PRESENTAZIONE 1^ SESSIONE: DALLE NEUROSCIENZE ALLA CLASSE

Davide Antognazza

copert-antgnzz

PRESENTAZIONE DI DAVIDE ANTOGNAZZA

ant1

Il mio compito è quello di introdurre la prima sessione che ha al centro “Neuroscienze ed educazione”. Un tema affascinante, che è sicuramente una parte del nostro presente, ma soprattutto gran parte del nostro futuro scolastico.

Per introdurre il tema ho pensato di mostrarvi un videoclip che probabilmente qualcuno di voi ha già visto. Sono 30 secondi del film Matrix, poi vi dirò perché.

Ecco, se vi aspettate questo futuro dalle neuroscienze, cioè la possibilità di apprendere attraverso il click di un computer, devo dirvi subito che non siamo ancora a questo livello e probabilmente non ci arriveremo mai. Ho comunque deciso di partire con questo filmato proprio perché una delle situazioni più classiche, quando si parla di neuroscienze in educazione, è quella di scontrarsi con due aspetti: uno è senz’altro positivo e riguarda un corretto rapporto fra neuroscienze ed educazione, la neuro-educazione, l’altro invece è quello dei neuro-miti, ossia di idee date per scontate, ritenute vere ma che vere non sono affatto.

Neuromiti

Vi do alcuni esempi di neuro-miti abbastanza diffusi.

  1. 11Il primo è l’idea che i due emisferi del cervello svolgano funzioni diverse: uno più razionale e l’altro più creativo. Ma il cervello non funziona così. È vero che ci sono alcune funzioni che sono principalmente elaborate in certe parti del cervello, però “principalmente” non vuol dire “esclusivamente” e quindi l’idea che i due emisferi svolgano due funzioni completamente diverse è un’idea che va cancellata.

 

  1. 22Un altro neuromito  abbastanza famoso è quello secondo cui noi utilizzeremmo solo il 10% del nostro cervello. Non è vero, noi utilizziamo tutto il nostro cervello, muta l’efficacia con cui lo utilizziamo, l’allenamento a cui lo sottoponiamo e soprattutto la possibilità di potenziare il nostro cervello se riusciamo a operare in un certo modo, suscitando un certo tipo di interessi, attivando un certo tipo di energie e di esercizi.

 

  1. 33Un terzo neuromito è quello secondo cui la musica renderebbe le persone più intelligenti. Questa idea viene da alcune piccole ricerche fatte negli anni Novanta. Un ricercatore aveva proposto ad alcuni studenti l’ascolto di un brano di Mozart prima di un compito di matematica. Questi studenti avevano fatto leggermente meglio degli altri del gruppo di controllo a cui non era stata fatta ascoltare la musica, da lì è partito un grosso movimento che si chiama movimento dell’ effetto Mozart, secondo cui ascoltare musica rende più intelligenti. In alcuni Stati degli Stati Uniti, principalmente in Georgia e Lousiana, si era diffusa l’abitudine di regalare dei cd di Mozart alle mamme in gravidanza, perché potessero farlo ascoltare ai nascituri, rendendoli così più intelligenti!

 

  1. ant3L’ultimo neuromito, l’ho visto pubblicato su un quotidiano ed è piuttosto divertente, si riallaccia al primo neuromito di cui vi ho detto. L’articolo affermava che siccome gli emisferi del nostro cervello svolgono ruoli diversi, se si ha interesse per una persona glielo si dovrebbe sussurrare all’orecchio sinistro, perché verrebbe elaborato dall’emisfero destro, rendendo il corteggiamento più efficace!

Ma ora passiamo dai miti alla realtà.

 

Neuroscienze ed educazione

ant4C’è una vicenda che amo sempre raccontare, è la storia di un ragazzino argentino, Nico, al quale, a causa di una gravissima forma di epilessia, era stato asportato il 70% di un emisfero cerebrale. Ebbene, nonostante ciò, la neuroeducazione sviluppata dal Professor M. Antonio Battro, uno psichiatra argentino, ha portato questo ragazzino ad avere risultati scolastici almeno pari, se non superiori in qualche caso, a quelli dei suoi compagni. Per esempio nei test di lettura era leggermente più bravo dei suoi compagni. Aveva ovviamente delle difficoltà motorie e zoppica un po’, anche se l’ho visto giocare a pallone molto bene. Quando era al Liceo e l’insegnante spiegava un po’ velocemente, lui alzava la mano e diceva “Scusi prof, può andare un po’ più piano, perché a me manca metà cervello”. Questo è un esempio positivo di neuro-educazione. Lo studio sul cervello ha consentito, tramite alcune tecniche e metodologie, di recuperare alcune delle abilità che sembravano perse, pur in assenza di una notevole parte del cervello.

3 domande sulle ricerche neuroscientifiche

Di fronte alle scoperte delle neuroscienze dobbiamo prestare molta attenzione e cercare di capire come possano esserci utili in campo educativo.

Le domande da porsi sulle ricerche neuroscientifiche sono essenzialmente tre:

  1. ant5Cosa hanno trovato?
  1. Cosa significa questo risultato?
  1. Come è applicabile nel mio contesto?

(Fischer, 2003)

 

Prendiamo la 1^ domanda: ”Cosa hanno trovato?”

ant6Le neuroscienze hanno, per esempio, dimostrato la validità di alcune teorie psicologiche precedenti, tra queste la teoria della zona di sviluppo prossimale di Lev Vygotskij.

Una ricerca molto interessante ha dimostrato la validità di questa teoria. Una persona è stata sottoposta a un test molto semplice: doveva ricordare un elenco di parole, mentre stava sdraiato dentro a una macchina di risonanza magnetica che gli osservava il cervello. All’inizio, quando doveva imparare questa nuova serie di parole, il cervello doveva sforzarsi tantissimo; vedete nella figura a destra, dove il cervello è più rosso e giallo ant7significa che si sta sforzando maggiormente per imparare, invece quando il cervello è “practiced”, ovvero quando il cervello ha già imparato una serie di parole, non c’è più tanto da apprendere, in tal caso non ha bisogno di funzionare così intensamente.

L’idea principale è che quando stai nella zona di sviluppo prossimale, cioè quando sai già alcuni concetti, ma stai imparando qualcosa di nuovo, il cervello funziona in maniera ottimale. Questa era l’intuizione di Vygotskij, sotto certi aspetti anche l’intuizione di Bruner, intuizioni che questo esperimento ha dimostrato valide.

Quindi le neuroscienze sono senz’altro un aspetto molto interessante del nostro futuro, ma, voglio aggiungere, non sostituiranno mai l’aspetto relazionale.

L’educazione emotiva

ant8Vorrei concludere con alcune osservazioni riguardo a quella che è la mia specificità di ricercatore, ovvero l’educazione emotiva. Ho scelto l’immagine riprodotta a sinistra, perchè mi permette di far partire un piccolo filmato e di parlare con voi di funzioni esecutive e di reazioni evolutive.

 

Questo filmato ci permette di affermare, per quanto in maniera grossolana, che il nostro cervello ha due circuiti che devono funzionare in armonia.

C’è un circuito evolutivo reattivo che è quello delle emozioni e da cui dobbiamo trarre assolutamente vantaggio, poi ci sono le funzioni esecutive. Se questi due sistemi non lavorano in armonia, se le reazioni emotive prendono il sopravvento, il cervello non è pronto per imparare.

Mi avvio alla conclusione.

ant9Si parla molto oggi di gestione degli aspetti emotivi. Molti parlano di mindfulness, molti di meditazione, altri di concentrazione. C’è molta attenzione verso questi aspetti nel nord Europa. Noi in Svizzera vi dedichiamo solo poca parte del tempo scolastico, comunque alcune cose si fanno, per esempio vi sono scuole che stanno proponendo al mattino attività di relax prima di entrare in classe, ed è una pratica abbastanza importante.

ant10Voglio concludere con questa immagine. Molti di voi ricorderanno la scena del film “Psycho”, quando la ragazza sta facendo la doccia, si apre la tenda e spunta una mano che impugna un coltello. Perché vi sto facendo vedere questa immagine? Perché dimostra quanto vi dicevo delle due zone del cervello che devono lavorare in equilibrio. Se ho un grosso shock emotivo, questo orienta la mia azione cognitiva. Quindi, per tornare all’immagine, se voi andate al cinema e vedete Psycho e ne uscite un po’ sconvolti, quando tornate alla vostra auto, prima di partire aprite la portiera posteriore per vedere se c’è qualcuno che vi può spaventare o che vi può pugnalare.

Concludo lasciandovi questa frase, che nella figura è in inglese. E’ un’affermazione di Carl Buechner, a cui personalmente credo con grande convinzione:

“Gli studenti potranno dimenticare quello che avete detto, ma non dimenticheranno mai il modo in cui si sono sentiti durante le vostre lezioni”

E con questa idea vi lascio e diamo inizio alle relazioni della 1^ sessione con il Prof. Roberto Cubelli.

Precedente Successiva

You cannot copy content of this page