C.Mythen, M.Higgins, K.McElhinney – Dare uguali opportunità in situazioni di svantaggio: l’approccio della scuola secondaria Ardcoil La Salle di Dublino

Atti del Seminario internazionale ADi "A rischio di dispersione" - 8 maggio 2023

Colm Mythen

Mi chiamo Colm Mythen. Sono il preside dell’Istituto secondario di 1° e 2° grado Ardcoil La Salle a Raheny nella zona nord di Dublino. Siamo una scuola DEIS, una scuola che accoglie molti ragazzi provenienti da contesti deprivati o con “Bisogni Educativi Speciali”. Abbiamo circa 250 studenti dai 12 ai 18 anni. La scuola dedica un grandissimo impegno per farli accedere all’istruzione terziaria, e molti di loro ci riescono.

Insieme a me ci sono Michelle Higgins, la nostra vicepreside, e Kevin McElhinney, il nostro coordinatore DEIS, vale a dire il coordinatore di tutta l’attività di inclusione. Kevin, vi racconterà che cosa facciamo per integrare al meglio nelle classi i ragazzi più svantaggiati o con bisogni educativi speciali.

 

Kevin McElhinney

Siamo una scuola DEIS dal 2017. DEIS è acronimo di Delivering Equality of oppotunities In Schools, ossia dare a tutti uguali opportunità nelle scuole. Si tratta di un programma che riveste molti aspetti. Di questi, quello su cui noi siamo più impegnati è l’inclusione, vale a dire la partecipazione e il coinvolgimento nella classe di tutti anche dei più svantaggiati o con disabilità.  Un obiettivo non facile che richiede di affrontare diverse questioni.

Nel nostro percorso uno dei primi passaggi è stato quello di accrescere la consapevolezza degli insegnanti, perché soprattutto da loro dipende il successo dell’inclusione. Era importante, per esempio, che gli insegnanti imparassero a chiedersi: Qual è il senso di questa esperienza? I ragazzi si sentono parte di una comunità? Quando non vengono a scuola, sentiamo la loro mancanza? Facciamo abbastanza per mantenere una buona relazione con loro?

Nella nostra scuola gestiamo l’inclusione di ragazzi sia con un retroterra socioeconomico e culturale molto deprivato, sia con Bisogni Educativi Speciali. E non è facile, perché in Irlanda, non esiste nessuna preparazione specifica per insegnanti di sostegno. La politica dell’inclusione è abbastanza recente. Fino a pochi anni fa il modello prevalente era quello di tenere i ragazzi BES fuori dalla classe. Ora fortunatamente succede molto meno frequentemente.

Nella nostra scuola abbiamo molti studenti con autismo, dislessia e diverse altre disabilità. E sono in costante aumento.

Non vi è dubbio quindi che questa situazione costituisca una vera e propria sfida per gli insegnanti. Per questo la priorità del nostro Istituto è stata e rimane la formazione dei docenti. Ed è un lavoro continuo, che non finisce mai, sempre alla ricerca di soluzioni più efficaci.

Una delle strategie didattiche usate dagli insegnanti è lo scaffolding, un approccio centrato sullo studente che dà progressivamente ai ragazzi sempre maggiore padronanza sul loro apprendimento, mentre gradualmente diminuisce il ruolo dell’insegnante.

Un’altra cosa importante che i nostri docenti fanno è il recupero dei ragazzi costretti a lunghe assenze. Sono sempre disponibili a rispiegare i punti chiave delle lezioni che i ragazzi hanno perso.

La nostra scuola dà molta importanza all’acquisizione delle competenze di base, in particolare all’alfabetizzazione linguistica, perché molti dei nostri studenti provengono da famiglie con status socioeconomico e culturale molto basso e, di conseguenza, hanno un linguaggio molto povero. A questo fine abbiamo introdotto un’iniziativa didattica per apprendere parole chiave così dette di secondo livello, vale a dire parole abbastanza frequenti, ma usate prevalentemente da persone istruite. Parole quindi non particolarmente difficili, ma non in uso in ambienti culturalmente deprivati. Alcuni strumenti utilizzati per questo apprendimento sono le flashcards e Quizlet.

Abbiamo verificato che l’arricchimento linguistico aumenta nei ragazzi l’autostima, perché rende percepibili i progressi che stanno facendo. Per questo insistiamo molto con i nostri docenti, perché si impegnino con continuità nell’insegnamento della lingua, curino le parole, la loro radice, i sinonimi e i contrari. Si fanno anche verifiche comparative a inizio e fine anno e a quel punto si decide se ci sono cose da cambiare e migliorare. Va aggiunto infine che tutto questo lavoro sulla lingua è necessario anche perché molti libri di testo sono scritti in modo non accessibile a tanti dei nostri studenti.

Vorrei ora soffermarmi su un’altra questione che sta particolarmente a cuore alla nostra scuola: il rispetto nelle relazioni, che è un modo di applicare il codice di comportamento in modo equo.  Mi spiego meglio. Nessuno di noi nega che debbano esserci regole in classe, che debbano esserci routine, che debbano esserci sanzioni. Ma i ragazzi devono sentire che tutto questo avviene in un ambiente dove c’è grande attenzione ed empatia nei loro confronti, dove non ci si limita a valutarli e giudicarli, ma soprattutto a curarli e ascoltarli.    In breve, noi riteniamo che disciplina ed empatia debbano costituire un binomio indivisibile.  La sola disciplina mina la fiducia dei ragazzi e ha un effetto distruttivo sulle relazioni. La sola empatia, senza disciplina, non consente di educare, e di educare in particolare ragazzi come i nostri, che più di altri hanno bisogno di regole chiare, rigorose e costanti, di essere insomma “strutturati”.

Il problema allora, su cui abbiamo a lungo discusso e continuiamo a discutere, è trovare il giusto equilibrio fra queste due componenti, disciplina ed empatia. Un equilibrio che si raggiunge anche aiutando i ragazzi a sviluppare autostima e fiducia in sé stessi. E questo lo si può fare dentro alla scuola e aprendo la scuola all’esterno.

Per quanto riguarda l’apertura della scuola all’esterno, stiamo partecipando, con ottimi risultati a un programma del Trinity College che ha l’obiettivo di incentivare l’accesso all’università di chi, per condizioni socioeconomiche, non nutre normalmente queste aspirazioni. Inoltre, abbiamo instaurato proficui rapporti con il mondo del lavoro, imprenditori e altri.

Per quanto riguarda quello che si fa in aula, dedichiamo molto tempo ed energia a progetti che i ragazzi sviluppano in modo autonomo, lavorando in gruppo; molti di questi progetti sono basati sull’indagine. È un’attività davvero importante, perchè alimenta nei ragazzi la fiducia in sé stessi, la capacità di lavorare in team, dove il rispetto delle regole è fondamentale.

E infine, proprio per favorire la partecipazione attiva di tutta la classe, quest’anno ci siamo concentrati sulle domande, in particolare sulle diverse modalità di rispondere alle domande. Abbiamo per prima cosa eliminato le risposte per alzata di mano, che di norma vedono sempre gli stessi studenti pronti a farsi avanti, lasciando gli altri apatici e indifferenti. Abbiamo invece tentato di utilizzare quello che in inglese si chiama “Show me boards”, “Mostratemi la vostra lavagna”, che consiste in questo: gli alunni scrivono la loro risposta individualmente con un pennarello su una minilavagna di plastica bianca, poi discutono ciò che hanno scritto con il proprio compagno, infine ognuno alza la  propria lavagna. Tutte le risposte diventano visibili, ciascuno può confrontare la propria con quella degli altri, e l’insegnante può avere un istantaneo feed back dell’intera classe. Abbiamo anche usato l’app “Mentimeter” mediante la quale l’insegnante può porre domande a cui gli studenti rispondono con i loro dispositivi e le risposte vengono visualizzate sullo schermo. Infine, abbiamo usato il gioco Hot seat”, “La sedia che scotta”. Funziona così: un alunno si siede sulla hot seat e deve pensare, senza dirlo, al nome, per esempio, di un personaggio storico, poi dovrà rispondere alle domande dei compagni seduti di fronte a lui, che devono cercare di indovinare chi interpreta. Sono tutti modi perché ciascuno si senta coinvolto e partecipe di ciò che si sta facendo. È ovvio che in tutti questi giochi e attività le domande possono variare dalle più facili alle più complesse per stimolare anche i ragazzi più in gamba.

Ogni anno ci concentriamo su un solo aspetto dell’apprendimento, che viene discusso all’inizio, programmato nel suo svolgimento e valutato a fine anno. Il prossimo anno scolastico affronteremo tutti gli aspetti della valutazione formativa. Una cosa alla volta, insomma, evitando di stressare gli insegnanti!

Colm Mythen

Grazie Kevin. Vorrei aggiungere che uno dei grandi cambiamenti della nostra scuola riguarda l’atteggiamento degli insegnanti. Prima se gli studenti dimenticavano di portare un libro, un quaderno o una penna questo sarebbe stato considerato come qualcosa da sanzionare. Ora ci siamo equipaggiati per fornire loro in classe tutto quello che gli manca. Così non ci perdiamo in questioni disciplinari inutili e non aggraviamo le difficoltà degli studenti. Piuttosto facciamo di tutto per incoraggiarli a continuare a venire a scuola giorno dopo giorno, senza aggiungere ostacoli. Michelle può dirci qualcosa di più su questo.

Michelle Higgins

Per farvi capire quale è stato il percorso che ci ha portato alla situazione odierna devo dirvi innanzitutto che fino a sette o otto anni fa gli insegnanti di questa scuola si lamentavano che gli studenti non intervenivano, erano disimpegnati, non erano parte attiva del loro apprendimento. Di fronte a tale situazione abbiamo pensato che la prima cosa da fare era cercare di creare un senso di appartenenza alla scuola.  E per farlo bisognava cominciare proprio dagli insegnanti, perché sono loro che poi devono trasmetterlo agli studenti.

L’altra cosa urgente era intervenire sul curricolo e renderlo più adatto ai bisogni degli studenti più fragili, quelli a rischio di abbandono.  Il curricolo che l’istituto svolgeva era solo quello che porta al tradizionale diploma di scuola secondaria superiore. Abbiamo allora deciso di introdurre anche il curricolo per il diploma professionale, introdotto in Irlanda nel 1995. È un curricolo che comprende apprendimenti più esperienziali e basati su progetti.  Siamo poi intervenuti anche sul curricolo della secondaria di primo grado, rendendolo più flessibile. Abbiamo, cioè, introdotto più discipline tra cui scegliere, di cui un certo numero di tipo pratico, più adatte ai bisogni di molti dei nostri ragazzi.

Inoltre, come ha detto Kevin, mentre fino a 5 o 6 anni fa, il sostegno ai ragazzi con difficoltà avveniva prendendoli fuori dalla classe, ora si fa dentro la classe.  Questo vuol dire che l’insegnante di sostegno lavora in classe con il titolare insieme al quale organizza lavori di gruppo. Questi due elementi, flessibilità del curricolo e sostegno all’interno della classe, hanno infuso una maggiore autostima nei ragazzi con difficoltà, diminuendo il rischio di abbandono.

Un’altra cosa importante è la partecipazione della nostra scuola al Trinity Access, un programma del Trinity College dell’Università di Dublino, che ha lo scopo di promuovere l’accesso all’istruzione terziaria di quei gruppi di giovani che vi sono sottorappresentati. Il programma comincia fin dal 1° o 2° anno della scuola secondaria e abbiamo potuto verificare che sviluppa la voglia di andare all’università anche in quei ragazzi che non hanno in famiglia alcun riferimento o incentivo.  È un programma che ha dato davvero risultati fantastici.

E poi, di pari passo, abbiamo aumentato il tutorato. I nostri studenti della secondaria di 2° grado hanno un insegnante mentore che li segue individualmente.  E gli studenti della secondaria di 1° grado hanno come mentori studenti della secondaria di 2° grado. Ma non solo, abbiamo anche mentori dalla comunità o dal mondo del lavoro. Tutto questo per quanto riguarda gli studenti, ma ci siamo curati in ugual modo degli insegnanti, del loro sviluppo professionale, della loro formazione, che viene svolta sia in orario di servizio, sia in uno o due giorni liberi dalle lezioni.

Ma non solo. Ci siamo resi conto dell’importanza di coinvolgere gli insegnanti in qualsiasi processo decisionale e di approfondire il lavoro collaborativo. Sono tutti elementi che accrescono la soddisfazione e il senso di appartenenza.  E questo aiuta moltissimo a creare un buon clima in tutta la scuola, con un effetto altamente positivo sugli studenti.

Voglio aggiungere alcune cose sugli studenti. La nostra scuola tiene in grande considerazione la voce degli studenti. Agli studenti sono affidate molte decisioni: la scelta delle discipline, la scelta degli eventi da celebrare, del volontariato da svolgere, eccetera. Facciamo di tutto, insomma, per sviluppare la loro autonomia e la loro capacità di leadership.  Tutto questo li porta a padroneggiare il loro apprendimento e a instaurare relazioni positive con gli insegnanti.

Infine, riprendendo quanto ha già detto Kevin, voglio sottolineare anch’io l’importanza del rispetto.  Il rispetto che deve essere esercitato da tutti, dalla direzione verso gli insegnanti, dagli insegnanti verso gli studenti, dagli studenti verso gli insegnanti e la direzione, dai genitori verso gli insegnanti.  E ancora il rispetto dell’ambiente, della strumentazione, degli oggetti. Il rispetto è davvero un elemento fondamentale, e insieme al rispetto la giustizia e l’equità.

In questo contesto anche i problemi disciplinari diventano meno problematici da gestire, pur senza rinunciare alla fermezza.  Ciò che aiuta è la partecipazione attiva degli studenti nell’apprendimento, la loro autonomia nelle scelte e la loro percezione che la scuola si prende cura di loro e li tiene in considerazione. E ci curiamo davvero di loro in tanti modi, non solo in classe. Se li vediamo nel corridoio, se arrivano in ritardo, non lasciamo correre, ma cerchiamo anche di capirne i motivi, perché a volte sono stressati, altre volte preoccupati o infastiditi. Siamo una piccola scuola e non è difficile seguirli e immaginare cosa c’è dietro ai loro comportamenti.

Colm Mythen

Grazie, Michelle, di avere ricomposto tutti i tasselli della nostra visione di inclusività.  Negli ultimi cinque o sei anni abbiamo fatto   uno sforzo enorme per mettere davvero gli studenti al centro. E questo cambio di passo nelle modalità di apprendimento-insegnamento ha consentito di risolvere anche molti problemi disciplinari.

Possiamo dire che si è realizzata una sorta di rivoluzione culturale che ha coinvolto tutto il personale. Sono cambiati i comportamenti verso gli studenti e verso i genitori, la scuola è diventata un luogo accogliente e si è esteso il senso di appartenenza.  La cosa più bella è che gli studenti vengono a scuola volentieri. So che raggiungere questi obiettivi può sembrare più facile per noi che siamo una scuola piccola, ma può avvenire anche in scuole più grandi.

Importante è che nella scuola ci sia sempre un punto di riferimento autorevole. Una persona che sa guidare e sulla quale si può fare sempre affidamento. Nella nostra scuola siamo di volta in volta noi tre, io come preside, Michelle come vice e Kevin come responsabile dell’inclusione.  I genitori e gli studenti sanno che qui c’è sempre qualcuno a cui rivolgersi, a cui esporre i propri problemi e con cui trovare soluzioni. Non vi sto dicendo che tutto questo sia semplice. Noi abbiamo impiegato 10 anni per realizzare questa trasformazione, per arrivare al punto in cui gli studenti non solo stanno bene a scuola, ma hanno risultati positivi negli esami e proseguono nell’istruzione terziaria. È stata una grande opera collettiva, e gli studenti ne sono diventati il motore. È davvero bello vedere il calore con cui accolgono i compagni del primo anno! E sono gli studenti i primi, insieme al personale, a non tollerare nessuna forma di razzismo e di discriminazione.

Sono stato felice di condividere con voi il racconto de nostro istituto; una scuola situata in una delle zone più deprivate e svantaggiate di Dublino che ha saputo riscattarsi e diventare un luogo di benessere e di cultura.

Io termino qui. Kevin vuoi dire qualcos’altro?

Kevin McElhinney

Non c’è molto altro da aggiungere, se non sottolineare nuovamente la connessione che siamo riusciti a costruire fra accoglienza, benessere e risultati scolastici. Ed è una conquista quotidiana fatta di grandi e piccole cose. A volte basta il modo con cui parli al telefono con un genitore, o lo accogli e gli offrii un caffè mentre ti racconta i suoi problemi.

Le relazioni sono davvero importanti. Riuscire a dissolvere il senso di alienazione, di ansia o di stress che si portano dietro e fargli percepire la scuola come luogo in cui possono trovare conforto e sostegno, è stata, credo, una conquista molto significativa.

La cosa più bella rimane comunque vedere i bambini e ragazzi che via via trovano il modo di vivere la scuola con gioia, coltivare le loro aspirazioni e continuare gli studi quando lasciano il nostro Istituto. Abbiamo avuto un costante trend positivo nella frequenza scolastica, nei risultati degli esami, e nella percentuale di accessi all’istruzione terziaria. Ed è diminuito drasticamente fra i nostri diplomati il numero di NEET, di quei ragazzi che non studiano e non lavorano.

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