Il 31 ottobre il comitato Articolo 33, promotore del referendum contro i finanziamenti comunali alle scuole dell’infanzia paritarie private di Bologna, ha annunciato di avere ampiamente superato il quorum delle 9.000 firme necessarie per dare il via al referendum consultivo.
Mentre il comitato esulta, le forze di sinistra, al governo della città, sono divise. La Giunta è, ovviamente, contraria al referendum, ma le forze politiche che la sostengono non sono compatte: il PD è spaccato al suo interno e SEL si dichiara favorevole. Favorevole, per inciso, anche il Movimento 5 Stelle.
E’ molto probabile che il referendum abbia esito positivo, soprattutto perché si inserisce in una politica incoerente e depressiva della Giunta comunale di Bologna sulla scuola dell’infanzia.
[stextbox id=”info” image=”null”]Le responsabilità della Giunta e la mancanza di un progetto politico[/stextbox]
Da tempo le scuole dell’infanzia bolognesi sono governate dalla Ragioneria del Comune, non dall’Assessorato all’istruzione. E’ totalmente assente una visione educativa, che non affoghi nelle secche del presente e sappia guardare al futuro, rimettendo anche in discussione l’attuale assetto del governo dell’istruzione in un’ottica di decentralizzazione, come la nostra Costituzione vorrebbe (la gestione della scuola dovrà cessare di essere statale, se ne vuole tenere conto?).
Questa politica ha portato a un progressivo deterioramento del rapporto dell’Amministrazione con i propri insegnanti, tenuti sotto la continua minaccia di essere privati della condizione giuridica e retributiva che da sempre li lega ai colleghi statali, di subire un aumento dell’orario di insegnamento da 25 a 30 ore settimanali e l’utilizzo in luglio nei centri estivi. Tutto questo, mentre il precariato ha raggiunto livelli insostenibili e viene cancellata la Graduatoria ad Esaurimento, che qui era davvero “ad esaurimento”, poiché conteneva meno di 70 insegnanti, vale a dire la metà dei precari sulle sezioni, che da anni, dopo aver superato vari concorsi, aspiravano al dannato posto fisso. Ma evidentemente anche l’assessore Pillati pensa che queste maestre siano choosy, schizzinose, come ama dire il ministro Fornero.
Ma non solo, vengono progressivamente eliminate le insegnanti di sostegno, sostituite da personale delle cooperative senza qualificazione (a Bologna l’integrazione H, impostata per tanti anni da Andrea Canevaro, era davvero un fiore all’occhiello).
A questo avvilente quadro si aggiunge l’estemporanea ipotesi di trasformare le scuole in fondazione, modificata cammin facendo nel passaggio delle scuole comunali ad un ente assistenziale, l’ASP IRIDES, a cui già dall’a.s. 2012-2013 è stato assegnato in gestione il personale ausiliario di 20 scuole.
Al malessere e al senso di abbandono vissuti dal personale si affianca la preoccupazione dei genitori, sia di quelli che sono rimasti esclusi dalla scuola dell’infanzia pubblica statale e comunale, sia di quelli che hanno i propri figli nelle scuole comunali e vivono questo clima di incertezza e di tensione.
Tutto questo non può essere, evidentemente, imputato solo ai tagli e ai vincoli imposti agli Enti Locali dalle varie leggi nazionali. Perché nulla è stato fatto di ciò che, anche nella situazione data, poteva essere fatto.
Da mesi l’Amministrazione tace, nonostante la solenne promessa di riaprire il confronto con tutti.
[stextbox id=”info” image=”null”]Le preoccupanti contraddizioni del PD[/stextbox]
In tutta questa vicenda desta forte preoccupazione, pensando al futuro, la contraddittorietà della linea politica del Partito Democratico sulla scuola, espressa dalla sua responsabile nazionale Francesca Puglisi.
Alcuni esempi significativi.
- Mentre sul fronte nazionale Puglisi si è battuta a spada tratta contro le fondazioni (v.ex Ddl Aprea), a livello locale (Puglisi è bolognese) ha sostenuto pubblicamente la fondazione proposta dal Comune.
- Mentre a livello nazionale ha inveito contro l’aumento dell’orario da 18 a 24 ore, a Bologna ho sostenuto che è giusto l’aumento dell’orario di insegnamento delle insegnanti della scuola dell’infanzia da 25 a 30 ore settimanli.
- Mentre a livello nazionale ha solennemente dichiarato: “Il PD ha già detto con chiarezza che vogliamo prevedere un piano straordinario di immissioni in ruolo per i precari delle Graduatorie ad Esaurimento, e questo faremo andando al governo”. Nei confronti dell’amministrazione Comunale, che butta al macero la graduatoria ad esaurimento e non assume nessun insegnante, tace. E chi tace acconsente!
E si potrebbe continuare.
Tutto questo denota l’assenza di una politica sulla scuola del PD, in balia del contingente, con due facce quando è al governo e quando è all’opposizione.
Non è più tempo di ambiguità.
[stextbox id=”info” image=”null”]La Regione Emilia Romagna ignora il problema e dispensa € 4.020.000 in progettifici, mentre la Regione Toscana impegna € 6.500.000 per garantire il posto a 3.000 bambini[/stextbox]
Infine in tutta la questione, balza agli occhi la differenza fra la politica della Regione Emilia Romagna e quella della Regione Toscana.
1) La prima differenza sta nel fatto che la Regione Emilia Romagna assegna ancora la scuola dell’infanzia all’Assessorato alle politiche sociali non a quello della scuola. Non è un fatto nominalistico è il persistere di una concezione secondo cui la scuola dell’infanzia è altro dalla “scuola vera e propria”.
2) La Regione Emilia Romagna, a differenza della Regione Toscana, non si cura del diritto dei bambini ad avere un posto nella scuola dell’infanzia. L’assessorato ha infatti investito € 4.020.000 per non meglio precisati progettini di qualificazione e per coordinatori pedagogici, quando le scuole statali hanno già i propri dirigenti scolastici e quelle comunali i propri coordinatori pedagogici. Al contrario la Regione Toscana ha investito € 6.500.000 per garantire il posto a 3.000 bambini, pagando il personale docente. Si tratta nella grandissima maggioranza di sezione statali e di una minoranza di sezioni comunali. Le sezioni attivate sono in tutto 107,5 (mezza sezione significa che è stato assegnato un insegnante a completamento dell’orario), in tutto 215 insegnanti.
[stextbox id=”info” image=”null”]Il referendum in questo quadro[/stextbox]
In questo quadro il Comune, anziché demonizzare il referendum, potrebbe smontarlo facendo una politica seria e coerente, dando stabilità e certezza alle proprie scuole e chiamando in causa non solo lo Stato ma anche la Regione sulla questione generale del diritto alla scuola di tutti i bambini dai 3 ai 6 anni.