Un fantasma si aggira per la scuola italiana: l’educazione civica

a cura di ADi

Storia di un insegnamento mai decollato

Il 7 settembre 2024 è stato pubblicato il Decreto del Ministro Valditara sulle nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, l’ennesimo provvedimento  relativo a un insegnamento  che da 70 anni “non trova pace”.

Nel 2016 Rosario Drago, in occasione della presentazione del Quaderno di TreeLLLe “Educare a vivere con gli altri nel XXI secolo”, aprì così la sua introduzione: “C’è un fantasma che s’aggira nella scuola italiana: l’educazione civica. E’ la storia  di una materia non materia, che non ha mai avuto un proprio statuto e che non è mai riuscita ad imporsi all’interno dei curricoli scolastici.”
Mai metafora fu più appropriata!

Le stesse innumerevoli denominazioni attribuite di volta in volta a questa “disciplina non disciplina” ne indicano la travagliata, insoluta storia. Dal 1955 ad oggi abbiamo avuto nell’ordine: educazione morale e civile, educazione civica, educazione alla convivenza democratica, formazione alla cittadinanza, educazione alla convivenza civile, cittadinanza e costituzione, educazione alla cittadinanza attiva e globale, e con la legge 20 agosto 2019,  n. 92  siamo tornati all’educazione civica.

Ugualmente tormentato il dibattito che ha accompagnato la collocazione dell’educazione civica nel curricolo, considerata via via: 1. come disciplina, 2. come insegnamento trasversale o transdisciplinare, 3. come attività pratica, 4. come curricolo latente (tutto ciò che la scuola trasmette in forma implicita o latente), 5. come attività extrascolastica (non formale).

A tutt’oggi la situazione dell’educazione civica rimane riconducibile alla geniale metafora di Rosario Drago, in parte aggravata  dalle nuove Linee guida del ministro Valditara.
Perché tutto questo?

E’ opportuno ricordare che già in sede di Assemblea Costituente nel 1947 l’auspicio di Aldo Moro di inserire l’educazione civica nel testo della Costituzione fu vanificato, ridotto a un ordine del giorno che si limitava a chiedere per la Costituzione “un adeguato posto nel quadro didattico nella scuola di ogni ordine e grado”.

Le rovine del fascismo avevano generato, e hanno a lungo mantenuto, una notevole reticenza rispetto allo stesso termine “educazione”, tanto che il Ministero cessò di chiamarsi Ministero dell’Educazione Nazionale, per diventare Ministero della Pubblica Istruzione.  L’imparzialità della Pubblica Amministrazione, sancita dalla Costituzione (art. 97),  divenne nella scuola una sorta di obbligo taciuto di astenersi dall’impartire valori educativi , perché  considerati  ideologicamente orientati.

Solo che il contrario di un’educazione non imparziale non può essere un’impossibile educazione neutrale. Si educa sempre a qualcosa, non al nulla. E così la reticenza dell’istituzione scuola ad educare, nel nome del solo compito di istruire, ha lasciato il campo ad altri soggetti, ad altre aggregazioni , che sfuggono non solo alla scuola ma anche alla famiglia.

Oggi le linee guida proposte dal ministro Valditara, nel clima generale di fortissime contrapposizioni politiche, hanno riaperto il tema dei contenuti e dei valori che l’educazione civica deve impartire.

Sullo schema di decreto ministeriale si era già duramente pronunciato il CSPI nella seduta del 28/08/2024. Un parere non vincolante che la stesura definitiva delle Linee guida ha quasi totalmente ignorato.

Lo scontro fra nuove e vecchie linee guida

Il parere del CSPI   si fonda sulla premessa che le Linee guida del 2020 non avevano necessità di particolari revisioni, diventando inevitabilmente una critica del nuovo decreto rispetto al precedente.

In particolare, il CSPI esprime preoccupazione per un’impostazione che privilegia l’individualismo sull’educazione al vivere insieme (“la mancanza di un riferimento alla relazione sociale tra individuo e collettività” definita nella 2^ parte dell’art. 3 della Costituzione), e che pare limitare l’educazione finanziaria “a strumento di valorizzazione e tutela del patrimonio privato”.

E ancora sui  traguardi delle competenze, sugli obiettivi specifici di apprendimento e sui risultati  attesi, il CSPI lamenta che non si sia tenuto conto del  “grande e importante lavoro pedagogico e culturale che le scuole,  nel quadriennio 2020-2024, hanno messo in campoe che andava valorizzato.

Ora, alcune critiche sono condivisibili, altre paiono invece forzate, come ventilate presunte trasgressioni delle norme costituzionali, quando il decreto richiama ad ogni piè sospinto, anche in modo strumentale, la Carta costituzionale, persino a sostegno dell’educazione stradale!

Ma soprattutto il CSPI tace su aspetti di fondo problematici, già  presenti nelle precedenti Linee guida. Ci riferiamo in particolare alla  sovrabbondanza di contenuti, da svolgersi in 33 ore per ciascun anno scolastico nell’ambito delle discipline e del monte ore annuo complessivo. Un ulteriore carico che si va a sommare a un curricolo già bulimico.

E’ questa l’educazione civica che vogliamo?

Ancora lunga è la strada

In occasione della citata presentazione del Quaderno di TreeLLLe,  Luigi Berlinguer, l’ultimo grande ministro dell’istruzione, che ADI ha avuto la felicità di avere come socio onorario, insistette a lungo sul rapporto fra formazione del cittadino e formazione disciplinare. Di seguito alcuni frammenti del suo appassionato intervento.

Noi abbiamo una formazione al 95% disciplinare, perché si va a scuola per imparare l’italiano, la matematica, la storia e così via. E se ci si propone di  formare il cittadino, di educare al senso civico, si pensa che ciò debba essere aggiuntivo. Mentre è proprio dentro la ricchezza enorme degli epistemi delle discipline, che sta tutta la prospettiva di formare  persone che sappiano  vivere nel consorzio umano, e che siano felici di viverci.  Invece nei nostri ragazzi non c’è la gioia di andare e vivere a scuola. E questo, sia chiaro, non significa rifiuto della fatica, ma estraneità a ciò che si apprende. Le discipline sono il fondamento della vita, non solo della conoscenza, ma non ci può essere una dominanza assoluta anche oraria delle singole discipline. Ho scritto un libretto intitolato “Ri-creazione”, perché nella scuola non c’è ricreazione. Tutte le mattine della loro vita, escluso il weekend, i ragazzi fino a 19 anni le passano seduti. È la scuola del verbo “sedere”!  Non c’è ritrovo, per il quale mancano anche gli spazi, nonostante alcuni lodevoli sforzi della nuova architettura scolastica. Non funzionano quasi mai le biblioteche come luogo di lettura e di incontro, tranne pochissime apprezzabili esperienze. Non c’è il momento della sintesi, del confronto e della discussione, non c’è multidisciplinarità, non c’è interdisciplinarità. E invece la formazione integrale dell’essere umano, la formazione del cittadino è oggi da riproporre come obiettivo impellente, non rinviabile. Ma non è e non può essere un’aggiunta!”

Ciò in fondo significa  porre fine alla contrapposizione fra istruzione ed educazione, ricomponendole.
Ma come ?

Il “potere del noi”

Ciò che serve per superare tale contrapposizione è innanzitutto la costruzione di ciò che David Price, in un suo prezioso libro, ha chiamato “The power of us”, il potere del noi.

Occorre innanzitutto partire dagli insegnanti, dalla costruzione  nella scuola e fra le scuole di un efficace “capitale professionale”, di una rete di relazioni capace di sviluppare un’impresa collettiva, fatta di confronto costante, di aiuto reciproco e di responsabilità condivise.   E’ solo evidente  che una tale impresa non si sviluppa spontaneamente, ma richiede la guida di figure di leadership intermedia, che stimolino, coordinino e diano continuità  a questo straordinario processo. Figure oggi più che mai necessarie considerato che si è ancora lontanissimi dall’avere una formazione iniziale qualificata e rigorosa degli insegnanti. Quanto tempo dovremo ancora  attendere per avere queste figure di leadership, di cui discutiamo da più di 30 anni?

Il potere del noi– la forza del saper vivere e lavorare insieme migliorando le singole individualità va ugualmente e potentemente sviluppato negli studenti. Ciò comporta dar loro  autonomia e responsabilità, in sintesi realizzare la centralità dell’apprendimento. Quella centralità tanto declamata quanto inattuata perché , citando ancora un caustico Berlinguer, la scuola non sa cosa sia la centralità dell’apprendimento, non capisce cosa voglia dire, non lo capisce lessicalmente”.  Se questo è vero, come purtroppo lo è nella grandissima maggioranza dei casi, sarebbe ora di passare dalle parole ai fatti.

Ugualmente, occorre l’audacia di sostenere  nei ragazzi e nelle ragazze l’aspirazione a raggiungere obiettivi alti, perché “Il più grande pericolo non sta nel fatto che i nostri obiettivi siano troppo alti e non li si raggiunga, ma che siano troppo bassi e li si raggiunga”. Parole di Michelangelo.

La pedagogia della controversia

Un altro strumento per dare risposte alla questione radicale se la scuola debba solo istruire o anche educare, se debba trasmettere solo “nozioni” o anche “valori e comportamenti” sta nell’acquisizione di alcune competenze di base come la capacità di argomentare le proprie opinioni, di ascoltare le opinioni altrui, di convincere e di lasciarsi convincere. Competenze che sono la base stessa dell’educazione civica. Ciò vale in particolare quando l’oggetto da affrontare è per sua natura controverso e può essere affrontato da punti di vista diversi e anche fortemente contrastanti.

 A questo fine il sociologo Alessandro Cavalli, forte sostenitore della possibilità/necessità di “fare politica” nella scuola, rivendica la “pedagogia della controversia”, che permette di non cadere nelle trappole del silenzio da una parte e della militanza dall’altra. Per essere in grado di usarla Cavalli invita a ricorrere al modello di Dewey che, sul rapporto tra educazione e democrazia, resta ancor oggi un punto di riferimento obbligato.

La cultura del lavoro

Concludiamo questo capitoletto citando ancora Berlinguer, un Berlinguer sferzante:

“Mi sono stancato di sentire a ogni piè sospinto le citazioni della Nussbaum sull’importanza della cultura umanistica. Certo che è importante, è persino ovvio che lo sia, e nessuno come me ha lavorato per far fiorire nella scuola l’arte e la musica, ma è l’idea di cultura disinteressata che non mi appassiona più. Il rapporto cultura-professione è diventato parte ineludibile della società contemporanea.”               Ebbene anche ADi sostiene  da sempre che la cultura del lavoro è fondamentale nella scuola. Il lavoro non è solo bisogno di produrre, è un modo di espressione dell’essere umano, sia sociale che individuale. Le stesse discipline sono indispensabili per sviluppare la cultura del lavoro e con essa il senso civico, non più come fattore aggiuntivo. E’ doveroso dire che il decreto Valditara, a differenza del precedente, sostiene in diverse parti l’importanza della cultura del lavoro, anche se ne accentua soprattutto l’aspetto dell’autoimprenditorialità e dell’iniziativa economica privata.

Conclusioni

E’ quasi d’obbligo concludere queste brevi considerazioni sull’educazione civica con l’auspicio che i tanti fantasmi che aleggiano sulla scuola italiana si materializzino.

Il primo è il fantasma dell’educazione.  E’ tempo di  fare emergere i “valori”, superando quella  frattura fra istruzione ed educazione, fra formazione complessiva della personalità – individuale e civica – e formazione disciplinare, che ci trasciniamo da 80 anni.

In questo modo anche il citato fantasma dell’educazione civica potrebbe prendere corpo nella scuola reale, e il potere del noi, la capacità del vivere insieme, assumere una fruttuosa quotidianità, anziché porsi come aleatorio elemento aggiuntivo.

E forse potrebbe cominciare ad avverarsi la scuola che vogliamo, quella scuola dove si adempie alle proprie funzioni con disciplina e onore ( Costituzione art. 54); dove l’organizzazione non è improvvisata ma sostenuta e guidata da una leadership intermedia; dove alla violenza si oppone la gentilezza (v. ADi – Dichiarazione mondiale della gioventù sulla gentilezza);  dove lo scontro fazioso e aprioristico è sostituito dal dibattito aperto e approfondito (pedagogia della controversia); dove la velocità che genera ansia e stress è combattuta con tempi distesi; dove alla noia, al disinteresse e alla mediocrità  si oppongono la motivazione e alte aspirazioni; dove le disuguaglianze cedono il posto all’equità e alla personalizzazione, capaci di soddisfare insieme le esigenze dei più “deboli” e dei “talenti”;  dove lindividualismo si stempera nell’autodeterminazione e nella cooperazione;  dove la cultura umanistica e professionale godono di pari dignità.

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