Sintesi del Rapporto CENSIS 13-03-2012
[stextbox id=”info” image=”null”]Presentazione e finalità dell’iniziativa[/stextbox]
Per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, la Fondazione Censis ha attivato un programma di ricerca e approfondimento sui valori che uniscono la comunità, con l’intento di contribuire al rafforzamento dell’identità nazionale, alla comprensione del Paese e alla consapevolezza dell’agire quotidiano dei cittadini con una particolare attenzione al mondo giovanile e della scuola.
Il programma di ricerca ha previsto una pluralità di attività di tipo diverso, tra le quali è centrale una indagine sui valori degli italiani che riprende ed amplia i temi già trattati dalla Fondazione Censis nel 1988.
[stextbox id=”info” mright=”200″ image=”null”]1. La lunga corsa del primato dell’io[/stextbox]
Da Paese contadino, povero, dominato da un’economia della scarsità e da una società fortemente classista, nella lunga rincorsa che data dal 1861 si è trasformato in uno dei Paesi più industrializzati del mondo.
Il periodo 1946-1961 è caratterizzato dagli effetti del miracolo economico. Ben prima che il benessere si generalizzasse ovunque, i consumi crescono in termini reali del +293,6%, mentre dal 1926 al 1941 erano cresciuti del +14,3%.
Gli anni Settanta vedono il moltiplicarsi di famiglie con reddito combinatorio, visto che dal doppio lavoro all’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, dai lavoretti stagionali ai lavori informali e dell’economia sommersa, la struttura delle fonti di reddito delle famiglie va progressivamente articolandosi.
E’ su questa diffusa base di crescita del reddito disponibile per la spesa che prende un primo slancio la spinta della soggettività e si avvia il passaggio verso una società dei consumi come fattore caratterizzante gli individui.
Gli anni Ottanta raccolgono per molti aspetti i frutti positivi delle dinamiche socioeconomiche dei decenni precedenti, l’avvenuta diffusa patrimonializzazione, anche come effetto della imprenditorialità di massa.
E la soggettività comincia ad imporsi come modello di vita egemone; alla fine del decennio i consumi raggiungeranno livelli mai raggiunti prima, a testimonianza di una incessante dinamica di crescita.
L’individualismo è lo straordinario motore dello sviluppo di massa, ma diventa anche il modo di percepire la propria esistenza.
[stextbox id=”info” mright=”200″ image=”null”]2. Il disastro antropologico[/stextbox]
L’onda lunga della soggettività confluisce nell’attuale diffuso disagio individuale e ripiegamento collettivo che richiede il ricorso a strumenti di natura antropologica più che socioeconomica per essere interpretato nelle sue manifestazioni e cause. C’è una fenomenologia ampia e articolata che può essere così riassunta:
– la crescita dell’aggressività minuta e diffusa, dovuta a una crescente sregolazione delle pulsioni ed ha effetti sociali molto visibili e di pesante influsso sul vivere collettivo: dalla corruzione del linguaggio alla distruttività dispiegata (i fenomeni di bullismo, le frange di ultras attivi nelle piazze e negli stadi, i crimini inspiegabili, le tragedie intrafamiliari);
– la diffusione a macchia d’olio delle grandi patologie individuali, sia quelle di evidente rinserramento individuale interno (depressione, anoressia, dipendenza da droghe, fino al suicidio), sia quelle di crescente indifferenza alla vita collettiva (stanchezza di vivere, rimozione delle responsabilità, crisi della empatia nelle relazioni interpersonali);
– la mancanza di senso del futuro e di trascendenza, genera un intrappolamento nel presente. Un rattrappimento che ha radici profonde nella crisi della relazione con l’altro (e l’Altro), nella crisi del sacro e la labilità dei suoi surrogati (l’esoterismo o la new age), nella rimozione del senso del peccato (individuale o sociale che sia);
– la crisi di una mitologia che ha animato in passato i processi di sviluppo socio-economico: l’estinzione del desiderio e piuttosto il primato dell’offerta capitalistica di prodotti e servizi, l’evaporazione della figura del padre, la crisi dell’autorità della legge e delle istituzioni.
L’ampia fenomenologia della crisi antropologica ha origine nell’eccesso di individualismo che si è imposto come il vero problema dei nostri tempi.
[stextbox id=”info” mright=”200″ image=”null”]3. La post-soggettività[/stextbox]
La crisi del soggettivismo
La stagione del soggettivismo, come l’abbiamo conosciuta, è in crisi non solo per le forme patologiche più estreme, ma perché emergono segnali di stanchezza in modo diffuso su di esso.
Oltre il 70% degli italiani esprime rigetto per la verticalizzazione personalizzata (cuore della politica soggettivizzata), perché ritiene che dare sempre più poteri al Governo o al capo del Governo non ha senso, visto che la complessità dei problemi non consente a una persona sola di risolverli e visto che è fondamentale fare pesare di più il punto di vista dei cittadini rispetto a quello dei politici.
La soggettività ed il soggettivismo sono destinati a restare dentro la struttura socioculturale del Paese, ma è evidente che il grosso della forza propulsiva del loro ciclo si è già espresso.
Meno consumismo
Oltre il 57% degli italiani ha la sensazione che, al di là dei problemi di reddito, rispetto a qualche anno fa nella propria famiglia c’è un desiderio meno intenso di acquistare e consumare beni e servizi;
E c’è anche la percezione dello spreco persistente, o meglio dell’“eccesso di abbondanza” che renderebbe quasi fisiologici processi di razionalizzazione nelle case. Più del 51% degli italiani ritiene che ci sono settori in cui individualmente e anche la propria famiglia potrebbe consumare di meno, tagliando eccessi ed eventuali sprechi. La quota sale a oltre il 61% nel Nord-Ovest e a più del 55% al Centro.
Meno imprenditorialità giovanile
Dentro i segnali di stanchezza occorre anche inserire quelli relativi all’economia, dove il soggettivismo ha dato forse il suo risultato migliore con l’imprenditorialità diffusa . Tra il 2004 e il 2009 il numero di imprenditori è passato da 400mila a circa 260mila, con un calo secco del 36%; e sono i giovani i principali protagonisti di questa crisi della vocazione al rischio individuale, visto che tra il 2004 e il 2009 il numero dei lavoratori autonomi con meno di 35 anni è diminuito di circa 500mila unità: un taglio pari a oltre il 29% del totale.
Alla ricerca di modelli: prevalente il riferimento al padre
Nel 1988 il 63,2% degli italiani, dichiarava di non avere un modello o un maestro che ispirasse i loro comportamenti; oggi la percentuale di quanti dichiarano di non avere alcun modello valoriale di riferimento è calata al 40,8% del campione.
Ad intercettare maggiormente la domanda di nuovi modelli valoriali è la figura del genitore: il 22% degli intervistati riconosce nel padre il proprio maestro (nel 1988 erano il 14,7%), mentre quasi il 13% si ispira agli insegnamenti ricevuti dalla madre (7,3%, nel 1988). Il padre e, in generale, la figura genitoriale oggi sperimenta forme originali di esercizio della sua funzione.
L’individuo come guida non basta più a sé stesso, cerca altri punti di riferimento, forse delle radici a cui ricollegarsi, perché sente che da solo potrebbe fare poca strada.
Una religiosità più istituzionalizzata
Nei confronti della fede, negli ultimi 20 anni, si è manifestata una convergenza verso forme di credenza “istituzionalizzate”, a discapito soprattutto di atteggiamenti autonomi. Se negli anni ottanta si professava credente, riconoscendosi in un credo organizzato, il 45,1% degli italiani, oggi la quota di popolazione che si riconosce nel medesimo item è pari al 65,6% .
Law and order: il riflesso condizionato punitivo
Nella postsoggettività convivono sregolatezza di pulsioni e richiesta di normazione tanto che, laddove non operano i meccanismi dell’autoregolazione, scatta la richiesta della regolazione dall’esterno, magari con una legge.
Il 76,3% degli italiani pensa che bisognerebbe adottare un approccio più restrittivo nelle problematiche che riguardano l’alcol, il 73,7% la pensa così per ciò che riguarda le droghe leggere e l’89% per ciò che riguarda le droghe pesanti; e poi l’87% dei cittadini vorrebbe si adottassero misure più severe per contrastare i fenomeni legati alla guida pericolosa e questa deriva restrittiva si estende alla cattiva alimentazione (sulla quale il 47% vorrebbe si praticassero interventi normativi più stringenti); la spinta restrittiva è meno intensa per il fumo, il consumo di sigarette, con il 32,8% che si dichiara soddisfatto dell’attuale legislazione e il 15% che vorrebbe norme più tolleranti.
[stextbox id=”info” mright=”200″image=”null”]4. Scintille di speranza[/stextbox]
Soggettività ha significato la proliferazione di identità; quella italiana è stata un’identità sabbia, e per questo diventa cruciale capire nell’attuale contesto in cosa si materializza il potenziale di identificazione degli italiani.
Risulta che i pilastri del nostro stare insieme fanno perno sul senso della famiglia, indicata dal 65,4% come elemento primario che accomuna gli italiani; seguono poi altri importanti elementi, dal gusto per la qualità della vita (25%) alla tradizione religiosa (21,5%), all’amore per il bello (20,1%) .
Non a caso, oltre il 56% degli intervistati è convinto che l’Italia sia il Paese al mondo dove si vive complessivamente meglio, con un aumento di quasi il 7% rispetto al 1988.
Moralità e onestà (55,5%) e rispetto per gli altri (53,5%) sono invece i valori guida indicati dalla netta maggioranza degli italiani come necessari per migliorare la convivenza sociale in Italia.
La riscoperta della prossimità
Più del 50% degli italiani definisce “belli” i comportamenti tra le persone che non si conoscono, cioè quelle persone che si incrociano quotidianamente per strada, nei negozi, sugli autobus, rapporti quindi vissuti e percepiti come sostanzialmente positivi. È il bisogno di riscoprire l’altro, iniziando dal più vicino, una categoria che avevamo perduto, quella della prossimità, anche se è un processo ancora embrionale.
Dal punto di vista etico, gli italiani non si fidano degli italiani, mentre tendono a fidarsi e a sentirsi responsabili, di chi gli sta più vicino.
La forza spirituale degli italiani
Dall’indagine si evidenzia che il 68,9% degli italiani è convinto che la forza spirituale degli italiani sia ancora accesa. Il 17,7% è molto convinto e il 51,1% si dice abbastanza convinto; solo il 6% pensa che ormai non ci siano più valori spirituali in grado di animare i cittadini.
È infine significativo che non vi siano particolari differenze d’opinione tra le generazioni: la percentuale dei molto e abbastanza rimane intorno al 70%, anche presso gli anziani, tradizionalmente più inclini a ritenere che il sistema di valori vada deteriorandosi col tempo.
[stextbox id=”download” caption=”Download”]1) CENSIS – Sintesi del rapporto I VALORI DEGLI ITALIANI. Dall’individualismo alla riscoperta delle relazioni. 13 marzo 2012[/stextbox]