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Come il Comune di Bologna si accinge a perdere il referendum contro i finanziamenti alle scuole paritarie

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[stextbox id=”grey” image=”null”][/stextbox] “Non si puo’ prevenire e preparare una guerra allo stesso tempo”, diceva Einstein, peccato che i politici bolognesi abbiano poca dimestichezza con Einstein. Il referendum contro l’erogazione da parte del Comune di un milione di euro  alle scuole paritarie private, è stato cocciutamente alimentato dall’Amministrazione di Bologna, nello stesso tempo in cui […]

[stextbox id=”grey” image=”null”]Bologna referendum contro il finanziamento alle scuole provate[/stextbox]

“Non si puo’ prevenire e preparare una guerra allo stesso tempo”, diceva Einstein, peccato che i politici bolognesi abbiano poca dimestichezza con Einstein.

Il referendum contro l’erogazione da parte del Comune di un milione di euro  alle scuole paritarie private, è stato cocciutamente alimentato dall’Amministrazione di Bologna, nello stesso tempo in cui diceva di volerlo prevenire. Son quasi 20 anni che il Comune eroga questo finanziamento, perché questa deflagrazione ora? Dove ha trovato il dormiente Comitato articolo 33 una tale forza di mobilitazione e un tale consenso, fino a farne una questione nazionale, che riporta alla ribalta posizioni antiche su pubblico/privato che isolano l’Italia dal resto d’Europa? La risposta è semplice: dentro le stesse scuole dell’infanzia gestite dal Comune di Bologna, negli insegnanti e nei genitori, che della politica scolastica ragionieristica e asfittica di questa Amministrazione non ne possono più. E hanno usato il referendum perché era la sola arma di dissenso che avevano a disposizione.

I motivi di una così pesante opposizione in una popolazione che ha sempre amato le proprie scuole dell’infanzia sono seri.

Da quasi due anni circolano documenti pseudo-segreti di dismissione della gestione diretta delle scuole comunali, con l’ipotesi  prima di trasformarle in fondazioni  poi di cederle  ad ASP IRIDES, un’Azienda di Servizi alla Persona per Minori e Disabili. Operazione già in parte attuata con il passaggio ad ASP del personale non docente di 20 scuole comunali, a cui dovrebbe ora seguire il personale insegnante. Il Comune sostiene come un disco rotto che qualsiasi ipotesi sarà discussa con la popolazione, ma continua a negare ogni confronto di merito, distraendo “il popolo” con i world cafè, ultima trovata dei grandi comunicatori.

[stextbox id=”white”  image=”null”]Bologna World Cafè[/stextbox]

Sul fronte delle insegnanti quasi il 50% è precario, non ne viene assunta una da 5 anni, e l’estate scorsa, a scuole chiuse, è stata cancellata la graduatoria permanente che conteneva 70 maestre, precarie da almeno 10 anni, abilitate e con due concorsi alle spalle. Non sanno ancora che fine faranno. Ma in realtà si sa, passeranno in parte ad ASP IRIDES con il contratto degli Enti locali, da estendere progressivamente a tutte le insegnanti, uno spauracchio che il Comune ha sempre agitato come ricatto nei momenti difficili. Uno schiaffo per le insegnanti che hanno preservato orgogliosamente la loro specificità professionale fin dai tempi pre-bellici, con normativa e retribuzione omogenea alle colleghe statali.

Il Comune invoca a sua discolpa il patto di stabilità e la mancanza di fondi, ma ci sono cose che non tornano.  Continuano ad essere stanziati in bilancio quasi 8 milioni di euro per il personale docente e non dell’Istituto tecnico e professionale Aldini Valeriani e Sirani, già statalizzato dal 2008. Firenze, Ferrara e Genova che avevano istituti analoghi hanno già completato il passaggio allo Stato di tutto il personale docente. Ma per ottenerlo Il Sindaco Renzi ha fatto molti viaggi a Roma, dove i tempi burocratici sono noti. A Bologna tutto langue e tutto si trascina, quando lo sblocco di questa situazione basterebbe a risolvere tutti i problemi della scuola dell’infanzia.

Ormai è certo, se il Comune continuerà a non dare risposte e a pensare di recuperare consenso organizzando  world cafè, l’esito del referendum è segnato. Su di esso si riverserà, e pour cause, tutto il malcontento di chi non ha altri strumenti per dire all’Amministrazione e al suo partito di maggioranza, il PD, che di questa politica non ne vuole più sapere.

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