I FOCUS DI PISA N. 75 – 76 – 77 – 78 – 79

a cura di Marco Bardelli

La qualità dell’istruzione diminuisce quando si amplia il numero di studenti di condizioni socio-economiche deprivate?

Cosa dice il Focus n.75

Premessa

E’ necessaria una precisazione iniziale relativa alla partecipazione degli studenti all’indagine PISA. Nel 2015 il campione dei partecipanti non è stato estratto da tutti gli studenti nati nel 1999. Infatti la data di nascita nonè il solo requisito per la partecipazione, occorre anche essere iscritto a scuola, al momento dell’indagine, al settimo anno di scolarizzazione o a un anno ad esso superiore. Così, in Paesi a medio-basso reddito, il campione non rappresenta tutta la popolazione dei quindicenni. I risultati di PISA rappresentano allora una combinazione di accesso all’istruzione dei quindicenni e qualità dell’istruzione che ricevono.

L’accesso all’istruzione è aumentato enormemente

Negli ultimi decenni l’istruzione secondaria si è espansa in tutto il mondo. Questo fatto si riflette nell’indagine PISA con l’inserimento, tra il 2003 e il 2015, di studenti di altri Paesi quali: Indonesia (1,1 milione), Turchia e Brasile (più di 400.000), Messico (più di 300.000). Negli anni si è ampliata la copertura dei partecipanti all’indagine PISA in diversi Paesi (oltre a quelli sopra menzionati). Le cause dell’aumento del numero globale degli studenti quindicenni sono state:

  • l’aumento dell’età dell’obbligo scolastico in diversi Paesi;
  • l’aumento dei sostegni, anche economici, alle famiglie i cui figli sono a rischio di abbandono scolastico;
  • i cambiamenti nell’urbanizzazione e nelle economie di alcuni Paesi.

Questi cambiamenti nella popolazione degli studenti quindicenni rendono più difficile l’interpretazione della variazione nel tempo dei punteggi medi delle prove PISA. Infatti, aumenti della copertura della popolazione di studenti quindicenni possono portare a sottostimare i miglioramenti raggiunti dai sistemi di istruzione.

Le indagini sulle condizioni di vita famigliari ci confermano che i figli di famiglie che vivono in zone rurali, che appartengono a minoranze etniche o che sono in condizioni di povertà hanno maggiore probabilità di non terminare l’istruzione secondaria inferiore. Ciò ha come conseguenza l’aumento progressivo della presenza in PISA di quindicenni che conseguiranno bassi punteggi nelle prove.

Sorpendentemente l’espansione dell’accesso all’istruzione è stato spesso accompagnato da miglioramenti dei risultati medi in PISA

In molti dei Paesi in cui è aumentato il numero degli studenti quindicenni non è stato registrato un calo della qualità media dell’istruzione (i paesi sono: Albania, Brasile, Colombia, Costa Rica, Indonesia, Giordania, Messico, Turchia e Uruguay). Tutti questi Paesi, esclusi Costa Rica e Uruguay, hanno anche migliorato i livelli di competenza matematica degli studenti del quartile migliore. L’analisi dei punteggi del 25% degli studenti migliori nei vari Paesi conferma che nello stesso periodo in cui si è avuto l’aumento dell’accesso all’istruzione da parte dei quindicenni, i punteggi più bassi all’interno del 25% degli studenti migliori sono rapidamente migliorati. Ciò indica come l’ampliamento dell’accesso all’istruzione non inficia la qualità degli apprendimenti degli studenti migliori ma anzi, anche gli studenti migliori possono trarre beneficio dall’aumento del numero complessivo di studenti svantaggiati nei sistemi di istruzione.

Nonostante questi dati, siamo ancora lontani dall’obiettivo di estendere universalmente l’istruzione secondaria. L’UNESCO ci dice infatti che ancora nel 2014, il 34% dei bambini dell’Africa Sub-Sahariana e il 20% dei bambini del Sud Est asiatico in età di istruzione secondaria inferiore rimangano fuori dai sistemi di istruzione. In PISA 2015 permangono ancora bassi livelli di copertura in Viet Nam (49%), Messico (62%), Costa Rica (63%), Bejing-Shangai-Jiangsu-Guangdong (Cina) (64%).

Molti Paesi di basso-medio reddito nel corso del 2017/18 stanno partecipando all’iniziativa “PISA per lo sviluppo” che comprende un progetto pilota per l’indagine su alcune competenze dei bambini che non frequentano la scuola.

COMMENTO

Il Focus 75 fa  tre affermazioni:

  • avere tutti i quindicenni iscritti a scuola è il primo passo per avere un sistema scolastico inclusivo, anche se si è ancora lontani dall’obiettivo di estendere universalmente  l’istruzione secondaria.
  • Maggiore inclusione e migliore qualità possono andare di pari passo. Un’affermazione per molti sorprendente: l’ampliamento della platea degli studenti nelle scuole secondarie non ha determinato  uno scadimento complessivo dell’istruzione così come è misurata dai test PISA.
  • L’ampliamento dell’accesso all’istruzione non inficia la qualità degli apprendimenti degli studenti migliori, ma anzi, anche gli studenti migliori possono trarre beneficio dall’aumento del numero complessivo di studenti svantaggiati nei sistemi di istruzione.

In che modo le scuole compensano gli svantaggi socio-economici?

Cosa dice il Focus  n.76

Esistono barriere all’apprendimento che agiscono all’esterno delle scuole a livello socio-economico e la concentrazione in determinate scuole di studenti in condizioni deprivate pone ulteriori difficoltà al miglioramento dei livelli complessivi di istruzione. E’ anche vero che le scuole con efficaci ambienti di apprendimento e un’adeguata qualità di risorse possono parzialmente compensare le disparità dovute al livello socioeconomico. Di conseguenza tutte le scuole dovrebbero adeguare la propria didattica investendo nelle pratiche di insegnamento che danno migliori risultati in termini di efficacia degli apprendimenti.

I risultati in scienze di PISA 2015 evidenziano una variazione tra le scuole del 26%, tra sistemi di istruzione del 22% e tra studenti del 53%. Ciò significa che anche ciò che avviene all’interno delle scuole e nei sistemi scolastici ha una importanza rilevante.

Ad esempio il modo in cui i docenti insegnano scienze è correlato ai risultati degli studenti in questa disciplina. I punteggi sono migliori quando con maggiore frequenza l’insegnante “adatta le lezioni alle necessità e conoscenze (degli studenti)”, “fornisce aiuto agli studenti con difficoltà di comprensione su un argomento o concetto” (personalizzazione dell’istruzione), “spiega le idee della scienza”, “discute le loro domande” o “dimostra un’ idea o un concetto” (istruzione guidata). Questo è facilitato da un ambiente di apprendimento disciplinato e rispettoso, così come dai comportamenti degli insegnanti quali il fornire sostegno, dimostrare interesse per gli studenti e dare loro la possibilità di esprimere le proprie idee. Queste caratteristiche alimentano il senso di appartenenza alla scuola e quindi migliorano il benessere degli studenti e gli esiti scolastici.

Anche la frequenza alle lezioni ha importanza, come hanno dimostrato i risultati in scienze. Studenti che frequentano regolarmente le lezioni durante la settimana hanno risultati migliori. Quindi è importante spingere gli studenti a frequentare le lezioni per migliorare.

Infine anche un uso razionale delle risorse ha molta importanza. Avere bravi insegnanti di scienze, laboratori attrezzati e materiali adeguati per attività in classe, insieme con la disponibilità di attività extracurricolari in scienze (competizioni o laboratori di ricerca), permette agli studenti di ottenere migliori risultati.

PISA 2015 ha rilevato come la differenza negli ambienti di apprendimento tra scuole socio-economicamente avvantaggiate e svantaggiate può avere una rilevanza cruciale.

In 37 Paesi su 69 gli insegnanti di scuole avvantaggiate usano l’istruzione guidata più frequentemente che in scuole svantaggiate.

In 16 paesi l’istruzione personalizzata è usata più di frequente in scuole avvantaggiate rispetto a quelle svantaggiate sebbene in Belgio, Croazia, Francia, Israele, Italia, Lettonia, Montenegro e Spagna l’istruzione personalizzata sia usata di più nelle scuole svantaggiate.

Inoltre in 39 Paesi il clima disciplinare è migliore nelle scuole avvantaggiate ed è il fattore maggiormente correlato al vantaggio socioeconomico. Ma in alcuni Paesi quali Algeria, Macao (Cina), Moldavia, Russia, Tailandia e Tunisia la disciplina (nel senso di comportamento) è migliore nelle scuole svantaggiate, evidenziando come in alcuni casi le scuole possono gestire il problema della disciplina anche in contesti svantaggiati. In alcuni Paesi quali Estonia, Finlandia e Norvegia non si riscontrano differenze nel clima disciplinare tra scuole avvantaggiate e svantaggiate. Questi sistemi gestiscono alti risultati con alti livelli di equità.

In 34 Paesi è più probabile che gli studenti di scuole svantaggiate dichiarino che gli insegnanti diano loro un maggior supporto di quanto facciano gli insegnanti di scuole socioeconomicamente avvantaggiate; il contrario è osservato solo in 7 Paesi. Nonostante che la relazione tra supporto dei docenti e risultati sia più debole rispetto a quella che coinvolge altri fattori, questa è una notevole eccezione rispetto allo schema rilevato per le migliori pratiche didattiche osservato nelle scuole avvantaggiate. La spiegazione può essere dovuta al fatto che il supporto dei docenti è fornito per studenti immigrati, la cui lingua madre non è quella del Paese ove vanno a scuola e in condizioni di povertà o ristrettezze. Questo può essere un segnale di come le scuole socio-economicamente svantaggiate aiutano i loro studenti a superare le barriere all’apprendimento.

Infine agli studenti di scuole avvantaggiate è richiesto più spesso che agli studenti di scuole svantaggiate di seguire corsi di scienze. In media anche le opportunità e l’offerta extracurricolare in scienze sono maggiori nelle scuole avvantaggiate.

Fornire risorse aggiuntive alle scuole svantaggiate non è solo un modo per compensare le disuguaglianze tra le scuole perché può anche migliorare i risultati complessivi in scienze. Infatti circa un terzo della variazione nei risultati tra i Paesi OCSE nei test PISA è spiegato dal grado di equità nell’allocazione delle risorse per l’istruzione tra scuole avvantaggiate e scuole svantaggiate, con i sistemi più equi che ottengono in media migliori risultati. I risultati degli studenti più deboli sembra vadano a beneficio di tutti e non a discapito degli studenti migliori, quando le maggiori risorse sono fornite in modo più equo.

COMMENTO

Il Focus 76 è un forte richiamo alla possibilità che le scuole hanno di intervenire per compensare le disparità  dovute all’influenza del background socio-economico. In tutte le scuole dovrebbero esserci efficaci pratiche di insegnamento, un clima improntato alla disciplina, un numero adeguato di lezioni e una giusta allocazione delle risorse. Distribuire le risorse in modo più equo è il primo fondamentale passo  per raggiungere buoni risultati.
I sistemi scolastici che sono stati in grado di combinare qualità ed equità hanno dimostrato che è possibile offrire a tutti opportunità di apprendimenti elevati.

La valutazione in PISA delle capacità di collaborazione degli studenti

Cosa dice il Focus  n.77


Ogni tre anni PISA valuta le competenze in lettura, matematica e scienze, ma poiché per sviluppare al meglio le proprie capacità, in un mondo in continuo cambiamento, sono necessarie anche competenze nell’affrontare problemi insoliti e non risolvibili applicando procedure prestabilite, nel 2012 è stata misurata e valutata la capacità di problem solving a livello individuale. Così come è importante risolvere problemi da soli, oggi, nel lavoro e nella vita quotidiana, è richiesta la capacità di agire in team per risolvere problemi, collaborando tra più persone per raggiungere determinati obiettivi.
Il lavoro in team ha dei vantaggi, quali la possibilità di:

  • disporre di risorse ed esperienze più ampie,
  • sfruttare sinergie tra i membri del gruppo,
  • trovare soluzioni più efficaci ed efficienti,
  • dividere il lavoro e assegnare i vari compiti in base alle migliori competenze presenti nel gruppo.

Naturalmente lavorare in gruppo può essere irto di difficoltà. Le tensioni interpersonali, l’adagiarsi di alcuni membri a ripetere il lavoro di altri senza fornire alcun personale contributo, nonché le difficoltà di comunicazione possono minare la realizzazione di tutte le potenzialità del lavoro di gruppo.

Lavorare in gruppo è una competenza che può certamente non essere naturale per tutti ma che deve essere imparata e migliorata da ognuno.
PISA 2015 è quindi andato oltre il problem solving individuale e per la prima volta in 52 paesi ha misurato e valutato la competenza nel problem solving collaborativo.

Cosa significa essere competente nel problem solving collaborativo

In PISA 2012 vennero individuati quattro processi che costituivano il problem solving individuale:

  1. raccogliere informazioni inerenti il problema;
  2. rappresentare il problema e le relazioni in esso con tabelle, grafici, simboli o parole;
  3. escogitare una strategia per la soluzione e condurla a termine;
  4. assicurarsi che la strategia sia stata effettivamente seguita e rispondere ai feedback ottenuti nel corso della soluzione.

In PISA 2015, per il problem solving collaborativo a questi quattro processi ne sono stati aggiunti altri tre:

  1. stabilire e mantenere una comprensione condivisa (capire cos’altro possono conoscere i membri del gruppo e assicurarsi che i membri del gruppo condividano la stessa visione del problema);
  2. prendere misure appropriate per la soluzione del problema (determinare quali azioni collaborative servono -come e chi fa cosa?-e quindi eseguire le azioni programmate);
  3. stabilire e mantenere un’organizzazione nel gruppo (svolgere il proprio ruolo nel gruppo nel corso della strategia risolutiva, controllando che anche gli altri facciano lo stesso).

Le sette competenze descritte individuano dodici abilità specifiche. Ognuno degli item del problem solving collaborativo valuta almeno una di queste dodici abilità.

Un esempio

In una delle situazioni di problem solving collaborativo rese pubbliche lo studente è parte di un team che partecipa a un contesto simile a quello di un quiz in cui vengono poste domande riguardo a Xandar un paese immaginario. Nel primo compito ad esempio un primo membro del team vuole discutere l’approccio al nuovo contesto, mentre un altro vuole subito iniziare. Uno studente sottoposto a questo item della prova che è in accordo col primo membro avrà un migliore punteggio perché “sta escogitando una strategia” per risolvere il problema e sta “stabilendo e mantenendo una comprensione condivisa”.
Nel secondo compito, secondo item, dopo aver stabilito una strategia in cui ogni membro risponde a un proprio tipo di domande, due membri vogliono entrambi rispondere allo stesso tipo di domande. Uno dei due membri fornisce una ragione migliore dell’altro per rispondere e lo studente deve assegnare a questo membro le domande a cui rispondere. Lo studente che fa così “si rappresenta il problema” e “stabilisce e mantiene l’organizzazione del gruppo”.
Nel quarto compito, secondo item, lo studente dovrebbe osservare nella tabella del punteggio che il team è indietro in una tipologia di domande. Se fa questo è competente nell'”assicurare che la strategia venga perseguita” e nel “fare azioni appropriate per risolvere il problema”.

Come si misurano le competenze collaborative nel problem solving

Per misurare accuratamente le competenze di uno studente nel problem solving collaborativo, in modo indipendente dai compagni di gruppo, PISA ha utilizzato il computer facendo interagire gli studenti con simulazioni al computer di umani (noti come computer agents) il cui comportamento poteva essere controllato. Indipendentemente dalla risposta dello studente il sistema di simulazione riportava il problema allo stesso stato. Lo studente quindi affrontava lo stesso insieme di punti di decisione indipendentemente dalle decisioni precedenti. Inoltre i membri del gruppo, simulati al computer, potevano essere diversi per collaborazione e capacità di problem solving.
Rispetto all’accuratezza dell’interazione uomo-computer nel simulare l’interazione tra persone, uno studio commissionato dall’OCSE ha rilevato che:

  • non ci sono differenze rispetto alle risposte date dallo studente al computer o a un essere umano con le stesse possibilità di scelta del computer (le scelta erano possibili tra un insieme predeterminato);
  • le opinioni degli insegnanti sulle abilità nella collaborazione degli studenti si correlano bene con gli esiti delle prove al computer;
  • alcuni studenti hanno svolto alcune attività di problem solving collaborativo al computer e quindi alcune attività di problem solving collaborativo con esseri umani non vincolati dal numero delle possibili scelte. Le prove al computer sono state un buon predittore degli esiti delle attività con gli esseri umani.

COMMENTO

Il Problem Solving Collaborativo (Collaborative Problem SolvingCPS) è stato introdotto per la prima volta in PISA nel 2015.
La definizione del 2015, che questo Focus descrive, si basa sulla valutazione individuale del problem solving del 2012, ma la estende al campo della collaborazione, incorporando le basi teoriche della cognizione individuale e di gruppo. I quattro processi della struttura individuale di risoluzione dei problemi del 2012 sono stati dunque mantenuti e aggiunti alle tre competenze chiave identificate per la risoluzione dei problemi collaborativi, producendo una matrice di competenze CPS. La definizione del 2015 della competenza CPS trae origine dalla considerazione dei tipi di problemi e interazioni collaborative che studenti di 15 anni affrontano dentro e fuori la classe, oltre che da una considerazione della loro “preparazione per la vita” sul posto di lavoro e in ulteriori studi. La capacità di ciascun partecipante in un gruppo di comunicare, gestire i conflitti, organizzare una squadra, creare consenso e gestire i progressi è cruciale per il suo successo; la misurazione di queste abilità è al centro delle tre competenze che costituiscono la specificità della valutazione del problem solving collaborativo, rispetto a quello individuale.
Un’altra importante indicazione di questo Focus è che è possibile utilizzare simulazioni al computer per misurare e valutare le competenze nel Problem Solving Collaborativo.

Il problem solving collaborativo

Cosa dice il Focus n.78

Cosa ci dicono i dati

  • Tra tutti gli studenti dei Paesi che hanno partecipato all’indagine, quelli di Singapore hanno raggiunto i punteggi più alti seguiti dai giapponesi.
  • In media tra i Paesi partecipanti il 28% degli studenti è in grado di risolvere solo semplici problemi in modo collaborativo. D’altra parte meno di uno studente su sei in Corea, Estonia, Hong Kong, Giappone e Singapore raggiunge solo i livelli più bassi nel problem solving collaborativo.
  • L’8% degli studenti nei paesi OCSE è al livello più alto nel problem solving collaborativo; ciò significa che sanno mantenere la consapevolezza della dinamica di gruppo, assicurare che i membri del gruppo agiscano secondo i ruoli concordati e risolvere disaccordi e conflitti identificando percorsi efficaci e monitorando il progresso verso le soluzioni.
  • La performance nel problem solving collaborativo è in relazione positiva con le performance in lettura, matematica e scienze anche se la relazione è più debole di quella osservata tra gli altri domini.
  • Gli studenti di Australia, Corea, Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti hanno risultati nel problem solving collaborativo migliori di quelli attesi in base ai punteggi in lettura, matematica e scienze.

Dati demografici degli studenti e problem solving collaborativo

  • In ogni Paese le ragazze hanno esiti migliori dei ragazzi nel problem solving collaborativo. In media le ragazze ottengono 29 punti in più dei ragazzi, da un massimo di 40 punti a un minimo di 10 punti. Questo è in contrasto con i dati del problem solving individuale in cui i ragazzi hanno generalmente esiti migliori delle ragazze.
  • I risultati del problem solving collaborativo sono in relazione positiva con il profilo socio economico degli studenti anche se questa relazione è più debole di quella tra profilo socio economico e risultati in lettura, matematica e scienze.
  • Tenuto conto delle prestazioni in lettura, matematica e scienze i risultati in problem solving collaborativo non hanno differenze significative tra studenti in vantaggio o svantaggio socioeconomico o tra studenti immigrati e non immigrati, mentre le ragazze ottengono in media comunque 25 punti in più dei ragazzi.

L’attitudine degli studenti alla collaborazione

  • Gli studenti di tutti i Paesi hanno in generale attitudini positive alla collaborazione in base alle risposte fornite ai questionari.
  • Le ragazze tendono a dare valore alle relazioni più dei ragazzi, nel senso che sono buone ascoltatrici, godono del successo dei compagni, prendono in considerazione le cose che interessano agli altri, e amano assumere diversi punti di vista.
  • Nella maggior parte dei Paesi i ragazzi tendono a dare maggiore valore al lavoro di gruppo rispetto alle ragazze, nel senso che preferiscono lavorare in gruppo piuttosto che da soli, ritengono che il lavoro di gruppo aumenti la loro efficacia, e sono felici di collaborare fra pari.
  • In quasi tutti i Paesi gli studenti socio economicamente avvantaggiati tendono a dare valore alle relazioni più degli studenti svantaggiati socio economicamente mentre al lavoro di gruppo è dato maggior valore da parte degli studenti svantaggiati rispetto a quelli avvantaggiati.
  • Tenuto conto degli esiti in lettura, matematica e scienze, del genere e dello status socioeconomico più gli studenti danno valore alle relazioni migliori sono i loro risultati nel problem solving collaborativo. Una relazione simile è osservata tanto più gli studenti danno valore al lavoro di gruppo.

Attività degli studenti, politiche scolastiche e abilità collaborative

  • Le attitudini alla collaborazione sono generalmente più positive quando gli studenti si impegnano in attività sportive o partecipano settimanalmente a un maggior numero di lezioni di educazione fisica.
  • Gli studenti che giocano a videogiochi fuori dalla scuola hanno punteggi nel problem solving collaborativo leggermente inferiori di quelli che non giocano a video giochi tenuto conto degli esiti in lettura, matematica e scienze, del genere e profilo socioeconomico. Al contrario gli studenti che vanno su internet, frequentano social network o chat hanno punteggi leggermente superiori agli altri studenti.
  • Gli studenti che lavorano a casa o assistono altri membri della famiglia danno valore alle relazioni e al lavoro di gruppo più degli altri studenti.

Scuole collaborative

  • In media gli studenti che riportano di non essere stati minacciati da altri studenti ottengono 18 punti in più nel problem solving collaborativo rispetto agli studenti che riportano di essere stati minacciati almeno alcune volte all’anno. Gli studenti ottengono anche 11 punti in più per ogni incremento del 10% del numero di compagni che riportano di non essere stati minacciati da altri studenti.
  • Gli studenti hanno punteggi più alti nel problem solving collaborativo quando loro o i loro compagni riferiscono che gli insegnanti li trattano correttamente anche tenuto conto degli esiti in lettura, matematica e scienze.

Abitudini collaborative possono essere insegnate e praticate nelle materie come lettura, matematica e scienze: gli studenti possono lavorare in gruppo e possono aiutarsi reciprocamente a imparare le varie materie. Comunque la maggior parte dello sforzo prodotto per imparare le materie è profuso individualmente.

L’importanza dell’attività sportiva nel problem solving collaborativo

Al contrario la collaborazione è fondamentale in attività sportive e in educazione motoria, attività che richiedono di lavorare in gruppo per uno scopo comune. In alcuni Paesi come Finlandia e Giappone nelle ore di educazione motoria sono enfatizzati gli aspetti collaborativi, mentre in altre nazioni nella stessa materia è enfatizzato l’aspetto competitivo. I dati PISA non sono in grado di indicare quale approccio è più efficace nello sviluppo delle abilità collaborative. Quello che comunque i dati permettono di rilevare è che gli studenti che svolgono attività fisica per una o due volte alla settimana hanno risultati migliori nel problem solving collaborativo rispetto a chi non svolge attività motoria o a chi ne svolge per più di 3 volte alla settimana.

Relazione tra problem solving collaborativo, situazioni socio economiche e presenza di immigrati

Come già rilevato per i risultati in lettura, matematica e scienze, il vantaggio socioeconomico favorisce anche le abilità di tipo collaborativo, anche se questo vantaggio non permane in modo costante nei vari Paesi dopo avere tenuto conto degli esiti nelle tre discipline di base investigate da PISA. Non c’è quindi una chiara relazione tra status socioeconomico e abilità collaborative. Gli studenti svantaggiati è più probabile che valorizzino il lavoro in gruppo forse per gli incentivi ulteriori che questo può fornire ai loro risultati. Allo stesso modo non ci sono differenze significative nei risultati tra immigrati e non immigrati.

Uno dei fattori demografici in relazione alle abilità collaborative è la concentrazione nelle scuole di studenti immigrati. In scuole con un alta concentrazione di studenti immigrati gli studenti non immigrati tendono ad avere esiti migliori nelle abilità collaborative. Questo risultato non può essere generalizzato alle differenze socioeconomiche nelle scuole. I sistemi di istruzione dovrebbero indagare se, all’interno dei propri contesti, la diversità e il contatto tra studenti con diverse caratteristiche possa aiutare lo sviluppo di abilità collaborative.

Il divario di genere

Le ragazze hanno migliori risultati dei ragazzi nelle abilità collaborative in tutti i sistemi di istruzione tenuto conto o meno degli esiti in lettura, matematica e scienze. Il divario di genere in questa abilità è maggiore di quello in lettura dove già le ragazze sono migliori dei ragazzi in tutti i sistemi di istruzione e contrasta con i risultati del problem solving (individuale) del 2012 dove i ragazzi hanno invece esiti migliori delle ragazze. Le ragazze hanno migliori attitudini verso le relazioni e maggiore interesse al successo altrui, mentre i ragazzi hanno migliori attitudini al lavoro di gruppo: ne vedono i benefici strumentali e come il lavoro di gruppo può essere efficiente ed efficace. I sistemi di istruzione, dati questi risultati, dovrebbero esaminare la questione di come promuovere l’apprezzamento degli altri nei ragazzi. Data l’ampia distribuzione di punteggi dai livelli minimi ai massimi anche per le ragazze, i sistemi di istruzione dovrebbero promuovere in ragazzi e ragazze delle sane, positive e responsabili relazioni reciproche.

Connessioni tra problem solving collaborativo e relazioni positive con compagni, insegnanti e genitori

I risultati evidenziano come gli studenti che formano relazioni positive con compagni, insegnanti e genitori ottengono migliori risultati nel problem solving collaborativo e lo stesso fanno anche gli altri studenti della scuola. Insieme a questi studenti anche gli insegnanti, i dirigenti scolastici e la maggior parte degli studenti riportano di vivere un buon clima scolastico. Ma molti altri studenti riportano di non vivere bene il clima scolastico, di subire del bullismo, di sentirsi isolati o trattati dai docenti in maniera non corretta. Le scuole devono allora provvedere a identificare questi studenti per costruire relazioni positive, formare i docenti nella gestione della classe e adottare progetti di prevenzione del bullismo.

Bene i social media, male i videogames a casa

La modalità di relazione fra gli studenti oggi passa ormai attraverso i social media. Questo può sembrare un modo superficiale per sviluppare relazioni che si scontra con l’idea secondo cui è il tempo speso assieme che cementa le relazioni. Ma nel mondo virtuale di oggi gli studenti forse inavvertitamente stanno imparando a diventare dei solutori di problemi in collaborazione attraverso i social media.

Un modo simile di sfruttare delle opportunità di apprendimento da parte degli studenti è quello di responsabilizzarsi prendendosi cura di alcune faccende domestiche o di altre persone a casa propria. Questo permette di migliorare le relazioni con gli altri e di porre le basi per imparare abilità collaborative.

Al contrario gli studenti che si dedicano ai videogiochi hanno risultati peggiori nel problem solving collaborativo e valorizzano di meno le relazioni.

Studenti che invece hanno relazioni on line e in casa hanno migliori esiti nel problem solving collaborativo e valorizzano maggiormente le relazioni.

Tutte queste attività hanno delle conseguenze che vanno oltre ciò che accade a scuola ma i decisori politici devono avere contezza anche delle conseguenze che hanno le attività on line, quelle domestiche e l’uso dei videogiochi per lo sviluppo delle abilità collaborative di problem solving.

COMMENTO

In Italia

Si aggiungono poche informazioni: il punteggio dell’Italia nel test sul Collaborative Problem Solving  è 478, al di sotto della media OCSE in modo statisticamente significativo (ragazzi 469, ragazze 489). La differenza tra ragazzi e ragazze non risulta complessivamente diversa dalla differenza media tenuto conto di tutti i paesi partecipanti. Passando ai dati delle regioni italiane campione abbiamo: Provincia di Bolzano 512 (sopra la media OCSE), Provincia di Trento 500 (in media con i dati OCSE), Lombardia 498 (in media con i dati OCSE), Campania 443.

Il confronto dei dati italiani tra collaborative problem solving e problem solving individuale permette di evidenziare come le tre variabili aggiunte contribuiscano a spostare gli esiti dei nostri studenti in modo maggiore di quanto sia accaduto ad altri Paesi (esclusa la Bulgaria, pag. 84 del rapporto finale OCSE). Ben al di sopra della media OCSE risulta anche la percentuale di punteggio spiegata dalla variazione tra le scuole in rapporto alla variazione all’interno delle scuole, da cui si può pensare che rispetto al problem solving collaborativo in Italia il rendimento delle scuole risulta molto differente.

Per quanto riguarda i diversi indirizzi in Italia il punteggio medio dei licei è di 511 (significativamente al di sopra della media OCSE di 500), gli istituti tecnici a 469 e i centri di formazione professionale a 425. Ciò risulta molto preoccupante in quanto, se è vero che c’è una relazione con i risultati in lettura, matematica e scienze, si poteva almeno sperare che in competenze “trasversali”, non totalmente legate ai nuclei fondanti disciplinari, qualcosa di meglio potesse risultare almeno negli istituti tecnici e professionali. Invece sembra che i risultati di apprendimento penalizzino gli studenti più deboli su tutti i fronti.

Il problem solving collaborativo ha evidentemente delle regole precise per potersi realizzare. Le regole della collaborazione vanno però insegnate agli studenti e gli studenti devono avere conoscenza e coscienza delle loro libertà di muoversi sia fisicamente sia cognitivamente per affrontare assieme, con rispetto dei reciproci punti di vista, reali problemi significativi (che possono essere anche a carattere disciplinare, perché no). In tutto questo la tradizione trasmissiva ancora forte in Italia, perché vincolata a una concezione di organizzazione di scuola  e di aula in cui gli studenti sono poco autonomi, non facilità l’insegnamento/apprendimento di queste competenze trasversali che possono invece essere in relazione positiva con l’apprendimento delle discipline.

L’eccesso di test è negativo per i risultati degli studenti e per il loro benessere?

Cosa dice il Focus n.79


I test standardizzati aiutano a misurare i progressi scolastici e possono dare informazioni alla politica educativa riguardo agli aspetti critici dei sistemi di istruzione. Comunque l’eccesso di test può ingenerare troppa pressione su studenti e insegnanti che tendono a imparare e insegnare in funzione dei test con la conseguente diminuzione della soddisfazione, da parte degli studenti, per il proprio processo di apprendimento.

Molti genitori ed educatori hanno queste perplessità: riconoscono che corrette misurazioni possono dare chiare indicazioni per l’apprendimento ma al tempo stesso temono che troppi test rendano gli studenti ansiosi senza migliorarne l’apprendimento. In particolare i test che sono determinanti per i percorsi scolastici e e per quelli di vita degli studenti possono ingenerare ansia e se troppo frequenti anche portare a risultati più scadenti, assenteismo e scarsa fiducia in se stessi. Ma i test sono davvero usati così frequentemente? E cosa mostrano i dati sulla relazione tra risultati, ansia e frequenza dei test?

I test standardizzati non sono usati così frequentemente come si pensa

PISA 2015 ha raccolto dati sulla frequenza dei test standardizzati e sull’ansia degli studenti.

I test standardizzati, obbligatori o meno, sono meno usati dei test prodotti dagli stessi insegnanti.

Nei paesi OCSE circa il 25% degli studenti quindicenni frequenta scuole in cui i test standardizzati non sono mai usati e il 60% frequenta scuole in cui questi test sono usati una o due volte all’anno. In 11 paesi, tra cui Belgio, Costa Rica, Germania, Slovenia e Spagna più del 50% degli studenti quindicenni non è mai valutato con test standardizzati, mentre nel Regno Unito e in Svezia tutti gli studenti hanno partecipato a questi test almeno una volta nel 2015. I test non obbligatori sono usati con minore frequenza, ma i test prodotti dagli insegnanti e le valutazioni intermedie e finali sono usati con frequenza maggiore. In media nei Paesi OCSE circa il 30% degli studenti è sottoposto una volta al mese a un test prodotto da un insegnante e il 38% più di una volta al mese. In Belgio, Canada, Francia, Olanda, Singapore, Spagna e Taipei (Cina) più del 50% degli studenti è sottoposto a questo tipo di test più di una volta al mese.

E’ interessante notare come negli Stati Uniti dove ha avuto origine il dibattito critico sui test standardizzati, meno del 30% degli studenti frequenta scuole che somministrano test obbligatori almeno tre volte all’anno, una porzione minore rispetto a 19 altri sistemi di istruzione.

I dati PISA mostrano anche che l’ansia in relazione ai test è molto diffusa. In media il 59% degli studenti riporta che è preoccupato per un test, il 66% è preoccupato di prendere un brutto voto e il 55% è preoccupato anche se è ben preparato per affrontare il test, il 52% si sente nervoso quando non sa rispondere a un compito scolastico e il 37% si sente teso mentre studia per un test.

L’ansia degli studenti verso i test ha poco a che fare con la frequenza dei test

Contrariamente alle comuni convinzioni, la frequenza dei test, così come riportata dai dirigenti scolastici, non è in relazione con il livello di ansia riportato dagli studenti. Il livello di ansia degli studenti che frequentano scuole con frequenze diverse di somministrazione dei test è infatti simile. La spiegazione può risiedere nel fatto che l’ansia è indotta da aspetti del test che sono diversi dalla frequenza. Il tipo di compito, il clima in cui viene somministrato, i vincoli di tempo, le caratteristiche dell’esaminatore o la modalità di conduzione del test possono ad esempio influenzare le attitudini psicologiche degli studenti verso i test. Tutti questi fattori interagiscono a loro volta con le caratteristiche degli studenti quali il senso di auto-efficacia, l’abilità nel affrontare il test, la motivazione e lo studio.

Anche la relazione tra i risultati in scienze e la frequenza con cui le scuole valutano gli studenti è debole. In media gli studenti che frequentano scuole con test obbligatori almeno una volta all’anno hanno punteggi leggermente inferiori (6 punti) di quelli valutati con maggiore frequenza. Studenti che sono valutati con test preparati dagli insegnanti almeno una volta al mese hanno punteggi un po’ più alti (5 punti) di quelli valutati con minore frequenza. Ma tenuto conto del profilo socioeconomico degli studenti e delle scuole queste relazioni non sono più significative.

I risultati di un Paese in PISA non sono in relazione con l’uso di test standardizzati. Tra i Paesi che hanno i migliori risultati in scienze ovvero: Regno Unito, Shanghai-Jiangsu-Guangdong (Cina) e Singapore l’uso di test standardizzati è diffuso, mentre poco comune in Corea, Germania e Svizzera.

Gli studenti sono meno ansiosi verso I test quando si sentono supportati da insegnanti e genitori

Altri aspetti dell’esperienza scolastica hanno una maggiore relazione con l’ansia scolastica rispetto alla frequenza delle valutazioni. PISA mostra che gli studenti sono meno ansiosi quando i loro insegnanti li supportano o quando adattano le lezioni ai loro bisogni. Al contrario gli studenti riportano maggiore ansia quando sentono che gli insegnanti li trattano in modo non corretto, ad esempio se li valutano in modo non equo rispetto ad altri studenti o quando hanno l’impressione che i loro insegnanti pensano che sono meno intelligenti di quanto sono.

Anche le relazioni positive con i genitori sono importanti. I genitori possono aiutare i loro figli a superare l’ansia incoraggiandoli ad avere fiducia nelle loro capacità di ottenere buoni risultati nei compiti scolastici. Ad esempio le ragazze che riportano che i loro genitori le sostengono dando loro fiducia risultano essere meno ansiose anche tenuto conto dello status socioeconomico e delle differenze nei risultati dei test (questa relazione è però meno solida per i ragazzi). Al contrario porre troppa enfasi sugli esiti del test e proporsi risultati poco realistici incrementa lo stato d’ansia.

COMMENTO

Per chi è valutato non è importante il numero delle volte ma la percezione della valutazione avvertita come più o meno minacciosa. In Italia abbiamo sollevato, e si continua a farlo, questioni valoriali e filosofiche per contrastare i test Invalsi. Scopriamo che per gli studenti in media: a) sono molto più preoccupanti le verifiche preparate dai loro docenti, b) la frequenza dei test standardizzati non influisce sugli apprendimenti. Si teme una distorsione del curricolo a causa dei test: ebbene scopriamo che in molti Paesi vengono svolti test standardizzati, che la loro frequenza non impatta sugli apprendimenti e neanche sull’ansia, e che probabilmente quello che conta è avere docenti ben preparati. Infatti quello che più conta è che i docenti :

1) sappiano come funziona un test standardizzato;

2) sappiano cosa stanno valutando quando costruiscono le loro verifiche;

3) sappiano gestire tutto il contesto in cui avviene la valutazione;

4) sappiano gestire le fasi precedenti e successive alla valutazione;

5) sappiano usare la valutazione per guidare l’apprendimento.

L’ansia scolastica da test negli studenti è a volte dovuta all’ansia per i test presente negli insegnanti.

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