud: Negli Stati Uniti esistono “giochi seri” per la formazione degli insegnanti. Perché non ci sono in Francia?
Damien Djaouti: Nel 2009 c’è stato un progetto governativo per il finanziamento dei giochi per l’educazione. C’è dunque un interesse istituzionale per il gioco. Ma non è stato tradotto in giochi per la formazione. Ma ci si arriverà.
Julien Alvarez : Si è ancora in una fase di acculturazione degli insegnanti. La priorità per noi è formare gli insegnanti alla cultura dei giochi. E’ la prima tappa se vogliamo vedere l’ingresso dei giochi in classe.