INTRODUZIONE
Faccio anch’io, in premessa, una breve captatio benevolentiae come alcuni relatori che mi hanno preceduto. Due cose mi preme dirvi.
La prima è che il mio non sarà un intervento di natura politica. Alessandra mi ha chiamato per parlare in maniera molto franca di come sta andando il Piano Nazionale Scuola Digitale, della cui elaborazione porto grande responsabilità insieme a Donatella Solda, con il contributo di altre persone, di cui alcune sono qui oggi presenti, Antonio Fini, Laura Biancato. Nessuna propaganda da parte mia, ma solo il desiderio di condurvi lungo il percorso che abbiamo costruito, di illustrarvi le direttrici strategiche che ci hanno guidato, di ragionare insieme a voi dello stato dell’arte e dei passi che dobbiamo ancora compiere. Il tutto senza nascondere le difficoltà incontrate e quelle che ci aspettano, ma anche con la consapevolezza che questo Piano ha un enorme valore strategico, è un’impresa molto importante che va difesa e insieme costantemente migliorata. È un progetto che altri Paesi ci invidiano e che può davvero introdurre trasformazioni sostanziali nella scuola, non tanto e non solo negli aspetti organizzativi, quanto e soprattutto negli apprendimenti, nella costruzione di una nuova didattica che ponga al centro gli studenti.
La seconda captatio riguarda me stesso. Vorrei presentarmi e dirvi subito che non sono un ingegnere, non sono un informatico, bensì un sociologo. Prima di intraprendere questa grande avventura al MIUR, ho insegnato a Londra in una università in cui la maggioranza del corpo studentesco era costituito da giovani pakistane che dovevano lottare contro le resistenze paterne per poter frequentare l’università. Questo è il background che ha nutrito il mio desiderio di sostenere l’accesso e il successo scolastico per tutti.
Infine, prima di entrare nel merito del Piano, voglio dirvi che quando abbiamo cominciato a pensare a questo progetto, quattro o cinque mesi prima della tanto discussa riforma, i problemi sul tappeto erano altri, le richieste erano altre – gli organici, l’edilizia, la valutazione- ma noi eravamo convinti della valenza strategica di questo piano, della necessità di considerarlo una priorità. E mi piace ricordare che uno dei nostri ispiratori siede qui accanto a me, è il coordinatore di questa sessione, Alfonso Molina, direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale.
La mia relazione toccherà, per quanto molto velocemente i seguenti temi:
1. Piano Nazionale Scuola Digitale
2. Da dove siamo partiti
3. Dove vogliamo arrivare e perché
4. Come arrivarci: gli ambiti
5. Le risorse
6. Quando succede
7. Elenco delle azioni
VERSO LA SCUOLA DIGITALE
Che cosa rappresenta il piano l’ho già sinteticamente detto: la scuola digitale non è un’altra scuola, ma la sfida dell’innovazione. La filosofia complessiva che la sottende è dunque l’innovazione didattica e organizzativa.
La situazione di partenza
I dati sopra riportati sono ormai vecchi, tra un paio di mesi lo saranno ancora di più, ma credo sia interessante anche per voi conoscere le condizioni da cui il piano ha preso le mosse.
I dati che vedete nella figura rappresentano la risposta a tutte le domande che ci siamo posti in premessa per avere chiara la situazione di partenza. Era essenziale infatti avere un quadro abbastanza esatto delle condizioni date, quelle su cui eravamo chiamati ad incidere.
Ci sono dati, peraltro stimati al ribasso, molto interessanti. Uno di questi è che il 36% dei docenti italiani dichiarava di avere seriamente bisogno di capire qualcosa in più del digitale. Si tratta di un dato Talis abbastanza vecchio. Di quel dato non è tanto interessante il fatto che il 36% degli insegnanti esprimeva il bisogno di formazione sul digitale, ma che quella percentuale era la più alta in Europa ed indicava quindi quanta strada il nostro Paese doveva ancora percorrere. Oggi posso dire che le cose stanno cambiando, sono molto ottimista. Ci aiuta anche il fatto che nuovi insegnanti stanno entrando nella scuola, una generazione di docenti che ha una maggiore familiarità con gli strumenti digitali e una maggiore propensione ad utilizzarli.
Gli obiettivi
Un avvertimento. Gli obiettivi che vedete scritti sopra si riferiscono alle questioni operative del PNSD, non vanno assolutamente scambiati con gli obiettivi educativi complessivi, quelli veri, che sono altri e che costituiscono il cuore dell’educazione.
Qui sono indicati semplicemente dei traguardi indispensabili all’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale. Per esempio il primo: dare ad ogni scuola accesso alla società dell’informazione. Questo significa che ciascuna scuola deve avere il wifi e la connettività a costi accessibili. E’ un problema del MIUR, ma non solo del MIUR.
E così via. Abbiamo insomma cercato di identificare le questioni che a nostro avviso dovevano essere affrontate e risolte per dare gambe al PNSD. Per esempio spazi ambienti.
Abbiamo scritto abilitare una didattica digitale “leggera” in ogni classe; promuovere la creatività (digitale + manuale) nel primo ciclo; promuovere la collaborazione tra docenti e la didattica “attiva”; promuovere l’incontro tra sapere e saper fare. Abilitare cioè rendere possibile una didattica digitale “leggera”, con questo aggettivo abbiamo voluto sottolineare che non c’è bisogno di tanta tecnologia per avviare un processo di innovazione didattica. La tecnologia non deve essere ingombrante , ma uno strumento per l’appunto “leggero”, facilmente fruibile. Essenziali infatti sono gli aspetti specificati di seguito: una didattica attiva basata sui progetti, dove il digitale si sposa con il manuale, dove il sapere è connesso al saper fare, dove gli studenti sono attivamente coinvolti in un clima collaborativo. E ancora gli spazi che sono un elemento determinante del modo di lavorare e rapportarsi in classe. Abbiamo fatto un bando per gli atelier creativi, con l’obiettivo di riportare al centro la didattica laboratoriale, come punto d’incontro essenziale tra sapere e saper fare, tra lo studente e il suo territorio di riferimento; laboratori come luoghi di innovazione e creatività.
Un sistema educativo del 21° secolo
La figura e le indicazioni che vedete sopra non sono del MIUR. È la visione che io ho di un sistema educativo del 21° secolo, o più semplicemente di quali debbano essere gli elementi essenziali. Una brevissima illustrazione dei tre fattori cardine:
- Un information common. Con ciò intendo informazioni, dati, standard, che siano pubblici. Dobbiamo mettere a sistema tutti i dati di cui disponiamo e donarli all’esterno. Stiamo, per esempio, mettendo a punto una buona piattaforma per la gestione della formazione, che finalmente riuscirà a farci capire quanta formazione fa la nostra scuola. Io sono pronto a scommettere, e l’ho già detto anche ai sindacati, che ne fa molta di più di quanto pensiamo. Quanta formazione, ma anche quale formazione, per poter meglio capire di che cosa c’è davvero bisogno. Per esempio quanta formazione si fa sull’intelligenza emotiva di cui si è tanto parlato stamani, e della cui necessità sono assolutamente convinto. E c’è bisogno di standard di riferimento. Chi è dirigente scolastico o animatore digitale sa che ogni cinque minuti riceve un’offerta per l’acquisto di una piattaforma. L’offerta del mercato è incredibilmente frammentata, per cui diventa necessario definire degli standard.
- La scuola come interfaccia educativa. La scuola è l’interfaccia educativa prevalente. È a scuola che si sviluppa grande parte dei processi didattico-pedagogici, anche se molte iniziative stanno costruendosi a livello di territorio. L’importante è che scuola e mondo esterno si interfaccino, che i due “universi” comunichino in un fecondo scambio. Si pensi ai laboratori territoriali, ad un esempio virtuoso come la Città Educativa di Roma, gestita dalla Fondazione Mondo Digitale. Si tratta di una struttura polifunzionale in via del Quadraro, che fa parte della Rete internazionale delle Città Educative (Aice). È un centro attivo per l’innovazione nella scuola, che dà sostegno e visibilità a tutte le attività che contribuiscono all’educazione delle nuove generazioni.
- Motore di comunità. Quello che intendo è stato bene illustrato negli interventi che mi hanno preceduto, un esempio emblematico: la Wicked Soap Company di cui ci ha parlato la preside di High Tech High di San Diego. Una scuola sempre più aperta alla comunità, che diventa essa stessa motrice di legami ed interscambi. La migliore modalità per realizzarli è sicuramente l’utilizzo del Project Based learning. Tutte le scuole straniere che oggi si sono susseguite, e rappresentano punte avanzate dell’innovazione educativa internazionale, impostano l’apprendimento sul PBL
Questi tre elementi di cui vi ho parlato non sono oggetto di bandi specifici, ma sono presenti in tutti i nostri bandi.
PNSD: 4 tipologie di azione
Torniamo al PNSD. È importante che richiami, per quanto velocemente le quattro azioni di cui si compone:
- Azioni abilitanti. Sono svolte dal MIUR centralmente, ad esempio la piattaforma per la formazione
- Azione per l’universalità. Sono azioni rivolte a tutti. Ad esempio il bando wifi, coperto con 90 milioni di euro, che va a coprire il 100% delle scuole, perché l’accesso deve essere universale e se i 90 milioni non saranno sufficienti, dovranno essere integrati.
- Azioni per innovare. Sono azioni attraverso cui si finanziano parti di innovazione, ma che costituiscono un investimento per l’intero sistema. Ne sono esempi i laboratori territoriali e i curricoli digitali. Non esiste in questo momento un modello di curricolo digitale, nemmeno l’editoria è pronta. Pertanto se si investe in 50 curricoli digitali, si finanziano open educational resources, e si avranno a disposizione 50 progetti interessanti da offrire a tutto il sistema educativo.
- Azioni per l’accompagnamento. Abbiamo previsto investimenti per accompagnare diversi importanti interventi, ad esempio per sostenere gli animatori digitali. Ve ne parlerò quando affronteremo ciò che intendiamo fare nel corso del 2017.
A CHE PUNTO SIAMO? IL PRESENTE E IL FUTURO
Ed ora è doveroso un primo bilancio di ciò che abbiamo fatto ed una illustrazione di ciò che ci proponiamo di fare entro il 2017.
Il primo anno: cosa abbiamo fatto (ottobre 2015-dicembre 2016)
Molte delle cose che dirò vi sono note. La figura sopra vi mostra cosa abbiamo fatto. Certo non tutte le azioni sono compiute, ma non poca strada è stata percorsa.
L’obiettivo che ci siamo posti è di arrivare al 100% degli impegni assunti entro la fine dell’anno. Sono convinto infatti che la più grande rivoluzione sia mantenere gli impegni!
Non vi parlerò, ovviamente, di tutte le singole azioni, solo alcuni esempi che ritengo significativi.
Gli atelier creativi
Credetemi, dall’estero ci invidiano la nostra idea di atelier creativi. Diceva prima di me Rachel Nichols che la loro scuola anziché chiamarsi High Tech High dovrebbe chiamarsi Low Tech Low, perché non usano tecnologie digitali sofisticate, ma anche laboratori semplici in cui si usano le mani, luoghi insomma in cui il digitale abbraccia il manuale e insieme sviluppano motivazione e creatività. Il tinkering, il mondo dei fab lab, che stanno contagiando la scuola, rappresentano per l’appunto un accesso alla tecnologia estremamente semplice, non escludente. È una tecnologia non costosa e particolarmente inclusiva. Quando abbiamo raccontato cosa stiamo facendo a Karen Wilkinson e Mike Petrich, i codirettori del Tinkering Studio di San Francisco, sono stati entusiasti, ci hanno detto “Se riuscite a portare in 5500 scuole uno spazio di tinkering creerete la più grande comunità di tinkering”. Questo vogliamo fare, creare spazi dove i ragazzi della scuola primaria e secondaria di 1° grado possano giocare, usando strumenti manuali e digitali, ed essere creativi. Dobbiamo essere consapevoli che questo tipo di investimento può diventare un’operazione veramente sistemica. Ci sono esperienze importanti che possono aiutarci. Per esempio i Roma makers, che stanno cambiando le periferie di Roma, stanno investendo parte dei nostri finanziamenti dei bandi sugli atelier creativi ed altri che hanno saputo intelligentemente attrarre. I fab lab di periferia sono estremamente interessanti, perché nelle periferie e nei territori deprivati c’è bisogno di iniziative che coinvolgano i ragazzi, che li attirino verso la scuola. Non sono più tollerabili dispersioni che toccano il 30%.
Le reti di fab lab sono ormai riconosciute e certificate e siamo felici di averle sostenute anche con gli investimenti del ministero.
Imprenditorialità
Abbiamo incontrato la Danish Foundation for Entrepreneurship che è l’esempio migliore al mondo di educazione all’imprenditorialità, la cito anche perché ci sono relatori danesi in questo seminario. Noi stiamo cercando di replicare quel modello. Uscirà il bando sull’imprenditorialità, ma intanto stiamo raccogliendo trenta, quaranta protagonisti che operano in questo campo nel nostro Paese, perché vogliamo investire stabilmente sulla educazione all’ imprenditorialità. Si tratta infatti di competenze cruciali che la scuola deve poter essere in grado di sviluppare. Uno di questi protagonisti è presente in questo seminario e terrà domani la sua relazione, mi riferisco alla HFarm.
Gli animatori digitali
E veniamo agli animatori digitali. Uso spesso questa bellissima vignetta che vuole essere ironica ma in realtà non lo è tanto, c’è molta realtà in essa! Gli animatori digitali hanno, per così dire, uno compito di questo tipo, essere degli attivatori, attivatori dell’innovazione. Ciò che noi abbiamo fatto è stato di dare legittimazione e visibilità a persone che già c’erano, ma che erano nascoste, isolate nelle loro scuole. L’esigenza era, ed è, quella di costruire un team attorno all’animatore digitale, perché non può lavorare in solitudine, e di creare reti. Ci sono Regioni che stanno lavorando molto bene, per esempio l’Umbria. La Regione Umbria ha avviato con gli animatori digitali l’attuazione di un Programma biennale per lo sviluppo della cultura e delle competenze digitali attraverso l’incentivazione di progetti openness, per lo studio, la promozione e la diffusione di prassi e tecnologie sui temi open source, open data. La prima di queste iniziative riguarda la costituzione della Rete degli animatori digitali dell’Umbria, attraverso cui intende costruire la comunità degli “animatori digitali” delle scuole dell’Umbria, finanziando attività da co-progettare con gli animatori stessi (e con i team per l’innovazione) ed implementare strumenti di supporto, a partire da un “repository” condiviso delle “buone pratiche” a livello territoriale.
Biblioteche scolastiche
Consideriamo le biblioteche scolastiche importantissimi centri di studio e di socializzazione. Per questo abbiamo fatto un bando sulle biblioteche scolastiche innovative. Tra due settimane usciranno i risultati. Sono stati prodotti progetti di rete meravigliosi. Dei 3000 progetti ricevuti, 1500 sono davvero molto belli e su di essi si investirà, e saranno esempio e stimolo per gli altri.
Laboratori territoriali
Sui laboratori territoriali c’è stata d’ispirazione la Fondazione Mondo Digitale, i loro spazi innovativi al Quadraro. Hanno ricevuto un grant da Google per formare chi non ha lavoro, al pomeriggio, e fare formazione innovativa, al mattino. Il modello è ottimo, e andava benissimo per i nostri scopi, così l’abbiamo assunto e ci abbiamo investito. In questo campo si sono realizzate esperienze di vero successo, storie incredibili di progettazione territoriale. Pensate all’Istituto nautico di Gaeta che ha avuto in regalo da un privato una nave, La signora del vento, che renderà possibile agli studenti fare studi marini, studiare scienze sull’imbarcazione e connettere le isole, le isole Pontine, spesso tra loro incomunicabili. Il ministero ha dato i fondi per l’adeguamento dell’imbarcazione. È una cosa bellissima, ne valeva davvero la pena.
I curricoli digitali
L’idea dei curricoli digitali viene da un progetto che abbiamo avuto la fortuna di creare qualche anno fa, si chiama A Scuola di OpenCoesione. A Scuola di OpenCoesione [ASOC] è una sfida didattica e civica rivolta a studenti e docenti di istituti secondari di 2° grado. Partendo dall’analisi di informazioni e dati in formato aperto pubblicati sul portale OpenCoesione, questo progetto abilita gli studenti a scoprire come vengono spesi i fondi pubblici sul proprio territorio e a coinvolgere la cittadinanza nella verifica e nella discussione della loro efficacia. I risultati sono stati spettacolari. Basti pensare che con tutti i progetti delle scuole insieme ad altri realizzati da associazioni si è giunti a monitorare un miliardo di fondi pubblici per la coesione. Questa è una bella storia da raccontare, infatti ha vinto il quarto posto agli World Media Awards.
Un primo bilancio
Chiudo questa carrellata facendo un sintetico bilancio, in cui proverò ad esaminare ciò che funziona e ciò che permane problematico. E sarebbe bello ragionarci insieme.
Nella figura sopra vedete sintetizzati i due aspetti: le problematicità e le positività.
Le problematicità
Cominciamo dal Ministero. L’ho definito il Ministero delle emergenze, perché si rincorrono freneticamente i problemi e questo è sicuramente di ostacolo ad una efficace pianificazione strategica. Se aggiungete, poi, ai “normali” problemi, il fatto che si sono dovuti gestire cinque o sei terremoti, susseguitisi in un breve lasso di tempo, avete l’idea di come si è costretti a lavorare.
Mi voglio soffermare sugli ultimi due problemi: la qualità e la formazione.
Il punto è che si sta parlando di politica Paese, non di 30 o 300 scuole. Non ci riferiamo, insomma, a reti innovative, ma all’insieme del nostro sistema scolastico e non vi è dubbio che abbiamo incontrato delle difficoltà. Abbiamo verificato i problemi, le criticità che affrontano le scuole. Non vi è dubbio che dovremo mettere più cura e investimenti sulla formazione. Il problema della buona qualità non è solo nostro, l’hanno in Francia al pari di noi. Loro hanno fatto addirittura una gara per attribuire ad una agenzia la formazione. Da noi non funziona così. E vi assicuro che formare 750.000 persone o anche solo 150.000 è un problema serio, specialmente in presenza di una grande eterogeneità territoriale, anche sugli allacciamenti alla fibra.
Cosa ha funzionato
Le cose positive sono quelle, tutto sommato, che vi ho illustrato e della cui bontà ho cercato di convincervi.
Innanzitutto avere dato legittimazione alle innovazioni. Questo richiede l’impegno da parte del Ministero a continuare a puntare sull’accompagnamento, sugli animatori digitali, sui team e investire su questo versante. Questa è la ragione per cui nel 2017 faremo tante azioni verso gli animatori.
Ambience. È una parola francese che amo usare per indicare la capacità di creare un ambiente di lavoro e di innovazione accogliente. E farlo non comporta necessariamente disporre di grandi investimenti. Penso ad una tecnologia semplice, leggera, come Arduino, i Fab lab ecc… Ecco questo approccio ha funzionato.
Interfacciarsi con altri mondi. Anche questa modalità è risultata estremamente positiva. Non si può lavorare nell’isolamento, paga sempre la contaminazione con il mondo esterno. Laddove queste prassi sono state instaurate, anche perseguendo politiche ambientalistiche, i risultati sono stati sorprendenti.
Realizzazioni e impegni per il 2017
Cosa facciamo nel 2017? Nella figura sotto è indicato in sintesi.
Solo alcuni spunti.
Competenze
Sulle competenze dei ragazzi l’idea è che ogni scuola possa lavorare sul curriculum di cittadinanza digitale. Dobbiamo lavorare all’interno di ogni istituto, in modo positivo come diceva stamani Lucia Suriano. E ancora vogliamo sviluppare le competenze relative all’imprenditorialità
Capitale umano
Considero fondamentale la cura del capitale umano. Presto avremo una piattaforma con cui potremo interloquire quasi quotidianamente con chi è impegnato nel PNSD. Non è una cosa irrilevante, perché è sul capitale delle 40.000 persone che rappresentano gli animatori digitali e i rispettivi team che si costruisce il successo o la sconfitta del Piano Nazionale Scuola Digitale.
Faremo maggiori investimenti sulla formazione con l’obiettivo di gestirla territorialmente, cercando di dare alle scuole gli strumenti giusti e utili per farlo.
Strumenti e infrastrutture
Siamo impegnati ad avere un atelier creativo in tutte le scuole primarie e secondarie di 1° grado, ad estendere i laboratori professionalizzanti o caratterizzanti nella secondaria di 2° grado, ad aumentare i laboratori territoriali.
L’obiettivo fondamentale rimane comunque quello di portare la connettività in tutte le scuole. Anche se non compete al MIUR farlo, non ci sottrarremo dal cercare in tutti i modi di abbassare i costi.
Con questi impegni concludo e vi ringrazio