Tutte le immagini di questo documento sono dipinti di Francesco Pesellino, 1422-1457.
Il dipinto in copertina è lo stesso utilizzato da INVALSI nel manifesto del proprio VIII Seminario
INTRODUZIONE
Un seminario ricchissimo di interventi
Dal 23 al 26 novembre si è tenuta a Roma la 8° edizione dell’annuale Seminario in cui INVALSI presenta ricerche sui dati delle prove nazionali, e non solo, insieme a contributi di altri enti e università.
Il seminario, che ha visto la co-partecipazione di ISTAT, Espanet e Banca d’Italia, è stato articolato in due parti, l’una– il 23 e 24 – rivolta principalmente al mondo della ricerca, l’altra– il 25 e 26 – più mirata al mondo della scuola. Numerosi i relatori di centri di ricerca nazionali ed internazionali[1] e di università italiane[2] e straniere[3]. Vi sono stati, inoltre, contributi di scuole e USR provenienti da tutto il territorio nazionale. All’ADi, nella persona della Presidente, Mimma Siniscalco, è stata affidata la relazione in plenaria del 25 novembre.
Il rapporto fra ricerca e politica educativa
Uno degli obiettivi di Invalsi – come dei simili centri di indagine e ricerca delle diverse nazioni- è quello di orientare, o comunque dare suggerimenti per le scelte di politica educativa. Sfida difficile e fin qui poco riuscita anche a livello internazionale, come analizzato in apertura da Aline Pennisi[4]. I tempi e i temi cruciali di politica e ricerca divergono spesso. La crisi del Covid ha per varie ragioni incrementato l’accumulazione dei così detti big data, ma il loro utilizzo presenta alcuni problemi. In occasione del PNRR diventa dunque cruciale “un buon rapporto fra ricerca e politica per rendere gli investimenti fruttuosi… I focus della ricerca devono essere i più rilevanti per la politica e non per l’accademia ed accompagnare le riforme su argomenti come i meccanismi di incentivazione dei docenti, la mobilità o assicurare strategie di valutazione che includano la possibilità di ripetizione in altri contesti e prevedano la triangolazione con osservazioni empiriche ottenute con metodi diversi”. Strumenti fondamentali: 1. un’adeguata formazione delle scuole per la lettura dei risultati, 2. un coordinamento, una gestione e una valutazione centralizzati delle attività di innovazione, con incentivi e modalità di verifica.
Validità dei risultati e metodo contrafattuale
Poiché la ricerca non è teologia, sempre in apertura, Enrico Rettore[5], ha messo in discussione la validità assoluta dei risultati delle ricerche, rilevando i limiti del metodo controfattuale, che consiste nel paragonare gli esiti di due processi paralleli nei quali sia stato o meno introdotto un fattore che si ipotizza causale. Innanzi tutto vi debbono essere attenzioni particolari per la correttezza dei procedimenti: i due gruppi debbono essere significativamente ampi, l’efficacia del fattore introdotto nel gruppo può essere attestata ma non sempre è necessariamente la ragione del suo successo. In conclusione, dove è possibile tenere sotto controllo i fattori delle ricerche secondo lo Studio di Controllo Randomizzato (Randomized Control Trial, RCT), il metodo quantitativo controfattuale è il migliore; diversamente è opportuno non rinunciare ai metodi osservativi, ovvero qualitativi. In realtà, l’antitesi fra quantitativo e qualitativo come metodo di indagine sociale è soprattutto sostenuta dai sostenitori del qualitativo, che spesso non desiderano uscire dal mondo delle utopie per entrare nel duro mondo dei fatti di realtà.
Un obiettivo non secondario, più volte dichiarato nei seminari Invalsi, è che i principali detentori dei dati- MIM, ISTAT e INVALSI- li mettano insieme, così da creare un data set complessivo, che è tuttora mancante. Ciò consentirebbe di approfondire problemi importanti quali ad esempio gli abbandoni precoci (Early Leavers from Education and Training, ELET),i risultati in Matematica ecc. Alcune ricerche hanno sottolineato in modo specifico l’importanza di questa messa in relazione dei dati, così da individuare in modo più efficace i punti di forza e di debolezza del sistema.
PROVE INVALSI E DIDATTICA
La riflessione sulle ricadute didattiche delle prove
In questa ottava edizione è risultato significativo l’impegno dei ricercatori Invalsi nella riflessione sui presupposti e sulle ricadute didattiche delle prove, che ha aggiunto qualità alle analisi su questo tema, fin qui affidato soprattutto alle riflessioni delle scuole. Circostanza che aveva senza dubbio il giusto obiettivo di un loro coinvolgimento, anche se naturalmente i docenti- che fanno un’altra professione- non potevano andare in profondità, come può avvenire da parte di ricercatori professionali, ovviamente supportati da un confronto ed un riscontro di chi sta sul campo. Del resto sembra in corso la tendenza a professionalizzare la lettura dei propri risultati da parte delle scuole ed a utilizzare alcuni paradigmi della costruzione delle prove INVALSI nella didattica e nella creazione dal basso di prove oggettive. Un segno importante si riscontra nella realizzazione di seminari di formazione centralizzati rivolti a coloro che nelle scuole sono di fatto diventati quadri intermedi sulla valutazione, nonostante la perdurante assenza di una specifica normativa sulla leadership intermedia.
Meno tensione sulle prove nelle scuole
Questa tendenza ha senza dubbio preso sviluppo dall’allentarsi della tensione intorno alle prove all’interno delle scuole, nonostante che l’ostilità o soprattutto l’indifferenza del quadro accademico ed amministrativo intermedio permanga in misura ancora significativa. Una spiegazione la si può forse trovare nella immensa capacità di un organismo bulimico come la scuola italiana di assimilare e neutralizzare. Del resto nelle scuole il timore maggiore è sempre stato quello di essere giudicati dal mondo esterno sulla base degli esiti Invalsi, con conseguenze sia di successo/insuccesso nelle iscrizioni che in termini di premi/punizioni. Ambedue rischi brillantemente evitati.
Quanto alle iscrizioni le famiglie italiane, a differenza di altri Paesi, non puntano molto sulla qualità della istruzione per il futuro dei figli. I RAV, Rapporti di Auto Valutazione, sono un oggetto misterioso per la gran parte della popolazione che continua a scegliere per fama o vicinanza e d’altra parte le scuole hanno mano libera sulla esposizione dei risultati Invalsi. Bene? male? Ai posteri l’ardua sentenza…
Quanto alla classificazione e premialità/ punizione per scuole ed insegnanti non c’è proprio questo rischio, visto che si fa fatica a creare una qualche differenziazione, neanche stabile, basata su compiti e prestazioni aggiuntive. La strada della valutazione della qualità intrapresa dalla Buona Scuola del governo Renzi non ha avuto successo, come peraltro ampiamente prevedibile.
Alcuni esempi di utilizzo didattico delle prove
Si sta ampliando l’area degli insegnanti e delle scuole che disinteressatamente cercano di utilizzare le prove come strumento pedagogico di miglioramento. In questo senso il seminario ha offerto molto materiale, con più di una ventina di contributi e un ampio spazio è stato dedicato a comunicazioni relative a quella che è stata definita Didattica.
In plenaria Mimma Siniscalco, presidente ADI, che da sempre partecipa al gruppo di predisposizione delle prove di Lettura INVALSI, ha collegato le scelte metodologiche sottese alla struttura delle prove di comprensione del testo, con i risultati, in questo ambito, di 4 importanti ILSA (International Large-Scale Assessment): PIRLS, IELS, PISA e la francese Lire et écrire. Le conclusioni concernono le tipologie dei risultati in relazione sia alle caratteristiche degli allievi sia alle attività didattiche che possono migliorare le competenze.
Alcuni insegnanti emiliano-romagnoli si sono sbizzarriti a sottoporre ai ragazzi test Invalsi di Matematica in inglese: una forma inedita di CLIL. Risultati: in molte prove i risultati del test in inglese sono migliori di quelli in italiano e comunque anche nei test più lunghi e in linguaggio più articolato e pertanto più difficile non c’è molta differenza. Il contesto sembra aver fatto la differenza, perché, per certi aspetti più sfidante, più di gioco, oltre che meno stressante di quello delle prove.
Altrettanto creativo un lavoro di Torino, che ha previsto la creazione da parte di studenti di scuola superiore di una prova tipo Invalsi, della sua somministrazione ai compagni e dell’analisi dei risultati.
Ricercatori Invalsi hanno anche attivato il rapporto con bambini della primaria sottoposti ai test attraverso interviste qualitative su impressioni e difficoltà incontrate.
Un’altra analisi si sofferma sulle differenze fra le difficoltà percepite da studenti e insegnanti: i primi sembrano molto più rilassati dei secondi.
In generale è rilevabile il fatto che il rapporto con le prove Invalsi sviluppa non tanto l’addestramento tanto temuto e demonizzato, quanto riflessioni ed esperienze attive. Alcuni esempi: la gamification cioè l’uso dei giochi o di applicazioni di tipo informatico a scopo cognitivo- formativo, l’utilizzo della storia della Matematica a scopo motivazionale, il ruolo del linguaggio matematico per la soluzione dei problemi ed altre varie attività presentate dalle scuole.
Dalla Svizzera ci vengono ulteriori rinforzi all’idea che le buone performance in Matematica siano predittori di successo. Studenti di percorsi professionali (da ricordare che nel modello tedesco questi non sono residuali) positivi in Matematica scelgono percorsi STEM che portano a lavori con livelli di retribuzione alti e non entrano successivamente in percorsi di formazione in altri campi poiché- è il commento -la eccessiva sicurezza in sè e nella propria professione non sembra creare problemi.
Una ricerca ha analizzato un aspetto dell’Università, che non riguarda il mondo Invalsi che si ferma all’ultimo anno della secondaria, ma può dare luogo a riflessioni interessanti sulla sequenza temporale delle valutazioni. Si sta infatti diffondendo anche nelle superiori, per non parlare della scuola dell’obbligo, la tendenza a dilazionare (se non abolire) i tempi della valutazione ”sommativa”. Qui si prende in esame il caso dell’università in cui la riforma ha diminuito le aree di apprendimento e la relativa sequenza temporale delle valutazioni con l’effetto di aumentarne il carico. Dalla indagine risulta che, mentre ciò non ha avuto effetto sui livelli alti, ha invece aumentato gli abbandoni di quelli bassi, per la loro tendenza a procrastinare; i “sopravvissuti” hanno poi potuto fruire di migliori occasioni di impiego grazie ad una selezione indiretta causata, ahimè, da buone intenzioni. Interessante: facilitare, diminuendo i tempi di controllo e pertanto, direbbero gli psicologi l’ansia da prestazione, può risolversi in un danno per i più fragili. Una riflessione valida anche per la scuola?
RAPPORTO DI AUTO-VALUTAZIONE
E SERVIZIO NAZIONALE DI VALUTAZIONE
Uno spazio più ampio di riflessione è stato dedicato a un tema importante, ma fin qui trascurato: il peso degli esiti delle prove nel RAV e il loro utilizzo per il miglioramento degli esiti di apprendimento, come peraltro previsto dal protocollo del Servizio Nazionale di Valutazione.
Una certa quantità di relazioni si sofferma sull’aspetto strutturalmente più interessante, cioè sui processi di analisi e miglioramento che la lettura delle prove e il RAV avrebbero dovuto innestare all’interno della vita ordinaria delle scuole. Vengono anche definite in modo abbastanza dettagliato e perciò potenzialmente produttivo le procedure e i risultati attesi. Una relazione giunge ad ipotizzare procedure di caricamento e gestione dati del RAV con strumenti informatici che lo semplifichino e lo rendano più maneggevole. Si tratta probabilmente di un’area cruciale che, opportunamente testata, potrebbe divenire un oggetto di disseminazione, con aeguati adattamenti, alle diverse realtà. Il ristagno delle operazioni relative alle visite esterne del SNV rende infatti difficile ipotizzare che sia quella la strada principale, attraverso la quale indurre attività simili, quanto meno in gran parte delle scuole, da sole o anche in rete.
Forse per questo, nella parte del Seminario dedicata alla Ricerca, è stata collocata una sessione sulla riflessione che in questi anni è stata condotta sulle attività di autovalutazione, non solo a proposito degli esiti delle prove, ma più in generale della elaborazione e gestione del Rapporto di Autovalutazione. La finalità è quella di costruire attraverso formazioni o gruppi di riflessione in ogni scuola un nucleo competente nel merito, che sappia coinvolgere il corpo complessivo della scuola. Senza dubbio si sono registrati esiti positivi, ma anche la consapevolezza che si tratterà di una evoluzione “storica”.
Particolare attenzione ai ruoli differenziati fra docenti e dirigenti in una ricerca che ci dice che questi ultimi aderiscono più facilmente ed approfonditamente alle finalità dei processi di autovalutazione, ma necessitano di essere più competenti nel merito per esercitare efficacemente il loro ruolo di leadership. Una curiosità: l’autovalutazione delle piccole scuole è stata messa sotto analisi in una ricerca il cui interesse può consistere nell’attuale tendenza italiana a creare -per ragioni di risparmio- strutture organizzative più consistenti, ma articolate sul territorio. Strutture che pertanto necessitano di una maggiore capacità di autoregolazione ed autovalutazione.
Altrettanto importante è la sperimentazione del RAV nell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), in un momento in cui è stata varata la nuova struttura del 4+2 nel percorso tecnico professionale. Sviluppata negli anni 2020/2021 e 2021/2022 ha coinvolto il RAV a livello volontario. Qui è stato messo a fuoco principalmente l’impatto sui risultati del clima relazionale, articolato fra diversi fattori: collaborazione degli insegnanti, relazioni fra gli studenti, assunzione di decisioni ed innovazione istituzionale.
IL TEMA CRUCIALE DELL’EQUITÀ
L’equità, sotto diverse voci (educazione difficile, mobilità sociale,…) è stata ancora una volta il corpo più ricco delle ricerche presentate. Un tema cruciale nella ricerca di tutto l’Occidente: la scuola come fattore principale, se non assoluto, di riproduzione sociale e pertanto fonte di discriminazione ed ingiustizia.
Una ricerca ha cercato di individuarne i fattori fra le caratteristiche degli insegnanti e la scelta della scuola da parte dei genitori; probabilmente la scelta di un periodo molto impegnativo per gli istituti ha causato una quantità limitata e pertanto non significativa di risposte.
Sullo stesso tema una ricerca- non del tutto inedita- sul rapporto fra i voti degli insegnanti e il background socioeconomico degli allievi. Le conclusioni: vi è una larga stabile associazione fra le due cose, l’effetto delle origini sociali è più ampio di quello delle competenze precedenti degli allievi, e avviene principalmente nella scuola dell’obbligo, meno nella secondaria di 2° grado (probabilmente perché questa è già canalizzata). Specialmente alla primaria tende ad essere maggiore fra gli studenti di livello basso e minore nella parte più alta di distribuzione delle competenze.
Che fare se un’altra ricerca dimostra che il risultato medio delle prove Invalsi nella scuola secondaria di 2°grado è correlato fortemente con i risultati alla fine della scuola secondaria di 1° grado, poichè le scuole italiane hanno difficoltà a compensare le differenze cognitive presenti fin dall’inizio del percorso educativo? Prestare – dice la ricerca-più attenzione agli studenti con difficoltà cognitive giusto all’inizio della loro carriera scolastica, con forme di tutoraggio, intervenendo molto presto, in quanto le differenze si determinano anche prima dell’inizio del ciclo obbligatorio. Non sembra una acquisizione nuova, neanche a livello internazionale, ma anche recentemente pare che il PNRR non riesca ad aprire asili nido e scuole dell’infanzia, là dove ce ne sarebbe appunto più bisogno. E qui la scuola non c’entra: può d’altronde sostituire o addirittura combattere la società?
Un altro fattore preso in considerazione per la riproduzione della diseguaglianza è la instabilità degli insegnanti (in crescita dal 2018 al 2022), poiché molti studi hanno appurato che gli insegnanti efficaci o quelli caratterizzati da tratti ”desiderabili” come stabilità di impiego, anzianità, titolo di studio terziario e formazione continua sono concentrati in scuole con predominanza di allievi bianchi, di background sociale alto e risultati più alti ai test. Il fenomeno sembra modesto in termini assoluti, ma ampio in termini relativi e, comunque, concentrato soprattutto nella scuola secondaria.
Una esperienza realizzata in centri di tutta Italia con il patrocinio di Fondazione Agnelli ha cercato di verificare se e quanto sia possibile rimediare al learning loss estivo offrendo in media 61 ore di workshops e 10 di tutoraggio a piccoli gruppi a studenti con basso livello di apprendimento (36% con background immigrato e 32% BES) delle scuole primarie e secondarie di 1° grado. Risultati ed osservazioni dichiarate? L’intervento sembra essere stato positivo per gli alunni della primaria e per quelli problematici, meno per gli studenti della secondaria di 1° grado. Se indubbiamente il learning loss si riduce, rimangono da valutarne gli effetti sulla lunga distanza. Dal punto di vista non cognitivo, il gruppo di trattamento ha mostrato più padronanza sui propri obiettivi, ma minore disponibilità ad accettare i compiti e gli stili del lavoro normale nella classe cui è tornato.
CORSI QUADRIENNALI: UN’ANALISI DEI RISULTATI
Più nuovo e di attualità il tema dei risultati di apprendimento degli studenti che hanno frequentato i corsi quadriennali istituiti in via sperimentale ormai 5 anni fa e che pertanto hanno già sostenuto in due coorti l’esame di maturità. Dal 2018-19 sono stati realizzati questi corsi in 192 classi, principalmente di liceo e private, con un curriculo caratterizzato dalle innovazioni metodologiche, anche per ovviare al compattamento dei tempi. In questi giorni è stato presentato dal MIM un rapporto ufficiale, ora che la sperimentazione del 4+2 ha riportato il tema all’attualità. Questo primo tentativo aveva analizzato i risultati finali alla maturità e delle prove Invalsi del ‘22 e del ’23 di questo contingente di studenti. All’inizio, nel 2018, c’era una differenza nel livello di partenza sia cognitivo che sociale degli studenti: in alcuni casi erano state effettuate selezioni per l’accesso. Ma la differenza si è attenuata con il tempo. I risultati sembrano, essere i seguenti: quanto all’esame di stato non ci sono differenze fra studenti che hanno frequentato 4 o 5 anni, mentre il livello delle prove Invalsi del ‘23 è per i quadriennali leggermente inferiore a quello del ‘22, forse in corrispondenza con la normalizzazione delle famiglie di provenienza.
ECCELLENTI, RESILIENTI E “GIFTED”
L’attenzione al tema non è di molto aumentata rispetto all’anno precedente. Una ricerca continua il filone già iniziato in alcune edizioni pregresse rispetto ai cosiddetti resilienti, cioè agli studenti che ottengono risultati superiori a quelli dei provenienti dagli stessi livelli socioculturali (ESCS). Il criterio di definizione dei resilienti pare molto ottimistico, perché ricomprende anche gli studenti dal livello 3 (definito di accettabilità) in su, differentemente da PISA che si riferisce esclusivamente ai 2 più alti livelli. In ogni caso i fattori individuati che porterebbero alla resilienza sembrano principalmente individuali, poichè la variabilità fra le classi o le scuole sembra abbastanza modesta. Tali fattori sarebbero l’indice socio-economico e la nazionalità, con un rilevante effetto fra pari a livello di classe più che di un effetto insegnante, che non è stato rilevato come significativo. Anche importante l’area di residenza. Interessante l’ipotesi di profilazione della tipologia di studente con le più alte possibilità di classificarsi come resiliente: ragazza italiana nata nel primo semestre, con più di 25 libri a casa e l’ESCS più alto fra gli ESCS bassi, in una classe di alto livello del Centro Italia.
L’altra tematica affrontata è quella dei “gifted” cioè dei “ dotati”. Nella presentazione viene ricostruita la storia del concetto e delle ricerche nel campo della psicologia, le politiche dei diversi Paesi nel merito e il ritardo sia normativo che operativo della scuola italiana. Questa presentazione a cura di Brunella Fiore e Paolo Barabanti costituisce di fatto la premessa alle prossime iniziative ADI nel merito: un webinar il 15 aprile con l’offerta di un corso di informazione/formazione e la partenza di una sperimentazione con riferimento ad iniziative fiamminghe di successo.
COVID: ALCUNE NUOVE ANALISI
Diversamente dall’edizione precedente, il tema del Covid non ha ovviamente avuto un ruolo quantitativamente significativo nelle ricerche presentate. E’ confermata sempre più l’ipotesi che i più danneggiati siano stati i maschi, quelli con bassi livelli di apprendimento e i non autoctoni.
Ricercatori della Banca d’Italia hanno analizzato il drop out implicito ovvero nascosto degli studenti che hanno terminato l’ultimo anno delle scuole superiori nel 2020-21, ossia in pieno Covid, per registrarne gli effetti. Si ritiene che si tratti di un anno particolarmente interessante sia perché le perdite di apprendimento subite non potranno più essere recuperate in anni successivi sia perchè questi studenti hanno sperimentato i più lunghi periodi di chiusura, pur essendone stato meno evidente l’impatto. Il paragone viene effettuato con i risultati preCovid dei test 2018-19 e ne è risultato un incremento della perdita degli apprendimenti dell’8.6%, particolarmente concentrata negli studenti di basso livello di apprendimento (misurato con i risultati in 2° superiore), provenienti da famiglie a basso reddito, immigrati, con basse aspirazioni ed emozionalmente disturbati dalla situazione di esame.
L’eccezione trentina
Ma l’eccezione c’è stata: una interessante ricerca si è domandata come mai a parità di condizioni la provincia di Trento non ha subito un crollo delle performance, come in alcune parti del nostro paese e non solo. Quali possono essere le ragioni della tenuta o comunque della ridotta flessione? Strumento di indagine un focus group con alcuni dirigenti scolastici e referenti INVALSI, ponendo al centro la visione organizzativa della scuola esulando dalla dimensione didattica della classe. I problemi anche a Trento non sembrano mancare: forte presenza di alunni stranieri, docenti indifferenti alle prove Invalsi o che fanno “proselitismo” contro, alunni di diversa composizione socio-economica, differenza di esiti in Matematica a favore dei maschi, insegnanti legati a didattiche trasmissive e che faticano a collaborare tra loro. Ma i risultati negativi delle prove nel biennio avevano “scosso” i docenti e spinti ad attivarsi.
Le strategie di intervento : scelte organizzative che spingono i docenti a lavorare in team e a progettare in dipartimenti, realizzazione di aule disciplinari attrezzate che inducano i docenti a condividere pratiche, costruzione di prove per classi parallele anche in entrata, rafforzamento della cultura della valutazione con corsi di formazione per dipartimenti anche secondo le metodologie del Lesson Lab (utilizzo di una videocamera per registrarsi avviando poi osservazioni reciproche), istituzione di corsi di potenziamento e di allineamento per gli studenti anche prima dell’inizio della scuola, fasce di lavoro libere in cui i ragazzi possono scegliere su cosa concentrarsi ed infine attività trasversali dedicate alla “comprensione del testo”.
Il problema dell’”insegnante inadeguato” rimane: rimangono le “mani legate” del dirigente scolastico, ma attraverso le attività nei dipartimenti si creano materiali didattici già preparati, con induzione all’uso anche da parte del docente “inadeguato” e prove parallele comuni. Il problema, dice la ricerca, non si risolve, ma se ne abbassa la soglia di gravità.
Un esempio di sperimentazione efficace è stato il «Rally» della matematica iniziato nel 2005 e -questo è il segreto- attivo ancora oggi, portando a risultati positivi in matematica. In tal modo è stato possibile fronteggiare efficacemente l’avvicendamento di docenti e dirigenti scolastici. Niente di stratosferico, dunque, e niente che non sia sistematicamente evocato in convegni ed aule di formazione; il problema è realizzarlo con costanza e serietà.
OCSE PISA 2022 sulla resilienza al Covid
Il 2° volume del rapporto OCSE PISA sui risultati del 2022, uscito a dicembre 2023, ci permette di collocare in un contesto internazionale il problema della resilienza al Covid (resilienza intesa, in questo caso, come capacità di affrontare un periodo di difficoltà) e quindi di compararla alla nostra.
Giappone, Corea, Lituania e Taipei (capitale di Taiwan) hanno raggiunto gli stessi livelli di PISA 2018 in valori assoluti di performance, equità e senso di appartenenza. Molti altri Paesi sono risultati resilienti in almeno uno di questi indicatori.
VALUTAZIONI STANDARDIZZATE INTERNAZIONALI
L’occasione del Seminario è una opportunità per aprire una finestra sul mondo delle valutazioni internazionali (PIRLS, ICCS, TIMSS) e le sessioni a ciò dedicate sono quelle in cui vengono soprattutto presentati i lavori di ricercatori stranieri: Gran Bretagna, Cile, Fiandre etc. Lavori che possono interessare, sia per gli esiti di ricerca ottenuti che per la luce che gettano su realtà non sempre sotto il fuoco dei riflettori. E’ il caso di una ricerca sugli esiti PIRLS in Macedonia del Nord nonchè di una ricerca trasversale internazionale sui fattori di soddisfazione lavorativa degli insegnanti (per l’Italia il carico di lavoro non è rilevante!).
Fra le altre cose si scopre inoltre che il sistema di insegnamento basato sulla ricerca ha effetti uguali sugli studenti di differente background socio-economico, fattore che risulta ancora una volta essere la più solida determinante dei risultati.
Fonte di numerosi approfondimenti è ICCS, l’indagine internazionale sulle competenze civiche anche per il suo valore di illustrazione delle caratteristiche delle società, che vanno oltre il campo della scuola.
Si va dalle ricadute in Messico sul curriculo nazionale di competenze civiche per effetto del Framework e dei risultati di ICCS, all’analisi dei dati offerti da ICCS 2016 per l’Italia ed il Cile che permette di approfondire le forme di attivismo fra i giovani nei due Paesi, separando ad esempio il concetto e le pratiche dell’attivismo on line da quello della partecipazione elettorale. Un’indagine fiamminga permette infine di ipotizzare che le credenze in campo politico si formino su base razionale, e non istintiva, già prima dei 14 anni.
DIFFERENZE DI GENERE
Dato per scontato che risulta oramai in modo costante essere il gender gap in Matematica per le ragazze italiane il più alto fra i paesi occidentali comparabili, una ricerca prova ad indagare quale sia il ruolo delle figure femminili di riferimento: madre ed insegnanti. Le conclusioni: per quanto riguarda le insegnanti i loro stereotipi di genere alla scuola primaria sembrano essere direttamente associati al gap matematico femminile. Il ruolo del lavoro della madre è importante per determinare il livello della Matematica delle figlie, prodromo acclarato di proseguimento in lauree STEM, mentre quello del suo livello di istruzione sembra non influire sull’esistenza di differenze con le prestazioni dei maschi.
Ma ancora una volta emergono due Italie e pertanto pare ancora una volta discutibile fare riferimento alla media nazionale.
Continua ad essere individuata l’ansietà come fattore negativo nelle ragazze, a causa della quale si amplia il loro gap negativo in Matematica ed anche si riduce il gap positivo in Lettura; la qual cosa tende a dimostrare che l’ansia è un fattore costante, non legato esclusivamente ad aree di debolezza potenziale come la Matematica.
Una ricerca ipotizza che un maggiore uso del computer da parte delle ragazze a scopo scolastico possa diminuire il gap nelle prove somministrate per via informatica.
Da approfondire l’ipotesi che questo gap di genere sia più limitato nella parte alta delle competenze e che pertanto l’intervento di miglioramento vada destinato alla parte bassa, dove gli stereotipi femminili veicolati da madri di basso status socio-economico sarebbero più forti. Anche perchè sembra esserci un diretto rapporto consequenziale fra bassi livelli in Matematica nella scuola dell’obbligo, bassa scelta di studi scientifici nella secondaria di 2° grado e poche carriere STEM nelle università. La nostra bassa percentuale di lauree STEM in un contesto occidentale, che pure viene negli ultimi tempi ampiamente superato non solo da Paesi asiatici ma anche da Brasile e Messico, sembra principalmente legata proprio alla diserzione femminile.
APPRENDERE AD APPRENDERE
Due sessioni sono state dedicate alla tematica dell’apprendere ad apprendere, che coincide in gran parte con quella della presenza e delle caratteristiche dell’insegnamento delle competenze trasversali, ovvero delle soft skill, ovvero ancora di quanto non può essere ricondotto direttamente al cognitivo.
La costruzione del quadro teorico e di una valutazione autentica attraverso compiti di realtà è stata presentata da una esperienza realizzata nella formazione professionale salesiana, con la indicazione di risultati attesi, indicatori e linee guida.
Una ricerca condotta attraverso l’analisi dei RAV durante le visite di valutazione esterne alle scuole ci induce a riflettere sulla scarsa rilevanza di questa linea di lavoro nelle progettazioni stesse delle scuole e pertanto sulla carenza di aree di intervento precise in termini di modalità e di strumenti di valutazione. D’altra parte una ricerca esplorativa su progetti ed attività riconosciuti dagli insegnanti come produttivi per sviluppare competenze relative all’Apprendere ad Apprendere indica che si tratta per loro di costruire esperienze coinvolgenti, che prevedano attività soprattutto in gruppo e che rompano la routine, in un contesto scolastico fuori dell’ordinario.
LA REALTÀ SCOLASTICA DEL MERIDIONE
Nonostante l’evidenza del problema, il tema della realtà scolastica del meridione non sembra essere al centro dell’interesse, anche se trasversalmente percorre molte analisi che individuano le differenze fra le diverse regioni su vari temi ed aspetti analizzati.
Una ricerca tocca un tema cruciale relativo alle differenze nel modo di dare i voti da parte degli insegnanti, tema che torna all’attenzione tutte le volte che si paragonano i voti della maturità con gli esiti delle prove Invalsi del 5° anno. Il fatto che da anni sia ormai all’evidenza di tutti che le classifiche regionali della maturità sono esattamente l’inverso di quelle delle prove Invalsi non ha indotto nessun cambiamento da parte dei dirigenti e degli insegnanti. La ricerca ha sinteticamente ribadito le differenze notevoli degli standard di votazione fra le province italiane sia in Matematica che in Lingua.
Invalsi sta meritoriamente lavorando sulla individuazione dei maggiori punti di fragilità degli studenti e delle scuole per rendere più produttivi i costosi interventi dei diversi progetti che in questi anni si sono avvicendati al Sud. Ma la sola reiterazione delle occasioni formative rischia di non produrre effetti, se non si cerca di mettere a fuoco, attraverso tutti i tipi di ricerca possibili (quantitativi ed anche qualitativi), le ragioni di questa situazione che non possono più essere ricondotte ai soli fattori economici.
Una continuazione: il seminario CeRiForm e INVALSI
Questo VIII Seminario INVALSI ha, per certi aspetti, avuto una sua continuazione nel seminario L’equità del sistema scolastico. Gli strumenti per valorizzare le scuole, tenuto da CeRiForm e INVALSI, il 31 gennaio 2024 presso l’Università Cattolica. L’obiettivo è stato quello di proporre alla discussione accademica un progetto di geolocalizzazione delle scuole in difficoltà, per finalizzare in modo efficace i significativi fondi a disposizione.
Fonte di tale indagine sono i dati INVALSI, ISTAT, MIUR e Agenzia delle Entrate degli ultimi tre anni. Lo strumento approntato e da raffinare è un indicatore di fragilità che deriva dai dati relativi allo status socio-economico, fra cui i principali sono la professione dei genitori e/o la disoccupazione, il livello degli esiti di apprendimento, il contesto scolastico (ripetenze, trasferimenti, ecc.) e il contesto sociale (valore degli immobili in zona, ecc.). Il risultato è una piattaforma di visualizzazione dei dati con una mappa interattiva.
In apertura il presidente Invalsi, Roberto Ricci, ha auspicato lo sviluppo di un contesto di ricerca colto, aperto, libero che permetta l’emersione di dimensioni di disequità non visibili e abbia il coraggio della verifica empirica delle proprie convinzioni. Altra caratteristica dovrebbe essere un orientamento all’utilizzo dei risultati che produca soluzioni credibili e che non facciano ricadere solo sulla scuola tutte le responsabilità. A proposito di quest’ultimo punto, a mo’ di commento, si potrebbe dire che sta entrando in crisi, anche a livello internazionale, l’idea dell’onnipotenza del sistema educativo e della sua capacità di determinare i livelli di sviluppo delle società. Le ideologie, le antropologie e le storie sottese a ciascun contesto contano e questo senza voler giustificare opportunisticamente le mancanze eventuali del contesto scolastico stesso.
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Note