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Uno sguardo sull’educazione 2012: alcune novità

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Norberto Bottani, con lo sguardo acuto ed estremamente competente di chi è stato fra i padri di Education at a Glance, esamina le novità dell’edizione 2012 uscita l’11 settembre 2012. Bottani sa leggere tra le righe ciò che è cambiato nell’impostazione di EAG, quali sono le notizie più interessanti e fa infine un’analisi impietosa delle debolezze del sistema scolastico italiano.

a cura di Norberto Bottani

[stextbox id=”info” image=”null”]Uno sguardo sull’educazione compie 20 anni[/stextbox]

Uno sguardo sull’educazione compie 20 anni

Quest’anno a settembre Education at a Glance ha compiuto 20 anni. Un successo inatteso e del tutto imprevisto quando questa operazione cominciò vent’anni fa nel 1992.

L’edizione 2012 è un volume corposo di 570 pagine, con oltre 140 grafici, 230 tavole, e 100.000 dati. Una vera e propria miniera di informazioni e di analisi, che consente di farsi un’ idea dello stato dell’istruzione scolastica in una trentina di paesi, della sua evoluzione nei paesi più avanzati, nonché di alimentare un dibattito politico documentato sulla situazione dell’istruzione entro ogni singolo sistema scolastico.

Non tutto è perfetto in questo volume. L’OCSE opera talora aggregazioni azzardate per costruire gli indicatori nazionali, ma nondimeno i dati forniti sono ritenuti dagli specialisti assai validi tanto da essere un punto di riferimento autorevole per le politiche scolastiche.

Nel corso di questo ventennio l’insieme di indicatori è cambiato: l’impostazione  è stata in parte modificata, taluni indicatori sono scomparsi, altri sono apparsi, altri ancora sono stati costantemente aggiornati in modo tale da rendere possibile confronti sull’evoluzione delle politiche scolastiche su un periodo di 10-15 anni.

[stextbox id=”info” image=”null”]Le novità dell’edizione 2012[/stextbox]

Diverse sono le novità dell’edizione di quest’anno. Ne indichiamo alcune:

Quasi nessun accenno ai dati PISA

Quasi nessun accenno ai dati PISAQuest’anno, nell’insieme di indicatori non si fa quasi nessun accenno al materiale prodotto dall’indagine PISA e si mette quindi in sordina tutto quanto riguarda gli apprendimenti fondamentali del programma scolastico e il loro sfruttamento nell’esistenza quotidiana. In compenso si riserva particolare attenzione alle conseguenze sociali dell’istruzione  e all’organizzazione scolastica.

Minore enfasi sulla frequenza degli studi superiori e sull’iscrizione all’università

Minore enfasi sulla frequenza degli studi superioriFra le altre novità non visibili a prima vista, val la pena menzionare il tono minore riservato alla frequenza degli studi superiori e all’iscrizione all’università. Questo tema era stato il leitmotiv dell’insieme di indicatori 2011. Anche nei commenti degli indicatori 2012 l’OCSE continua a sottolineare i benefici che si traggono da studi prolungati come pure dalle lauree nonché da altri titoli di tipo universitario, ma globalmente l’incitamento ad espandere il sistema scolastico in questa direzione è notevolmente attenuato.

Minore enfasi sugli investimenti in istruzione

Minore enfasi sugli investimenti in istruzioneNella messa a punto degli indicatori, nella loro lettura e nell’analisi dei dati delle edizioni precedenti, l’OCSE aveva insistito parecchio sull’importanza di un aumento degli investimenti per l’istruzione. Purtroppo la crisi economica ha raffreddato gli ardori di molti governi i quali hanno disubbidito all’OCSE ed hanno frenato l’espansione della spesa per l’istruzione. La realtà ha preso il sopravvento sui desideri.

Scrive prudentemente l’OCSE :”Un’analisi comparata delle tendenze nella spesa per studente mostra che in molti Paesi OCSE, la spesa non ha tenuto il passo con l’aumento delle iscrizioni scolastiche. (…) La recente crisi globale ha probabilmente determinato cambiamenti nel livello di spesa per studente. Comunque poiché la crisi è cominciata nel 2008, non vi sono ancora dati disponibili che mostrino l’estensione complessiva di questo impatto”.

Le conseguenze sociali dell’istruzione (indicatore A11)

Le conseguenze sociali dell'istruzioneUna novità interessante è l’indicatore A11 sulle conseguenze sociali dell’istruzione. Giustamente, questo indicatore è inserito nella sezione A riservata a: Risultati delle istituzioni scolastiche e impatto dell’apprendimento. Questa volta, come già evidenziato, l’OCSE non si limita a misurare le competenze in lettura, matematica e scienze sfruttando i dati prodotti dall’indagine PISA, ma si spinge oltre.

Vediamo alcuni indicatori:

1)    Differenze nelle aspettative di vita in relazione ai livelli di istruzione all’età di 30 anni (A11.1). In media tra 15 Paesi, si può prevedere che un maschio laureato di 30 anni abbia altri 51 anni di vita, mentre per un maschio trentenne che non ha completato l’istruzione secondaria superiore la prev isone di vita è solo di altri 43 anni.

2)    Differenze nella partecipazione al voto fra elettori con livelli di istruzione alti e con livelli di istruzione bassi (A11.2). Sebbene tutti i Paesi OCSE incoraggino la partecipazione elettorale, il tasso dei votanti varia tra i gruppi di età e ci sono significative differenze nella percentuale dei votanti adulti (25-64 anni) con alti e bassi livelli di istruzione, calcolabile in 14,8 punti percentuali. Questa percentuale si amplia negli adulti più giovani (25-34 anni). In Germania, per esempio, la differenza è di 49,6 punti percentuali.

3)    Comportamenti degli studenti verso l’uguaglianza dei diritti delle minoranze etniche (A11.3). Anche questo indicatore indica che l’alto livello di istruzione produce comportamenti di impegno sociale più positivi. Per esempio in Estonia, dice l’analisi OCSE, la differenza è di 33 punti percentuali

Ambiente di apprendimento e organizzazione delle scuole (sezione D)

Ambiente di apprendimentoC’ è stato un significativo ampliamento del capitolo dedicato a “Ambiente di apprendimento e organizzazione delle scuole” (sezione D). La maggioranza degli indicatori di questa sezione non sono nuovi ma erano stati trascurati nelle edizioni precedenti per lasciare posto agli indicatori sui risultati costruiti partendo dai dati dell’indagine PISA. Lo sviluppo degli indicatori di questa sezione è pregevole e merita di essere sottolineato.

Ci interessa in particolare:

Il tempo di lavoro degli insegnanti

Uno degli indicatori più interessanti è l’indicatore D4 dedicato all’orario di lavoro degli insegnanti.

Questo indicatore distingue tra il tempo dedicato all’organizzazione della vita scolastica e il  tempo dedicato all’insegnamento fornendo un’ informazione sull’evoluzione a decorrere dall’anno 2000.

Le differenze fra i Paesi relative all’orario complessivo e alla sua ripartizione sono molto grandi. Nei 22 Paesi  che specificano sia il tempo dedicato all’insegnamento sia quello totale a scuola, la percentuale  del tempo speso nell’insegnamento varia da meno del 40% in Danimarca, Ungheria, Islanda, Giappone,Polonia e Turchia in tutti i gradi di istruzione al 100% in Brasile. In 13 paesi la proporzione del tempo non di insegnamento è più alta a livello secondario che a livello primario.

Una comparazione illuminante: l’orario di lavoro degli insegnanti giapponesi e di quelli italiani

Insegnanti giapponesiL’indicatore ci dice che gli insegnanti giapponesi dedicano poco tempo all’insegnamento ma molto tempo al lavoro extralezioni nella scuola , fra cui rientra, fra l’altro, il riordino delle aule con gli studenti.

Questi i dati: orario di insegnamento  nella primaria 707 ore annue, nella secondaria di 1° grado 602, nella secondaria di 2° grado 500. In ognuno dei 3 gradi scolastici l’orario complessivo a scuola è di 1876 ore!

insegnanti italianiEsaminiamo ora il tempo di lavoro degli insegnanti italiani: moltissimo tempo all’insegnamento in classe, poco tempo complessivo a scuola. Questi i dati: insegnamento nella scuola primaria 770 ore annue, nella secondaria di 1° e 2° grado 63 0, orario complessivo + 80 ore annue in ciascun grado scolastico (dato mancante nella tabella OECD).

Va sottolineato che il fatto che gli insegnanti italiani dedichino la maggior parte del loro tempo di lavoro all’insegnamento nelle classi e poco tempo a scuola per l’organizzazione, per altre attività con gli studenti ecc… si traduce in un certo tipo di didattica, che rende i quindicenni italiani molto meno brillanti nei test internazionali  dei loro coetanei giapponesi.

Un altro rilievo riguarda la correlazione fra orario di servizio degli insegnanti italiani e le loro retribuzioni: ad un tempo di lavoro non particolarmente elevato corrisponde, come noto, uno stipendio altrettanto poco elevato.

Per rivendicare  migliori condizioni retributive in Italia diventa pertanto indispensabile considerare dapprima una radicale  trasformazione della didattica e dell’organizzazione del tempo scuola e poi conseguentemente un aumento del tempo degli insegnanti a scuola dedicato ad altre attività oltre l’insegnamento in classe.

Competenze decisionali sui doveri e le condizioni di servizio degli insegnanti nella scuola secondaria di 1° grado (D4.2)

scuola secondaria di 1° gradoSempre nella sezione D viene ripresa un’ indagine molto bella e molto originale svolta dall’OCSE già nel corso degli anni 90 relativa alle procedure e alle competenze decisionali nell’ambito del sistema scolastico. Questa volta l’indagine è stata ripetuta per quel che riguarda la scuola secondaria di 1° grado con particolare riferimento a:
1) doveri degli insegnanti,
2) condizioni di servizio degli insegnanti.

La tabella si trova online: Table D6.8, guardare Annex 3 for notes ().

[stextbox id=”info” image=”null”]Il quadro italiano[/stextbox]

Il quadro italiano

Non c’è molto da dire sulla situazione della scuola statale e paritaria italiana.

Il sistema scolastico italiano è inefficiente, lo dimostrano moltissimi indicatori che forniscono un’ informazione alquanto deprimente.

L’istruzione in Italia costituisce nell’insieme un sistema mediocre, che si colloca al di sotto della media OCSE in quasi tutti gli indicatori.

I NEET

I NEETUno dei casi più allarmanti rimane l’altissima percentuale di NEET,  giovani che Italia non lavorano, non studiano e vivono alla giornata, comparata alla percentuale che si registra in altri paesi equiparabili all’Italia. La proporzione di questa popolazione al di sotto dei 29 anni è di circa il 25%, una proporzione elevata di popolazione a rischio, poco produttiva, poco formata, che ha davanti a sé un futuro incerto nel quale si può già  prevedere una forte dipendenza dall’insieme delle prestazioni sociali che sono a carico di tutta la popolazione.

Istruzione e formazione professionale

Istruzione e formazione professionaleUna delle cause principali di questa stagnazione è da ricercare nell’incapacità dei governi italiani di modificare tutto l’impianto della formazione e istruzione professionale. In Italia, caso più unico che raro, l’istruzione e la formazione tecnica e professionale si svolgono nell’ambito scolastico, secondo la logica che governa tutta l’istruzione scolastica. Non si va più a “bottega” per apprendere un mestiere ma si va a scuola.  Nonostante i numerosi avvertimenti che anno dopo anno l’OCSE ha rivolto alle autorità italiane per modificare la formazione professionale dei minori e per diversificare la formazione tecnica superiore, poco o nulla è stato fatto in questo settore ed i  cambiamenti realizzati in questi ultimi anni sono irrisori. Gli indicatori pubblicati nel 2012 riflettono la situazione esistente nel 2010 ed è probabile quindi che non registrino nessuna modificazione sostanziale. Si vedrà nei prossimi anni se qualcosa è cambiato in meglio in questo settore.

Diminuzione degli investimenti in istruzione rispetto al PIL

Diminuzione degli investimenti in istruzione rispetto al PILUn altro aspetto molto negativo che balza agli occhi  è la diminuzione della parte riservata all’istruzione scolastica nel PIL. Checché se ne dica, gli investimenti  nel settore dell’istruzione calano e sono mal distribuiti. Per esempio l’Italia si colloca tra i pochissimi paesi, come per esempio la Francia, che hanno preferito investire nell’educazione prescolastica e che hanno trascurato la formazione professionale nonché lo sviluppo delle università tecnologiche. Le scarse risorse sono state stanziate in una parte del sistema e non in un’altra secondo una logica politica che in Italia si conosce assai bene con conseguenze però drammatiche sia dal punto di vista economico che sociale e culturale.

In generale si può dire che l’Italia spende poco per l’istruzione e che gli investimenti per la scuola sono mal distribuiti, tenendo conto di tutti i fattori propri che contraddistinguono il sistema scolastico italiano come per esempio l’alto numero di personale operante nelle scuole. Anche in questo caso vale la pena segnalare che in Giappone gli insegnanti operano in classi molto più numerose di quelle che si hanno in media in Italia. Classi numerose (diversamente organizzate), ergo meno classi, meno insegnanti, i quali dedicano più  tempo alle attività non di insegnamento, remunerazioni relativamente basse ma alla fin fine eccellenti risultati. Gli insegnanti giapponesi si occupano dei loro studenti e delle condizioni di lavoro. Questo non vuol dire che il sistema scolastico giapponese sia un modello come non lo è del resto il sistema scolastico finlandese. Non ci sono modelli da imitare, ma bisogna guardare in casa propria. La scuderia è sporca ed è necessario pulirla. Nessun altro al di fuori nel mondo italiano può svolgere questo lavoro.

[stextbox id=”download” defcaption=”true”]Education at a Glance 2012 OECD indicators- (Versione integrale inglese)
Uno sguardo sull’istruzione 2012. Sintesi in italiano
EAG 2012 , Country Notes: Italy[/stextbox]

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