Ti ho conosciuto nel tuo ruolo di coordinatrice pedagogica. Nelle scuole dell’infanzia statali (diversamente da quanto avviene nelle scuole comunali) la figura del pedagogista non è istituzionalizzata. Ma la L.107/15 con l’introduzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni, ha dato il via a progetti sperimentali di raccordo tra enti diversi che, nel territorio in cui lavoro, ha portato alla costituzione di un gruppo di coordinamento pedagogico anche nelle scuole statali. Di questo gruppo fai, per l’appunto, parte tu, Sonia.
La legge 107 ha dato il via a un’attenzione maggiore sullo 0-6, su questa fascia di età che racchiude vari momenti dello sviluppo infantile, inquadrando in un’ottica molto più ampia l’idea che abbiamo di bambino da 0 a 6 anni.
Questo secondo me è molto importante perché, aldilà del fatto che la legge possa essere completa o meno e che possa essere criticata per alcuni aspetti, rappresenta comunque un avvio a un’idea, a un cambio di paradigma. Tutti i cambi di paradigma richiedono un percorso spesso lungo e travagliato: l’idea di un sistema educativo e scolastico integrato da 0 a 6 anni prende corpo attraverso progetti sperimentali e innovativi che si diffondono sul territorio, tentando di tirare le fila di quello che c’è, partendo dal contesto per arrivare a proporre una prospettiva nuova, piano piano, gradualmente.
Il territorio di cui stiamo parlando è quello dell’Unione dei Comuni delle Valli del Reno, Lavino e Samoggia, in provincia di Bologna…
Esattamente, in questo territorio, dal 2018 è stato avviato “Verso un progetto 0-6”, un progetto finanziato dai fondi MIUR per lo 0-6, che si estende sui Comuni di Casalecchio di Reno, Sasso Marconi, Monte San Pietro, Valsamoggia e Zola Predosa.
Questi cinque Comuni sono seguiti dal gruppo di coordinamento pedagogico dell’Unione (CPU): una delle proposte innovative di sperimentazione di questo progetto è proprio quella di integrare due istituzioni, lo Stato per le scuole dell’Infanzia statali e i Comuni, nonché altri Enti gestori privati e paritari, per portare avanti un discorso pedagogico comune. È un’idea nuova di sistema integrato che stiamo progettando, co-progettando e ri-progettando, a seconda delle esigenze e dei bisogni del territorio. E quello che stiamo vivendo adesso è un momento in cui l’emergenza, quella relativa alla crisi dovuta alla pandemia da Covid 19, ci pone nuovi quesiti e nuove domande, a cui dobbiamo rispondere cercando di rilevare quali siano i nuovi bisogni emergenti.
Avete risposto a questa emergenza con uno sportello pedagogico a disposizione sia delle famiglie che degli insegnanti, per cui potete essere contattati via e-mail e siete disponibili per incontri anche in video-conferenza, come stiamo facendo adesso io e te… Quali bisogni state raccogliendo in questo particolare periodo?
In realtà lo sportello pedagogico di emergenza è stato appena istituzionalizzato e quindi le famiglie stanno appena scoprendo questa possibilità. Per adesso stiamo lavorando per lo più con quello che è il portato degli insegnanti, con quanto possono osservare, percepire e riconoscere come difficoltà proprie delle famiglie in questo periodo di distanziamento sociale. Come osservatori esterni, al momento, o meglio “a distanza” della genitorialità, certo, abbiamo delle idee su quali possano essere i bisogni principali delle famiglie, come la gestione del tempo.
“Gestione” è un termine che mi piace poco, perché toglie un po’ quella dimensione affettiva ed emotiva che investe il tempo stesso: usare i termini “gestire il tempo” ci racconta della difficoltà delle famiglie a capire come utilizzare questo tempo nuovo e quindi è il riflesso di una preoccupazione. “Gestire” il tempo significa domandarsi: io come posso gestire i miei bambini adesso (ora che siamo tutti costretti a stare in casa)? Quindi ci dà l’idea di una difficoltà, di un’angoscia. Mentre invece pensare ad “investire” il tempo insieme, ci racconta di una condivisione del tempo, che è un’altra prospettiva, una prospettiva che va un po’ oltre, una prospettiva in cui l’angoscia viene messa in ombra dal fatto che io il tempo ce l’ho e lo posso donare. E i miei figli lo possono donare a me. Dobbiamo accompagnare le famiglie a entrare in questa nuova prospettiva non della “gestione” del tempo, ma di un “condividere” il nostro tempo, magari solo per questo periodo, perché dopo, quando l’epidemia sarà stata contenuta efficacemente, si entrerà in nuovi schemi, nuove routine ed esigenze di tutti, lavorative, scolastiche e di vita sociale.
Sonia hai sentito l’urgenza di scrivere, già a partire dai primi momenti del nostro isolamento, una piccola raccolta di riflessioni e indicazioni per affrontare questo momento così nuovo, così particolare. Con “Scenari di una pandemia“ hai scelto una pubblicazione indipendente, per una fruizione “democratica” del testo, il più possibile accessibile a tutti e devo dire che ho trovato anche la scrittura semplice e diretta. Leggendolo mi ha colpito, tra le altre, una frase: “Una crisi mondiale ci porta a confrontarci nuovamente con il tempo ritrovato”.
Con Scenari di una pandemia mi sono soffermata molto sul tempo ritrovato. Per superare una crisi bisogna mantenere l’aspetto di un esame di realtà buono, che ci faccia capire che cosa è andato male, da che cosa ci stiamo separando, che cosa stiamo perdendo. Perdiamo magari il procedere con un normalissimo anno scolastico, un normalissimo anno educativo, perdiamo il rapporto diretto, vis a vis con le insegnanti, perdiamo tante cose e non bisogna negarlo. Bisogna essere capaci di sopportare il dolore, soprattutto per chi non può verbalizzarlo, per chi non riesce ad elaborare da solo che cosa sta accadendo, quindi soprattutto l’adulto nei riguardi del bambino deve accogliere il dolore, la sofferenza di questo periodo, che possono tradursi in vari segnali: l’aggressività, il disagio, il rancore, un bisogno eccessivo – che l’adulto può ritenere eccessivo – di movimento… il bambino può manifestare qualunque segnale per dirci quello che in realtà con le parole non riesce ancora a raccontare. Ma se non lo verbalizza è perché non lo elabora, forse perché non riesce a “pensare” che cosa stia succedendo davvero intorno a lui. Che gravità c’è rispetto al coronavirus? Il senso del pericolo può essere annichilente per un adulto, ma anche per un bambino. A volte un genitore può essere così angosciato dalla situazione che diventa quasi paralizzato rispetto alle emozioni oppure avvilito quando le emozioni prevaricano e quindi non riesce a schermarle nei confronti del bambino. Più che schermarle direi filtrarle, passarle al bambino in modo che possano essere elaborate significa in qualche modo rielaborarle per lui, adattarle per lui, cioè non trasferire su di lui passivamente tutte le ansie e le angosce che può provare un adulto rispetto alla situazione.
Quindi stiamo parlando di un tempo ritrovato per prendersi cura…
ll tempo ritrovato è anche prendersi cura di legami in un modo nuovo, che di solito non abbiamo a disposizione. Un modo nuovo di sentirsi e di stare nel legame. Mi spiego meglio: prima della quarantena, dell’isolamento o del semi-Isolamento domiciliare che sono le misure restrittive prese dal governo per poter contenere l’epidemia e la diffusione del nuovo coronavirus nel nostro paese, noi adulti ci lamentavamo di non avere tempo per seguire i bambini, di essere troppo immersi nel lavoro, di non avere tempo da dedicare al gioco. Adesso questo tempo, tra nuove forme di lavoro come lo smart working e nuovi scenari proprio all’interno della famiglia, viene un po’ riscoperto. Ci può essere disorientamento perché i genitori non sono abituati ad avere tutto questo tempo con i bambini e questo significa che è necessario riscoprire la loro dimensione del saper giocare, riscoprire quel bambino interiore che abbiamo tutti dentro noi stessi e che è stato messo da parte per tutte le esigenze quotidiane, nella frenesia dell’epoca pre-pandemica.
E’ possibile “consolarsi” con questo aspetto, pur senza negare la crisi?
Assolutamente sì. Per superare la crisi bisogna tenere sì l’esame di realtà ben attivo, ma bisogna anche riadattarsi a un nuovo modello, a nuovi scenari che si presentano. L’adattamento è una grande risorsa per noi adulti, ma soprattutto per i bambini: i bambini sanno adattarsi e prendere il meglio da tutte le situazioni nuove, molto più di quanto pensiamo. Su questo possiamo essere un po’ più rilassati: il bambino prenderà il meglio da questa situazione, ma noi dobbiamo essere pronti, come la madre del bambino piccolo che impara a camminare e cade, deve essere pronta a sostenerlo sia nei suoi tentativi di camminare, che nei suoi pianti, così noi dobbiamo essere pronti a raccogliere le ansie del bambino, i momenti di sconforto, i momenti in cui non vuole essere “un essere sociale” e vuole stare da solo, non vuole fare videochiamate, non vuole parlare, non vuole contatti…
Ci sono dei momenti e vanno rispettati, degli stati d’animo diversi e vanno rispettati. Questa disponibilità ci permette di riadattarci a nuove forme di legame. Io parlo di tempo ritrovato proprio perché il genitore, adesso, può pensare che tra le varie attività della vita domestica, comprese anche nuove forme di lavoro, può decidere quando essere completamente disponibile a giocare. E giocare insieme può voler dire anche “io sono lì per te anche se giochi da solo”: posso dedicarti il mio tempo osservandoti giocare, stando insieme nella stessa stanza mentre tu sei intento e completamente assorto nel tuo gioco, gioco che è una questione molto seria per il bambino. Anche se esprime divertimento, è qualcosa in cui mette tutto se stesso, quindi il genitore può darsi il tempo per osservare anche cosa piace al bambino e quindi sintonizzarvisi, in maniera non intrusiva e non direttiva.
Su questo tempo condiviso, più di una volta in questi giorni mi sono ritrovata ad esprimere, in maniera istintiva, un messaggio positivo e ottimistico. Sicuramente la crescita di un bambino – parliamo adesso in particolare della fascia d’età 3-6 – passa attraverso la relazione con gli altri, passa attraverso il corpo e la motricità… e adesso siamo privati proprio di questo! Ma può essere forse un’occasione preziosa: la famiglia riveste un ruolo fondamentale nella crescita del bambino e questo tempo nuovo che abbiamo oggi a disposizione potrebbe essere usato per dare il tempo ai bambini di crescere. Nella corsa frenetica di tutti i giorni, prima di questo periodo in cui tutto si è fermato, i bambini sono stati troppo spesso privati del tempo di cui hanno bisogno per imparare, per costruirsi un’identità, per diventare autonomi. Ci si sostituisce a loro per “fare prima”, soprattutto in seno alla famiglia che ha un ruolo insostituibile nella formazione del bambino. Adesso abbiamo l’occasione di riconoscere loro il diritto di “fare” in base ai propri tempi. Ma forse questa è una visione che non tiene conto anche dei rischi che questo periodo di isolamento porta con sé… cosa ne pensi?
Nella psicologia sociale si parla di ottimismo irrealistico. A volte, quando ci sono dei problemi come può essere quello della pandemia che stiamo vivendo oggi, finché non ci siamo completamente dentro, si pensa che il problema non ci tocchi realmente. È una nostra difesa per andare avanti senza farci distruggere dalle negatività che abbiamo intorno, è una difesa positiva. Certo può esporre a dei rischi nel sottovalutare il problema, ma se c’è un buon equilibrio tra l’ottimismo irrealistico (che ci permette di andare avanti) e una accurata valutazione dei rischi (pensiamo in epoca Covid-19 alle precauzioni per la salute che si possono prendere, alle norme da seguire, alla scelta di istituti attendibili di informazione…), ecco, questi aspetti se ben bilanciati ci permettono di fronteggiare il problema con delle strategie funzionali alla sua risoluzione.
Sicuramente non si può distogliere l’attenzione dagli effetti psicologici del distanziamento sociale, effetti che possiamo anche non vedere adesso e sui quali anche il panorama scientifico, attualmente, non è pronto a dare delle risposte. La quarantena, l’isolamento, la separazione, il distanziamento sociale sono una novità per la nostra società, come per tanti altri paesi. L’organizzazione Mondiale della Sanità ha richiesto ai ricercatori di fare degli studi comparati per mettere insieme risultati scientifici precedenti, relativi ad altre quarantene, e darci un panorama di quelli che potrebbero esserne gli effetti e i risvolti negativi. Abbiamo molti pochi studi e pochi risultati sugli effetti della quarantena sui bambini e quelli che ci sono riguardano comunque altri contesti culturali e sociali. Possiamo provare a prevedere alcuni effetti psicologici della quarantena: in alcuni studi dove bambini isolati sono stati messi a confronto con altri bambini non sottoposti al regime di quarantena, si è potuto osservare nei primi livelli di stress molto più elevati. Sebbene si tratti di studi riferiti ad altre e diverse epidemie e non relativi a questo periodo, secondo me è necessario porre una grande attenzione ai rischi sia dal punto di vista psicologico che pedagogico: quando si ritornerà a stare insieme, l’aver pensato all’altro come un possibile pericolo è un pensiero che non potrà essere annullato, scotomizzato all’improvviso.
Il distanziamento sociale che oggi c’è, deve essere spiegato nella maniera più comprensibile per i bambini: andare fuori non si può perché è pericoloso, stare con gli altri non si può perché potrebbe essere pericoloso per la salute…In queste spiegazioni bisognerebbe stare molto attenti a proteggere i bambini da percezioni troppo negative della realtà. Bisogna inoltre proteggere i bambini dalla sovraesposizione mediatica, la cosiddetta ‘infodemia’, per evitare il rischio di porre l’attenzione soltanto sulle notizie negative, spaventando i bambini di qualunque età. Inoltre bisogna pensare che il dire loro, adesso, che non possono vedere gli amici, i compagni di scuola, le maestre, i nonni, i familiari perché è pericoloso, significa che nel momento in cui si rientrerà in contatto con gli altri, i legami che si stabiliranno saranno altri tipi di legami. A scuola soprattutto sarà un aspetto da tenere assolutamente attenzionato.
A proposito di rischi, i genitori anche in tempi “normali” mostrano talvolta una certa ansia rispetto al fatto che i figli possano non essere sufficientemente “scolarizzati”, preparati per il successivo ordine di scuola. In questo tempo senza scuola, secondo te, c’è un rischio di compromettere lo sviluppo delle competenze dei bambini della fascia 3-6?
Certamente può esserci un rischio e il fatto di valutare attentamente quali possano essere i rischi è importante, perché significa non negare. Qui mi fermerei un attimo per spiegare cosa è una crisi dal punto di vista psicologico e di conseguenza arrivare a capire come superarla. Non possiamo negare che adesso ci sia una crisi, c’è ed è una crisi mondiale che ha degli effetti sulla vita di tutti noi, anche sulla vita dei bambini, e sulle relazioni, relazione madre-bambino, padre-bambino, coppia genitoriale, relazione tra genitori e figli, ma anche tra nonni e nipoti che sono probabilmente tenuti distanti, come lo sono insegnanti e bambini. Tutte le relazioni vengono riformulate in qualche modo e dire che non ci sono dei rischi per lo sviluppo, soprattutto non sapendo quando si rientrerà a scuola, quando il distanziamento sociale sarà annullato o comunque appianato, sarebbe come negare. La negazione che ci sia qualcosa che non va è comunque il primo step di reazione alla crisi, piano piano poi la crisi procede come lo sviluppo di un lutto, perché è una separazione: la crisi è la perdita di uno stato precedente, per procedere a un riadattamento verso un nuovo stato. Se noi neghiamo che abbiamo perso qualcosa, non possiamo svilupparci per acquisire un nuovo stato e rimaniamo bloccati nella crisi. Quindi questa crisi non ci porta a un nuovo adattamento, ma ci blocca o nella negazione di quello che sta accadendo, o in una fase depressiva dove sentiamo fortemente il senso di perdita, ma non sappiamo come andare avanti e come superarla.
Quali strumenti possono mettere in campo i genitori a casa con i figli, per affrontare la crisi e ridurre/prevenire i rischi che porta con sé?
Intanto c’è bisogno di una ristrutturazione di campo, come direbbero gli psicologi della forma, ovvero considerare il gioco sotto degli aspetti che possono adattarsi alla vita di casa. Mi spiego meglio: un genitore potrebbe pensare di coinvolgere il bambino in alcune attività che durante altri momenti vive come dei doveri domestici, per esempio cucinare può diventare un gioco di manipolazione. Impastare insieme è una attività molto rilassante, che ai bambini serve anche ad utilizzare l’aggressività per creare qualcosa di nuovo, creare un impasto per fare un dolce, una torta, ha un significato simbolico molto importante. Farlo insieme ancora di più: significa che io posso conciliare quello che è un dovere con qualcosa che è estremamente giocoso e divertente da fare insieme. Si tratta di sospendere un po’ il giudizio su quella che era una categoria diversa e riadattarla al momento attraverso nuove forme di consapevolezza.
Nella mia esperienza scolastica facciamo la stessa cosa con le attività di routine: salutarsi al mattino, fare insieme colazione, pranzo e merenda, riposarsi al pomeriggio e andare in bagno, azioni quotidiane che rassicurano il bambino, vengono valorizzate in modi diversi, assumendo anche aspetti giocosi attraverso cui gli apprendimenti passano. La chiamiamo pedagogia occasionata, proprio perché raccoglie l’occasione offerta dal momento. In qualche modo si tratta di trasferire la stessa modalità a casa, riadattando le categorie, dando al bambino delle consegne precise, giusto?
Sicuramente questo ci riporta sempre ad un tempo ritrovato che però dovrebbe avere un nuovo ordine, delle nuove routine. Si tratta di scegliere insieme come spendere questo tempo, dando anche degli orientamenti e dei riferimenti. Le routine da 0 a 6 anni sono molto importanti, rappresentano la possibilità di dare ordine al caos, di incanalare tutti gli impulsi per poter riorganizzare quello che è il senso della giornata. Il valore della routine è anche “io adulto ti do dei riferimenti a cui tu ti puoi aggrappare”.
Pensiamo per esempio ai bambini che hanno delle difficoltà di sviluppo e a quanto per loro siano importanti le routine: nell’ impossibilità di elaborare come altri bambini, sono proprio le routine a rappresentare per loro la possibilità di orientarsi nel tempo e nello spazio, offrendo in qualche modo un porto sicuro. Certo, tutto va calibrato a seconda dei bisogni emotivi del bambino: quanto un bambino riesce a organizzare il suo tempo? Magari, prossimo ai 6 anni, all’ultimo anno di scuola dell’infanzia, ha già delle sue abitudini, delle sue routine… Un altro bambino di 3 anni ha uno scenario molto diverso davanti a sé, magari non aveva ancora acquisito completamente le routine scolastiche e si ritrova a casa in una situazione completamente nuova.
Possiamo condividere con i genitori l’importanza di definire alcuni momenti della giornata in cui si fanno alcune cose stabilite. I genitori possono condividere queste scelte proprio con i bambini, può essere un momento di scambio reciproco in cui si decide insieme che a un certo momento della giornata si fa una determinata attività piuttosto che un’altra. Questo può aiutare il bambino ad avere dei punti di riferimento in una giornata molto lunga da passare in casa, in cui la motricità è fortemente compromessa, altro aspetto da tenere fortemente attenzionato…
Nelle Indicazioni Nazionali leggiamo che gli insegnanti della scuola dell’Infanzia “accolgono, valorizzano ed estendono le curiosità, le esplorazioni, le proposte dei bambini e creano occasioni di apprendimento per favorire l’organizzazione di ciò che i bambini vanno scoprendo” e ancora: “nella scuola dell’infanzia i traguardi per lo sviluppo della competenza suggeriscono all’insegnante orientamenti, attenzioni e responsabilità nel creare piste di lavoro per organizzare attività ed esperienze volte a promuovere la competenza, che a questa età va intesa in modo globale e unitario”. È sensato secondo te pensare, come io penso, che a casa sia possibile continuare a promuovere lo sviluppo delle competenze dei bambini?
Questa domanda mi porta a sottolineare un principio talvolta sottovalutato e cioè che la prima forma di intelligenza è quella emotiva. L’intelligenza emotiva è l’intelligenza cardine per tutte le altre. Questo significa che avere dei bambini sereni, che emotivamente stanno bene, è il presupposto per l’acquisizione di qualsiasi apprendimento, a scuola come a casa. Senza delle emozioni positive il bambino non apprende o apprende forzatamente, creando una dicotomia tra ciò che apprende e quello che sente veramente dentro. Per cui, anche apprendendo, potrebbe essere disinteressato ai suoi apprendimenti: in questo caso l’apprendimento non rispecchia ciò che il bambino vuole, i suoi bisogni, ma piuttosto un programma da seguire, un programma ministeriale, disciplinare, come lo si voglia chiamare …. Se siamo molto attenti, soprattutto nella fascia 0-6, allo sviluppo dell’intelligenza emotiva del bambino, vedremo che dopo il bambino avrà un bagaglio di competenze trasversali che potrà mettere dentro qualunque programma ministeriale, in qualunque campo d’esperienza o disciplina, da utilizzare in tutte le altre forme di apprendimento, a favore di tutte le altre forme di intelligenza!
In questo periodo mantenere, preservare il legame, deve tener conto dello sviluppo delle competenze emotive del bambino, deve rispettare i suoi stati emotivi che possono essere anche quelli del disinteresse a nuove forme digitali di comunicazione, o di un bisogno molto forte di esprimere i sentimenti negativi e le angosce attraverso la motricità. Bisogna sempre partire dal bambino e dai suoi bisogni per capire come muoversi a livello educativo, sia per le famiglie che per gli insegnanti.
Secondo me bisogna allinearsi con un nuovo panorama, che possiamo osservare mentre si crea perché nessuno lo conosce a priori. È un panorama nuovo, quindi bisogna dare spazio a nuove riflessioni e osservare quello che ci rimanda il bambino.
Se il bambino fatica a ricevere delle consegne in questo momento, è perché evidentemente il suo bisogno affettivo prioritario è quello di ricevere (anche se il bambino ha una predisposizione innata al dare e al dare tutto se stesso). Questo dunque significa che in questo momento, piuttosto che incentrare la comunicazione, il legame, sulla consegna, cercheremo di non trascurare quello che invece consegniamo noi, diamo noi adulti al bambino. Cosa diamo al bambino? Una storia? Il nostro tempo? Gli dedichiamo del tempo per raccontare e raccontarci insieme, o anche solo per chiedere ‘come stai’…? Gli insegnanti, gli educatori possono dedicare momenti ai bambini anche a distanza. Basta poco a volte, ma il bambino deve sapere che ha e riceve delle attenzioni, attenzioni che devono essere sia di gruppo che personalizzate. Quindi bisogna mantenere, come si faceva a scuola ma in un’ottica di comunicazione a distanza, sia la comunicazione in piccolo gruppo che in grande gruppo nonché momenti di condivisione incentrate sul singolo. L’insegnante dovrebbe poter dare attenzione a tutti gli aspetti, a tutte le sfaccettature sia della socialità del bambino che di quello che il bambino introietta.
Per noi insegnanti si tratta, credo, di aprirsi agli stimoli che ci arrivano dai bambini stessi attraverso le famiglie…
Si tratta di sintonizzarsi insieme su un nuovo tempo. Ogni famiglia avrà il suo modo di sintonizzarsi, anche con la scuola, così come ogni gruppo di insegnanti avrà il suo modo di sintonizzarsi con i bisogni di quella famiglia o di quel bambino. Dobbiamo sempre fare affidamento sulla competenza che abbiamo, sulla conoscenza di un certo bambino piuttosto che un altro, inoltre adesso abbiamo anche delle occasioni nuove: entrare nelle case dei bambini, conoscere le loro famiglie per come si mostrano, conoscere i loro fratelli… dobbiamo considerare che ci sono tanti altri aspetti di questa epoca digitale per mantenere il legame a distanza, aspetti assolutamente positivi.
È molto importante considerare che questo momento di distanziamento sociale, se così lo vogliamo chiamare (è un po’ un ossimoro…), ci sta offrendo nuove occasioni di legame. Noi possiamo imparare a costruire nuove forme di legame con i bambini: il legame viene ristrutturato a seconda del contesto, di quello che ci viene proposto dell’ambiente ma anche dai limiti che l’ambiente ci impone, mentre la relazione è sempre la stessa, quella che mantiene l’affetto costante nel tempo anche se sfaccettato di varie emozioni. Le occasioni sono tante, per poter appunto riavvicinare genitori e figli, per dare nuove dimensioni alla coppia genitoriale … anche se dobbiamo tenere presente che gli scenari familiari possono essere completamente diversi, ci sono ad esempio anche membri del personale medico sanitario che non stanno mai a casa, che hanno persino meno tempo di prima, quindi non possiamo generalizzare, però possiamo pensare che ci sono tante sfaccettature di questo isolamento o semi-isolamento domiciliare, che ci offrono occasioni per crescere: superare la crisi significa svilupparsi e trovare nuove forme di adattamento alla realtà.
Un collega di scuola primaria ha definito il nuovo legame che si è stabilito con i suoi alunni una relazione sconfinata. Mi piace molto questa definizione, relazione sconfinata: non ha orari, non ha festività né week end. È in questa nuova forma di legame che io sto trovando energia per affrontare la crisi e l’isolamento…
In effetti è una espressione molto carina! La relazione sconfinata potrebbe rappresentare un po’ quello che dicevamo, cioè che il bambino sente la disponibilità in questo momento dell’insegnante e la utilizza, adattandosi alle nuove opportunità, quindi magari senza un limite di orario, senza delle scadenze fisse… Si stabilisce un rispetto di nuovi tempi, che si vengono poi a sintonizzare con le vostre necessità reciproche. Bisogna stare sempre un pochino attenti all’annullamento dei limiti, si tratta comunque di mantenere il legame con i bambini, rispondendo alle necessità reciproche, ai bisogni reciproci dei bambini e degli insegnanti. In questa sezione c’è una relazione sconfinata, in un’altra sezione magari c’è una relazione un po’ più schematica… La modalità di dispiegamento ed espressione della relazione si forma in base a quello che viene fuori sia dai bambini che dagli insegnanti. Questa della relazione sconfinata, mi viene da dire, è una delle forme possibili per stare nel legame nel modo più rispondente possibile a quello che i bambini richiedono.
Di tutta questa esperienza, spero che la scuola riuscirà, dopo, a mantenere alcune cose, per esempio penso a che occasione straordinaria stiamo avendo per personalizzare l’insegnamento, soprattutto negli altri ordini di scuola, nella scuola dell’obbligo.
Tornando agli strumenti, in Scenari di una pandemia tu parli anche degli strumenti narrativi, e in particolare della fiaba di tradizione orale…
Raccontare una storia, inventare una storia, utilizzare lo strumento della narrazione e del raccontare di sé, può essere molto utile sia a visualizzare in modi diversi quello che stiamo vivendo, sia a visualizzare il lieto fine, sia a scoprire come potrà andare, utilizzando un linguaggio che è linguaggio dell’inconscio, un linguaggio svincolato dal razionale.
Mi sono focalizzata molto sulla prospettiva della psicologia culturale in Scenari di una pandemia, che abbraccia molto l’espressione del narrarsi, del raccontare di sé, ma anche di come elaborare quello che ci accade intorno.
La fiaba è uno strumento vero e proprio per raccontare se stessi in modo inconsapevole, uscendo dagli schemi della razionalità per poter entrare in nuovi ambiti comunicativi, che sono anche a volte auto riferiti. A volte abbiamo bisogno di raccontare a noi stessi di noi stessi e la narrazione può essere fatta sia per sé che per gli altri. È proprio il valore del narrare, che è quello di costruire dei significati nuovi, ad aiutarci – in un modo velato che non deve poi diventare per forza consapevole e razionale- a comprendere noi stessi, a elaborare le nostre separazioni, per crescere come individui nuovi, per diventare individui nuovi. La personalità, dal mio punto di vista, è sempre in continua trasformazione perché noi andiamo avanti per adattarci alla realtà, ma lo facciamo con un nostro portato che è irrinunciabile e che custodiamo dentro per essere la nostra persona in quel momento e non in altri. Avere questo bagaglio ci porta a narrarci nel mondo e ad essere noi stessi però sempre con qualcosa di nuovo, con nuove occasioni per prendere il meglio dalla vita, e non è sempre facile. La fiaba è uno strumento per utilizzare la narrazione sia su se stessi che per gli altri, per crescere, per risolvere dei conflitti di cui magari non siamo consapevoli, per risolvere angosce, agitazioni che possono anche non avere un nome. La fiaba popolare ha questa incredibile capacità di tenere dentro il bene e il male e di arrivare alla fine senza negare il male: questo ha una funzione psicologica importantissima. Il fatto che le fiabe popolari si siano tramandate nei secoli così per tanto tempo, significa che avevano la funzione di portare i bambini ad elaborare i conflitti più comuni che loro possono vivere, le angosce più primordiali, promettendo sempre che tutto andrà bene, promettendo sempre il lieto fine senza ipocrisie. La fiaba ti dice che i cattivi esistono, ma che poi i buoni trionfano e questo è il messaggio che dobbiamo dare ai bambini: non possiamo negare che ci siano degli aspetti brutali della realtà, dobbiamo semplicemente comunicarli in una maniera per loro comprensibile.
Possiamo utilizzare la fiaba quindi per raccontare ai bambini quanto sta accadendo, attraverso le storie che conosciamo già. Ci sono storie che possono interessare o meno il bambino in un particolare momento del suo sviluppo e non in un altro: magari il bambino con una storia sarà completamente disinteressato perché non è emotivamente “sintonizzato” in questo momento con i temi che essa affronta, mentre un’altra storia vorrà che gliela si racconti decine e decine di volte, e il genitore potrebbe dire: “ma l’hai già sentita! Ma perché non ne troviamo un’altra!?”. Ma il bambino non ragiona come gli adulti, ha bisogno di utilizzare la fiaba, di “sfinirla” perché nella fiaba trova la soluzione a quel particolare conflitto che in quel particolare momento ha bisogno di risolvere.
Quindi raccontiamo le fiabe classiche ai bambini! Grazie Sonia.
Grazie a te Dora, per questa opportunità!
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