I FOCUS DI PISA N. 72 – 73 – 74

a cura di Marco Bardelli

Cosa sanno i quindicenni del denaro?

Cosa dice il Focus n.72

Le competenze  finanziarie degli studenti

Le province e città della Cina: Bejing, Shangai, Jiatsu e Guangdong sorpassano nettamente nei risultati sull’alfabetizzazione finanziaria gli altri Paesi partecipanti all’indagine PISA.

In tali competenze il 12% degli studenti dei Paesi OCSE si colloca al livello 5 della scala PISA, cioè nell’eccellenza, ma ben il 22% si colloca al livello 1 o al di sotto di questo.

Tra i Paesi che hanno più del 20% di studenti a questi livelli  bassissimi ci sono, tra gli altri, Spagna e USA.

In media nei 10 Paesi partecipanti, solo circa il 38% della variazione nei punteggi sull’alfabetizzazione finanziaria riflette fattori che sono pertinenti unicamente alla valutazione di questa competenza, mentre il restante 62%  riflette abilità che possono essere ricondotte alla valutazione ottenuta in matematica e/o  lettura. Un aiuto all’apprendimento dell’ alfabetizzazione finanziaria può  dunque venire dall’apprendimento della matematica e della lettura collegato ai temi finanziari. Le scuole sono chiamate anche a fornire un punto di vista diverso da quello fornito dalla pubblicità o dai media. La questione sul come questa modifica delle materie di base possa essere efficace allo scopo è però ancora dibattuta.

Come variano i risultati nella alfabetizzazione finanziaria  tra I Paesi  e in base alle caratteristiche degli studenti

Le variazioni nei punteggi sull’alfabetizzazione finanziaria sono notevoli e sono maggiori quelle all’interno dei singoli Paesi rispetto a quelle tra  Paesi diversi.

L’Italia è l’unico Paese in cui  i ragazzi hanno punteggi maggiori delle ragazze (11 punti).

Come al solito gli studenti socio-economicamente svantaggiati hanno risultati inferiori di quelli più avvantaggiati, corrispondenti a circa un livello della scala PISA. Nel 22% di studenti che sono al di sotto del livello 2 in alfabetizzazione finanziaria, livello considerato di competenza minima, gli studenti socio-economicamente svantaggiati sono sovra-rappresentati. Bisogna notare che l’ alfabetizzazione finanziaria è importante per tutti, ma in particolare proprio per coloro che hanno scarsa disponibilità di denaro al fine di una sua gestione oculata. Per questo bisogna intervenire per colmare il gap di competenze tra studenti al fine di dare a tutti migliori opportunità per essere, anche in futuro, maggiormente indipendenti. Anche il fattore immigrazione pesa. Gli studenti immigrati, in Paesi con almeno il 5% di studenti immigrati, hanno in media 15 punti  in meno degli studenti non immigrati.

 L’esperienza degli studenti con il danaro

In 10 dei 13 Paesi partecipanti, l’ alfabetizzazione finanziaria è associata con il fatto di essere oggetto di conversazione in famiglia con i genitori (tenuto conto delle variabili socio-economiche). Molte delle conoscenze degli studenti sull’ alfabetizzazione finanziaria derivano infatti dall’ambiente familiare. In tutti i Paesi più di uno studente su due discute di questioni legate al denaro settimanalmente. In 10 Paesi questo aspetto è in relazione diretta con l’ alfabetizzazione finanziaria degli studenti.

Oltre l’80% degli studenti, di 9 dei 13 paesi partecipanti, riceve del denaro come “paghetta settimanale”, cioè senza dover lavorare, mentre in media il 64% degli studenti riceve denaro come ricompensa per qualche lavoro svolto in famiglia o fuori. Coloro che ricevono denaro come “paghetta settimanale” in media hanno 13 punti in più nei risultati PISA sull’alfabetizzazione finanziaria (tenuto conto degli altri fattori). Le evidenze della correlazione positiva tra l’ alfabetizzazione finanziaria e il ricevere una “paghetta settimanale” (e anche con il fatto di avere un conto in banca), fa pensare che l’esperienza con prodotti finanziari, o con il denaro, rinforzi l’ alfabetizzazione finanziaria. In questo tipo di esperienze i genitori sono sicuramente coinvolti e hanno un ruolo: possono contribuire alla loro migliore gestione anche attraverso il regolato e consapevole utilizzo di prodotti e servizi finanziari.

Alfabetizzazione finanziaria, comportamenti e aspettative

Il 50% degli studenti riferisce di mettere da parte i soldi per comperare qualcosa per il quale non hanno ancora abbastanza denaro. Studenti ai livelli 4 o 5 (livelli alti) hanno una probabilità tre volte maggiore di aspettare di acquistare qualcosa per la quale al momento non hanno sufficiente denaro, rispetto a studenti di livello 1 o inferiore che invece riferiscono che l’acquisto lo farebbero ugualmente anche usando soldi che dovrebbero essere spesi per altri scopi.

 Studenti ai livelli 4 o 5  riportano di voler continuare la loro istruzione a livello universitario.

Tutti devono  avere competenze finanziarie basilari in un’epoca di globalizzazione e di tecnologie digitali che hanno reso i servizi finanziari più accessibili e sfidanti

La globalizzazione e le tecnologie digitali hanno reso i prodotti finanziari più complessi e allo stesso tempo accessibili.

Gli studenti, ma anche gli adulti, devono affrontare delle decisioni in merito alla gestione del proprio reddito, in riferimento al momento più conveniente per andare in pensione e a quali occasioni finanziarie possono rivelarsi delle truffe.

Mentre le politiche d’istruzione si occupano delle competenze finanziarie degli studenti, i Paesi devono occuparsi complessivamente anche degli adulti, in particolare di quelli in condizione di svantaggio, attraverso strategie nazionali di educazione finanziaria. Impegnare anche gli adulti nell’educazione finanziaria è una delle vie migliori per aumentare queste competenze anche negli studenti e può integrare ciò che gli studenti apprendono per altre vie.

COMMENTO

Sarà forse anche per la ormai consolidata abitudine ai test, che per l’Italia i risultati PISA sull’ alfabetizzazione finanziaria del 2015 registrano un miglioramento di 23 punti rispetto al deludente 2012, tre in meno della media OCSE. In questi ultimi anni è comunque risuonato sulla stampa un allarme per le carenti competenze finanziarie dei giovani a livello europeo, allarme comparso con la pubblicazione di articoli su ricerche e sondaggi sull’argomento condotte in diversi Paesi. La preoccupazione riguarda in modo particolare anche il mondo dell’impresa, che di queste competenze ha sicuramente bisogno. Quanto però in Italia sia sentita dalle imprese la necessità di avere personale, e quindi giovani diplomati e laureati, competenti in materie economico finanziarie è ancora poco chiaro, perché spesso sono anche gli adulti a restare indietro drammaticamente su questo tema. Così come sono indietro nelle competenze matematiche e nelle nuove tecnologie che assieme dovrebbero formare il nucleo solido dei saperi fondamentali nelle nuove professioni. Si sconta un’arretratezza culturale, non solo in Italia, che potrà costare cara nella corsa alla preparazione delle nuove leve o élite tecnico-professionali anche se da dieci anni la banca d’Italia e il MIUR hanno adottato un programma di educazione finanziaria per le scuole interessate. Sentire pochissimi anni fa maitre à pénser nostrani decantare la bellezza e l’importanza della laurea in Scienze della Comunicazione e al tempo stesso guardare dall’alto in basso matematici e ingegneri fa davvero preoccupare (il riferimento è a Giuliano Ferrara in TV a 8 1/2). In questo settore delle conoscenze si aprirebbero ampi margini per un’alternanza scuola lavoro fruttuosa per studenti e aziende che potrebbe fungere anche da volano per modifiche mirate dei curricoli. Una modifica  per giustapposizione di contenuti lascia perplessi anche i ricercatori OCSE che da qualche mese insistono sul ruolo decisivo dell’educazione informale nell’ambiente familiare e in particolare sul ruolo al suo interno del dialogo e delle esperienze tra quindicenni e genitori. Imparare a leggere assieme una bolletta, comprendere il funzionamento di bancomat, carta di credito o di un conto corrente, magari usufruendo dei conti correnti on line, compilare un bollettino postale, sapere la differenza tra uno scontrino e una ricevuta  fiscale potrebbero essere in famiglia già momenti di educazione informale utili per avvicinare i ragazzi ad aspetti che saranno certamente parte del loro futuro. Viene anche sottolineato il positivo mantenimento di buone vecchie pratiche educative, come la paghetta settimanale, ora forse meno in voga di quaranta anni fa, ma che il rapporto OCSE ci indica come un primo mezzo per comprendere il valore e la funzione del denaro.

Gli studenti dedicano abbastanza tempo al loro apprendimento?

Cosa dice il Focus  n.73

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Gli studenti dedicano abbastanza tempo all’apprendimento?

Il tempo è essenziale per l’apprendimento. Ad esempio per gli anglofoni i dati ufficiali indicano in 600 ore il tempo necessario per imparare bene il francese, l’italiano o lo spagnolo, 1100 ore per il russo e 2200 per il cinese mandarino o l’arabo. A scuola il tempo è necessario agli studenti per affrontare gli argomenti previsti, per i rinforzi, per fornire e ricevere feedback e per esercitarsi. Ma il solo prolungarsi del tempo non è sufficiente per l’apprendimento, dipende da come viene usato: se in attività efficaci o se in attività solo faticose e anche controproducenti. PISA ha indagato i diversi segmenti temporali dedicati all’apprendimento da parte degli studenti in scienze, matematica, lettura, lingue straniere e in alte materie.

Vi sono notevoli differenze fra I Paesi nel numero di ore di studio e nel tempo assegnato alle varie discipline

Il tempo dedicato all’apprendimento a scuola e fuori dalla scuola è molto variabile tra i diversi Paesi: dalle 40 alle 54 ore alla settimana.

Il tempo medio OCSE risulta di 44 ore alla settimana: il 55% del tempo disponibile tolti i fine settimana e 8 ore in media per il sonno.

 Le differenze tra i Paesi sono spiegate soprattutto in termini di ore dedicate all’apprendimento al di fuori dell’orario scolastico. Per esempio gli studenti negli Emirati Arabi spendono  nello studio il maggior tempo in assoluto (58 ore), mentre gli studenti in Finlandia il minor tempo (36 ore). Ma negli Emirati Arabi gli studenti fanno 17 ore di studio in più dei finlandesi dopo la scuola, ma solo 5 in più a scuola.

Vi è anche una discreta differenza nel tempo dedicato alle singole materie a scuola. Ad esempio in alcuni Paesi come Cina (B-S-J-G), Emirati Arabi,  Russia e Singapore almeno il 18% del tempo scuola è dedicato alle scienze rispetto a una media OCSE del 13%. Invece Canada, Cile e Danimarca sono i Paesi che dedicano maggiore tempo allo studio delle lingue straniere. Sempre Canada e Cile con il Perù sono i Paesi in cui si fanno più ore di matematica. Corea,  Irlanda, e Montenegro sono i Paesi in cui altre materie hanno maggiore peso. C’è quindi differenza di approccio tra i Paesi se dedicare o meno più ore alle materie di base rispetto alle altre. I Paesi che dedicano maggior tempo alle materie di base (lingue straniere, matematica, scienze e lingua madre) sono Canada, Cile, Cina (B-S-J-G), Emirati Arabi e Singapore.

Studiare più ore non produce necessariamente  migliori risultati

Alcuni Paesi mostrano un buon equilibrio tra tempo di apprendimento e risultati scolastici. Per esempio in Australia, Estonia, Finlandia, Germania, Giappone, Nuova Zelanda , Olanda, Svezia e Svizzera gli studenti hanno punteggi nella media OCSE o superiori in scienze, eppure non trascorrono tante ore a scuola e nello studio a casa, quanto meno in confronto ad altri sistemi scolastici. Per contro in altri Paesi, per esempio  nei Paesi dell’ Asia orientale, lo studente tipo ha alti risultati in PISA, ma passa molto più tempo a studiare anche al di fuori dell’orario scolastico. In altri Paesi ancora  gli studenti svolgono molte ore di studio ma con risultati decisamente inferiori (v.Cile, Costa Rica, Emirati arabi, Perù, Tailandia, Tunisia, etc.). Questo basso rapporto tra ore di studio e risultati può essere interpretato in diversi modi: come un basso tasso di efficacia del sistema di istruzione, come una differenza nel tempo dedicato all’apprendimento nei diversi segmenti scolastici (per cui alle superiori gli studenti sono costretti a recuperare quello che non è stato fatto in precedenza). Un’altra interpretazione può essere questa: in alcuni Paesi le opportunità di apprendimento al di fuori del sistema scolastico (educazione informale) che si integrino con quelle scolastiche sono minime e gli studenti sono costretti a compensare con lo studio domestico questa carenza di opportunità.

Un incremento del tempo scolastico dedicato alle scienze è associato con un aumento del punteggio nel test PISA. Al contrario, per ogni ora in più passata a studiare scienze al di fuori della scuola, la media del punteggio in scienze scende di 20 punti. Da questi dati si può dedurre che imparare scienze a scuola dà migliori esiti che impararle a casa, ma anche che studenti di sistemi di istruzione con bassi risultati è necessario che partecipino in attività extrascolastiche più di quanto facciano gli studenti di sistemi di istruzione con alti risultati PSIA.

In conclusione

E’ difficile dire quanto tempo gli studenti dovrebbero dedicare allo studio, ma appare chiaro che molti studenti trascorrono troppo tempo a studiare dopo la scuola almeno più di quanto sembri ragionevole se vogliono condurre una vita equilibrata. Lo studio fuori dalla scuola  non solo rende l’apprendimento meno equo, in relazione alla qualità e disponibilità delle opportunità di apprendimento extrascolastiche, ma è anche un modo meno efficace di far fronte alle sfide degli apprendimenti durante le regolari ore di scuola. Per aiutare gli studenti ad evitare di spendere una quantità sproporzionata di tempo a fare i compiti e a prendere lezioni private, i politici, le scuole, gli insegnanti e i genitori dovrebbero raddoppiare i loro sforzi per rendere più produttivo ed efficace il tempo trascorso a scuola.

COMMENTO

In Italia gli orari  di studio a scuola e a casa sono da molto tempo oggetto di discussioni e di contrasti. Basti citare la battaglia contro i compiti a casa per i bambini della scuola primaria a tempo pieno  che già trascorrono 8 ore a scuola, o l’assurda parcellizzazione dei contenuti e la proliferazione delle discipline nella scuola secondaria, priva di opzionalità, che impedisce di dedicare, il dovuto tempo alle materie di base.

 E ancora lo scarso tempo dedicato alle materie caratterizzanti rispetto a quelle generaliste negli ultimi tre anni della scuola secondaria di 2° grado, con particolare riferimento alle materie professionalizzanti degli Istituti Tecnici e professionali.

In breve non si può dire che in Italia ci sia un buon equilibrio fra tempo trascorso a scuola e compiti a casa, né un soddisfacente utilizzo del tempo scuola.

E’ bene ricordare che il primo vero tentativo di superare la vecchia concezione ottocentesca del tempo coincide con l’avvio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. L’art. 21 della Legge 59/97 e soprattutto il regolamento (DPR 275/99) affrontato il problema della flessibilità organizzativa, aprendo spiragli di riflessione e di progettazione dei tempi di insegnamento e apprendimento del tutto nuovi per la tradizione italiana. C’è un tentativo di finalizzare i tempi d’insegnamento all’eterogeneità degli allievi, alla diversificazione dei metodi, all’apertura della scuola all’ambiente e al territorio, all’utilizzazione delle nuove tecnologie, al lavoro in équipe degli insegnanti.  Sappiamo, però, che nonostante il passo avanti rimangono intatte le abitudini consolidate.

I vincoli entro cui è costretta l’organizzazione del tempo scuola sono ben noti ai dirigenti scolastici e ai loro collaboratori: orari del personale, dei trasporti, pause, “desiderata” dei professori, piano di utilizzo dei laboratori e delle aule, organizzazione delle riunioni, calendario dei consigli di classe, degli esami, ecc.
L’uso del tempo è dunque condizionato da un insieme complesso di regole formali, di numerosi vincoli organizzativi e materiali, di abitudini e obblighi della vita sociale. Ma resta la domanda principale: in che misura l’organizzazione del tempo si concilia con il ritmo di vita degli studenti?

Sul sito ADi ci sono due interessanti pubblicazioni sul tempo scuola di Rosario Drago:

Quanto è problematico il bullismo a scuola?

Cosa dice il Focus  n.74

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Migliaia di studenti sono vittime di bullismo sociale o fisico

I dati raccolti per la prima volta da PISA sul fenomeno del bullismo indicano come questo sia molto diffuso. In media l’11% degli studenti dei Paesi OCSE riferisce di aver subito delle frequenti prese in giro, l’8% di essere oggetto di maldicenze e il 7% di essere frequentemente escluso o isolato dagli altri. Il 4% riferisce di aver subito piccole aggressioni fisiche (ma la percentuale tra i paesi varia dall’1% al 9%), di essere stato minacciato o di aver subito danni ai propri beni. In media uno studente su 5 è oggetto di questi atti di bullismo. E’ più probabile che siano oggetto di fenomeni di bullismo: i maschi, gli studenti immigrati se arrivati dopo i 12 anni di età e gli studenti di scuole svantaggiate (con l’eccezione in quest’ultimo caso di Giappone, Corea e Macao dove avviene il contrario).

La prevalenza di bullismo a scuola ha effetti negativi sugli esiti scolastici

Il bullismo ha effetto anche sugli esiti scolatici: infatti scuole dove sono più frequenti episodi di bullismo (più del 10% di studenti coinvolti in atti di bullismo) in media riportano in scienze 47 punti in meno delle altre (meno del 5% di studenti coinvolti). La differenza permane anche tenuto conto delle disparità socio-economiche.

Il bullismo ha conseguenze a lungo termine sul benessere degli studenti

Essere vittime di bullismo sottopone a forte stress gli studenti che ne risentono in maggiore misura a causa dello sviluppo psicofisico caratteristico della loro età. Le vittime di bullismo non si sentono accettate e  hanno difficoltà a sentirsi a proprio agio e a trovare una giusta collocazione nei rapporti all’interno della loro scuola. Questi sentimenti sono tipici del 42% degli studenti vittime di bullismo a fronte del 15% degli studenti che invece non subiscono questo trattamento. Conseguenze del bullismo sono ansia, disturbi del sonno, depressione e un aumento delle assenze.  Anche il grado soddisfazione per la vita diminuisce (vedere la sintesi sul rapporto PISA relativo al benessere degli studenti).

E’ un forte deterrente al bullismo la creazione da parte dei docenti e dei dirigenti scolastici di un clima di sicurezza, con regole disciplinari condivise e di rapida applicazione, sostenuto da un comportamento coerente e “adulto” dei docenti, nei quali gli studenti sanno di poter trovare ascolto e comprensione.

Altri due aspetti importanti per arginare il fenomeno del bullismo sono: 1) la formazione dei docenti soprattutto in merito alla capacità di riconoscere le diverse forme di bullismo, 2) il coinvolgimento delle famiglie

COMMENTO

In Italia il fenomeno del bullismo tra i minori è diffuso e  in continua evoluzione, spesso con una sottovalutazione da parte della scuola delle pesanti conseguenze che ha nel presente e nel futuro.

Secondo le ultime stime dell’ISTAT ( dicembre 2015 Rapporto su bullismo e cyberbullismo ) :

 “Nel 2014, un po’ più del 50% degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale.” (…) “Tra i ragazzi utilizzatori di cellulare e/o Internet, il 5,9% denuncia di avere subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o sui social network. Le ragazze sono più di frequente vittime di cyberbullismo (7,1% contro il 4,6% dei ragazzi).”

La scuola deve dunque assumere il bullismo e il  cyberbullismo in tutta la loro gravità, deve attrezzarsi per riconoscerli, per monitorarli e contrastarli. Gli insegnanti vanno preparati adeguatamente, perché insieme si possa combattere questa che è diventata una vera e propria piaga sociale.

Rispetto all’argomento bullismo riguardare anche quanto scritto nel documento OCSE sul benessere a scuola.

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