“Mi ritorna in mente…”

di Clelia Tollot

Racconto letto ad alta voce

“Quando Bàal-shem doveva assolvere un qualche compito difficile qualcosa di segreto per il bene delle creature, andava allora in un posto nei boschi, accendeva un fuoco e diceva preghiere, assorto nella meditazione, e tutto si realizzava secondo il suo proposito. Quando una generazione dopo il Maggìd di Meseritz si ritrovava di fronte allo stesso compito, andava nello stesso posto nel bosco e diceva non possiamo più accendere il fuoco, ma possiamo dire le preghiere, e tutto andava secondo il suo desiderio. Ancora una generazione dopo, Rabbì Moshè Leib di Sassow doveva assolvere lo stesso compito.
Anche egli andava nel bosco e diceva non possiamo più accendere il fuoco e non conosciamo più le segrete meditazioni che vivificano la preghiera, ma conosciamo il posto nel bosco dove tutto ciò accadeva, e questo ci deve bastare. E infatti ciò era sufficiente. Ma quando di nuovo, un’altra generazione dopo, Rabbì Yisra’èl di Rischin doveva anch’egli affrontare lo stesso compito, se ne stava seduto nella sua sedia e diceva non possiamo più accendere il fuoco, non possiamo più dire le preghiere, e non conosciamo più il luogo nel bosco, ma di tutto questo possiamo raccontare la storia.
E il suo racconto, da solo, aveva la stessa efficacia delle azioni degli altri tre.”

“Mi ritorna in mente…”

Vi invito a fare un’esperienza pratica. Un’esperienza di scrittura autobiografica, in cui vi chiedo semplicemente due cose. Vi chiedo di scrivere a mano e non su tastiera, perché la scrittura a mano ha un valore diverso rispetto allo scrivere su tastiera e di questo si potrebbe parlare ampiamente. E poi vi invito a scrivere al minutaggio, cioè vi do un tempo entro il quale stare. E perché scrivere al minutaggio? Perché questo solleva in parte dall’idea di dover scrivere nel modo migliore, di scrivere le cose più belle, le cose più importanti e più preziose.  E nello stesso tempo libera il ricordo, il pensiero, ed è un pensiero più immediato, meno pensato e forse più autentico.

Quindi quando vi darò il via vi invito a scrivere “Una volta in cui ho sentito il senso del mio lavoro è stata…”.

E questo “una volta”, come ha detto Paolo Jedlowsky, ha un po’ due funzioni. Separa la storia dal presente di chi narra e di chi ascolta, ma non vuol dire situarla semplicemente nel passato, ma è anche istituire una distanza e definisce una singolarità. Cioè è proprio quella volta lì di cui io voglio parlare, quella volta in cui ho sentito il senso del mio lavoro. Non importa che sia quella più importante, non importa che sia quella più distante o quella più vicina.

Lasciate semplicemente che arrivi l’immagine, il ricordo, l’emozione e la sensazione di quella volta in cui avete sentito il senso del vostro lavoro. Vi chiedo quindi di scrivere e possibilmente di utilizzare tutto il tempo di sei minuti, anche se magari vi sembra di non avere più niente da dire. Quindi scrivere per sei minuti individualmente, in silenzio, a mano, una volta in cui ho sentito il senso del mio lavoro.

Ora faccio partire il cronometro.

Stop. Grazie per aver accettato questo piccolo compito, per esservi messi in gioco, e ora vi chiedo di continuare a mettervi in gioco per un altro minuto, condividendo quello che avete scritto – raccontandolo o leggendolo – con il vostro vicino. Proprio perché la condivisione, come diceva prima Paolo Jedlowsky, è importantissima. Quindi un minuto per condividere brevemente quello che avete scritto in sei minuti.

Grazie. Fine di questo momento di condivisione che mi sembra sia stato intenso.

Ci succedono moltissime cose nella nostra vita personale e lavorativa e se non le raccontiamo possono cadere nell’oblio, nella dimenticanza. Se le raccontiamo moltiplichiamo il senso delle nostre esperienze, non solo delle buone pratiche, ma anche di quello che sentiamo, di quello che proviamo e di quello che poi facciamo.

Il ricordo è molto importante. Abbiamo diverse parole che parlano delle azioni della memoria, che troviamo nei verbi italiani di origine latina che parlano di ricordare. Una sicuramente è proprio “ricordare” che porta al “cor”, quindi all’emozione. Riportare al cuore, rievocare provocando emozioni. Rievocare è appunto un richiamare, ridare voce alle esperienze, ai ricordi. Rimembrare, rimettere insieme ciò che magari si è disperso, che pensavamo disperso, per ricomporre. Commemorare, che è un ricordare e rievocare con qualcuno, magari qualcuno, degno di memoria. Rammentare, richiamare alla mente la situazione, le circostanze che magari sono già un po’ sbiadite e che è quello che abbiamo anche provato a fare adesso insieme.

E vi lascerei con una frase di Aidan Chambers, che forse conoscete, questo scrittore inglese per ragazzi, che dice: “non sono le esperienze che viviamo a cambiarci e a formarci, come comunemente si crede, ma le storie che noi raccontiamo di quelle esperienze”. E quindi le vostre storie, quello che adesso vi siete raccontati, quello che facciamo poi comunemente nel nostro lavoro, saranno quelle storie che potranno portare anche del cambiamento e del cambiamento importante.

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