L’ISTRUZIONE BASATA SUI DATI: BENEFICI E LIMITI

Francesc Pedrò

INTRODUZIONE

Provate a pensare  all’impatto che la tecnologia ha oggi sulle nostre vite, gli algoritmi analizzano in continuazione il nostro comportamento – online e offline. In ogni momento forgiano ciò che facciamo e spesso ciò che faremo. In molti negozi online – Amazon è l’esempio più noto – le idee, i consigli e i prodotti che ci vengono offerti si basano sui dati relativi alla sequenza degli acquisti fatti nel tempo, alle nostre  navigazioni in internet e a molti altri fattori.

Ora, ci sono  alcuni tipi di intelligenza artificiale che ci permettono di  leggere questa enorme quantità di dati e di captare eventuali  modelli emergenti che potrebbero diventare vere e proprie tendenze, come per esempio l’interesse crescente per i libri di Elena Ferrante da parte degli uomini  di Catania (big data); oppure  ci consentono di analizzare situazioni particolari che possiamo  interpretare bene solo attraverso un approccio granulare (ad esempio attraverso gli small data).  Voglio farvi un esempio.

Guardiamo  insieme questo video

Come dimostra questo video, a volte si può verificare che ci fidiamo troppo dell’intelligenza artificiale!

DAI BIG DATA ALL’ANALISI DELL’APPRENDIMENTO

Nel campo dell’istruzione sono molti ad adottare l’analisi e la valutazione dei dati. Gli insegnanti ne sono un esempio. Sulla base dei punteggi dei test analizzano e valutano ciò che gli studenti hanno capito,  l’impegno in classe, la qualità dei compiti a casa con l’obiettivo di migliorare i risultati. Se è vero che gli insegnanti hanno  sempre analizzato e valutato gli apprendimenti dei loro studenti, va detto che oggi la possibilità di automatizzare gran parte di questo lavoro  li alleggerisce di questi compiti  e lascia loro più tempo ed energie per l’insegnamento.

Nelle classi digitalizzate si dà per acquisita la raccolta dei dati relativi ai lavori degli studenti, che possono essere analizzati a livello di singola attività, di lezione, di corso, di scuola, di distretto e così via . Questo modo di operare rappresenta già una parte fondamentale di quello che i guru della tecnologia pensano dovrebbe essere fatto dai sistemi scolastici per migliorare i risultati.  

Alcuni credono che sia giunta l’ora di utilizzare appieno questi dati. La posta in gioco è come presentare agli insegnanti  questa enorme mole di dati  in modo che ne possano trarre una qualche utilità. Non si tratta più di accumulare big data sull’istruzione, che esistono già e sono stivati in volumi che vanno ben oltre le umane capacità . Si tratta piuttosto di capire come questa grande quantità di dati possa essere utilizzata in modo efficace dagli insegnanti, dalle scuole e  più in generale dal sistema. E’ una questione di analisi dell’apprendimento.

L’analisi dell’apprendimento è stata definita come misurazione, raccolta, analisi e rapporto sui dati degli studenti e del loro contesto allo scopo di comprendere e ottimizzare l’apprendimento e gli ambienti in cui l’apprendimento ha luogo. Ogni risposta a un quiz può essere analizzata in modo da dare agli insegnanti un quadro preciso di ciò che gli studenti hanno appreso. Una sequenza di risposte errate non  si esaurisce in un brutto voto, gli insegnanti possono ricavare indizi sulle ragioni che hanno portato gli studenti a dare la risposta  sbagliata. Sulla base di questi dati gli editori possono analizzare  i vari capitoli dei libri di testo  e rendersi conto di quali vanno bene e di quali devono essere rivisti e modificati.

Ma cos’è che determina ovunque  questo crescente interesse per i big data nei confronti delle scuole? Credo che ci siano tre elementi chiave dietro l’assunto che i big data determinano un miglioramento dell’apprendimento.

Il primo elemento chiave: le Scuole dotate di tecnologia

Il primo elemento chiave è che ci sono già le condizioni perché questo accada nelle  scuole. La crescente presenza  della tecnologia  negli istituti scolastici può generare la produzione, la raccolta e l’analisi di grandi quantità di dati. In realtà  le scuole hanno sempre raccolto dati per adempiere alle richieste degli ispettori e della pubblica amministrazione. Allo stesso modo, la professionalità degli insegnanti si è sempre basata sulla capacità di interpretare i dati che provenivano da  diverse fonti, a volte anche molto informali, oppure  anche da intuizioni. E questo per rispondere meglio ai bisogni degli studenti. Un lavoro il più delle volte svolto a livello individuale, dovuto al  tipo di organizzazione delle scuole.   Oggi c’è qualcosa di più e di diverso. L’uso crescente della tecnologia da parte di studenti, docenti, dirigenti scolastici e  genitori, crea un  ambiente  favorevole e  fertile all’applicazione dei principi dei big data.

Il secondo elemento chiave: l’insegnamento orientato ai risultati

Una secondo elemento chiave è dato dalla crescente enfasi attribuita all’insegnamento orientato ai risultati. Ha molto a che vedere con la pressione  internazionale sulla rendicontazione, accountability, dei sistemi e delle scuole. Una tendenza che difficilmente potrà essere eliminata – basta guardare al panorama internazionale  determinato dall’indagine  PISA o alle pressioni nei confronti della valutazione esterna degli apprendimenti. Negli Stati Uniti, per esempio, la rendicontazione è alla base dei test standardizzati imposti dalla legge federale del 2002 No Child Left Behind , che è stata  rafforzata dalla legge del 2015 Every Student Succeeds Act (ESSA). Questa pressione è in prte sentita anche in Italia. Gli insegnanti non solo avvertono la pressione del governo, ma sentono in modo ancora più forte quella della società in generale e dei genitori in particolare, che vogliono avere maggiori informazioni sui risultati degli apprendimenti e si fanno  soggetti attivi nel processo di monitoraggio. Rispetto  a questo contesto politico e sociale i dati diventano una nuova “moneta” per la valutazione della professionalità degli insegnanti , come si vede già in alcuni Paesi.

Il terzo elemento chiave: gli interessi commerciali

Il terzo elemento chiave è di tipo commerciale. Alcune ditte che si occupano di tecnologia considerano il settore dell’istruzione  un mercato che offre grandi opportunità commerciali. E’ importante notare che le società di capitale di rischio scommettono che i big data nel campo dell’istruzione sono un buon investimento. Sono convinti  che se si trovano delle buone soluzioni tecnologiche capaci di aiutare gli insegnanti a migliorare  i risultati, gli amministratori e i genitori saranno  disposti a pagare anche grosse somme per ottenerle. Le nuove ditte che si occupano di tecnologie dell’educazione sono convinte di conoscere già e anche di avere ciò di cui le scuole e gli insegnanti hanno bisogno.  E in alcuni mercati a livello internazionale  c’è una competizione feroce per vendere alle scuole le migliori soluzioni tecnologiche per la gestione dei big data, mi riferisco ai mercati degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dei Paesi Bassi o di alcuni Paesi scandinavi, dove le scuole e gli enti locali hanno potere di acquisto molto alto e pertanto possono decidere cosa comprare. Alcune compagnie tengono traccia di tutta la carriera scolastica degli studenti. La società ACT Inc., che gestisce il test ACT, diretta competitrice della SAT, lancerà ad aprile un sistema per registrare i risultati degli studenti in inglese, matematica e science, dal terzo anno della scuola primaria  fino al secondo anno della Scuola Secondaria di secondo grado. La ACT dice che le batterie di test aiuteranno a garantire che gli studenti siano pronti per frequentare l’Università o  per affrontare il lavoro. Knewton, una piattaforma adattiva che registra in tempo reale i dati sulle abitudini di apprendimento degli studenti, ha ricevuto un finanziamento di 105 milioni di dollari per predire gli errori che gli studenti faranno nelle varie aree disciplinari e consentire apprendimenti più intelligenti e dinamici, ritagliati su misura sulle modalità con le quali i ragazzi imparano meglio. Su scala più ampia, la Renaissance Learning, una società che gestisce i test e i relativi dati degli studenti,  e che è stata venduta di recente ad una compagnia privata che gestisce fondi di investimentio per 1,1 miliardi di dollari,  questa società, dicevo, gestisce i dati di 10,7 milioni di studenti degli Stati Uniti che fanno regolarmente  test  sul portale online. È interessante il fatto che molte di queste aziende stiano vendendo soluzioni per rispondere a bisogni che nè le scuole, nè gli insegnanti riescono ad offrire, inoltre è interessante notare che queste soluzioni sono state sviluppate per gli insegnanti e non dagli insegnanti . È una sorta di dispotismo tecnologico: tutto per gli insegnanti, senza gli insegnanti.

Il caso degli Stati Uniti

Il video che ora vi mostrerò sintetizza  la percezione che di  questi argomenti si ha negli Stati Uniti:

PROMESSE E PROSPETTIVE

Oggi, se si osservano gli insegnanti nel corso di una loro giornata lavorativa, si nota che non si dedicano solo all’insegnamento, ma vagliano migliaia di dati, il più delle volte inconsapevolmente, e si può cogliere anche come influisca il loro giudizio professionale su  loro stessi e sugli studenti. L’aggiunta di nuove analisi e  di nuovi dati  non trasformerà improvvisamente gli insegnanti in analisti di dati. La promessa è piuttosto quella che l’accesso a maggiori e migliori dati e la capacità di visualizzarli in maniera più efficace  renda più semplice per gli insegnanti l’analisi dei dati raccolti. Ecco alcuni esempi:

  • Assegnare punteggi e attribuire voti: applicazioni come BubbleScore permettono in modo semplice, agli insegnanti  sia di somministrare test a scelta multipla tramite dispositivi mobili sia di scansionare e di attribuire punteggi su test cartacei per mezzo di telecamere mobili. Strumenti di questo tipo consentono agli insegnanti o a qualsiasi istruttore  di riportare i risultati sul registro e tenere traccia dei progressi in base a parametri definiti – utili per i report sugli standard nazionali, per esempio.
  • Apprendimento personalizzato e adattivo: Oltre a snellire l’assegnazione dei compiti e dei voti, le classi basate sui dati danno la possibilità  di verificare per ciascuno studente non solo ciò che  apprende , ma in che tempi  prende e a che livello. Una compagnia come la Knewton ha creato corsi digitalizzati che utilizzano analisi basate sui big data per capire  ciò che uno studente padroneggia o non padroneggia  e quali moduli o lezioni siano più adatti a lui.
  • Gestione dei problemi: I dati  vengono in aiuto degli insegnanti anche quando sorgono problemi in classe – come ad esempio quando si ha il sospetto che uno studente abbia copiato un compito scritto. iParadigms é una compagnia che sfrutta i big data per incrociare i compiti scritti con banche dati pubbliche e altre risorse online. Le sue app verificano se tutto il materiale presentato sia si stato proprio scritto dallo studente.

Il caso di AltSchool

Ci sono molti più esempi di app e di piattaforme create da ditte produttrici di tecnologie educative rispetto alle scuole che le usano. Può darsi che le scuole tradizionali non abbiano le condizioni per farlo e che gli insegnanti non abbiano le capacità professionali necessarie per dare piena implementazione a un’educazione basata sui dati.

Ma come sarebbe una scuola creata da zero e appositamente costruita per sfruttare appieno i big data?

AltSchool, una scuola startup privata, è stata fondata nel 2014 da Max Ventilla, un ex dirigente della Google. AltSchool ha raccolto 133 milioni di dollari dalla Zuckerberg Education Ventures, dalla Emerson Collective (la società venture filantropica fondata dalla vedova di Steve Jobs, Laurene Powell Jobs), dalla Founders Fund (la società di investimenti di Peter Thiel) e da altri.

Il video che ora vi mostro ci dà un’idea della AltSchool:

Come avete potuto vedere , ad AltSchool tutto è all’insegna dei dati. La classe alla AltSchool è una classe a controllo totale: telecamere, microfoni e sensori fanno tracciati degli studenti e degli insegnanti: delle loro conversazioni, del linguaggio del corpo, delle espressioni facciali, delle loro attività. Il software traccia i loro clic, tutti gli studenti sono provvisti di strumenti informatici. Ogni cosa è considerata una transazione che può essere monitorata e analizzata e poi riprogettata, tra cui:

  • l’utilizzo da parte dei genitori dell’app, calcolato sia attraverso il numero di visualizzazioni settimanale, sia attraverso la percentuale di genitori che hanno visitato l’app  almeno una volta alla settimana;
  • l’adozione dell’app da parte degli insegnanti, misurata dalla frequenza con cui ogni insegnante in ogni classe  aggiorna l’app con dei post;
  • la personalizzazione, misurata con il numero di post individuali agli studenti e ad annotazioni specifiche per studente condivise nelle ultime due settimane;
  • La qualità, misurata attraverso la revisione del contenuto di ogni singolo post che ogni insegnante ha aggiunto allo Stream;
  • La soddisfazione dei genitori e dell’insegnante, misurata mediante un sondaggio di AltSchool surveys per ciascun gruppo.

AltSchool ha cercato di targare questa sorveglianza personalizzata come educazione progressiva, come quella della Montessori o di Reggio Emilia (citati insieme perchè, evidentemente, né i dirigenti della Silicon Valley né  i commercianti delle tecnologie educative conoscono la differenza tra queste due teorie pedagogiche italiane).

A voi lascio il compito di dare un  senso a questa descrizione, a come i guru della tecnologia immaginano la riprogettazione delle scuole, per migliorarle sfruttando i big data. Ancora non disponiamo di nessuna  prova empirica che questo approccio fondato sui dati  funzioni meglio delle scuole tradizionali. Ma possiamo già sollevare alcune  questioni  di fondo.

PROBLEMI E POSSIBILI SOLUZIONI

Cominciano a svilupparsi grandi dibattiti attorno agli assunti, spesso impliciti, che stanno alla base dell’analisi dell’apprendimento, e  contestualmente ai loro limiti, se utilizzati in modo grossolano. E’ inevitabile che lo sviluppo e l’adozione di strumenti analitici sollevino delle questioni.

  • Che ne è della  politica della privacy?
  • Chi avrà accesso a cosa?
  • È possibile che un insegnante riceva troppe informazioni?
  • Esistono pericoli che possano distorcere gli obiettivi dell’insegnamento? O dell’apprendimento?

Per prima cosa occorre sottolineare che i dati non sono neutrali. I sistemi di informazione filtrano e riducono il mondo in categorie. Quando sono fatti bene, i modelli semplificati aiutano a cogliere l’attuale travolgente complessità, ma se fatti male ignorano importanti dettagli. Un indicatore della “salute” dell’analisi dell’apprendimento sarà la qualità del dibattito attorno a ciò che la tecnologia rende visibile e a ciò che  lascia invisibile.

In secondo luogo, le analisi dell’apprendimento perpetuano i regimi  della valutazione. Esse sono tese a migliorare il successo scolastico degli studenti. Di conseguenza sono sempre progettate sulla prospettiva del “successo”, in questo modo definiscono a priori i modelli che si ritengono progressisti, e su questi raccolgono i dati. Il principale fattore nella pratica dell’insegnamento, e di conseguenza nell’esperienza dello studente, è il sistema di valutazione. Il rischio è che, attraverso l’istruzione basata sui dati, si imponga un regime di valutazione che non sia in linea con ciò che le scuole e gli insegnanti stanno facendo.

In terzo luogo, esiste una questione etica che va oltre la privacy. Le questioni etiche investono le analisi dell’apprendimento, esattamente come  ogni campo che si occupa della condivisione e dell’interpretazione di dati personali. Forse il più grande ostacolo all’uso di dati nelle scuole non è tecnologico. E’ piuttosto la paura che così facendo si invada la privacy degli studenti. Per esempio i genitori sono preoccupati che le prime difficoltà di lettura del figlio possano poi avere ripercussioni presso i futuri datori di lavoro o generare episodi di bullismo a scuola. Chi decide quali sono i dati importanti da registrare, come sono “puliti” per l’aggregazione con altri dati e  se questi database sono confrontabili? Chi decide come rendere visibili questi dati ? E coloro che li vedono sono abbastanza alfabetizzati per poterli interpretare? E’ giusto che gli studenti abbiano accesso ai propri dati e a quelli dei compagni?

E quindi?

Se si pensa che i dati, nel campo dell’istruzione o in qualsiasi altro campo, sono prestabiliti,  bisogna rifletterci su. Lavorare con i dati, specialmente in classe, può essere estenuante o esilarante – a seconda del vostro livello di adeguatezza. I dati possono essere grandi, ma possono essere anche piuttosto piccoli. Sono   spesso quantitativi, ma sempre più qualitativi. Sono predittivi, ma non sempre inclusivi. Sono privati, ma non sempre protetti. Ma una cosa è certa: i dati hanno un enorme  impatto sull’insegnamento e sull’apprendimento. Forse questi nuovi strumenti potranno aiutare gli studenti a raggiungere il successo, a capire cosa apprendono e come apprendere meglio.

Esiste un fattore decisivo al centro di tutto questo: l’insegnante e il ruolo centrale che ancora gioca nella trasformazione della classe in base ai dati. Via via che la classe diventa sempre più connessa ai dati e al suo enorme potenziale, la mente umana che gestisce il processo rimane molto più centrale nelle esperienze degli studenti. E così è per le competenze degli insegnanti e per le loro capacità. Insegnare e apprendere ha a che fare con l’interazione umana, che può essere supportata o aumentata dalla tecnologia.

Agli insegnanti il posto di guida

I big data e l’analisi dell’apprendimento ci sono e rimarranno e molti insegnanti già lo sanno. Secondo uno studio condotto da The New America Foundation più dell’ 87% degli insegnanti degli Stati Uniti crede che l’analisi dei dati possa rappresentare un potente strumento di insegnamento/apprendimento in aula. Invece di stare seduti e aspettare di vedere quali saranno gli sviluppi futuri dei big data nell’analisi dell’apprendimento educativo, il modesto consiglio che vi do è: parlatene e occupate il posto di guida. Per fare questo, munitevi delle competenze e abilità richieste e utilizzate ogni occasione per ricordare ai governi, all’industria delle tecnologie educative e ai principali protagonisti dell’educazione che se si vuole fare un buon uso delle soluzioni tecnologiche, dei big data e dell’analisi dell’apprendimento, la vostra voce deve essere ascoltata per prima!

In ultima analisi voi siete i soli  capaci di collegare i punti, di interpretare i dati e di usarli per arricchire di informazioni la vostra professionalità, piuttosto che farvi guidare.

Al momento, una buona esperienza scolastica inizia ancora con un buon maestro.

Riferimenti

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