Tutte le immagini sono opere dell’artista franco-americana Louise Joséphine Bourgeois, 1911-2010
UN DIBATTITO TRA MOLTI SOSPETTI E ALCUNI INDIZI
Da oltre un mese si discute animatamente di una commissione, annunciata all’inizio di maggio dal Corriere della Sera, che dovrebbe rivedere le Indicazioni Nazionali dei due cicli, ma di cui non esiste nessun atto né formale né informale. L’unica notizia mai smentita è che a presiedere questa Commissione, di nove membri [1], sia la Prof.ssa Loredana Perla, coautrice con Ernesto Galli della Loggia del libretto Insegnare l’Italia. Cento pagine che spiegano come il cuore dell’insegnamento sia, e non possa che essere, l’identità italiana.
Il riferimento ai due cicli rimane esso stesso avvolto nell’indeterminatezza. La Prof.ssa Perla, infatti, nel libretto citato, definisce due cicli la scuola primaria e la scuola secondaria di 1° grado, quando è ben noto che insieme costituiscono il solo primo ciclo. Appare d’altra parte quantomeno anomalo che tale Commissione, di soli pedagogisti, riesamini le Indicazioni Nazionali dalla scuola dell’infanzia ai licei e agli istituti tecnici e professionali, elaborate a suo tempo da tre diverse corpose Commissioni.
Su queste scarne e imprecise informazioni è montato un acceso dibattito che ha investito da un lato la composizione e le modalità di formazione della commissione e dall’altro alcune frammentarie dichiarazioni del Ministro Valditara: si tolgano i dinosauri dalla scuola primaria, sì metta più arte e musica, si riducano i programmi “colmi di argomenti e contenuti“.
Ci limiteremo qui a due questioni che a noi paiono le più rilevanti e sulle quali abbiamo alcuni indizi: 1) l’identità italiana come finalità dell’istruzione, sostenuta e argomentata dalla Presidente della Commissione Loredana Perla, nel libretto succitato; 2) il sovraccarico dei curricoli accennato dal ministro Valditara, che vogliamo immaginare non sia ridotto all’eliminazione dei dinosauri.
1. SULL’IDENTITÀ ITALIANA COME FINALITA’ DELL’ISTRUZIONE
Da una cittadinanza unitaria e plurale all’identità italiana
Qualsiasi riforma dell’istruzione risponde a un’ideologia. Ideologica è la riforma “accennata” dal Ministro Valditara e illustrata dalla presidente della Commissione Loredana Perla in Insegnare l’Italia, ideologici sono i principi fondanti delle attuali Indicazioni nazionali di scuola infanzia e primo ciclo.
L’approdo nel 2012 delle Indicazioni Nazionali avvenne dopo 12 anni di scontri ideologico-politici e l’alternanza di 6 ministri (Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini e Profumo); il loro aggiornamento si ebbe nel 2018 dopo l’avvicendarsi di altri tre ministri (Carrozza, Giannini e Fedeli).
ADi accolse quelle Indicazioni positivamente non senza alcune critiche, come ad esempio la scarsa attenzione alle difficoltà della scuola secondaria di 1° grado, rimasta l’anello debole della scuola dell’obbligo, nonché l’eccesso di discipline.
L’impostazione epistemologico-filosofica delle Indicazioni del 2012 è riscontrabile innanzitutto nel documento Cultura scuola persona, che precede le Indicazioni vere e proprie. Si tratta in realtà di un documento piuttosto slegato dal resto delle Indicazioni, che comunque ne indica le finalità, tra cui un nuovo concetto di cittadinanza : “Per educare a una cittadinanza unitaria e plurale a un tempo, una via privilegiata è la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e memorie nazionali (…) La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo. I problemi più importanti che oggi toccano il nostro continente e l’umanità tutta intera non possono essere affrontati e risolti all’interno dei confini nazionali tradizionali, ma solo attraverso la comprensione di far parte di grandi tradizioni comuni, di un’unica comunità di destino europea così come di un’unica comunità di destino planetaria” (parole che riecheggiano I sette saperi necessari all’educazione del futuro di Edgar Morin).
Ora è proprio questa impostazione di educazione alla cittadinanza unitaria e plurale che viene radicalmente messa in discussione da Loredana Perla, secondo cui le attuali Indicazioni Nazionali rappresentano “una rinuncia all’asse formativo dell’identità italiana, avvenuta in omaggio alle letture globaliste e multiculturali, che ha creato un vulnus psicopedagogico nella formazione delle giovani generazioni”. Perla, che rifugge risolutamente dalla didattica per competenze, colpevoli, a suo avviso, della frammentazione del curricolo, invoca l’identità italiana come “asse principale del curricolo cui connettere i vari saperi, non solo storico-geografici”. E accusa l’orientamento affermatosi nel dopoguerra “di forte svalutazione se non di vero e proprio oblio del nesso che lega sentimento civico e idea di patria da un lato e conoscenza della carta costituzionale dall’altro”.
Quale idea di patria?
Sull’”idea di patria” è bene soffermarsi un attimo. È innegabile il declino di questa parola nel periodo della così detta prima Repubblica, vittima di un malinteso internazionalismo e di un astratto universalismo, tanto che di essa se ne impossessò la destra politica e ideologica per rafforzare il suo tratto identitario.
La sua riscoperta e rivalutazione è da attribuire in primo luogo al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che lanciò una vera e propria campagna ispirata a un patriottismo democratico: restituì dignità all’inno di Mameli e al tricolore, caldeggiò il restauro del Vittoriano, ripristinò la sfilata del 2 giugno.
Il patriottismo proposto da Ciampi trae ispirazione sia dalla tradizione repubblicana risorgimentale, sia dall’esperienza ideale e politica della Resistenza, in particolare del Partito d’Azione. È significativo che il Presidente abbia tenuto uno dei suoi interventi più importanti sul patriottismo il 5 dicembre 2000, in occasione della visita alla Domus Mazziniana di Pisa. In quell’intervento Ciampi citò Mazzini come esempio di un patriottismo che sapeva unire la lealtà verso la propria patria e l’impegno a rispettare e difendere la libertà degli altri popoli, e considerava vera patria solo quella che garantisce le fondamentali esigenze di giustizia.
E ancora Ciampi: “Siamo tornati ora a pronunciare, senza remore e senza retorica, giustamente e finalmente, la parola “Patria”. È una parola impegnativa, nobile, che fa riflettere. Non la si può pronunziare senza interrogarsi su cosa significa, su quali doveri porta con sé” (Discorso per i 140 anni dell’Unità d’Italia, Torino, 20 novembre 2001).
Ma è questa l’idea di patria invocata da Loredana Perla, presidente della commissione per le nuove Indicazioni?
Non esitiamo a dire di no.
Il patriottismo costituzionale
Loredana Perla, nel libretto citato, denuncia la “debolezza del così detto patriottismo costituzionale”, quello, afferma, “che indica la fedeltà a una comunità politica democratica e pluralista, sulla base di principi fissati dalla Costituzione”. Un patriottismo, secondo Perla, colpevole dell’”evanescenza del sentimento civico e dei doveri verso la collettività” nonché della “ rinuncia alla partecipazione alla vita pubblica”. Tale analisi la porta a invocare l’adesione a uno specifico “canone cultural-identitario”, l’”identità italiana”, e “un sincero amor di patria”.
Ora l’amor di patria invocato da Carlo Azeglio Ciampi, quello a cui noi siamo profondamente legati, è, invece, proprio il patriottismo costituzionale. Quel patriottismo non fondato sull’omogeneità culturale ed etnica ma su una convinta adesione ai principi universalistici della Costituzione, che il filosofo tedesco Habermas definì e indicò, alla fine degli anni Ottanta, come il solo patriottismo possibile per la Germania postnazista.
Il Presidente Ciampi, nell’ottobre 2004, ormai a tre quarti del suo mandato, auspicò che “dall’amor di Patria più emotivo, quello che sgorga dal cuore, si passasse a un vero e proprio patriottismo costituzionale“.
Due visioni ideologiche contrapposte
Ci troviamo di fronte a divergenze politico ideologiche profonde, che sarà bene non sottovalutare. Non si nega certo la possibilità di rivedere le Indicazioni nazionali e molto altro, ma è fondamentale che il Ministro stesso chiarisca le finalità che persegue. Sono le stesse indicate dalla Presidente della commissione da lui nominata?
È necessario far luce da subito, perché Loredana Perla ha messo in discussione tutto, non solo le Indicazioni nazionali.
Ha denunciato il fallimento dell’attuale impostazione dell’integrazione degli alunni stranieri, sostenendo che solo insegnando l’identità italiana si evita di “accrescere la loro percezione di instabilità”. E con un esempio ha dimostrato come si fa ad insegnare l’identità italiana: ”raccogliendo documenti e testimonianze della propria vicenda familiare, facendo confronti fra il vivere dei nonni (le loro abitudini, la loro economia domestica, gli oggetti della quotidianità) e il vivere contemporaneo”. Sarà sicuramente facile per il bambino figlio di immigrati costruirsi la sua identità italiana attraverso la vita dei suoi nonni pakistani, marocchini o di qualche altra parte del mondo! Forse il primo passo per farli sentire italiani sarebbe quello di approvare lo “Ius scholae” o lo “Ius culturae”, che ancora viene negato.
Ma non basta. Loredana Perla si scaglia anche contro “l’ennesimo insegnamento di educazione civica, come è stato fatto nel 2019”, e afferma che “sarebbe bastato riprendere Cuore e riportarlo nelle aule”. E infatti conclude il suo Insegnare l’Italia proponendo due libri che considera insostituibili per l’educazione dei bambini del XXI secolo, nonché dei loro genitori: 1) Cuore, “un libro profondamente anticonformista”, “un manifesto pedagogico della scuola di ogni tempo”; 2) Pinocchio “il libro per antonomasia dell’identità italiana”.
Molti dubbi e non poche preoccupazioni
Ci sia permesso di esprimere molti dubbi e non poche preoccupazioni. Vorremmo manifestarli con le parole che François Dubet pronunciò a conclusione della sua relazione al seminario internazionale di ADi del 2019:
“Di fronte alla globalizzazione delle culture e delle economie, molti Paesi sono attraversati da potenti movimenti popolari nazionalisti e conservatori. D’altra parte viviamo in nazioni e la nazione rimane il quadro essenziale dei diritti e della democrazia. Ma le nazioni non sono più comunità omogenee. È quindi necessario reinventare delle narrazioni nazionali in cui anche gli “altri” trovino un posto.
Contro la tradizionale narrativa mitica nazionale, la scuola dovrebbe costruire una narrazione in cui la nazione è nel mondo, in cui le minoranze e i migranti hanno un posto, in cui la nazione è un’arte di vivere insieme, un patriottismo di cittadini piuttosto che un’identità basata sul rifiuto degli altri. Ebbene io spero che gli insegnanti saranno capaci di resistere ai brutti venti che stanno soffiando, e sapranno difendere nelle pratiche la scuola del “patriottismo costituzionale”, secondo la definizione di Habermas, e insieme saremo in grado, forse con meno ambizioni, di assumerci le nostre responsabilità nei confronti dei fallimenti degli ultimi cinquant’anni, fallimenti che dobbiamo guardare in faccia senza se e senza ma”.
2. SUL SOVRACCARICO DEI CURRICOLI
Non solo dinosauri
“In terza elementare si vanno a narrare e a spiegare tutte le specie di dinosauri. Addirittura c’era un animale vissuto 40 milioni di anni fa e questi bambini devono studiare e imparare questo animale vissuto in Messico ed estinto da milioni di anni. Tutto questo, ma a che serve? È tutto inutile se poi non conosciamo le esperienze più importanti del nostro passato, che ci hanno dato i grandi valori dell’Occidente.” Parole del ministro Valditara, che ha aggiunto: “ Bisogna pensare a programmi nuovi in linea con la società moderna. Semplificare e far prevalere la qualità sulla quantità”. E ancora: I programmi sono “colmi di argomenti e contenuti”.
Tralasciando il focoso dibattito accesosi fra storici e paleontologi sull’importanza dello studio dei dinosauri, interessa qui andare al cuore del problema appena sfiorato dal ministro con toni per così dire colloquiali, intendiamo il sovraccarico del curricolo, in inglese curriculum overload.
È questo uno dei temi centrali in tutti i Paesi che stanno affrontando la riforma dei curricoli ed è stato anche oggetto di approfondite analisi da parte dell’OCSE entro il progetto Future of Education and Skills 2030.
Cause del sovraccarico del curricolo e possibili rimedi
Il sovraccarico del curricolo è dovuto a vari fattori, tra cui: 1) l’aggiunta di nuovi ambiti di competenze rispetto alle discipline già presenti, in risposta a mutamenti sociali, tecnologici ed economici (v. competenze finanziarie, relative ai media, al coding, all’imprenditorialità, all’ambiente, alla salute, sociali ed emozionali, globali, ecc..); 2) l’accumulo di nuovi contenuti entro le discipline esistenti, in risposta al progredire del tempo e della ricerca.
Si tratta di nuovi carichi che avvengono a orario scolastico invariato. Il rimedio non è, comunque, l’aumento dell’orario, più tempo non comporta necessariamente risultati migliori. Oggi gli studenti hanno bisogno di imparare più a fondo e non di più. Sempre più Paesi e scuole hanno pertanto maturato la consapevolezza dell’importanza di concentrarsi sulla qualità del tempo di apprendimento piuttosto che sulla quantità.
Less is more è la parola d’ordine da anni ossessivamente ripetuta.
Ma come darne attuazione?
I suggerimenti sono molti: regolare la quantità dei contenuti e insieme garantire la qualità del tempo di apprendimento; collegare argomenti/temi sviluppando competenze interdisciplinari; concentrarsi sulla comprensione concettuale o sui principi delle discipline; definire il filo conduttore di ciò che è incluso nel curricolo; costruire progressioni di apprendimento coerenti tra i gradi scolastici; ricercare il giusto compromesso tra “puntare in alto” e concentrarsi sull’essenziale, e last but not least il ruolo decisivo che potrà giocare l’intelligenza artificiale, che richiederebbe un capitolo a sé.
Eppure, nonostante siano stati individuati sia i fattori che determinano il sovraccarico del curricolo sia vari possibili rimedi, rimane estremamente difficile, non solo in Italia, realizzare un efficace “disboscamento” del curricolo.
La questione è complessa e controversa, perché si tratta di una riforma tutt’altro che “neutra”, una riforma che chiama in causa potenti sfere d’influenza.
La pesante influenza dei gruppi d’interesse
Diversi studi, soprattutto nel campo della sociologia, hanno illustrato come la riforma dei curricoli, lungi dall’essere la traduzione scolastica di saperi “neutri”, sia spesso il prodotto di una storia sociale marcata da rapporti di forza tra gruppi di interesse (Goodson,2008; Crahay &Forget,2006).
In Italia abbiamo sperimentato più e più volte come le lobbies disciplinari da un lato e le organizzazioni sindacali dall’altro siano intervenute pesantemente quando si voleva riformare il curricolo, modificando l’assetto delle discipline e delle cattedre. L’opposizione si è persino tradotta in ricorsi in tribunale. È rimasto memorabile il ricorso della CGIL al Tar contro la sperimentazione quadriennale in quattro Istituti secondari di 2° grado. Il Consiglio di Stato predispose la difesa comprimendo l’intero curricolo quinquennale nei quattro anni sperimentali, con la salvaguardia di tutte le discipline e di tutte le cattedre (sentenza n. 832/2015). Ed è esattamente quello che è successo nel dicembre 2023 con la sperimentazione quadriennale degli Istituti tecnici e professionali. La parola d’ordine era e rimane l’invarianza delle cattedre con l’inevitabile immutabilità dei curricoli.
In queste condizioni i dinosauri non pare dimorino nella terza classe della scuola primaria, ma in ben altri luoghi.
CONCLUSIONE
Un cammino in salita
Abbiamo iniziato l’analisi di questa possibile revisione delle Indicazioni nazionali affermando che qualsiasi riforma risponde a un’ideologia, non esiste cioè “neutralità” in ciò che si propone, da qualsiasi parte provenga. Importante è esserne consapevoli e chiarire in modo esplicito le finalità che si perseguono.
João Costa, ministro dell’istruzione portoghese fino al marzo scorso, ha illustrato egregiamente, nell’ultimo convegno internazionale di ADi, le difficoltà e le critiche che hanno dovuto affrontare quando hanno deciso di essenzializzare i curricoli. Fra queste c’era l’accusa di varare una riforma “ideologica”. Ha spiegato quindi, con estrema chiarezza, come qualsiasi intervento nell’istruzione sia” ideologico”. Rispondono a una precisa ideologia i tre pilastri su cui hanno fondato la loro riforma, successo, inclusione, cittadinanza, così come è ideologico, ha aggiunto, l’innalzamento dell’obbligo, che in Portogallo è stato portato a 18 anni, o l’uso del tempo scuola e l’educazione sessuale. Il punto è saper rispondere perché si fanno determinate scelte e, citando la controversa introduzione dell’educazione sessuale nella scuola, ha detto come i risultati abbiano dimostrato l’appropriatezza di quella scelta: il calo del tasso di gravidanze indesiderate fra le adolescenti.
In conclusione, nessuna preconcetta opposizione a un intervento sulle Indicazioni e sul sovraccarico dei curricoli, ma deve essere dichiarato in modo rigoroso e chiaro su quali pilastri poggia l’intera operazione.
Fino ad oggi, come abbiamo tentato di dimostrare, gli indizi sono tutt’altro che rassicuranti.
Non rassicura che l’asse principale del curricolo sia l’identità italiana come è stata illustrata dalla Presidente della Commissione, né rassicura l’idea di essenzializzazione dei curricoli finora espressa dal Ministro Valditara.
Vediamo salite da scalare, occorrerà attrezzarsi.
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Note