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Le industrie che vivono di scuola

di

N. Bottani ci fa conoscere e commenta un recente opuscolo uscito in Francia sul proliferare del mercato legato alla scuola. Un campo poco esplorato che invece esercita forti condizionamenti sull’istruzione.

A cura di Norberto Bottani

Il mercato pedagogico, con i suoi lati oscuri, esaminato in un opuscolo di Pierre Moeglin

La celebre casa editrice francese P.U.F. ha pubblicato questa estate nella collana Que sais-je? [nota 1], un opuscolo scritto da Pierre Moeglin [nota 2], Les industries éducatives, dedicato alle industrie che prosperano sulla scuola: le case editrici che vivono con i manuali scolastici, o le aziende che montano e piazzano le LIM, o le case editrici che preparano e vendono i quaderni di compiti per le vacanze estive, ecc.

Il grande mercato pedagogico fa il bello e il cattivo tempo e diventa sempre più invadente. L’economia di mercato, la pressione della domanda formativa spesso gonfiata artificialmente, le inadempienze della scuola statale, la mancanza di formazione degli insegnanti e “dulcis in fundo” l’atteggiamento spesso inqualificabile delle amministrazioni scolastiche, incoraggiano, promuovono, stimolano il mercato dell’istruzione.

L’opuscolo qui presentato, Pierre Moeglin Les industries éducatives (Collection “Que sais-je? PUF, Paris, 2010, 128 pagine, 9€), racconta la storia di questa vicenda cresciuta con gli anni e la esamina prescindendo dagli aspetti didattici.
Un testo utile, che affronta un argomento colpevolmente poco trattato, pur presentando molte lacune e una buona dose di miopia, come si dirà nelle conclusioni.

L’impianto dell’opuscolo

L’opuscolo di Pierre Moeglin ha un impianto storico, descrive cioè lo sviluppo degli strumenti inventati per sostenere la scuola, per aiutare la didattica e soprattutto per espandere il sistema scolastico senza creare nuove scuole e senza nominare nuovi insegnanti.
Un sogno: l’espansione senza i condizionamenti posti dall’edilizia scolastica e dall’organico degli insegnanti.

Inoltre l’autore si sofferma su un mito, vecchio come la scuola moderna poiché risale a Comenio e a Jean Baptiste de la Salle, ossia quello di un sistema scolastico che garantisce una trasmissione di nozioni priva di difetti e un apprendimento controllato e certo.
A questo proposito fare riferimento a Skinner è d’uopo, così come a Wiener, il padre della cibernetica, ai pionieri dell’intelligenza artificiale e alle esperienze degli anni 70 di insegnamento assistito con il computer [nota 3].

Fattori di crescita e affari

L’opuscolo è utile dal punto di vista storico.

Le industrie didattiche che producono stampelle e protesi a sostegno della scuola sono quasi tutti nate all’inizio dell’800 e si sono stabilmente impiantate nel paesaggio delle politiche scolastiche con l’assestamento dell’istruzione obbligatoria nei paesi occidentali.

Manuali scolastici, macchine per insegnare di tutti i tipi, insegnamento a distanza, prodotti per le ludoteche o per apprendere giocando sono diventati una necessità per essere moderni e competere con la scuola privata.

Molteplici fattori hanno concorso al successo di questi prodotti para-scolastici (quasi fossero articoli para-farmaceutici):

  • l’interesse commerciale la vendita di prodotti industriali per la scuola (dalle lavagne ai quaderni, alle matite, agli inchiostri,e chi più ne ha più ne metta);
  • la ricerca di protesi per migliorare i risultati scolatici;
  • la ricerca di soluzioni miracolistiche per accelerare e consolidare gli apprendimenti:
  • la commercializzazione di strumenti ritenuti infallibili nella lotta contro gli insuccessi scolastici;
  • l’espansione della formazione lungo tutto l’arco della vita;
  • l’accelerazione delle trasformazioni indotte dal progresso scientifico e tecnologico e quindi la necessità di un aggiornamento permanente, di essere continuamente in una situazione che costringe ad imparare qualcosa di nuovo;
  • la domanda d’istruzione in crescita costante e dunque la pressione per conseguire un diploma;
  • la competizione generata dall’inflazione dei diplomi che spinge alla ricerca di qualifiche sempre più esigenti ed elevate:
  • la comparsa di diplomifici che devono riuscire in breve tempo a qualificare i clienti. Da qui il ricorso ad attrezzature di ogni genere;
  • il calendario scolastico con lunghe interruzioni perniciose per il consolidamento degli apprendimenti scolastici e quindi la necessità di strumenti che compensino la soluzione di continuità nell’apprendimento;
  • la competizione tra scuole e il quasi mercato scolastico instaurato in alcuni sistemi scolastici;
  • la paura del servizio scolastico di perdere il monopolio dell’accesso alla conoscenza e della trasmissione delle conoscenze; e via discorrendo.

Il panorama dell’industria educativa dalla rivoluzione industriale ad oggi, il ruolo dell’economia di guerra

Orbene, chi elabora questi prodotti? Da chi sono utilizzati? Come sono utilizzati? Queste le domande che si pone l’autore dell’opuscolo.

Le industrie specializzate nel materiale didattico e scolastico hanno fatto affari considerevoli, sono cresciute nel tempo, hanno occupato uno spazio consistente nel mondo pedagogico-scolastico, si sono rese indispensabili con i manuali scolastici che interpretano , digeriscono, articolano curricoli scolastici spesso generici, indigesti, troppo complessi per il corpo insegnante. Per finire, in questi ultimi anni, l’ultima spiaggia sono stati i compiti delle vacanze, i quaderni appositi per le revisioni estive e per la preparazione del nuovo anno scolastico.

A questo punto si potrebbe anche aggiungere l’impressionante sviluppo dei giocattoli educativi per l’infanzia che promettono a genitori ansiosi miracoli nello sviluppo dell’intelligenza, delle emozioni, dei comportamenti.

Tutto questo bengodi è il frutto di un’irresistibile invasione che non è iniziata, sottolinea l’autore, con Internet, ma molto prima, agli inizi del XIX secolo, nel contesto della prima rivoluzione industriale, quando ha cominciato ad espandersi la domanda d’istruzione e si è fatta sentire la penuria di manodopera qualificata e istruita per tenere il passo della rivoluzione industriale, della meccanizzazione.

Una spinta considerevole è venuta dall’economia di guerra con i due conflitti mondiali del XX scolo. Le due guerre mondiali, ma anche lo spaventoso seguito di conflitti sviluppatisi nella seconda metà del XX secolo, sono stati una fucina per lo sviluppo delle industrie scolastiche che dovevano escogitare soluzioni efficaci per istruire truppe impreparate a servirsi di armi tecnologicamente raffinate e sono state un laboratorio sperimentale messo a disposizione di queste industrie per sviluppare strategie didattiche, macchine per insegnare, tecnologie d’apprendimento e di comunicazione efficaci, adatte agli adulti.

I combattenti della seconda guerra mondiale ritornati a casa avevano potuto approfittare in molti paesi di programmi eccezionali per riprendere studi interrotti, completare la formazione universitaria. Non avevano ricevuto nessuna formazione sul campo di battaglia, erano stati subito impegnati nei combattimenti con tecnologie poco elaborate. Lo sforzo fisico, il coraggio contavano di piu che non le conoscenze.

I soldati delle truppe americane nella prima e nella seconda guerra in Irak invece nonché le truppe NATO in Afghanistan sono stati addestrati prima di partire, hanno frequentato corsi di alfabetizzazione accelerati, corsi di lingue, corsi di tecnologia elettronica, nei quali si sono sperimentate didattiche d’avanguardia che non circolano ancora nelle scuole dove giungeranno più tardi.

Le industrie scolastiche lavorano dunque su tutti i fronti: da quello della ricerca e sviluppo, a quello della produzione e commercializzazione di massa.

Le industrie legate alla gestione delle scuole autonome, “EMO” (Educational Management Organisation) [nota 4]

E’ risaputo che la gestione di una scuola, il lavoro amministrativo da svolgere, soprattutto se non si tratta di una piccola scuola, richiede competenze specifiche. Esiste pertanto il problema della conduzione della scuola che si è amplificato con l’autonomia scolastica, come si è ben visto in Nuova Zelanda, in Svezia o in Inghilterra, ossia nei sistemi scolastici nei quali l’autonomia scolastica è stata messa in pratica real,mente.

Le difficoltà degli insegnanti e dei singoli dirigenti a gestire una scuola è diventata palese con le esperienze delle “Charter Schools” negli Stati Uniti [nota 5] [nota 6].

Un identico problema è sorto in Inghilterra. I dirigenti scolastici, principals, non hanno la preparazione professionale adeguata per amministrare una scuola, tenere la contabilità, gestire le buste paga, fare quadrare il bilancio. A seguito di questa constatazione si sono create una serie di agenzie che si sono specializzate nella gestione finanziaria-amministrativa delle scuole. Questa è proprio una nuova industria, con un giro d’affari enorme.

Prendiamo l’esempio dell’agenzia Advantage Schools negli Stati Uniti, sorta a Boston, e diventata in seguito Mosaica Education. Tra il 1998 e il 2000 la cifra d’affari di Advantage School è passata da 4 a 60 milioni di US$. La EMO più nota è la Edison Schools Inc. insediatasi anche in Inghilterra, la quale non solo vende prestazioni di ragioneria alle scuole ma anche un progetto di scuola a scatola chiusa, o prendere o lasciare.E’ stato detto che la Edison è riuscita a realizzare quanto il potere federale americano non è mai riuscito a fare, ovverossia a unificare la scuola dalla costa Est alla costa Ovest degli Stati Uniti, a omologare le scuole dello Stato di New York con quelle della California, a neutralizzare il federalismo scolastico americano. L’utile d’esercizio della Edison è passato tra il 1995 e il 2000 da 12 milioni di US$ a 217 milioni di US$. Nel 2006 la Edison gestiva 423 scuole con una cifra d’affari di 1,8 miliardi di US$.

Ci sono quindi state nuove industrie sorte in questi ultimi anni attorno alle scuole e che hanno approfittato non solo dello sviluppo tecnologico ma anche delle nuove tendenze politiche che hanno istituito per legge l’autonomia scolastica e hanno obbligato le scuole alla rendicontazione.

Commento critico all’opuscolo di Moeglin, Les industries éducatives

L’opuscolo che abbiamo esaminato fornisce una buona informazione sulle proliferazioni commerciali che si formano attorno al corpo della scuola. Le industrie dell’istruzione sono nate con la scuola pubblica e quindi dimostrano che il servizio scolastico statale non regge da solo, ha bisogno di puntelli esterni tutt’altro che neutri come lo si può constatare molto bene nel caso delle EMO e in particolare della Edison, qui ricordate.

Purtroppo l’autore si concentra solo su cinque tipi di industrie, quelle classiche, le più tradizionali, le più note:

1) l’editoria scolastica, che è una vera e propria piaga che condiziona enormemente i curricoli;

2) l’informatica pedagogica, che ripercorre le vicende della meccanizzazione dell’insegnamento;

3) la formazione a distanza, altra grande illusione del passato quando si credeva che fosse possibile innestare una modalità di formazione senza classi, senza lezioni frontali, in un sistema che era stato architettato in tutt’altro modo [nota 7]:

4) il magma dell’educazione informale:

5) le piattaforme vendute chiave in mano alle scuole per la gestione e l’amministrazione.

L’opuscolo pecca su quattro punti:

  • non presenta nessuna stima del giro d’affari generato da queste industrie;
  • non descrive come queste industrie riescono a condizionare le politiche scolastiche e la didattica, sia nel bene che nel male;
  • è accecato da quanto succede in Francia, salvo i dovuti omaggi a quanto capita negli Stati Uniti e in Canada. Ha quindi una visione dei sistemi scolastici etnocentrica;
  • non annuncia e non descrive le nuove industrie generate dall’evoluzione delle politiche scolastiche, dalla miopia dei dirigenti politici, dalla loro subordinazione agli interessi privati, dalla passività del corpo insegnante e delle loro associazioni di fronte all’aggressività commerciale delle nuove industrie scolastiche connesse allo sviluppo delle TIC.

In conclusione

L’opuscolo tratta un argomento molto rilevante, poco noto, quasi mai analizzato, ma è miope e nonostante l’ampia documentazione prodotta che correda l’argomentazione non

critica gli effetti di queste industrie sull’evoluzione, sul funzionamento e l’organizzazione dei sistemi scolastici e non aiuta a capire come potrà realizzarsi il connubio con la pedagogia delle competenze oppure con le politiche della rendicontazione, con il pilotaggio della scuola in funzione dei risultati.

Le industrie scolastiche sorte di recente sfruttano con grande abilità gli interstizi aperti nei sistemi scolastici tradizionali da queste tendenze, penetrano nelle scuole, impongono le loro pedagogie, spesso in modo implicito, senza che gli insegnanti se ne rendano conto. Questi subiscono le ingerenze del settore commerciale e spesso sono ben contenti delle stampelle loro offerte. Purtroppo mancano indagini ben fatte su queste interazioni. Si deve confessare che ne sappiamo ben poco.

Le nuove tecnologie sconvolgono il campo scolastico, spostano i punti di riferimento della pedagogia tradizionale, prendono in contropiede le scuole.

L’open source, per natura è libera, è anche una condizione ideale per gli avventurieri e gli intrepidi, i creativi con spirito commerciale che sanno sfruttare l’inerzia, il disorientamento e le paure dei dirigenti politici e degli insegnanti.

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NOTE

  • [^1] La collana è stata fondata nel 1941 ed ha finora pubblicato 3800 titoli, ogni opuscolo è di 128 pagine e ilprezzo è unico, pari a 9€
  • [^2] Pierre Moeglin, l’autore, è direttore del Laboratorio di scienze dell’informazione e della comunicazione dell’Università Parigi 13 ed è uno specialista della formazione a distanza
  • [^3] Computer Assisted Instruction, nota con l’acronimo CAI
  • [^4] Enti specializzati nella gestione delle scuole
  • [^5] Scuole in franchigia o date in appalto, che ricevono l’equivalente del loro costo di funzionamento effettivo, stipendi inclusi, dallo Stato e che devono sbrigarsela da soli con questi soldi, liberi di spenderli e distribuirli come meglio credono
  • [^6] Sulle Charter School si veda la relazione di Luisa Ribolzi svolta al seminario residenziale dell’ADI a Monte Mario “Personalizzare si può”, Roma, 27-29 agosto 2010
  • [^7] Ci sono due eccezioni ragguardevoli: la Phoenix University in Arizona (nel 2006 cifra d’affari di 2,5 miliardi di US$ e beneficio netto di 415 milioni di dollari) e l’Open University in Inghilterra (1200 professori permanenti)

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