Nuove Indicazioni, un documento ‘deprofessionalizzante’

Prima parte: analisi della Premessa culturale generale - di Giovanni Campana

Uno sconfortante avantindietro di venticinque anni

(dalla riforma Berlinguer-De Mauro del 2000 alle Indicazioni di Valditara del 2025)

Le attuali Nuove Indicazioni sono le ultime di una lunga serie seguita alla riforma Berlinguer del 2000. Si aprì, infatti, dopo di essa, un vero e proprio avantindietro di Indicazioni, ben poco salutare per l’autorevolezza delle istituzioni, dal momento che la continuità e stabilità dello Stato e delle sue istituzioni sono requisito fondamentale per la loro credibilità.

La riforma Berlinguer (L30/2000) compiva un passo di grande portata: superava la distinzione tra scuola elementare e scuola media, stabilendo l’istituzione di un “ciclo primario”, costituito da una “scuola di base” unitaria di sette anni. Lo scopo era evidente: introdurre una vera gradualità nella progressione degli apprendimenti, rimuovendo l’antico salto tra la scuola elementare e la scuola media[1], un gradino contro il quale inciampava e finiva per perdersi una parte molto consistente di bambini. La Repubblica rimuove gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza: è l’art.3 della nostra Costituzione, ed è questo lo spirito di quella legge di riforma della scuola.

All’insediamento del governo Berlusconi (2001) la riforma Berlinguer veniva semplicemente abolita in toto, e veniva elaborata e approvata la riforma Moratti (L.53/2003, tuttora in vigore), cui seguivano, dello stesso ministero, le Indicazioni Nazionali del 2004. In contrapposizione alla visione unitaria della riforma Berlinguer, non solo era riaffermata la separazione dei due gradi di scuola, ma le Indicazioni Nazionali, pur richiamando al “rispetto dei tempi individuali di maturazione”, sottolineavano con nettezza la discontinuità della scuola secondaria di 1°grado rispetto alla scuola primaria, insistendo sul suo carattere secondario: “il passaggio dall’istruzione primaria all’istruzione secondaria di 1°grado, pur nella continuità del processo educativo (…), esprime (…) un valore simbolico di rottura”.

Al di là del riferimento ai percorsi personali di maturazione, si trattava di una visione poco interessata al problema dello svantaggio nell’apprendimento[2]. Dirimente, a tal proposito, in apertura, la rimozione del termine uguaglianza nella citazione dell’art.3 della Costituzione: “la scuola – vi si legge – mira a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che, limitando di fatto la libertà, «impediscono il pieno sviluppo della persona umana»”. Ma l’art. 3 della Costituzione recita: «…che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza…».

Le Indicazioni del 2007 (ministero Fioroni) annullavano quelle della Moratti e, rifacendosi all’ispirazione della riforma Berlinguer, venivano incentrate su un principio essenziale di continuità dei tre gradi inziali di scuola – scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di 1°grado – e cioè sulla continuità del percorso educativo dai 3 ai 14 anni.

Caduto il governo, il ministro Gelmini stabiliva, con Atto di indirizzo del 2009, che le Indicazioni Moratti, decadute in seguito alle Indicazioni Fioroni del 2007, erano invece tuttora valide, ma non aboliva le Indicazioni Fioroni. Disponeva invece, che, in attesa della loro armonizzazione, entrambe le Indicazioni costituissero il riferimento delle scuole! Si creava dunque una situazione di interregno tra le due Indicazioni: continuità o discontinuità? La credibilità del ministero in questo ambito raggiunge un tale picco negativo che le scuole non si accorgono nemmeno della tenzone in corso tra le due visioni di scuola: entrando in classe l’insegnante si trova davanti quelle venticinque facce di bambine e bambini o ragazzine e ragazzini e si dà da fare per raggiungerli nel loro cammino di crescita cognitiva, culturale, umana.

Tre anni dopo l’Atto di indirizzo della Gelmini, la monetina del testa o croce sembrò cadere definitivamente dal lato della forte continuità. Si tratta delle Indicazioni per il curricolo del 2012. Forte del lavoro prodotto dapprima nella elaborazione della riforma Berlinguer e poi delle Indicazioni Fioroni, è il documento più articolato e impegnativo di tutta la serie.

Dunque: cinque documenti successivamente proposti alle scuole in venticinque anni: quello iniziale del 2000 (riforma Berlinguer-De Mauro), quello del 2004 (Indicazioni Moratti), quello del 2007 (Indicazioni Fioroni) – cui segue l’Atto di indirizzo Gelmini del 2009, che recupera le Indicazioni del 2004 mantenendo contemporaneamente quelle del 2007 – seguono, poi, quello del 2012 (Profumo) e infine, a distanza di tredici anni!, queste Nuove Indicazioni del 2025 (Valditara).

 

 

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[1] L’ ex-scuola media, erede del ginnasio, riformata nel ’62, ha continuato e continua a conoscere una caduta significativa nel successo scolastico al passaggio dalla scuola primaria. L’istituzione degli istituti comprensivi, con l’unificazione del collegio docenti e del consiglio di istituto, non ha risolto il problema del passaggio.
[2] IIl problema, naturalmente, veniva affrontato. Si ricorreva infatti ad una distinzione in due ordini di obiettivi, quelli specifici – specificazione degli obiettivi generali – e quelli formativi, fondati sul concetto di personalizzazione. L’impostazione fu criticata da coloro che ritenevano che la personalizzazione degli obiettivi avrebbe finito per essere un modo per non darsi troppo da fare a raggiungere obiettivi comuni da parte degli alunni in condizione di svantaggio sociolinguistico… Certo, l’elisione dell’uguaglianza dall’art.3 della Costituzione giustificava il sospetto.

Perché emanare Nuove Indicazioni?

Queste Nuove Indicazioni, per ora rese disponibili come “materiali per il dibattito pubblico”, si pongono espressamente, rispetto alle Indicazioni per il curricolo del 2012, come “revisione dei nuclei fondanti delle discipline tali da avere solido statuto epistemologico, valenza formativa, rilevanza sociale e storica e da fornire orizzonti di senso”.

Si impone dunque un confronto tra i due documenti[1], su cui si cercherà di formulare un parere. Il più immediato elemento di confronto appare intanto nel titolo stesso, che da Indicazioni per il curricolo passa a Nuove Indicazioni. La menzione del curricolo nel titolo delle Indicazioni 2012 conferiva loro un carattere più puntuale e tecnico; d’altra parte, benché vengano definite revisione delle precedenti, le Nuove Indicazioni sono un testo completamente sostitutivo[2] e, sia per aspetti di visione generale, sia per aspetti del quadro e dell’impostazione disciplinare – differente o, a tratti, alternativo rispetto alle precedenti.

 

 

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[1] Ovviamente anche le Indicazioni del 2012 ritenevano che l’impostazione da esse data per ogni discipline fosse “tale da avere solido statuto epistemologico, valenza formativa, rilevanza sociale e storica e da fornire orizzonti di senso”.
[2] Salvo che per diverse parti, cui si è abbondantemente attinto, ma operando parafrasi del testo invece che riproponendolo nella sua stesura originaria, cosa che in un’ottica istituzionale avrebbe sottolineato la continuità dello Stato e la sua imparziale superiorità rispetto alle parti politiche, compresa quella al governo del paese.

La “Premessa culturale[1] generale”:

1. la persona, la famiglia, il Maestro

La persona.

Al tema della persona viene riservata importanza centrale. Netto l’incipit della Premessa culturale: “La Costituzione mette al centro la persona”. Spiace, tuttavia, che venga immediatamente evocata una possibile tensione tra la persona e lo Stato, affermando che deve essere “lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato”. Una precisazione non necessaria dal sottile sentore polemico. Chi ne sarà il bersaglio?[2] Significativo, dopo il richiamo alla Costituzione, quello alla Dichiarazione dei diritti umani del 1948. Della persona è messa in primo piano la promozione dei talenti – motivo fondamentale delle Nuove Indicazioni – nel quadro di una “formazione integrale e armonica di tutte le dimensioni” (cognitive, affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche, spirituali).”  Prima di addentrarsi nel concetto di persona, il testo si preoccupa di ascriverne la piena paternità all’Occidente greco-romano e cristiano. L’affermazione, corretta, unita, nell’intero documento, ad altri riferimenti ad apporti esclusivi della civiltà occidentale alla storia umana (poco più avanti, ad es., si afferma che la pratica del confronto è “il privilegio della nostra civiltà”), può apparire di carattere orgogliosamente identitario (noi occidentali siamo ‘qualcosa di più’…), piuttosto che conoscitivo[3].

L’accenno di approfondimento filosofico della persona, che sembrerebbe quasi identificata con l’ “io”, è operazione delicata  (va osservato, infatti, che la persona è più dell’ “io”…)[4]. Allo stesso modo, non sembra appropriato porre così energicamente l’identità – l’io – come differenza (inducendo così a cercare la differenziazione dall’altro), senza insieme considerarla come coappartenenza e identificazione con l’altro – il noi(inducendo perciò con eguale forza a costruire la propria identità nella condivisione; così è, ad es., nella relazione familiare, amicale, di attaccamento ambientale, ecc.). Partecipazione e appartenenza (il noi) sono certo presenti nel testo, ma spicca al di sopra la forte preoccupazione per l’altra dimensione.

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[1] “Culturale”. Non è chiaro che cosa si intenda significare o sottolineare con l’introduzione di questo aggettivo.
[2] A chi pensasse il cattolicissimo La Pira con questa affermazione polemica è del tutto ovvio: al comunismo sovietico e a chi allora si ispirava ad esso, sicché la citazione suona oggi del tutto avulsa dal contesto presente della società italiana.
[3] Data la pesante miscela di aspetti straordinariamente positivi e pesantemente negativi della funzione storicamente svolta dall’Occidente nella storia mondiale, è consigliabile evitare sobriamente un soddisfatto taglio identitario in questo ambito.
[4] Oltretutto, il personalismo cristiano, cui gli estensori fanno espressamente riferimento citando il filosofo Mounier (e, in nota, la sua visione delle tre dimensioni della persona: corpo, spirito, comunione), non ammette affatto questa identificazione, che può evocare piuttosto un certo idealismo ottocentesco (con i suoi grandi pregi, ma anche con aspetti di pericoloso gigantismo dell’IO)

… e la famiglia

Nessuna scuola può svolgere in solitudine il compito formativo”: nelle Nuove Indicazioni i genitori, la famiglia hanno un posto importante nella visione e nelle prospettive d’azione della scuola. Viene perciò richiamato il Patto educativo di corresponsabilità (D.P.R. 235/2007), invitando le scuole a prevedere occasioni di incontro e dialogo tra studenti, insegnanti, genitori. Si considerano “le grandi valenze educative e affettive” della famiglia e “l‘azione sistematica e intenzionale di istruzione” della scuola. Non si vede perché di “grande valenza educativa” non si parli anche a proposito della scuola, sottolineando la funzione educativa dei saperi stessi e dell’azione volta ad appropriarsene, come del contesto sociale e istituzionale della scuola, in quanto strutturato secondo regole, oltre che, naturalmente, della relazione alunno-docente (trattata più avanti). Va osservato, poi, che il concetto di “istruzione” evoca una relazione di apprendimento di tipo trasmissivo-ricettivo, cioè passivizzante, ed è evitato in ambito pedagogico.

Ci si dilunga, dopo l’insistenza sulla corresponsabilità educativa, a richiamare i genitori alle loro responsabilità con un duro mutamento di registro comunicativo: “Dileggiare una scuola, sporcarne le pareti, distruggerne gli arredi, offendere un insegnante”… Corretta, ovviamente, la “richiesta di risponderne da parte delle famiglie”, ma se il tema è la corresponsabilità, una chiusa del genere rischia di smentire lo spirito di quanto precede. Il tema della trasgressività e aggressività non deve essere trattato lasciando da parte il principio e la prassi della corresponsabilità educativa di entrambe le istituzioni – scuola e famiglia – quasi che un tal principio valga solo quando tutto va bene. Non condivisibile, poi – come ulteriormente esemplificato a commento del paragrafo successivo – il cenno ad una specie di missionarietà di docenti e dirigenti, “che hanno scelto di spendere la propria vita in queste istituzioni al servizio delle nuove generazioni”: parlare, piuttosto, di professione e professionalità, sarebbe a questo proposito perfettamente appropriato, e si tratta di concetti ricchi di una grande robustezza valoriale, storica e teorica.

Il Maestro: una figura (e un modello!)… superiore

D’altra parte, già nel titolo e nell’incipit del paragrafo successivo – “Insegnante professionista, e anche Maestro” e “Troppo spesso si dimentica che un insegnante è magis, di più” – la figura del docente è effettivamente concepita secondo una direzione ideale, valoriale, in cui conta da un lato la grandezza umana dell’insegnante, chiamato a porsi come “modello” per il bambino/ragazzo¸ dall’altro la grandezza simbolica e quasi sacrale del Maestro (il ricorso alla maiuscola apre ad una ulteriorità di valore che fa impallidire il semplice e minuscolo professionista). “Magister”, colui che è “magis, di più”[1]. Una visione, appunto, solo – e astrattamente – vocazionale (…che oltretutto ha anche il pregio di essere più economica per lo Stato) e non professionale.

È fatale che a quella che – a più di un secolo dal citato attivismo e a più di cinquant’anni dalla svolta cognitivista – si potrebbe definire neocentralità del docente corrisponda una visione francamente non condivisibile della motivazione all’apprendimento nel bambino/ragazzo: “L’allievo, infatti, non sceglie di desiderare di imparare, sceglie il modello che sa stimolarlo in tale direzione”. Le cose stanno diversamente: la prima e fondamentale motivazione all’apprendimento è intrinseca, cioè consiste nel bisogno/desiderio di apprendere: è un appetito naturale. Compito del docente è porgere gli oggetti di apprendimento liberandone nel modo migliore il carattere di alimento in grado di corrispondere o anche suscitare quello che Piaget definisce appetito assimilatorio. In questo percorso, anche motivazioni di carattere estrinseco concorrono poi a tenere viva la motivazione; tra queste, molto importante il rapporto di fiducia e stima nei confronti della o del docente, come le soluzioni (coinvolgenti, giocose, interessanti, creative, patteggiate…, ecc.) da essi create.

La “dimensione educativa” risulta centrata “sull’impegno che insegnanti, dirigenti e personale ATA sanno profondere nel capire stili e orientamenti delle famiglie”. In realtà, è bene ricordare che in moltissimi casi il rapporto educativo che si realizza a scuola attorno alla relazione di apprendimento-insegnamento nel sistema di relazioni della classe e della scuola non ha affatto bisogno di penetrare negli stili e orientamenti delle famiglie. Naturalmente la competenza di docenti e dirigenti (come pure la serietà adulta e la formazione del personale ATA) devono essere in grado di realizzare un’efficace comunicazione di ascolto e dialogo con la famiglia nella misura in cui le situazioni lo richiedano. In un documento come le Indicazioni Nazionali il tono missionario non è appropriato. L’idea di scuola è talmente spostata verso la dimensione di comprensione delle famiglie che gli insegnanti sono visti come “catalizzatori di aspettative affettive” e, al di là di ogni senso della misura e della appropriatezza istituzionale, la scuola diventa “risolutrice di problemi relazionali delle famiglie” (per fortuna “anche dotandosi di sportelli psicopedagogici”).

Ci si poteva attendere una rappresentazione meno enfatica e più articolata della figura professionale del docente, impegnato nella progettazione e realizzazione della relazione di insegnamento-apprendimento, attenta alle diversità di bisogni e potenzialità degli alunni, nella importante dimensione della collegialità e dei diversi ruoli in ordine ai compiti dell’organizzazione istituzionale complessa che è oggi la scuola, come pure nella formazione pedagogica e disciplinare in rapporto alle molteplici dimensioni dei profondi mutamenti in atto.

 

 

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[1] Persino troppo scontato contrappore al magis di magister il minus di minister. Non c’è bisogno di precisare dove deve andare la preferenza.

2. “Scuola e nuovo umanesimo

Scuola di base e insieme dei talenti.

Un “nuovo umanesimo”: riferimento ambizioso, che si cercherà di considerare al termine di una analisi essenziale dei diversi punti di questa seconda sezione della Premessa.

La “finalità principale” della scuola è lo sviluppo delle “competenze culturali di base”, sicché quella del primo ciclo è scuola di baseIn essa “l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali” è perseguita “nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti”. È su questi ultimi che si appunta l’attenzione nel breve approfondimento che segue  Ma: cosa è talento? Si dice che il potenziale cognitivo, stimolato da ambiente idoneo, può “conseguire esiti positivi anche nelle situazioni di maggiore fragilità”. Talento è, dunque, ciò che porta a conseguire esiti positivi? No, questo non basta: la scuola “non si limita a rendere performative le conoscenze, ma espande le opportunità” affinché gli studenti possano trovare la loro realizzazione personale”. In definitiva, benché non vi siano chiare indicazioni al proposito, entrambe le dimensioni – quella delle conoscenze “performative” (gli esiti pienamente positivi[1]) e quella, più insistita, dei “talenti” (le speciali doti personali di ognuno)[2] – rispondono entrambe alla finalità costituita dalla realizzazione delle potenzialità personali di ognuno[3] è a questo proposito che viene citato l’art.3 della Costituzione).

 

 

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[1] Così si può intendere il termine performativo.
[2] Così sono forse da intendere i talenti, in conformità al significato comunemente attribuito al termine. Il concetto di talento, sottolineato e più volte richiamato, non è spiegato nelle Nuove Indicazioni.
[3] Che – si ricorda – “impegna la Repubblica a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»”.

Il “bene inestimabile della libertà”

Il “bene inestimabile della libertà”[1] è ciò che a scuola il bambino “impara progressivamente a governare” in quanto “soggetto attivo del proprio apprendimento”. La scuola, infatti, “sottende la centralità dello studente”, sicché, nella formazione scolastica, la libertà si pone come un “autodeterminarsi nei diritti e nei doveri”, che corrisponde – come viene detto (con una certa forzatura) – al “principio pedagogico dell’autogoverno, di matrice attivistica[2].

Va sottolineato che l’enfasi e la collocazione centrale della libertà non intendono concepirla in termini individualistici: “la libertà (…) non è solo autodeterminazione individuale, ma è una costruzione collettiva, che si sviluppa nel dialogo e nel rispetto delle diversità”; e, ancora,  “l’autonomia di essere e la competenza del fare” sono “al servizio della costruzione di una società aperta e rispettosa delle diversità e del pluralismo”.

Per comprendere il testo, soprattutto dal punto di vista di una pedagogia della libertà, fondamentale risulta il rapporto tra libertà e limite, espresso soprattutto dal concetto di autogoverno: l’“educazione alla libertà[3] sviluppa il “senso morale e la comprensione del principio di autorità”; “grazie al lungo allenamento all’autogoverno” e “in virtù delle ‘regole’”, l’alunno “interiorizza il senso del limite e un’etica del rispetto” (verso “il prossimo, gli anziani, i più deboli”). Così “la libertà si trasforma in responsabilità”.

Naturalmente, che libertà e limiti siano inscindibili è verità indiscutibile. Qui, però, si ha l’impressione che l’idea di libertà sia completamente assorbita in quella di limite. Significativa, infatti, la sintesi esemplificativa proposta: l’educazione alla libertà “non è sviluppo dello studente nella libertà, ma sviluppo della libertà nello studente”, quasi che la scuola sia luogo non di libertà, ma solo di preparazione alla libertà. Sarebbe stato meglio uscire da una certa astrattezza e declinare il concetto di libertà soprattutto in termini concreti di autonomia e pensiero critico, termini utilizzati anch’essi nelle Nuove Indicazioni, ma non trattati con la necessaria ampiezza e incisività (e concepiti anch’essi non senza astrattezza: “autonomia di essere”).

Alla mancanza del senso del limite, frutto di “gravi povertà educative” (l’espressione non intende evocare condizioni economiche, ma può suonare ambigua), proprie di famiglie “iper/ipoprotettive”, viene ascritta la disposizione di certi alunni alla prepotenza (“hybris, tracotanza”) o viceversa a divenire vittime di bullismo. È in famiglia, d’altra parte, che si apprende il rispetto, “valore civile fondamentale” che “si consolida a scuola”. Ad esso le Nuove Indicazioni annettono grande importanza[4].

 

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[1] Si sottolinea che si tratta di un valore dell’Occidente. Naturalmente, poiché il concetto di libertà non coincide con la visione liberaldemocratica, il discorso avrebbe bisogno di essere piuttosto articolato.
[2]  Nell’attivismo la centralità attiva del bambino che costruisce il suo sapere e saper fare non riguarda la questione dei diritti e dei doveri, ma consiste nel superare radicalmente la visione e la pratica trasmissiva centrata sull’insegnante in favore dell’azione costruttiva del bambino mediante forme di attività laboratoriali. È vero, naturalmente, che la socialità, quindi la collaborazione e il rispetto dell’altro, sono al cuore di una simile pratica.
[3] Nulla di specifico si dice su come si svolga o in cosa consista questa azione di educazione alla libertà, lasciando intendere che ad educare sia il contesto stesso, guidato, ovviamente, dal docente.
[4] Il rispetto sorge in una “mente flessibile (…) in grado di pensare, insieme, identità e alterità, io e tu, entro il perimetro del ‘noi’. In luogo di questo affondo filosofico, bastava – di immediata efficacia, per quanto non esaustivo – il richiamo (presente poco prima) alla relazione  tra senso del limite e rispetto dell’altro.

Le differenze di genere e il rispetto della donna

(il titolo del paragrafo, che è “Scuola che educa alle relazioni” non corrisponde al contenuto del paragrafo)

Seconda coordinata dopo il grande tema della libertà è… la differenza di genere! Il tema della relazione che impegna il paragrafo (“Scuola che educa alla relazione”) non concepisce altre dimensioni all’interno dell’immenso tema della relazione se non quella della relazione di genere come relazione di differenza. Invece che impegnarsi a restituire il bambino o ragazzo a se stesso nella sua crescita personale, coltivando in lui o lei, con rispetto, sobrietà e saggezza, la sua libertà e autonomia – anche e proprio nella costruzione della sua identità di genere attraverso la ricchezza e molteplicità della relazione verticale con l’adulto e la ricchezza e molteplicità della relazione orizzontale con i pari – la scuola educa a  rispettare,  e dunque a mantenere e difendere, le differenze di genere[1] (ignorando, evidentemente, proprio in tema di genere, le differenze personali e il rispetto ad esse dovuto). Evidentemente, conta il genere, la classe, la categoria, l’appartenenza all’uno o all’altro genere, non la persona. La persona viene dopo la categoria. L’identità è collettiva e viene calata da fuori e dall’alto sulla persona, non è un fatto della persona. Al centro c’è il collettivo (magari lo Stato…).

Probabilmente queste critiche sono troppo dure. Probabilmente il testo intendeva essenzialmente esplicitare, all’interno del tema del rispetto, la questione del contrasto alla violenza nei confronti della donna, ma poiché il paragrafo è intitolato all’ “educazione alla relazione” senza ulteriori specificazioni –  eppure pone solo il tema delle differenze di genere (anche in funzione di una “alfabetizzazione emozionale” che alleni a “‘capirsi’ nella complementarità delle rispettive differenze”), fino a proporre un “nuovo patto fra i sessi” – si coglie immancabilmente dall’intero paragrafo una concezione delle differenze di genere che ignora la complessità  del tema e delle situazioni personali in fatto di identità di genere, sottendendo una visione strettamente binaria di  qualità (…ruoli?) maschili e femminili. Ne emerge una visione ancora non pervenuta, in questo campo, al primato della persona[2]. Va aggiunto che l’accenno al grave fenomeno del bullismo imponeva di ricordare, oltre al tema della violenza contro la donna, il problema dell’omofobia e dei frequenti e a volte gravissimi episodi di bullismo diretti precisamente a quei preadolescenti che aprono sofferte crepe nel muro che separa maschi e femmine nelle loro presunte ‘immutabili’ differenze.

 

 

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[1] In ciò è perfetta la coerenza con le Indicazioni Moratti del 2004, che negli obiettivi riferiti a Il sé e l’altro” della scuola dell’infanzia poneva al terzo posto (dopo l’ autonomia e il rispetto dell’altro) l’obiettivo mirante a porre le differenze di genere entro argini ben solidi nella mente del bambino: “accorgersi se, e in che senso, pensieri, azioni e sentimenti dei maschi e delle femmine mostrino differenze, e perché”.
[2] Resta inoltre davvero singolare che questo paragrafo sia intitolato alle relazioni (“Scuola che educa alle relazioni”), tema vastissimo, di cui sostanzialmente non tratta, se non per l’unico aspetto delle differenze di genere. Viene da pensare che si tratti di una svista, cioè di una imperdonabile negligenza.

 

La scuola “comunità educante

L’idea è quella di una scuola aperta e flessibile (partecipazione di famiglie, enti territoriali, università), caratterizzata da “istruzione qualitativamente elevata e ‘sapienza del cuore’”, con “attività, spazi e tempi in funzione dell’inclusione scolastica e dell’attiva partecipazione degli studenti” (attività laboratoriali, ecc.), per la quale vale, in generale, il riferimento alla “grande tradizione dell’attivismo pedagogico”. Che cosa intenda il testo per scuola-“comunità educante” sembra emergere dalla raffigurazione d’assieme in cui tutte le componenti (docenti, dirigenti, DSGA, personale ATA, alunni e famiglie) concorrono a creare quelle che vengono definite ‘culture educative’ (cioè, più modestamente, scelte, impostazioni, stili educativi). È la visione di una specie di spontanea dedizione di tutto il personale, che, con la sua “operosità, collegialità e serenità”,  “sa condividere le risorse, scambia pratiche di lavoro e si aggiorna con costanza; fa ricerca…” e, in particolare “è stimolato ad assumere funzioni di leadership o di middle management”, così come, per l’innovazione, è provvidenziale il “coinvolgimento attivo e partecipato dei membri più anziani che diventano con serena naturalezza tutor e facilitatori dell’apprendimento professionale degli insegnanti neo-assunti. In tutto questo il testo ignora bellamente che sta toccando aspetti gravemente lacunosi della professionalità docente, per i quali da anni si invoca pressantemente precisa definizione e relativo riconoscimento.

Ecologia, tecnologia, intelligenza artificiale (IA)

Nei paragrafi dedicati l’uno alla cura del pianeta e al governo della tecnica, l’altro al rapporto con l’IA nella formazione scolastica è rappresentata con ampio sguardo e con tratti anche drammatici la complessità e pervasività dei problemi ecologici e delle straordinarie trasformazioni introdotte dalle nuove tecnologie. Si dice che gli insegnanti hanno il dovere di conoscere e capire le potenzialità della IA, integrandola nel contesto con una funzione di rafforzamento, non di sostituzione delle dimensioni umane e sociali, e con attenzione alle implicazioni etiche e al fatto che, oltre una certa soglia, i “modelli economico-tecnicistici” applicati alla formazione scolastica possono condannare un paese alla “regressione”. A contrastare un simile esito, nel testo sono chiamati in soccorso – con un inverosimile omissione degli aspetti primari della formazione di base – l’introduzione del latino (primo e principale rimedio, evidentemente!), l’“ampliamento contenutistico e metodologico di letteratura e grammatica, le connessioni pluri e interdisciplinari fra le discipline STEM e le arti, la musica. Che la maggiore penetrazione dei processi linguistici, compresi quelli più complessi rappresentati dalle lingue classiche, rafforzi la riflessività, ecc. – e dunque concorra ad un approccio più consapevole e attento alle nuove tecnologie e alla stessa IA – è convinzione fondata.  Ma porre il latino in prima fila sembra seguire una logica che vede la vera soluzione dei problemi nelle risposte speciali e più alte: prima la pratica profonda della scrittura al di sopra di tutto, qui il latino. Si parte dunque da una cosa piuttosto difficile (e non per caso sostanzialmente elitaria) per contrastare la “regressione” indotta dai modelli economico-tecnicistici.

Ma il problema dei “modelli economico-tecnicistici” riguarda non le scelte disciplinari, ovviamente, ma, trasversalmente, nelle diverse discipline, la struttura della relazione di insegnamento-apprendimento come base e cornice del percorso formativo scolastico. Va precisato che un conto sono i modelli economico-tecnicistici, espressione con cui generalmente si intendono processi fortemente addestrativi e acritici, centrati sulla prestazione e funzionali a determinati fini economici (e politici), un conto sono invece le tecnologie, la cui funzione è di facilitare, anche  fino a sostituire, sotto la guida umana intelligente, i processi di tipo strumentale, per restituire più rapidamente e direttamente il “manovratore” ai suoi genuini processi di pensiero, con cui valutare, ragionare, decidere. Che poi la maggiore penetrazione dei processi linguistici, compresi quelli delle lingue straniere e di quelle classiche, rafforzi la riflessività, ecc., è del tutto evidente.  Accanto a una simile semplificazione, francamente inaccettabile, il testo sottolinea l’importanza di  aiutare gli studenti a maturare visioni complesse sui problemi contemporanei”, raccomandando la dimensione interdisciplinare dei saperi sui grandi temi (“l’universo, il pianeta, la natura, la vita, l’umanità, la società, il corpo, la mente, la storia”) e osservando come, per ogni disciplina, sia presente nelle Nuove Indicazioni una proposta di ibridazione tecnologica. Si afferma infine che anche per questo La complessità è il costrutto che ispira le Nuove Indicazioni”, ma su questa autodefinizione sarà necessario svolgere qualche considerazione più avanti.

In tema di tecnologie e di IA è sottolineato l’imperativo di presidiare “il bene incommensurabile” della libertà”, evitando  che l’uomo e la coscienza siano ridotti “a una dimensione”.

Scrittura, amore mio! (ovvero: “Scrivere…è vivere”)

Dopo l’invito a “prudenza e senso critico” nel praticare le nuove tecnologie, entra in campo, a stagliarsi su tutto il resto, la pratica salvifica della scrittura: “scrivere è…vivere!” In che senso? Nel senso di “carta e penna, lettura “ad alta voce”, elogio del “corsivo” e della “calligrafia” (preziosa per la “coordinazione oculo-manuale”). Segue un accenno alle fasi presillabica, sillabica e alfabetica nell’apprendimento iniziale della scrittura[1].

Alla pratica della scrittura – celebrata prima di tutto come pratica dello scrivere, poi, ovviamente, anche come lettura – sono poi associati (a sfatare il “mito della velocità”) “silenzio, concentrazione, lentezza”, e dunque la qualità di “affinare pensiero e ragionamento” e la capacità di “concettualizzare” come di “capire un discorso” e, ancora, di “strutturare il pensiero in un orizzonte di senso che è anche introspezione, cura di sé”.

La scrittura (salvifica!) “allontana i bambini dagli schermi e permette di tutelare gli spazi vitali dell’esperienza concreta” (sic!): il tono è di preoccupato timore per la dipendenza tecnologica (tablet, videogiochi, smartphone, TV, ecc.). Per la verità, sarebbe più giusto considerare che il progressivo ingresso nel mondo della lingua scritta, cioè della ricchezza dei saperi, permette a bambini e ragazzi di leggere meglio gli schermi, con l’integrarli  e relativizzarli entro una mente resa complessa dalla frequentazione, appunto, dei saperi, dalla pratica della sempre più complessa e analitica lingua di scolarizzazione. Questa lenta e lunga socializzazione culturale nella e mediante la scuola, nel suo articolato insieme di pratiche cognitive, esperienziali, relazionali –  e non, tra tutte e al di sopra di tutto, mediante l’azione salvifica dello scrivere – è garanzia di buona crescita dei bambini e ragazzi.

Come per le parti riservate alla persona, alla famiglia, al Maestro, anche questa sulla scrittura risulta sbilanciata e astratta rispetto all’insieme organico di cui dovrebbe essere parte, che è la funzione linguistica e comunicativa.

 

 

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[1] Non sarebbe logico pensare che le e gli insegnanti ne sappiano già qualcosa?… (È probabilmente sotteso il riferimento allo straordinario classico di impostazione piagetiana (dei primi anni ’80 del Novecento), di Ferreiro e Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti 1992)

La questione dell’inclusione

Da ultimo la Premessa tratta dell’inclusione, la cui collocazione in coda lascia a dir poco perplessi. Lo fa a partire dall’inclusione dei disabili, commettendo con ciò un serio e insieme banale errore di comunicazione e cioè inducendo l’idea che per scuola inclusiva si intenda in primo luogo una scuola che accoglie alunni disabili (sottolineandone in tal modo una sorta di diversa diversità). In questo errore non cadde la legge 517/77, citata nel testo col dovuto rilievo, che fece, per così dire, della diversità lo statuto ordinario dell’alunno, affrontando il problema complessivo delle diverse situazioni di difficoltà nell’apprendimento e comprendendo solo all’interno di esse la diversità dell’alunno con disabilità, che meritava forme specifiche di sostegno. Un simile incipit potrebbe essere rivelatore di un atteggiamento mentale non pienamente congeniale allo spirito dell’inclusione, anche se, per la verità, il discorso viene subito allargato agli alunni con BES e quindi a tutte le diversità problematiche, a partire – correttamente – da quelle non certificate, e cioè dallo “svantaggio sociale e culturale”… e linguistico, si sarebbe però dovuto aggiungere, in coerenza con i documenti ministeriali in proposito. Va ricordato infatti che quest’ultima componente – sociale, culturale e linguistica – comprende gli alunni immigrati. Di essi, come degli importanti documenti ministeriali ad essi dedicati[1]. il paragrafo e le intere Nuove Indicazioni riescono a non fare menzione nemmeno una sola volta.

Per la realizzazione dell’inclusione vengono date alcune indicazioni teorico-pratiche:

  • Prima indicazione è la “personalizzazione”[2] come “accompagnamento dell’alunno” a riconoscere e sviluppare “i suoi talenti”
  • Seconda indicazione è “un lavoro decostruttivo” su “discorsi e contesti[3]… L’invito è a leggere all’interno della scuola, quale organizzazione complessa, “culture latenti, trama dei sistemi simbolici agiti, vissuti, espressi dagli insegnanti e dai diversi operatori”, poiché “tutto ha un peso: i modi di accogliere i bambini e i loro accompagnatori, di salutare, di abbracciare l’altro con sguardo sorridente”… Così “i linguaggi del corpo” come “la matericità[4] dell’organizzazione e dei suoi oggetti (la forma degli edifici, la disposizione dei locali…)”. Si tratta di “conformare progressivamente l’agire comunicativo di tutti[5]”.
  • Terza indicazione l’utilizzo di “tecnologie didattiche” volte all’inclusività[6]: la “realtà aumentata” e la “realtà virtuale” per “esperienze di apprendimento immersive e interattive”, e “tecnologie assistive basate sull’IA” per garantire “pari opportunità di apprendimento” a studenti con disabilità o con DSA.

L’impegno dell’inclusione è concepito come “l’azzardo di un colpo d’ali”, consistente nel realizzare “i diritti e i doveri della persona”, che “diventa artefice (…) al di là della sua condizione di partenza”, “dell’evoluzione della propria coscienza consapevole”.

Azzardo? Per la verità la realizzazione di “diritti e doveri” attiene all’ordinario, magari in modo sempre perfettibile [7] [8].

 

 

 

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[1] Tra gli altri: “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” 2007, “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri”, febbraio 2014
[2] La personalizzazione è un postulato pedagogico che presuppone un paradigma antropologico… Il presupposto di un postulato? Siamo sicuri che il livello del discorso sia quello appropriato?
[3] La formazione del docente deve prevedere lo studio di Derrida e del ‘decostruttivismo’?…
[4]“Matericità dell’organizzazione”. Si direbbe che uno scopo latente delle Indicazioni sia di farci sentire un po’ più ignoranti di quel che siamo.
[5] L’ “agire comunicativo”, il dotto riferimento latente è qui al grande sociologo Jürgen Habermas.
[6]   Per la sperimentazione di “strategie utili per la scuola inclusiva”. Si cita l’Universal Design for Learning (UDL).
[7] L’idea di una scuola e di una figura di docente totalmente giocati su una dimensione di eccezionalità non fa bene alla scuola, chiamata a realizzare – tra entusiasmi e sobrietà, creatività e saggezza, impegno personale e collaborazione collegiale – la concretezza attenta e perseverante – e, sì: spesso appassionata – del giorno per giorno. L’ Attimo fuggente  è un pessimo film…
[8] Sarebbe stato opportuno citare non solo la direttiva sui BES, ma anche il D.Lgs.66/17, che, benché riferito agli alunni con disabilità, è rilevante per l’intero istituto, di cui deve essere valutata l’ “inclusività”.

L’impressione è che         

   

in ogni ambito si debbano rincorrere eccezionalità, punte di speciale valore:

  • per la persona i talenti
  • per il rapporto con la famiglia una scuola risolutrice dei suoi problemi relazionali,
  • per il Maestro la qualità di modello (stimolante, contagioso) senza cui il bambino è cognitivamente spento
  • per non dire che la libertà sembra essere essenzialmente una speciale forza che si accumula per il dopo attraverso il senso del limite e dell’autorità,
  • la relazione è essenzialmente differenza di genere (sulla relazione altro non si sa…)
  • la scrittura (intesa in primo luogo come lo scrivere) si staglia su tutto divenendo vera e propria forma di vita (e liberando il bambino/ragazzo da videogiochi, ecc.)
  • l’inclusione è “azzardo di un colpo d’ali”…
  • … E il “nuovo umanesimo”? Evidentemente è ben nascosto nelle pieghe del discorso.

Insieme a tutto ciò vi sono, naturalmente, al di fuori di un criterio di chiara organicità, numerosi spunti e indicazioni da accogliere (altri problematici potrebbero invece essere ancora evidenziati).

IN CONCLUSIONE…

Più che la formulazione di vere e proprie valutazioni, che richiederebbero di soppesare ogni cosa fino a cogliere il senso e la misura esatti dei diversi elementi e il senso dell’intero quadro, un modo di tirare le somme dopo la lettura e analisi di questa Premessa Culturale Generale e cioè della visione di scuola delle Nuove Indicazioni, può essere quello di dichiarare le proprie impressioni. Benché le si ritenga tutt’altro che infondate, queste impressioni sono qui offerte come spunti, anche provocatori, per la formazione di una propria posizione sull’importante documento ministeriale da parte di chi legge.
La prima e più generale impressione è che questa Premessa sia dominata dal binomio dimensionale individuale-verticale, e che la dimensione orizzontale del noi, sicuramente e diffusamente presente, sia subordinata e assorbita in quella duplice dimensione, la vera dotata di valore, quella dell’io, del soggetto da cui promana la verticalità di ciò che veramente vale.
Così si ha il ricorrente tema dei talenti (insieme alla formazione integrale e armonica della persona, ma come vera meta del lavoro scolastico al di sopra di essa), quello del Maestro (che è maiuscolo, cioè ulteriorità di valore – “di più” -, modello per la vita, per il quale, nella successiva sezione dedicata al curricolo, saranno scomodati come esempi Dante, Michelangelo,  San Francesco, e – per gentile concessione – la Montessori…) e il tema della scrittura, dimensione privilegiata al punto da essere l’unica attività di apprendimento scolastico ampiamente richiamata nel testo della Premessa (non le scienze, la sperimentazione, il valore della verità matematico-scientifica, non la storia come crogiolo delle trame che intessono il presente… solo la scrittura merita un paragrafo tutto suo in quanto luogo vitale in cui l’individuo entra in se stesso, esprime se stesso, costruisce concettualizzazioni, ecc…, purché usi carta e penna, ami il corsivo…).

L’impressione è che gli aspetti qui evidenziati siano quelli che danno il La all’intera visione. Questo può portare chi legge a sottovalutare i numerosi elementi, pur presenti, di una rappresentazione della scuola continuamente aperta a una ricerca di collegamento tra scuola e famiglia, scuola e territorio, e ricca e dinamica al suo interno, dove gruppi di alunni si formano e si spostano in funzione delle diverse attività e iniziative in laboratori, nuove tecnologie e Intelligenza Artificiale, aule di attività artistiche, senza dimenticare gli aspetti relativi all’inclusione, ecc. Benché vissuta con l’ottica sbilanciata sopra riferita, la rappresentazione del mondo della scuola non manca, in ogni caso, di una sua ricchezza e vivacità.

Altra impressione. La scrittura, si diceva, volge verso sé e, va aggiunto, verso cose che vanno in senso contrario al mondo di oggi: allontana bambini e ragazzi dagli schermi ed è antidoto alla generale pervasiva velocizzazione che caratterizza l’oggi in ogni cosa. Allo stesso modo il paragrafo dedicato alla IA raccomanda già dal titolo “prudenza e senso critico”. Un atteggiamento difensivo nei confronti dell’oggi, che, per quanto motivato, non è, come dovrebbe, di positivo accoglimento (critico, non difensivo). Il problema del rallentamento riflessivo esiste, come esiste la crisi della parola scritta, che perde terreno dinnanzi all’immagine e al sonoro dei video degli smart oltre che dei media. Ai miei tempi vi erano genitori che proibivano i fumetti ai figli come minaccia alla vera scrittura, quella dei libri. Non si vorrebbe che gli estensori delle Nuove Indicazioni siano gli eredi di quei bravi genitori, i cui “buoni” intendimenti sono stati – per fortuna – cancellati dalla storia. Non sarebbe meglio proporsi, non di allontanare bambini e ragazzi degli schermi, ma di fornire loro strumenti per leggere, valutare, relativizzare, esercitare il pensiero critico nei confronti di quel che gli schermi inesorabilmente continueranno a sfornare? Il testo ha di mira questo, naturalmente, ma lascia trapelare la paura dell’oggi, il che non è un buon messaggio.
Quanto alla velocizzazione, la scrittura è realmente una benefica forza contraria, ma nella velocizzazione bisogna anche saper entrare. Socrate aveva buoni argomenti per rifiutare la scrittura. Poi, il suo più affezionato discepolo, Platone, fu autore di una produzione immensa di testi scritti, divenendo già allora uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi (lui, a sua volta, rifiutava l’arte degli scultori greci, che volevano fissare nella pietra l’ideale, ma la storia e il nostro Rinascimento lo hanno sconfitto come lui aveva sconfitto, amandolo immensamente, il suo maestro).
Meglio andare sempre avanti; senza perdere la continuità con noi stessi, naturalmente. Non sembra esattamente lo spirito di queste Nuove Indicazioni.
Più avanti nel testo le Nuove Indicazioni cercheranno di recuperare grandi cose dal nostro glorioso passato (che poi non è né dimenticato né veramente passato, per la verità), e piazzano il latino e la letteratura come antidoti alla perdita di continuità (o, addirittura, alla “regressione” del Paese, minacciata dai modelli economico-tecnicistici nella scuola), ma la continuità si garantisce piuttosto entrando nella complessità con il senso chiaro e tenace delle due continuità, quella verticale con il passato e quella orizzontale con il mondo presente. Non è questione astratta, ed è cruciale: noi siamo ugualmente e inscindibilmente l’incontro e l’unità di queste due dimensioni, e questo deve essere la scuola, abitando inscindibilmente i grandi saperi (tutti quanti da un passato millenario!), ma insieme collocandosi attentamente nel presente. Due dimensioni che corrispondono a ben vedere a quella individuale-verticale dell’io, che ci radica in noi stessi e nel nostro passato, nei nostri valori, e quella orizzontale del noi, dell’incontro con l’altro, gli altri, il mondo, nella quale progressivamente si alimenta il nostro repertorio di identificazioni dinamiche con l’altro, scoprendo ciò che di comune abbiamo con il diverso, il bisogno comune di ritrovare se stessi dentro la complessità del mondo e dei saperi. Due dimensioni: è l’ineliminabile interdipendenza che unisce il microcosmo dell’individuo-persona (l’io e il mondo interno), con il macrocosmo della dimensione globale (l’esterno: il noi e il mondo che ci unisce). Continuamente interiorizziamo ciò che è esterno e esteriorizziamo ciò che è interno[1] i saperi uniscono le due dimensioni. Alle Nuove Indicazioni imputiamo uno sbilanciamento verso la prima. Non so se gli estensori delle Indicazioni si ritrovino nell’ottica di queste ultime affermazioni. In ogni caso non sembra l’ottica che trapela dal testo, attestato sul primato della dimensione dell’individuo (nel paragrafo ad essa riservato, l’io è essenzialmente differenziazione dal tu e la parola libertà ricorre 16 volte!) e della continuità con il passato, chiaramente sbilanciati rispetto al noi e alla complessità del mondo presente.

Terza impressione che si intende riferire. La scarsa considerazione della dimensione professionale nella scuola. Il minuscolo professionista (la scienza) si pone al seguito del maiuscolo Maestro (la saggezza). Ebbene: quando la saggezza non è fondata sulla scienza non è saggezza e si è davanti al triste devastante fenomeno dei guru, di coloro che, a volte con buone intenzioni, vogliono porsi, ad esempio, come risolutori “dei problemi relazionali delle famiglie”…
La professionalità sembra sostituita dai buoni sentimenti: la serena naturalezza del docente più anziano (non quello che ha più sperimentato, o studiato e innovato, ecc.) che fa da tutor al giovane… Tutto il testo, per la verità, pur considerando vari aspetti della complessità dell’oggi e la necessità di un approccio interdisciplinare, dell’uso delle nuove tecnologie, ecc. non riesce ad avere una visione complessa della scuola. Una visione che tenga conto della storica svolta dalla scuola come organo (in una società statica) della riproduzione delle diversità rappresentate dalle classi sociali di appartenenza, alla scuola organo (in un mondo in progressivo rapido mutamento) della necessità del superamento delle grandi differenze socioculturali e linguistiche e cioè della formazione culturale unitaria di tutti i cittadini. Questo passaggio era ed è intrinsecamente problematico, impegna una nazione per decenni e richiede mediazioni tecniche sia sul piano pedagogico e psicopedagogico dell’insegnamento, sostenuto da conoscenze specifiche (e non da sole qualità valoriali personali), sia sul piano della differenziazione di ruoli all’interno della scuola, anch’essi sostenuti da formazione specifica.

La visione della scuola che da questo testo emerge parla di complessità, ma non pensa la complessità e non sembra sentire  il valore “professionalità”. Al di là di ogni pur buona o ottima intenzione, si coglie di fatto un’atteggiamento deprofessionalizzante. Una deprofessionalizzazione nascosta – o piuttosto palesata – nella visione del Maestro come modello, nel tipo di rapporti con le famiglie, nella fiducia esagerata nella forza dei talenti, nell’inclusione come scommessa e azzardo senza il necessario rilievo per la differenziazione dell’azione didattica in rapporto alle differenze (si veda, ad es., la mancata menzione del problema dei bambini e ragazzi di famiglie immigrate), ecc,. Può darsi che il prosieguo dell’analisi e una nuova rilettura di questo stesso documento potranno evidenziare esagerazioni nelle presenti note critiche, tra le quali l’imputazione di uno stile deprofessionalizzante del documento. Per ora, essendo riferite ad un testo che si propone come materiale per il dibattito pubblico, si annette a queste note il senso di uno stimolo a considerare i punti segnalati in vista di un possibile miglioramento delle Nuove Indicazioni.

Giovanni Campana

Laureato in filosofia, è stato dirigente scolastico di scuola secondaria di 1° grado per poco più di vent’anni nel modenese e a Modena stessa in una storica scuola del centro. Si è sempre occupato – come docente, dirigente, poi, a lungo, da pensionato, oltre che… da ex alunno con difficoltà “scolastiche” – dei temi legati alle difficoltà di apprendimento, al disagio e al benessere a scuola (studiando in particolare le dinamiche del bullismo) e alle disabilità (anche dirigendo per cinque anni, agli inizi degli anni ’90, gli antichi corsi biennali per la formazione dei docenti di sostegno). Il suo impegno di attività di formazione dei docenti per conto dell’ADi (dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di 2° grado) data da decenni. Suoi contributi sulle tematiche indicate sono reperibili sul sito.

Sui temi della scuola ha pubblicato due volumi: uno studio sulle Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012 e uno sui BES (si è dedicato anche ad altre scritture, pubblicando, oltre a un paio di raccolte di poesie e testi filosofici, vari romanzi, uno dei quali di memorialistica scolastica in cui riaccompagna se stesso con la memoria lungo il sofferto anno scolastico della fatale bocciatura in quinta elementare…).”

 

***

[1] È uno dei tanti insegnamenti della grande visione Piagetiana

NUOVE INDICAZIONI del 2025 E INDICAZIONI PER IL CURRICOLO del 2012

Poiché le Nuove Indicazioni 2025 costituiscono la revisione delle precedenti Indicazioni per il curricolo 2012, sarebbe opportuno cogliere in modo chiaro dell’uno e dell’altro testo gli elementi caratterizzanti o specifiche differenze generali e  su singoli temi, così da comprendere che cosa delle precedenti Indicazioni è superato o modificato nelle nuove. Un compito che richiede molta diligenza perché nelle Nuove Indicazioni non sono espressamente segnalati gli elementi che le distanziano da quelle del 2012. Un tratto comune è dato dalla scelta di far precedere l’intero testo da una premessa di ampio respiro di carattere fondamentale, nella quale si intende definire la visione della scuola e dei suoi compiti nel presente contesto socioculturale[1].

Su alcuni temi posti in risalto nelle Nuove Indicazioni vengono poste l’una di fronte all’altra nella tabella che segue posizioni assunte o precise proposizioni presenti nei due testi (operando una scelta che potrebbe essere più completa e approfondita e che, senza uno studio che richiede il necessario impegno, non risponde per ora a criteri rigorosamente oggettivi).

 

 NUOVE INDICAZIONI – 2025 INDICAZIONI PER IL CURRICOLO – 2012
I talenti

 

pone le persone degli allievi1 al centro delle sue azioni e ne promuove i talenti attraverso la formazione integrale e armonica di tutte le dimensioni: cognitive, affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche, spirituali.

 

 

 

 (la realizzazione dei talenti è preoccupazione ricorrente. Si ha l’impressione che il perseguimento della formazione integrale e armonica sia sostanzialmente finalizzata ad essi)

 

 

 

la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali

 

Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi.

 

(la formazione complessiva e le inclinazioni personali sono poste in equilibrio. L’attenzione è semmai posta sulla prima, benché le seconde siano ripetutamente richiamate)

 

La scuola e i problemi della famiglia

 

la scuola come risolutrice dei problemi relazionali della famiglia (anche dotandosi di sportelli psicopedagogici)

 

 

 

 

(non è detto a quale titolo e con quali competenze la scuola possa porsi come risolutrice dei problemi relazionali della famiglia. In tal modo nel Patto educativo di corresponsabilità entra un elemento di disparità  che può comprometterlo)

 

 

 

 

 

collaborazione fra la scuola e gli attori extrascolastici con funzioni a vario titolo educative: la famiglia in primo luogo.

Insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato, perché sono molti i casi nei quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il loro ruolo educativo.

 

(L’idea è di un allargamento dell’azione educativa della scuola in corrispondenza delle aumentate difficoltà delle famiglie in relazione ai mutamenti in atto. Non si fa riferimento a problemi relazionali interni alla famiglia)

L’insegnante, professionista e Maestro

 

un insegnante è magis, di più (…), è il volano del desiderio di apprendere di un allievo (…). L’allievo, infatti, non sceglie di desiderare di imparare, sceglie il modello che sa stimolarlo in tale direzione.

 

E il ‘modello’ è l’esempio di un maestro

 

 

(Oltre all’affermazione che il Maestro è di più – senza ulteriori precisazioni al proposito – colpisce la concezione dell’alunno, che non sarebbe interessato al sapere sino a che l’insegnante non si ponga come modello nell’approccio al sapere)

 

 

 

 

 

 

 

(non sono stati reperiti passo utili per un raffronto)

 

 

La libertà

(La parola libertà ricorre 16 volte

La parola autonomo o autonomia appare 2 volte)

 

 

La scuola permette, grazie all’educazione alla libertà, lo sviluppo del senso morale e la comprensione del principio di autorità, conquiste interiori dell’uomo libero.

Grazie al lungo allenamento all’autogoverno garantito negli anni di frequenza scolastica, e in virtù delle ‘regole’ (…) l’allievo interiorizza il senso del limite e un’etica del rispetto verso il prossimo

 

 

(Benché non manchi il preciso riferimento all’autonomia e al senso critico, la libertà sembra essere essenzialmente una speciale capacità o forza che si accumula per il dopo attraverso il senso del limite e dell’autorità)

 

 

 

(La parola libertà ricorre 1volta come citazione dell’art.3 della Costituzione

La parola autonomo o autonomia appare 2 volte)

 

favorire l’autonomia di pensiero degli studenti, orientando la propria didattica alla costruzione di saperi a partire da concreti bisogni formativi

 

un’educazione che lo spinga a fare scelte autonome e feconde, quale risultato di un confronto continuo della sua progettualità con i valori che orientano la società in cui vive

 

(La visione del bambino o ragazzo è posta in modo articolato e complesso. L’autonomia (la libertà) è integrata nell’insieme dei fattori della sua crescita)

Educazione alle relazioni

 

un’educazione alle differenze di genere (in particolare il testo si riferisce al tema del rispetto, con cui si conclude il paragrafo precedente)

 

la scuola allena bambine e bambini a ‘capirsi’ nella complementarità delle rispettive differenze

 

un’educazione del cuore (…) esperienza di sentimenti basilari come la fiducia, l’empatia, la tenerezza, l’incanto, la gentilezza

 

(Il paragrafo tocca unicamente il tema delle differenze di genere. Viene da supporre che il titolo “scuola che educa alle relazioni” sia stato aggiunto distrattamente al testo già scritto senza esaminarne il contenuto. Negligenza molto seria, se è così. Altrimenti non si capisce come il solo accenno alle differenze di genere voglia corrispondere a quel titolo.)

 

 

 

 

(la questione delle differenze di genere non è presente.

Il tema delle relazioni, invece, ricorre più volte)

 

La scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi

 

Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali.

 

 

 

Scrivere

 

la didattica della scrittura assume un ruolo cruciale sin dalla scuola del primo ciclo.

La scrittura richiede silenzio, concentrazione, lentezza. È avviamento al pensiero riflessivo.

Correlazione fra saper scrivere e saper concettualizzare, studiare, capire un discorso. Scrivere mette in discussione il mito della velocità

 

 

 

(non vi sono riferimenti specifici alla sola scrittura. I riferimenti

all’apprendimento hanno sempre un carattere di integrazione tra

 tuti gli ambiti del sapere e saper fare

Comunità educante e “culture educative”

 

comunità educante proprio di una scuola in cui ciascuno sa cooperare responsabilmente al bene degli allievi, rendendo positivo il clima scolastico e creando le condizioni per un benessere diffuso

 

personale sa condividere le risorse, scambia pratiche di lavoro e si aggiorna con costanza; fa ricerca ed è stimolato ad assumere funzioni di leadership o di middle management per il miglioramento dell’efficienza ed efficacia dell’istituto. Vi si sperimenta l’innovazione facendo leva sul coinvolgimento attivo e partecipato dei membri più anziani che diventano con serena naturalezza tutor e facilitatori dell’apprendimento professionale degli insegnanti neo-assunti.

 

(questa visione sembra centrata su una disposizione interiore)

 

 

In quanto comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito «dell’insegnare ad apprendere» quello «dell’insegnare a essere». L’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente

 

 

 

 

(non vi sono riferimenti alle funzioni di leadership, tutoraggio, ecc.)

L’Inclusione

 

A quasi cinquant’anni dall’entrata in vigore della L.517/1977 (che sancì l’accoglienza degli allievi con disabilità nelle scuole comuni…

(questo l’incipit, che fatalmente conferma la visione di una società in cui vengono accolti dei diversi. Anche se il contenuto successivo presente il senso aperto del tema della inclusione, questo inizio sbilancia il discorso)

 

L’idea di inclusione scolastica si basa, infatti, sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti, non solo portatori di una qualche forma di disabilità

 

…intera area dei bisogni educativi speciali (BES) comprendente: “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”

 

la personalizzazione presuppone l’assunzione di un paradigma antropologico che interpreta l’agire scolastico nei termini di un accompagnamento intenzionale dell’allievo a riconoscer-si capace, al di là della difficoltà, di sviluppare i suoi talenti

 

(il problema è aperto nel modo inopportuno sopra indicato. Il tema poteva essere meglio articolato. La soluzione nella personalizzazione suola piuttosto astratta. La questione degli immigrati e del problema linguistico poteva essere sottolineato, anche con riferimento a documenti ministeriali)

 

 

 

La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità, di disabilità o di svantaggio. Questo comporta saper accettare la sfida che la diversità pone: innanzi tutto nella classe, dove le diverse situazioni individuali vanno riconosciute e valorizzate, evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza; inoltre nel Paese, affinché le situazioni di svantaggio sociale, economiche, culturali non impediscano il raggiungimento degli essenziali obiettivi di qualità che è doveroso garantire

 

 

Un nuovo umanesimo

 

(non è agevole cogliere eventuali riferimenti del testo alle caratteristiche di “un nuovo umanesimo”

 

 

Da un lato tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita di ogni persona; dall’altro, ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità.

 

una nuova alleanza fra scienza, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo

 

insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza – la na ura, , il corpo, la mente, la società la storia – …superare la frammentazione delle

 

comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra locale e globale, è dunque la premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale, europea e planetaria

 

(in termini fondamentali di un nuovo umanesimo sono perciò la complessità dei saperi  e l’interdipendenza dei saperi e del mondo. Il termine “glocale” rappresenta esemplarmente questa nuova condizione  )

 

 

 

***

[1] La novità di premettere un simile documento fu introdotta con le nuove Indicazioni del 2007 (Fioroni), di cui quelle del 2012 (Profumo) sono la puntuale ripresa con alcune modifiche.

SINTESI SCHEMATICA
DEL DOCUMENTO-PREMESSA ALLE INDICAZIONI PER IL CURRICOLO DEL 2012

 

È forse non inutile tentare di riportare nel modo più sintetico lo svolgersi di contenuti del documento introduttivo del 2012.

“Cultura, Scuola, Persona.

“La scuola nel nuovo scenario:

  • si è ormai compiuto il passaggio da una società relativamente stabile a una società caratterizzata da molteplici cambiamenti
  • coltivare la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze superando la frammentazione
  • è in atto un’attenuazione della capacità adulta di presidio delle regole e del senso del limite
  • mutamento nelle forme della socialità spontanea
  • la scuola è da tempo chiamata a occuparsi anche di altre delicate dimensioni dell’educazione
  • ogni specifico territorio possiede legami con le varie aree del mondo sicchè lo studente si trova a interagire con culture diverse; intercultura
  • operare per un’identità consapevole e aperta
  • vecchie e nuove forme di emarginazione culturale e di analfabetismo.
  • informatica e diversità di accesso ai nuovi medi-
  • diversità, disabilità, di svantaggio: evitare che la differenza si trasformi in disuguaglianza;

“Centralità della persona”:

  • Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali.
  • Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi.
  • formazione della classe come gruppo, alla promo zione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti
  • star bene a scuola.
  • La formazione di importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di porre la persona al centro
  • la scuola fornisce le chiavi per apprendere ad apprendere

“Per una nuova cittadinanza”:

  • impostare una formazione che possa poi continuare lungo l’intero arco della vita (dimensione verticale) e attenta collaborazione fra la scuola e gli attori extrascolastici con funzioni a vario titolo educative:< la famiglia in primo luogo (dimensione orizzontale).
  • difficoltà delle famiglie nello svolgere il loro ruolo educativo: insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato
  • piuttosto che il moltiplicarsi dei microprogetti più disparati va perseguita un’educazione che spinga lo studente a fare scelte autonome in un confronto continuo con i valori che orientano la società in
  • La scuola perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i geni tori.
  • Come comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale (linguaggi affettivi ed emotivi) ed è in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire parte di una comunità vera e propria.
  • La scuola affianca al compito «dell’insegnare ad apprendere» quello «dell’insegnare a essere».
  • La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse deve trasformarsi in un’opportunità per tutti.
  • sostenere la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, senza eludere questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere.
  • Formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite: nazionale, europea, mondiale
  • In passato la scuola doveva formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea, oggi il compito è di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente…
  • … ma restando vincolati ai valori fondanti della tradizione nazionale. Una cittadinanza unitaria e plurale a un tempo alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze che ha come via privilegiata una via privilegiata la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni (Importanza dei beni culturali)
  • I problemi più importanti che oggi toccano il nostro continente e l’umanità tutta intera non possono essere affrontati e risolti all’interno dei confini nazionali tradizionali, ma solo attraverso la comprensione di far parte di un’unica comunità di destino europea così come di un’unica comunità di destino planetaria.

“Per un nuovo umanesimo”:

  • forte relazione oggi fra il microcosmo personale e il macrocosmo dell’umanità e del pianeta: tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita di ogni persona e ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità
  • è perciò decisiva una nuova alleanza fra scienza, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo
  • a tal fine la scuola deve mirare sia al pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari sia all’elaborazione delle loro molteplici connessioni
  • alcuni obiettivi oggi prioritari sono perciò:

– insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza – l’universo, il pianeta, la natura, la vita, l’umanità, la società, il corpo, la mente, la storia – superando la frammentazione delle discipline con l’integrarle in nuovi quadri d’insieme;

  • la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei problemi;
  • la capacità di comprendere le implicazioni, per la condizione umana, degli

inediti sviluppi delle scienze e delle tecnologie; l

  • la capacità di valutare i limiti e le possibilità delle conoscenze; la capacità di vivere e di agire in un mondo in continuo cambiamento;

– diffondere la consapevolezza che i grandi problemi dell’attuale condizione umana possono essere affrontati e risolti attra verso una stretta collaborazione non solo fra le nazioni, ma anche fra le discipline e fra le culture

(così il degrado ambientale, il caos climatico, le crisi energetiche, la distribuzione ineguale delle risorse, la salute e la malattia, l’incontro e il confronto di culture e di religioni, i dilemmi bioetici, la ricerca di una nuova qualità della vita)

  • Tutti questi obiettivi possono essere realizzati sin dalle prime fasi della formazione degli alunni: l’esperimento, la manipolazione, il gioco, la narrazione, le espressioni artistiche e musicali permettono di apprendere per via pratica ciò che poi sarà oggetto di conoscenze teoriche e sperimentali.
  • lo studio dei contesti storici, sociali, culturali nei quali si sono sviluppate le conoscenze è condizione di una loro piena comprensione. Inoltre, le esperienze personali che i bambini e gli adolescenti vivono degli aspetti a loro prossimi della natura, della cultura, della società e della storia sono una via di accesso per la sensibilizzarli ai problemi più generali nello spazio e nel tempo.
  • un tale quadro d’insieme è compito sia della formazione scientifica (chi sono e dove sono io nell’universo, sulla terra, nell’evoluzione?) sia della formazione umanistica (chi sono e dove sono io nelle culture umane, nelle società, nella storia?).
  • la filosofia, le arti, l’economia, la storia delle società, delle scienze e delle mostrano come le popolazioni umane abbiano sempre comunicato fra loro e come le innovazioni materiali e culturali siano sempre state frutto di una lunga storia di scambi, interazioni, tradizioni.
  • le molteplici interdipendenze fra locale e globale caratterizzano l’attuale condizione dell’uomo planetario: sono perciò la premessa indispensabile di una consapevole cittadinanza nazionale, europea e planetaria. Oggi la scuola italiana può proporsi concretamente un tale obiettivo
  • tale obiettivo può rivitalizzare proprio gli aspetti più alti e fecondi della nostra tradizione, caratterizzata da momenti di intensa creatività (la civiltà classica greca e latina, la Cristianità, il Rinascimento e, più in generale, l’apporto degli artisti, dei musicisti, degli scienziati, degli esploratori e degli artigiani italiani in tutto il mondo e per tutta l’età moderna
  • da questa tradizione, nell’incontro con culture diverse, è sorta l’idea di un essere umano integrale, capace di concentrare nella singolarità del microcosmo personale i molteplici aspetti del macrocosmo umano.
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