TUTTA UN’ALTRA SCUOLA

Quella di oggi ha i giorni contati - Giacomo Stella

 

NOTA

Considerato che, con il poco tempo a disposizione, Giacomo Stella ha tagliato gran parte del suo intervento, la relazione qui pubblicata è stata integrata con il suo Power Point e con riferimenti al suo libro “Tutta un’altra scuola”.

 

INTRODUZIONE

Per entrare in argomento vi racconterò di un corso di formazione di quattro ore che ho tenuto ieri. Nel corso di quelle lunghe ore ho parlato anche di educazione linguistica, sostenendo “più educazione linguistica e meno grammatica”. Sono stato subito interrotto da una collega:” Scusi, e l’INVALSI?”, e da un’altra “ Se non facciamo grammatica e analisi logica come la mettiamo con i test di ingresso alle superiori, visto che non sanno nemmeno cosa è un complemento di termine!”

Già, ma neanche io lo so!

A proposito di complemento di termine, vi racconto cosa mi ha detto una studentessa dell’ultimo anno di Scienze della Formazione Primaria. Premetto che insegno Psicopatologia dell’apprendimento e stavo facendo vedere un testo scritto da un ragazzino di 2^ media in cui si leggeva “hai pesci predatori” con la h. La studentessa, prima ha osservato “Ma come facciamo a correggere questi errori in 2^ media?”, poi si è illuminata e ha aggiunto: “Basta dirgli che è un complemento di termine!”. Le ho risposto : “ La ringrazio per il suo generoso intervento, MA NON LO FACCIA MAI!!”

Tutto questo preambolo per dirvi  che si parla continuamente di “apprendimento”, ma nessuno insegna ai docenti che cos’è l’apprendimento. Se si studiasse come si apprende, 600 miei colleghi universitari non avrebbero scritto, una settimana fa,  le cose incredibili che abbiamo tutti letto  sui rimedi per insegnare ai giovani a scrivere in italiano corretto. Non vi è dubbio che i ragazzi non sappiano scrivere,  basta leggere le loro tesi di laurea, ma i rimedi  proposti? Quei rimedi sancirebbero definitivamente la separazione tra gli allievi e la scuola. Il rimedio infatti è stato : “Più grammatica!”. Ma se tutti i linguisti, compreso il compianto Tullio De Mauro, dicono che la grammatica non serve, perché si continuano a dire queste cose? I miei studenti della Formazione Primaria, che non sanno scrivere, hanno fatto grammatica alle elementari, alle medie, al liceo, dove hanno persino studiato il latino! E allora perché queste stupidaggini? Perché non si sa che cos’è l’apprendimento, non si sa come si apprende la lingua.

Il modello di sviluppo del linguaggio è interazionista-comunicativo . Il linguaggio è uno di sistemi più complessi, pieno di tantissime regole, che nemmeno conosciamo, eppure la maggioranza delle persone non fa errori, non produce strutture fonotattiche cioè parole o combinazione di suoni non ammessi. Perché? L’insegnamento non c’entra, quasi tutto avviene attraverso l’interazione. Ecco, ora capite, cosa intendo quando affermo che a scuola non si sa niente di apprendimento.

Ma ora procederò in modo più ordinato seguendo il Power Point che ho preparato e che.. mi hanno illustrato gli organizzatori di questo seminario…

LA SCUOLA IMMOBILE

La scuola ai tempi del web

Ci sono rivoluzioni che la scuola continua a ignorare, ma che non può più permettersi di farlo. Vi riporto alcune affermazioni, su cui riflettere

Raffaele Simone scrive:

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Mentre Franco Lorenzoni dice:

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E ancora Simone:

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Da queste affermazioni traggo alcune riflessioni:

  1. “La scuola è il sito dedicato alla trasmissione del sapere”. Questo è ciò che credono ancora gli insegnanti, ma che la scuola sia il posto dove avviene la trasmissione del sapere è ormai superato dai fatti. Un cellulare in tasca ci fornisce tutte le conoscenze che vogliamo.  E allora, anzichè fare della trasmissione delle  conoscenze la propria missione,  gli insegnanti dovrebbero  preoccuparsi di capire cosa sa l’alunno, perché l’obiettivo è la trasformazione della sua conoscenza.  Occorre partire dalle conoscenze dei ragazzi, perché non è vero che non sanno nulla, sanno cose diverse da quelle che ci attendiamo. Ricordo una mia collega di trent’anni fa, che raccontava di avere chiesto ai bambini di 5^ elementare cosa sapevano del volume. Un ragazzino rispose pronto : “ E’ quello della radio”. “No” gli disse la collega: “ intendo quello di un solido” , e la risposta fu “ah,  la mamma mi dice sempre di  abbassare il volume”. Lui aveva una conoscenza, ma diversa da quella che ci si aspettava da lui. Badate, queste non sono sciocchezze, questo è un modo di insegnare. Diceva Piaget che la conoscenza non si forma solo con la certezza di quello che si sa, si forma anche scartando quello che non c’entra.
  2. La seconda riflessione mi deriva da alcune suggestioni  suscitate dal libro di Raffaele Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del web. Il primo elemento su cui riflettere è la conoscenza irrelata. Esiste oggi una conoscenza diffusa (accessibile da qualsiasi strumento tecnologico) ma disarticolata, contrapposta alla tradizionale conoscenza correlata, sistematica e ordinata, tipica dei processi classici di trasmissione delle informazioni a scuola. Questa rivoluzione con la prepotente irruzione della conoscenza irrelata, può anche non piacere, ma ormai è avvenuta e chiunque cercherà di ignorarla o di opporvisi è destinato a perdere, ma soprattutto a fare un cattivo servizio agli studenti. Il compito della scuola, allora, non è più quello di portare le informazioni- trasmissione del sapere- ma di trasformare la conoscenza irrelata in conoscenza correlata, che ha un suo procedimento, che la scuola ignora. E’ ridicolo sentire dire che per  migliorare l’apprendimento del latino i ragazzi devono fare più traduzioni! Sappiamo benissimo che gli studenti fanno le traduzioni con Google! Ma noi continuiamo a raccontarcela, non vogliamo capire.
    E ancora Simone parla di noosfera contrapposta a mediasfera.  Ci ricorda che oggi siamo dominati da una ubiquità dei media «che non ha precedenti nella storia», «immersi» e «in permanenza» nella cosiddetta mediasfera, che a sua volta ha effetti sulla noosfera, «cioè l’insieme dei pensieri, valutazioni, opinioni, concezioni sui temi più diversi, che risiedono nella testa dell’essere umano». La rete è ovunque e non c’è più nessun punto del globo dove si possa essere veramente soli, appartati e in silenzio. Tutto questo “stravolge l’esperienza del tempo continuo e indisturbato trasformandolo in una sequenza di interruzioni e di frammenti”. Questioni che non possono più essere ignorate dalla scuola, perché se lo si fa ci si nega la comprensione di come avviene oggi l’apprendimento dei ragazzi e  di come occorra intervenire per renderlo efficace.
    Infine, Simone parla di trasmissione dei saperi versus soppressione degli intermediari e dei garanti. La mediasfera  non consente controlli, indebolisce l’autorità che emana le informazioni e la validità che tali informazioni contengono (vedi wikipedia), anche di questa rivoluzione la scuola deve tenere conto.

I miti degli insegnanti

Noi abbiamo mille miti da rimuovere, riferirò solo di due.

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  1. La scuola di una volta”. Bene guardo alla mia scuola, perché io sono di una volta, sono addirittura di quella volta in cui in quinta elementare per andare alle medie bisognava fare un esame di ammissione, e  si studiava latino fin dalla prima media. Bene quell’esame lo facemmo in tre. Non mi ricordo degli altri due, ma so che io ero figlio di due insegnanti, quindi potevo permettermi l’esame di ammissione. E la maturità? La selezione alla maturità!  Insomma la scuola di una volta era una scuola che selezionava tutto e tutti, ma non solo con i voti.
  2. Il corsivo! Ma vi rendete conto  di quante sciocchezze avvalliamo? Del tipo: “dobbiamo riscoprire la bellezza della scrittura a mano”. Volete mettere una lettera d’amore scritta a mano? Che cosa è una lettera d’amore oggi?  Un messaggio di WhatsApp, un sms. Dalle ricerche emerge che usare la mano fissa meglio la rappresentazione del fonema, ma siamo sicuri di questo? Bisogna guardarli quei dati, perché se ne trovano altri che dicono esattamente il contrario. Io dico solo che scrivere è molto importante, ma che l’obiettivo non è scrivere in  minuscolo. Vi cito il caso di una ragazzina di seconda media. Chi fa il mio lavoro ha inventato un sacco di prove e fra queste ci sono quelle di fluenza grafomotoria, in cui per esempio bisogna scrivere la parola “uno” (viene scelta perché c’è la “u”, poi c’è un cambio di direzione con la “n”, poi c’è un terzo cambio di direzione con la “o”). Quindi vogliamo vedere la modulazione del movimento continuo come viene gestito dal soggetto. Bene quella ragazzina di 2^ media, aveva difficoltà a scrivere in corsivo, era lenta, in un minuto ha scritto solo 26 lettere della parola uno, lettere non parole, mentre quando le abbiamo chiesto di scrivere la parola “uno”, con la sua grafia, che è uno stampato maiuscolo, ha scritto 93 lettere in un minuto. Se uno scrive in modo più fluente in stampato maiuscolo, non è quello il suo corsivo? Certo, ma alla scuola media bisogna scrivere in minuscolo corsivo. Ma chi l’ha detto? Dove è scritto? Ma soprattutto di quale progetto didattico parliamo?

Il rapporto scuola-famiglia

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Il rapporto scuola-famiglia è in una crisi terrificante. Anche i docenti stanno male a scuola,  sono sotto il mirino dei genitori, perché manca una alleanza educativa,  ma manca per forza, perché manca nella società.

La figura dell’insegnante è stata messa in discussione. Se un tempo nessuno si sarebbe sognato di intervenire sull’operato del docente, oggi il voto e la bocciatura sono sotto accusa e si sente anche dire che il tale studente “è stato preso di mira dal docente”. I colloqui con le famiglie sono diventati simili alle interminabili confessioni prefestive nelle basiliche votive, e non è sempre chiaro chi è il confessore e chi è il penitente. Il docente deve spiegare perché ha dato quel voto, perché non ha interrogato due volte, perché ha fatto una verifica a sorpresa. Insomma il docente deve rendere conto del suo operato e deve anche essere convincente se no i genitori si organizzano e chiedono chiarimenti al dirigente.

Ciò detto, alcune cose vanno però fatte. In primo luogo bisogna smetterla con la delega: “Io a scuola insegno, tu a casa impari”. Ma  pensate che sia davvero giusto delegare? Quanti di voi hanno detto a una madre: “ Signora, suo figlio non sta andando bene, faccia qualcosa”. E tu docente cosa fai? La risposta di norma è:”Io ne ho venticinque da portare avanti!”  Ho capito, ma è noto che nella primaria i compiti li fanno i genitori, quindi voi che fate, date i compiti ai genitori? E se  qualche volta ci sono pure i nonni, date i compiti anche a loro! E’ così, purtroppo,  non sono battute. E il bello è che gli insegnanti più severi, quelli che danno più compiti,  sono considerati gli insegnanti più bravi! Sono quelli che alzano l’asticella e che introducono “acrostico” in prima elementare e il “limerick” in terza elementare.  Una volta sono stato corretto: “ No!, no!, noi il limerick lo facciamo in quinta”! Ah beh allora, benissimo. Io non so cosa sia il limerick, così una volta sono andato apposta al Liceo classico Galvani, qui vicino, per capire se a scuola il limerick è una cosa nota visto che lo insegnano alle elementari….. E’ stato bellissimo,  le studentesse mi hanno detto “deve essere uno stick al lime””, invece,  fra gli studenti maschi, uno ha risposto: “mi pare fosse un generale tedesco”. Traetene voi le conseguenze.

I PRINCIPI DELL’APPRENDIMENTO

Quando affrontiamo l’”apprendimento”, ci imbattiamo in molti  “perché” che cercano risposta come…

  • Perché al docente non interessa cosa sanno già i suoi studenti dell’argomento che sta per introdurre?
  • Perché il docente promuove il modello di studente che ripete le parole della spiegazione o quelle del libro, mentre talvolta penalizza chi cerca di esprimersi con parole proprie?
  • Perché in classe non viene utilizzato il confronto e la discussione unico vero modo di accendere il desiderio di apprendere?

La vera ragione per cui ci si continua a comportare così, a proporre lezioni frontali, è perché gli insegnanti non sanno nulla di come si promuove l’apprendimento. Nessuno li ha mai formati su questo terreno.

Invece dell’apprendimento si sa molto. In questi anni  psicologia e neuroscienze hanno messo in luce buona parte dei meccanismi che determinano i processi di apprendimento. Queste conoscenze, tuttavia sono rimaste nei recinti degli specialisti e solo di recente si è cominciato a capire che i primi destinatari delle scoperte neuroscientifiche dovrebbero essere gli insegnanti.

Sull’apprendimento ci sono definizioni scientifiche come quelle qui riportate

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Definizioni che ci dicono che l’apprendimento è innanzitutto un processo esperienziale, ripreso anche da Wikipedia:

“L’apprendimento è un cambiamento relativamente permanente che deriva da nuova esperienza o dalla pratica di nuovi comportamenti, ovvero una modificazione di un comportamento complesso, abbastanza stabile nel tempo, derivante dalle esperienze di vita e/o dalle attività dal soggetto. Esso è dunque un processo “esperienziale“: le nostre esperienze, compresa l’attuazione di nuove attività, possono infatti influenzare significativamente le nostre connessioni neuronali e quindi le nostre strutture cerebrali”. (Wikipedia)

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L’apprendimento è un cambiamento che dipende dall’esperienza e da nuove attività e che modifica la struttura delle connessioni neurali.

Cosa sono le “nuove attività”? Sono quelle che propone la scuola, sono attività che altrimenti nell’esperienza quotidiana uno che non va a scuola può anche non incontrare mai: la lettura, la scrittura, il calcolo formale.

Gli ingredienti dell’apprendimento possono essere ridotti a 3 elementi:

  • l’esperienza
  • le istruzioni
  • le spiegazioni

Di seguito una sintetica illustrazione di questi tre “ingredienti” dell’apprendimento:

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Ebbene di questi tre elementi, tra loro intersecati, la scuola assume solo il terzo, che da solo non può generare apprendimento.

Apprendimento implicito ed esplicito

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Esistono almeno due forme di apprendimento: apprendimento implicito e apprendimento esplicito.

L’apprendimento implicito è quello che si manifesta senza consapevolezza e attraverso cui impariamo la deambulazione e il linguaggio. E’ innato e per alcuni anni è l’unica forma di apprendimento del bambino. Non richiede istruzioni, ma solo esperienza. Il linguaggio non viene appreso perché qualcuno ci insegna le regole grammaticali o il significato delle parole, ma perché siamo continuamente esposti a un’esperienza. Siamo dotati di un meccanismo innato che registra una traccia di ogni esperienza, associato a un meccanismo di accumulazione progressiva, capace di riconoscere ogni stimolo già incontrato e di rinforzarne la traccia. Questi stimoli non bastano da soli se non vi è ripetitività e se il sistema verso il quale sono indirizzati non possiede le caratteristiche di riconoscimento e accumulazione. E’ necessario anche un terzo elemento detto categorizzazione, che consente di raggruppare gli elementi che nelle varie esperienze si assomigliano ( questo spiega, ad esempio, perché un bambino può dire ”ho aprito la porta”. Quello che ha fatto è stato estrarre una regola, mettendo insieme esperienze diverse e trovandovi delle costanti, cioè categorizzando). Le neuroscienze definiscono questo insieme di meccanismi (riconoscimento, accumulazione, categorizzazione) attività computazionale e la connotano come innata. In sintesi tutti noi siamo dotati di un meccanismo computazionale innato che ci consente di tenere traccia degli stimoli e di cercare costanti e differenze, costruendo categorie che sono i precursori dei concetti.

Nell’apprendimento esplicito entrano in campo il secondo e il terzo ingrediente dell’apprendimento, ossia le istruzioni e le spiegazioni.

Le istruzioni sono informazioni che vengono date per eseguire in un certo modo un compito.

C’è un’interazione importante fra le due forme di apprendimento implicito ed esplicito, cioè fra istruzioni ricevute ed esperienza e se questa interazione non avviene gli apprendimenti espliciti rimangono pura memorizzazione e quindi esposti all’oblio.

Le spiegazioni comportano argomentazioni aggiuntive che chiariscono il perché si debba seguire una certa sequenza o compiere l’azione in un determinato  modo. L’attività didattica si può dire quasi interamente assorbita dalle spiegazioni, tranne lo spazio dedicato alle verifiche. Invece occorre convincersi che bisogna rovesciare la  didattica: le spiegazioni dell’adulto devono diventare il punto di arrivo non di partenza.  

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ALCUNE PROPOSTE PER CAMBIARE

Concludo dicendo che ci vuole tutta un’altra scuola.
Ve lo dirò facendo alcune proposte

La casa dell’apprendimento

Siccome apprendere è divertente, per diventare un luogo attraente la scuola deve mettere al centro l’apprendimento. Come mai i bambini alla scuola dell’infanzia si divertono? Si dice perché giocano, no, perché apprendono ! Il gioco contiene in sé una caratteristica costruttiva che condivide con l’apprendimento: la gratificazione.

Se quello che faccio mi gratifica, tendo a ripeterlo e ripetendo  miglioro. Quindi giocando si apprende. Purtroppo siamo convinti che quello dell’infanzia non sia “vero apprendimento”, perché il bambino si diverte, è spensierato e inconsapevole, mentre l’apprendimento deve essere consapevolezza, fatica, sforzo. Questo avviene perchè  gli insegnanti non conoscono le caratteristiche del processo di apprendimento.

La prima cosa da fare, dunque, è cambiare il modello su cui gli insegnanti costruiscono la didattica scolastica. Dobbiamo trasformare la scuola in casa dell’apprendimento, e per farlo è necessario recuperare la dimensione gratificante dell’apprendimento come accadeva nella scuola dell’infanzia.

Sette regole per cambiare la scuola

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Tutta un’altra scuola!

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