ADI SU FORMAZIONE E RECLUTAMENTO
QUOUSQUE TANDEM?

a cura di ADi

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QUOUSQUE TANDEM?

image004ADi esprime preoccupazione e delusione per l’inefficacia delle riforme relative alla “missione” n. 4 del PNRR, Istruzione e Ricerca, come quella appena varata su formazione e reclutamento dei docenti o quella relativa alla filiera dell’istruzione tecnica e professionale secondaria e terziaria non universitaria.

Dopo gli sconvolgimenti di una pandemia durata due anni e non conclusa, di fronte a una guerra che sta cambiando l’assetto mondiale e a un probabile drammatico scenario di recessione, è lecito chiedersi fino a quando  dovremo sopportare sequele di retoriche pedagogiche sulla centralità dei processi di istruzione a cui non corrispondono mai misure che vi diano attuazione, fino a quando  dovremo subire una burocrazia centralistica che si regge solo sulla sua straordinaria capacità di digerire novità e innovazioni, senza cambiare mai nulla di veramente importante.

Sia chiaro, il problema non è la dichiarata impronta “minimalista” degli obiettivi del PNRR sulla scuola, per renderlo, si dice, più realistico e realizzabile. Di meditato realismo vi è un gran bisogno in questo Paese. Il punto è che all’ispirazione minimalista dovrebbe, a maggior ragione, accompagnarsi la scelta di obiettivi essenziali, correttamente orientati all’educazione e all’apprendimento nel XXI secolo.

Non è così, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che non c’è più tempo da perdere, né risorse da sprecare.

FORMAZIONE E  RECLUTAMENTO
Dalla Bozza al Decreto Legge: di male in peggio.
Scompaiono differenziazioni e anticipazioni di
carriera

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Abbiamo conosciuto le riforme relative alla formazione e al reclutamento prima dalla bozza  presentata il 12/04/22 dal Ministro Bianchi, poi dal testo modificato non ufficiale, varato dal Consiglio dei Ministri il 21/04/22, ed infine nel Decreto legge n. 36 del 30/04/2022 “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

Dalla bozza al testo finale ci sono notevoli differenze, in parte per la pretesa sindacale di affrontare in contrattazione questioni dirimenti come la formazione continua e le anticipazioni di carriera, in parte per l’incapacità culturale dei nostri politici  di assumere l’insegnamento come professione e di superare il tabù della “unicità della funzione docente”.

Ne è uscito un testo  annacquato: scompare la figura del “docente esperto” e la “progressione salariale accelerata”  diventa un’imprecisa incentivazione salariale. E’ inoltre un testo fatto soprattutto di provvedimenti transitori,  con nuove sanatorie per il reclutamento e il rinvio  a dopo le elezioni politiche del 2023 della maggior parte dei provvedimenti, che saranno prevedibilmente non assunti o modificati dal prossimo governo, come è sempre avvenuto.

RIFORMA DELLA FORMAZIONE INIZIALE
30 Anni di fare e disfare la stessa tela.
“Sia la docenza una professione con propria laurea magistrale!”

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Se dovessimo esprimere con un’immagine il giudizio degli ultimi 30 anni di riforme della formazione iniziale dei docenti delle scuole secondarie, la più appropriata sarebbe la tela di Penelope, con una precisazione: col tempo è peggiorata. 

E’ dal 1990  che tessiamo  regole, le abroghiamo per ritesserne di simili, le torniamo ad abrogare, le rifacciamo con poche varianti peggiorative e via di seguito, senza mai andare al cuore della questione.

Dopo il decreto delegato 417 del 1974, si ebbe una prima organica sistemazione della formazione iniziale degli insegnanti, sia della scuola primaria che secondaria, con la legge 341/1990 del Ministro dell’Università Antonio Ruberti, che dispose per i maestri la laurea e per gli insegnanti delle scuole secondarie le SSIS (Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario, di 2 anni dopo la laurea magistrale).  Si dovettero però attendere altri 8 anni prima di avere, con il Ministro Luigi Berlinguer, il Regolamento applicativo delle SSIS, che di tutti i modelli è rimasto senza dubbio il migliore.

Sono seguiti i tentativi falliti del Ministro Moratti e del Ministro Fioroni, quindi concorsi abilitanti, corsi riservati per l’abilitazione, e nel 2010 i TFA (Tirocini Formativi Attivi) di 60 crediti del ministro Gelmini con l’aggiunta dei PAS (Percorsi Abilitanti Speciali con accesso privilegiato per chi aveva 3 anni di servizio). Con il governo Renzi abbiamo avuto i FIT (percorsi triennali di Formazione Iniziale e Tirocinio, da svolgere dopo il concorso) mai applicati, infine il percorso ultrafaciltato dei 24 crediti attuali. E si arriva all’oggi.

La formazione iniziale nel  Decreto legge n. 36 del 30/04/2022: un collage ad Arlecchino

image010Nel tentativo di accontentare tutti, non è stata fatta una norma sulla formazione iniziale, ma un collage estemporaneo di quanto è stato più o meno fatto in passato, con quattro possibilità a scelta dei singoli, e l’aggiunta, nemmeno a dirlo, di una fase transitoria.

A regime, il sistema di formazione iniziale dei docenti di scuola secondaria di 1° e 2° grado sarà articolato in un percorso universitario abilitante con prova finale corrispondente a:

  1. 60 crediti formativi, comprendenti il tirocinio, acquisibili: 1) dopo la laurea magistrale, 2) durante la laurea magistrale o negli ultimi due anni della laurea magistrale a ciclo unico, 3) durante la laurea triennale.
  2. 30 crediti formativi acquisibili dopo il superamento del concorso per chi ha 3 anni di servizio nella scuola statale (v. reclutamento). Si noti che nel decreto questa possibilità è permanente, NON è definita come transitoria, a differenza di quanto è affermato nel comunicato del Ministero

In fase transitoria, fino al 31/12/2024, si può accedere al concorso con una formazione iniziale di soli 30 crediti formativi,  e acquisire gli altri 30 dopo il superamento del concorso (v. reclutamento)

Siamo, come è evidente, in presenza di una “NON proposta”, di un pasticciaccio varato per rispettare le scadenze, quindi i finanziamenti,  del PNRR.

La soluzione ADi . 1) La docenza come “professione”

image012Dopo tanti tentativi falliti, la soluzione del problema sta in un’operazione preliminare: la definizione di  cosa sia la docenza.

Si tratta di sciogliere un nodo fondamentale:  la docenza è o non è una professione.

Il contratto degli insegnanti ha assorbito ogni aspetto della funzione docente, anche ciò che deve essere inequivocabilmente riservato alla legge, trasformando gli insegnanti in una corporazione di impiegati di concetto più che dei professionisti.

image014A distanza di cento anni, il conflitto di “visioni” su cosa sia il mestiere di insegnare rimane esemplarmente illustrato dalla posizione di due grandi: Giovanni Gentile e Gaetano Salvemini.

La notissima posizione del primo Chi sa, sa anche insegnare” continua a dominare la scena, con una folta schiera di seguaci anche nel nuovo millennio, apertamente dichiarati o celati dietro enfatiche quanto inutili retoriche pedagogiche

image016La lungimirante posizione di Gaetano Salvemini non ha mai avuto adeguato seguito, tanto meno tra coloro che hanno messo mano alla formazione e selezione degli insegnanti. Scriveva Salvemini nel 1908: “È necessaria agli insegnanti anche una solida preparazione pedagogica… un grande impulso dobbiamo dare alla preparazione didattica degli insegnanti e alla riforma dei metodi adottando il sistema del tirocinio pratico o assistentato”

Se assumiamo che l’insegnamento è una professione, dobbiamo convenire che esso richiede ciò che è proprio delle professioni: una specifica formazione, standard professionali (che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti), un codice deontologico, una selezione rigorosa, propri organi professionali.

La soluzione ADi. 2) Specifica laurea magistrale per la docenza

image018Stabilito il principio che la docenza è una professione, diventa chiaro che non si forma con 60 crediti, presi a proprio piacimento, né tanto meno con sanatorie legate all’anzianità, essa richiede una specifica laurea magistrale, come altre professioni.

Questa posizione va ribadita con forza anche alla luce del fatto che considerare le discipline del curricolo scolastico dipendenti da quelle dei corsi universitari ha effetti perversi. Impedisce nuove aggregazioni di discipline e un’autonoma, innovativa impostazione del curricolo.

In occasione del varo del Dlgs 59/2017 ADi rivendicava:

  1. uguale modalità di formazione iniziale per gli insegnanti della scuola primaria e secondaria;
  2. istituzione della laurea magistrale (biennio specialistico dopo la laurea triennale) per tutti i docenti, con accesso altamente selettivo. I docenti della scuola primaria devono potervi accedere non solo dall’attuale laurea triennale ma anche da altre lauree triennali, es. lettere, matematica, pedagogia ecc.
  3. Contestualità del tirocinio nel biennio specialistico della laurea magistrale, che diventa laurea abilitante per docenti di scuola primaria e secondaria.
  4. Definizione di standard professionali nazionali per la formazione iniziale e per la valutazione finale della laurea abilitante.
  5. Iscrizione in un albo regionale dopo il conseguimento dell’abilitazione

Questa è a nostro avviso la sola soluzione seria per dare dignità e qualificazione professionale alla docenza, entro un percorso di 5 anni. E potrebbe, finalmente, dare al 1° ciclo quella continuità verticale che non si è mai riusciti a creare soprattutto per la diversissima impostazione della formazione iniziale degli insegnanti.

Va aggiunta un’ulteriore considerazione:  la soluzione della laurea magistrale per esercitare la docenza appare oggi più praticabile dopo l’approvazione in via definitiva dal Senato, il 6 aprile 2022, della legge 2415 che consente di iscriversi contemporaneamente a due diversi corsi di laurea, di laurea magistrale o di master,  abolendo una norma di quasi 90 anni fa- un decreto regio del 1933- che impediva la doppia immatricolazione.

Infine, una considerazione sulla formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia.  Crediamo sia stato un errore richiedere per loro la Laurea in Scienze della formazione primaria.   In molti Comuni non si trovano più insegnanti per le scuole dell’infanzia, tutti riversati nella scuola primaria, al punto che si è rinnovata, con il Decreto Mille proroghe, la possibilità per le scuole di utilizzare come supplenti le educatrici degli asili nido, per le quali il Decreto legislativo 65/2017 richiede solo la laurea triennale in scienze della formazione.  Che senso ha, ci si chiede, richiedere due diverse formazioni iniziali per il percorso 0-6? Sarebbe invece opportuno individuare un percorso di formazione iniziale per tutto il segmento 0-6 anni.

RIFORMA DEL RECLUTAMENTO
70 anni di soluzioni con gli stessi effetti perversi
Si abbia il coraggio di decentralizzare

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In un bel documento di 10 anni fa, era il 2012, il nostro Rosario Drago, di fronte all’ennesima proposta di reclutamento prodotta dall’allora Ministro Francesco Profumo, fece una puntuale analisi storica di questo istituto normativo.  Risultò allora che dal 1948 al 2011, cioè in 63 anni c’erano state 30 leggi e decreti su reclutamento, abilitazioni e concorsi riservati, praticamente una ogni due anni, e i concorsi riservati superavano di gran lunga quelli ordinari. Tra tutti questi, il primo vero attacco al reclutamento venne, come ha recentemente ricordato Giorgio Chiosso (Il Sussidiario 27/04/22), dalla così detta Legge Bellisario (Legge n. 603/1966), con la quale fu immessa in ruolo, senza concorso e con l’unico requisito dell’abilitazione, un’ondata di nuovi docenti seguita all’istituzione della scuola media unica (Legge 1859/1962). Si interrompeva per la prima volta il meccanismo selettivo del reclutamento istituito da Giovanni Gentile (abilitazione + concorso).

Dal 2011 si sono susseguite altre leggi e altri decreti, tutti con lo stesso marchio: il centralismo e l’anzianità di servizio come condizione di accesso privilegiato.

È questa tragica perseveranza storica, questa capacità di ingoiare e digerire tutto quanto si muove attorno alla scuola, senza farsi scalfire, che consente oggi, a distanza di 70 anni, di continuare con sanatorie per anzianità, mega concorsi nazionali, abilitazioni accorciate prese anche dopo il concorso, prove che non certificano qualità alcuna, come avviene per l’appunto nel Decreto-legge n. 36 del 30/04/2022.

Il reclutamento nel  Decreto legge n. 36 del 30/04/2022. Come prima, peggio di prima 

image022Non siamo in presenza di una riforma, non c’è nulla di innovativo nel reclutamento stabilito nel Decreto-legge, anzi c’è di peggio, si erge a norma permanente il principio secondo cui gli anni di precariato permettono di eludere le norme generali e facilitano l’accesso.

La regola secondo cui con 3 anni o più di precariato si può partecipare al concorso senza formazione e acquisire successivamente solo 30 crediti anziché 60, è una norma permanente, non si trova infatti nell’articolo 18 bis, Norme transitorie per l’accesso al concorso e per l’immissione in ruolo, bensì nell’art.5 Requisiti di partecipazione al concorso e nell’art.13 Anno di prova e immissione in ruolo, né è previsto un limite temporale.

Risulta invece nell’art. 18 bis Norme transitorie per l’accesso al concorso e per l’immissione in ruolo, la regola che resterà in vigore fino al 31/12/2024, secondo cui si può partecipare al concorso con soli 30 crediti universitari, anche senza anni di servizio, e acquisire gli altri 30 dopo il superamento del concorso (e c’è da scommetterci che uscirà, a tempo dovuto, una norma per eluderli).

Si tratta sempre di mega concorsi nazionali.
Poco o nulla cambia sulle prove concorsuali (prova scritta e orale). Sullo scritto, non sapendo che fare, hanno messo di tutto: quesiti a risposta multipla o una prova strutturata fino al 31 dicembre 2024, e la promessa di diventare più seri dal 1° gennaio 2025 quando ci saranno quesiti a risposta aperta!

L’unica novità positiva è la cadenza annuale del concorso, ma non essendo cambiato null’altro, è difficile prestare fede a questa norma, visto che finora non sono mai state rispettate né la cadenza triennale, né quella biennale.

Per il Ministro il dato più rilevante sono le assunzioni di 70.000 insegnanti entro il 2024, da varie graduatorie. Ma allora non parliamo di riforme!

La soluzione ADi. Concorsi annuali di scuola o rete senza graduatorie di idonei; supplenze senza “raccolta punti”

image024Sul reclutamento la posizione di ADi è nota da tempo e trae insegnamento da tutti i fallimenti subiti finora.

ADi esprime innanzitutto una decisa opposizione ai mega concorsi nazionali, che non hanno mai funzionato, e considera come sola possibile soluzione l’indizione di concorsi di scuola e/o di rete. A questo livello decentrato diventa davvero possibile e credibile l’indizione annuale, o meglio ogni volta che si è in presenza di posti vacanti stabili.

Il reclutamento va collegato alla formazione iniziale. La platea dei partecipanti deve essere pertanto limitata agli iscritti all’Albo degli abilitati della Regione di appartenenza della scuola o ambito, a cui possono iscriversi gli abilitati di qualsiasi Regione, purché sia l’unica scelta.

Un’altra condizione perché il tutto tenga e non si accumuli precariato con le relative pretese di sanatorie è la non riproduzione delle graduatorie degli idonei, una battaglia intrapresa molte volte e persa sempre, cedendo alle pressioni dei precari, alle richieste sindacali e agli interventi del TAR, perché non si sono mai date soluzioni credibili al problema del reclutamento. I nuovi concorsi non dovrebbero pertanto generare code di idonei, anche se le norme attuali prevedono la triennalità delle graduatorie, che, come noto, vengono regolarmente prorogate.

Un’ultima questione riguarda gli incarichi a tempo determinato e le supplenze.

Per quanto concerne le supplenze temporanee il primo problema è allargare la possibilità di soluzioni interne, anche con un maggiore e intelligente utilizzo del digitale e una maggiore autonomia e responsabilizzazione degli studenti nella scuola secondaria di 2° grado.

Infine, alle supplenze non dovrebbe essere collegata nessuna “raccolta punti”, che è un modo per fare valere l’anzianità e non la qualità, anche prima dell’accesso al ruolo, ed è altresì un modo per alimentare aspettative anche quando non ne esistono le condizioni.

LA FORMAZIONE CONTINUA DEL PERSONALE
E LA SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE

Nella scuola italiana, quando si devono varare riforme, il metodo in uso da decenni è “aggiungere”, non modificare. Si aggiungono ore o argomenti al curricolo, commissioni, gruppi di lavoro, comitati, regolamenti e, non ultimo personale.

La Scuola di Alta Formazione risponde a questa logica.

Che bisogno c’era di un nuovo ente centralistico per la formazione continua del personale scolastico? Non bastavano l’INDIRE e l’INVALSI anche con opportuni interventi all’interno della formazione iniziale?

Questa pomposa “Scuola di Alta Formazione” desta non poche perplessità . Crediamo infatti che per dare  nuovo slancio  alla professione docente, non ci sia bisogno di un nuovo ente centralistico,  ma piuttosto di creare “ponti vivi”, “living bridges”, come li definisce Peter Diamandis in Bold, persone che si uniscono, a livello nazionale e internazionale, attorno a un grande scopo trasformativo, facilitate dall’utilizzo del digitale. È enorme il potere che si sprigiona quando ci si connette, ci si mette assieme e si condividono e confrontano idee e progetti.

Un processo che però va guidato e allora si deve creare quella diffusa leadership ecosistemica, come l’abbiamo definita, che conti su competenze collaborative e imprenditive di ordine complesso, capaci anche di una nuova integrazione con le risorse digitali,  utili a scardinare  l’inossidabile «grammatica della scuola».

Altrettanto importante è la valorizzazione delle Associazioni Professionali di Docenti e Dirigenti Scolastici.

Dalla Bozza al Decreto-legge: la montagna ha partorito il topolino

image028La Scuola di Alta Formazione, in Bozza conteneva due innovazioni che scompaiono nel Decreto-legge. Esse erano:

  • L’attivazione, a decorrere dall’a.s. 2023/2024, di percorsi quadriennali di formazione, con accesso volontario, con verifiche almeno annuali, accompagnati da ore aggiuntive di progettazione, mentoring, coaching e sperimentazione didattica, che dopo il superamento della prova finale davano accesso a un anticipo dell’attuale progressione salariale.
  • L’introduzione del docente esperto che, per quanto indicato solo nell’Allegato A e pasticciato nella soluzione, costituiva comunque la premessa alla differenziazione di carriera.

Quello che ora rimane è un pasticcio di vecchie incentivazioni a seguito di attività obbligatorie di formazione e di attività aggiuntive:

  1. Una formazione obbligatoria nell’ambito dell’orario di lavoro sulle competenze digitali.
  2. Un sistema di percorsi permanenti di formazione degli insegnanti, ciascuno di durata almeno triennale, integrati da attività di progettazione, mentoring e coaching in ore aggiuntive. Tali ore possono essere retribuite con il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, con compensi in misura forfetaria.
  3. Ogni autonomia scolastica individua le figure necessarie ai bisogni di innovazione.
  4. L’accesso a questi percorsi di formazione avviene su base volontaria.
  5. Al superamento di ogni percorso di formazione si può conseguire un’incentivazione salariale. Sono previste verifiche intermedie annuali e finale, effettuate dal comitato per la valutazione, che comprendono anche un giudizio sulla capacità di garantire “l’interesse dei propri alunni e studenti alla continuità didattica”.
  6. È istituito un Fondo per l’incentivo alla formazione a decorrere dall’anno 2027. Il riconoscimento dell’incentivo salariale è corrisposto ai docenti che hanno svolto ore aggiuntive non remunerate con le risorse del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa e che abbiano conseguito una valutazione individuale positiva.
  7. Il carico orario aggiuntivo e i criteri di incentivazione salariale sono rimessi alla contrattazione collettiva.
  8. L’attribuzione dell’incentivo salariale potrà essere riconosciuta a non più del 40% di coloro che ne abbiano fatto richiesta.

Insomma, la montagna ha partorito il topolino, ma conoscendo la storia, possiamo prevedere, con ottime probabilità, che nemmeno quel brutto topolino nascerà, come nulla è nato dalle commissioni miste Sindacati/Amministrazione stabilite a questo scopo in ogni contratto fin dal 1987.

La proposta ADi: una leadership diffusa, ecosistemica, per gettare ponti e sostenere la formazione dei docenti

image030ADi non può che riproporre la creazione di una leadership diffusa, ecosistemica, che si costruisce differenziando la carriera docente e prevedendo lo sviluppo di più percorsi, dentro e fuori la scuola, con proprio stato giuridico e livelli retributivi.

Abbiamo bisogno di gettare ponti, living bridges, di costruire collegamenti, non abbiamo bisogno di nuovi “carrozzoni” centralistici.

Solo in questo modo la formazione continua, compresa quella iniziale, potrà avere un nuovo futuro e un nuovo slancio.

Bisognerà vincere resistenze dei Sindacati, la loro pretesa onnivora nei confronti di tutti gli aspetti della professione docente, e mettere finalmente mano a un nuovo stato giuridico.

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