L’influenza dell’interazione insegnante-studenti sui risultati. Che cosa dice la ricerca – Gianluca Argentin

SCUOLA, L’AUDACIA DI VOLARE ALTO - Bologna, 21-22 febbraio 2025

Premessa

Oggi parlo di relazioni. Il mio interesse principale di ricerca riguarda la qualità dell’insegnamento, l’efficacia degli insegnanti, la teacher quality, chiamatela come vi piace, che è un concetto che nasce prima in sociologia e poi viene ampiamente sviluppato, diffuso e misurato dagli economisti.

Gli economisti ci hanno insegnato che non solo è il fattore principale per il buon funzionamento dei sistemi scolastici, ma ci hanno anche insegnato che varia tantissimo da docente a docente. E hanno esaminato moltissimi possibili determinanti di cosa fa la qualità di un insegnante trovando risultati abbastanza contraddittori: l’unico su cui c’è un forte consenso è l’esperienza. Più si va avanti nella carriera, più si diventa efficaci. Per il resto i risultati variano.

Su cosa determini la qualità di un insegnante, altre discipline hanno invece da tempo dato una risposta chiara. Il mondo della pedagogia, delle scienze dell’educazione, dice che la qualità di un insegnante è data dalle competenze relazionali e dalla collaborazione tra insegnanti. Se pensiamo alla scuola, ovviamente ci rendiamo immediatamente conto della rilevanza delle competenze relazionali. Il punto è che queste discipline tendenzialmente si basano su studi più piccoli, che hanno approcci meno robusti sul piano dell’evidenza empirica e hanno quindi difficoltà a provare scientificamente la rilevanza di queste competenze.

Questi studi hanno anche un altro problema secondo la mia opinione, ed è che, quando parlano di competenze relazionali degli insegnanti, ne parlano in modo piuttosto elusivo. Qui ho riportato uno dei vari modelli di efficacia dell’insegnante.

La competenza di un insegnante è data da molti fattori ma cosa c’è dentro questo modello che si riferisca alle relazioni? Tendenzialmente la cosa più vicina è la capacità di gestire la relazione con il singolo, ovvero la ‘consulenza’ nell’accompagnamento alla conoscenza, e la gestione della classe. È un po’ come se in questo approccio  in cui cerchiamo di capire  come si genera apprendimento con lo studente, ci concentrassimo molto su quel legame tra insegnante (pallino blu) e studente (pallino verde) o tutt’al più ci concentrassimo sulla relazione con la classe, quindi sulla relazione dell’insegnante con i molti studenti, sapendo che c’è anche un effetto dei pari, che ha a che fare con le relazioni, legato alla composizione della classe e alle dinamiche della classe.

In alcuni modelli troviamo qualcosa di più, abbiamo il coinvolgimento dei genitori, cioè il coinvolgimento di altre figure adulte (pallini viola attorno agli studenti), e abbiamo evidenza piuttosto solida dell’impatto di questo aspetto.

La ricerca in campo educativo sulle relazioni si concentra prevalentemente su queste dimensioni della relazione e l’impressione è che sia una visione abbastanza circoscritta delle relazioni, perché poi c’è tutto un altro mondo di ricerca che è quella sulle organizzazioni e sulla leadership, ma le relazioni nella scuola sono qualcosa di molto più complesso.

Già prendendo questo schema semplificato, dobbiamo cominciare a mettere altri pallini accanto agli studenti, perché ogni studente ha un mondo relazionale con cui l’insegnante entra in contatto e molto spesso la capacità dell’insegnante di gestire quel mondo relazionale, di interagire non solo con i genitori, ma di attivare la rete di relazioni che sta dietro ogni studente, può fare la differenza, soprattutto nei casi di situazioni più difficili.

E anche questa è ancora una visione parziale, perché poi ci sono i dirigenti scolastici, ci sono le altre figure che hanno ruoli, compiti organizzativi nella scuola e le relazioni tra il singolo docente e queste figure giocano anch’esse un peso nel determinare gli effetti delle relazioni sugli apprendimenti.

Ci sono i colleghi e, ciascuno di loro a sua volta ha relazioni, sia col singolo studente che con tutti gli altri studenti e con i genitori e lo scambio di informazioni e relazioni tra tutte queste persone comincia a diventare un groviglio relazionale importante, accanto a cui ci sono poi colleghi di altre scuole e figure di riferimento per gli insegnanti al di fuori della scuola.

Quindi ogni insegnante, se torniamo al nostro singolo pallino blu con il suo cerchio rosso, si trova quotidianamente in un contesto relazionale estremamente denso, multilivello, fatto di relazioni che sono in parte orizzontali e in parte verticali, fatto di relazioni che sono asimmetriche nelle informazioni che si hanno a disposizione e ha la necessità, se vuole essere efficace, di navigare in queste relazioni, di gestire con consapevolezza questo enorme mondo di relazioni che ha attorno.

Fare un passo falso in alcune relazioni può avere conseguenze importanti sull’agganciare o sganciare uno studente, agganciare o sganciare un genitore e può avere conseguenze a cascata, con la necessità di spendere molto tempo per riaggiustare relazioni che si sono interrotte magari per una sciocchezza. Quindi abbiamo una grossa complessità relazionale e mi pare che sia importante pensare agli insegnanti come persone che, stando al centro di queste relazioni, devono avere degli strumenti per gestire questa complessità. C’è anche un’altra considerazione da fare prima di raccontarvi dei due studi che abbiamo condotto.

Quando ragioniamo su queste relazioni tendiamo a pensare a questa complessità come statica e anche come dinamica. Ci sono insegnanti che escono ed entrano dai collegi, dai consigli di classe, ci sono insegnanti che entrano ed escono dagli istituti, ci sono studenti che cambiano, classi che cambiano e ci sono contesti relazionali che cambiano di ora in ora. Entrare in una classe dopo che c’è stato un collega, o un altro collega, fa un’enorme differenza di contesto relazionale che ci si trova a gestire.

Entrare in una classe dopo che c’è stato un evento, o non c’è stato, di nuovo, fa un’enorme differenza. Quindi è una grande complessità quella che gli insegnanti devono gestire. E a questo proposito vi presento due studi.

I due studi di ricerca

Il primo studio

Il primo studio si è concentrato esplicitamente su questo aspetto di complessità, chiedendosi sostanzialmente se è possibile mostrare con una inferenza causale forte, con una evidenza sperimentale, che le relazioni contano. Ci sono moltissimi studi che mostrano la correlazione tra aspetti relazionali, dimensioni di benessere, di soddisfazione, di apprendimento. Abbiamo provato a vedere se riuscivamo a mostrare in modo rigoroso che le competenze relazionali degli insegnanti avevano effetti sull’apprendimento degli studenti.

E ci siamo chiesti se potessimo migliorare queste competenze relazionali e se i loro  effetti fossero effetti temporanei, qualcosa che scompare, o che resta. Per chi ha già visto questa presentazione, perché è un progetto che dura da tempo, oggi vi porto alcuni risultati nuovi. Abbiamo fatto un booklet, un libretto in cui abbiamo raccolto moltissimi consigli su come gestire le relazioni, accompagnato da una piattaforma e da video.

L’idea nasce da un libretto molto più circoscritto, molto più mirato, che ha fatto Peter Tymms dell’Università di Durham sulla gestione degli studenti con ADHD: consigli pratici agli insegnanti su come gestire le relazioni con studenti con cui la relazione può essere particolarmente complicata. Abbiamo preso quell’idea e abbiamo cercato di adattarla al contesto italiano per gestire sei grandi tematiche di relazione.

La prima è la collaborazione con i colleghi, perché eravamo profondamente convinti che la collaborazione con i colleghi fosse la chiave di gestione di quella complessità relazionale, il clima di classe, la motivazione e attenzione degli studenti, la gestione degli studenti cosiddetti turbolenti e la collaborazione con i genitori.

Quindi sei tematiche, con una struttura di libretto fatto per punti specifici, con micro-consigli: 188 micro-consigli, quindi un libretto navigabile leggendo un macro-consiglio che mi interessa ed entrando nei micro-consigli.

Vi faccio qui alcuni esempi: “Osserva i tuoi colleghi e fatti osservare”.

“Inizia sempre la giornata nel modo giusto”, cioè, rispetta le relazioni della classe appena entri. “Fatti giudicare”, inverti la relazione di giudizio.

Ci sono dei momenti in cui nella relazione l’importante è che l’altro possa dirti apertamente che cosa pensa.

Oppure “Usa i richiami non verbali”, fanno risparmiare un sacco di tempo e possono essere addirittura più efficaci, quindi avvicinati allo studente che disturba, fissa lo studente che disturba e via di seguito.

In tutto ci sono 188 micro-consigli con l’idea che, se gli insegnanti avessero visto tante buone pratiche relazionali, che avevamo distillato dalla letteratura e da interviste con insegnanti italiani, avrebbero potuto per imitazione arricchire la loro cassetta degli attrezzi relazionali e navigare meglio, appunto, quella complessa rete di relazioni in cui sono.

Ciò dovrebbe tradursi in maggiore autoefficacia degli insegnanti, un clima scolastico migliore e di conseguenza apprendimenti migliori degli studenti. Abbiamo fatto un esperimento in moltissime scuole, alcune delle vostre hanno sicuramente partecipato, in cui non c’era solo un gruppo di trattamento e un gruppo di controllo, ma nel gruppo di trattamento, c’era un gruppo dove gli insegnanti ricevevano questo libretto, questa formazione, a livello individuale, quindi solo gli insegnanti di italiano, di matematica, ecc. e c’era un gruppo dove lo ricevevano a livello collegiale.

A tutti gli insegnanti, in un momento collettivo, veniva distribuito il libretto con un forte invito a continuare a discutere di quei temi. Quindi due tipi di intervento, di fatto, un intervento che dice, caro insegnante, potenzia le tue competenze relazionali, un altro intervento che dice, caro collegio docenti, insieme cercate di potenziare le vostre competenze relazionali.

Che cosa abbiamo trovato? Abbiamo trovato che, effettivamente, gli insegnanti trattati’, cioè del gruppo in cui si svolgeva l’intervento, riportavano più auto-efficacia degli insegnanti del gruppo di controllo (Fig. 1). L’auto-efficacia degli insegnanti è un buon predittore di quanto poi gli studenti apprendono. E abbiamo trovato che l’effetto era più forte nelle scuole a trattamento collegiale.

Figura 1: Gli effetti sugli insegnanti

Abbiamo anche fatto un questionario agli studenti, trovando molto poco sui loro atteggiamenti, sulle loro percezioni, ma rilevando che c’era un voto leggermente più alto per gli studenti del gruppo di trattamento e anche un tasso di promozione leggermente più alto per gli studenti del gruppo di trattamento.

Si potrebbe pensare che gli insegnanti siano diventati un po’ più ‘morbidi’ nel giudizio, grazie a questa maggiore dimensione relazionale. L’anno dopo, abbiamo potuto seguire gli studenti nei dati INVALSI, trovando che c’era un reale effetto positivo in matematica e in italiano e questo effetto positivo era non trascurabile, tutt’altro, ed era più forte, di nuovo, nel gruppo di trattamento collegiale.

Figura 2: Gli effetti sugli studenti

Quindi abbiamo rilevato una ricaduta evidente di un intervento estremamente leggero, l’uso di un libretto e una formazione con sei video alle competenze relazionali. Abbiamo mostrato un tassello molto piccolo della dimensione relazionale, trovando effetti sugli apprendimenti.

I nuovi risultati sono che questi effetti durano, lo vediamo dai dati del MIM e INVALSI, possiamo seguire gli studenti in modo anonimo e quello che abbiamo trovato è che gli studenti del gruppo del trattamento si sono iscritti in numero leggermente maggiore al liceo, per quanto sia una percentuale trascurabile statisticamente, hanno avuto una maggiore regolarità negli studi, siamo intorno all’effetto del 3% in più di regolarità, hanno avuto voti di italiano e matematica più alti in seconda, terza, quarta, quinta e, alla fine della scuola superiore, hanno avuto oltre mezzo punto in più all’esame di maturità.

Quindi questo effetto sulle competenze relazionali è stato un effetto che poi è durato nel tempo ed è un effetto che, se lo disaggreghiamo in base ai tipi di intervento, è molto più forte nel trattamento collegiale. Questo ci dice che navigare quelle competenze relazionali è sì un qualcosa che ha a che fare col patrimonio del singolo insegnante, con la sua capacità di avere un repertorio di pratiche relazionali forte, ma soprattutto con la sua capacità di integrare le proprie pratiche con gli altri. Grazie all’Iprase abbiamo anche replicato questa esperienza su 204 neoassunti trentini, a cui abbiamo consegnato il libretto.

Qui l’esito che abbiamo riguarda solo l’auto-efficacia. Abbiamo ritrovato l’effetto positivo sull’auto-efficacia dei neoassunti e anche su una nuova scala che abbiamo costruito, una scala di misurazione della qualità delle relazioni a scuola. I dati ci dicono, in sostanza, “io come neoassunto sono riuscito a stabilire migliori relazioni a scuola”.

Il secondo studio

Vi mostro molto molto rapidamente un altro studio, dove non c’è nessuna manipolazione causale, sperimentale. È uno studio osservazionale perché sappiamo pochissimo su come funzionano le reti di collaborazione nelle scuole. Quindi con questi altri colleghi siamo entrati in tre plessi di un istituto scolastico lombardo e ci siamo chiesti come sono fatte queste relazioni.

È un primo carotaggio di qualcosa che adesso stiamo provando a fare su più larga scala. Facendo un piccolo carotaggio micro, molto situato, abbiamo potuto farlo in modo estremamente approfondito. Quindi abbiamo potuto intervistare faccia a faccia 73 insegnanti, chiedendo loro in che relazioni fossero con tutti gli altri insegnanti della scuola.

E ci siamo anche chiesti se la posizione di questi insegnanti nelle reti di collaborazione fosse in qualche modo legata alla loro autoefficacia, di nuovo, o alla loro soddisfazione. Vi mostro tre reti.

Figura 3: Tre tipi di network

Una rete è quella di scambio di consigli materiali con i colleghi: “Con quali colleghi scambi elementi che hanno a che fare col tuo lavoro.” Una seconda rete è quella delle relazioni interne alla scuola: “Con chi ti fermi a bere un caffè, con chi chiacchieri, con chi hai queste relazioni leggere nel quotidiano”. La terza è quella delle relazioni all’esterno della scuola: “Con chi hai relazioni anche al di fuori della scuola”.

Vi mostro le reti graficamente, così si capisce subito come funzionano. A sinistra troverete una rete che è quella dello scambio forte; quindi, quello scambio è anche intenso nella frequenza. A destra lo scambio invece debole.

Figura 4: Reti interne, scambio forte e debole

Come vedete qui si vedono molto bene i tre plessi. Questa della figura 4 è la rete delle relazioni interne alla scuola, dal caffè in poi, per capirci. Si vedono molto nitidamente i tre plessi con delle relazioni molto dense e con delle figure che fanno da ponte.

Figura 5: Le reti esterne, scambio forte e debole

Se guardiamo alle relazioni all’esterno della scuola (Fig. 5) i plessi scompaiono, le affinità elettive, come vedete, valicano i confini dei plessi, sono qualcosa che non ha più a che fare col contesto quotidiano. A me pare interessante vedere che le relazioni di scambio lasciano intravedere i plessi, ma non sono solo dentro i plessi, sono molto dense dentro i plessi, ma sono dense anche al di fuori dei plessi. Guardate come si intravede che c’è un plesso un po’ più isolato degli altri, anche geograficamente più lontano, però guardate (Fig. 6) come le reti di relazioni di scambio professionale sono dense e vanno oltre gli scambi legati all’incontrarsi quotidianamente in corridoio.

Figura 6: Reti di scambio professionale

Abbiamo anche visto che essere centrali nelle reti ha un effetto positivo sull’autoefficacia. Più sei dentro queste reti, più benefici dell’effetto positivo sull’autoefficacia, mentre gli effetti sulla soddisfazione sono ambivalenti, a volte positivi, a volte negativi. Dipende un po’ da dove stai, dipende da come misuriamo questo elemento; quindi, c’è bisogno di proseguire la ricerca.

Sviluppi futuri

Ora stiamo cercando di cogliere qualcosa di più su una scala molto più grande. In questo momento stiamo facendo uno sforzo di raccolta dati enorme, una indagine che è la quarta indagine sulle condizioni di vita e di lavoro degli insegnanti italiani su 300 plessi scolastici italiani.

Non possiamo ricostruire le reti relazionali, sarebbe un lavoro immenso, però stiamo somministrando un questionario molto ampio a insegnanti in 300 plessi scolastici e stiamo chiedendogli sia di raccontarci com’è fatta la struttura organizzativa della loro scuola, sia dove si collocano loro stessi nelle reti. Io spero che l’indagine proceda e spero presto di poter dire chi sono gli insegnanti più periferici nelle reti di relazioni scolastiche in questi plessi, chi sono gli insegnanti più centrali, quanto si collega la perifericità o la centralità allo stare bene in quell’istituto scolastico, allo stare bene nella propria professione. Sono tutte cose che non sappiamo e saperlo ci aiuterà a gestire un po’ meglio – dal lato dei dirigenti, di chi ha responsabilità nelle scuole – quelle reti di relazioni e di collaborazione che diventano fondamentali per dare al singolo insegnante gli strumenti per collaborare.

Qui sotto ci sono i contatti per contribuire con le proprie scuole:

Figura 7: Indagine in corso, contatti per partecipare

 

Conclusioni

Che cosa abbiamo imparato secondo il mio punto di vista su questo tema?

  • La dimensione della gestione della rete relazionale è una competenza fondamentale per gli insegnanti e se moltissimi studi ce lo dicevano qualitativamente, moltissima teoria ce lo diceva da una prospettiva di riflessione su come funzionano le cose, molti studi correlazionali ce lo avevano già mostrato. Lo studio che abbiamo fatto mostra che questa dimensione è talmente potente che basta muovere poco la competenza relazionale, dando un libretto e dando spazio agli insegnanti per apprenderne l’uno dall’altro, per avere effetti molto importanti e duraturi. Questo ci dice anche però – per come è fatto il libretto e per quello che abbiamo visto della ricerca – che non ci sono soluzioni buone per tutte le situazioni. Leggiamo spesso sui quotidiani “la soluzione per la scuola italiana è essere più severa”, “essere più empatica”,” essere più…”. Dipende! Si genera confusione per chi poi deve quotidianamente tradurre questi grandi proclami in pratiche. Non c’è un proclama che vale per tutti gli insegnanti, perché siamo fatti tutti in modo diverso, non c’è un proclama che valga per tutti gli studenti, per tutte le classi e le situazioni e anzi molto spesso la capacità di una scuola di essere efficace è proprio quella di riuscire ad adattare finemente le pratiche relazionali al momento, alla classe, al contesto, al periodo che sta vivendo.
  • La collaborazione è una leva potentissima ed è potente non solo per gli apprendimenti degli studenti, ma anche per far stare meglio gli insegnanti, per farli sentire più auto efficaci, che è un ottimo modo di prevenire la stanchezza e il burnout degli insegnanti stessi.
  • Però sappiamo ancora molto poco, c’è bisogno di ricerca, ricerca partecipata, perché c’è poca evidenza sull’Italia, c’è molta più evidenza all’estero, ma l’Italia ha molte peculiarità nel suo sistema scolastico, nel sistema di reclutamento degli insegnanti, nel funzionamento delle scuole, che non possiamo trascurare.
  • Abbiamo risorse all’interno delle scuole che, se ben valorizzate, sono fondamentali e sono molto più preziose delle risorse che può portare un esterno, un’’eminenza’ che viene a fare una formazione su qualcosa che ha già in mente. Io credo che, se pensiamo in chiave di formazione per gli insegnanti, questo ci dice soprattutto che sono le competenze dentro la scuola quelle che dobbiamo potenziare, che sono le competenze dentro la scuola quelle da valorizzare in modo ‘bottom up’. Immagino una formazione degli insegnanti del futuro fatta di pochi inviti ad accademici, come me, e fatta invece molto di tavoli di lavoro nei quali ogni insegnante, in quel contesto situato specifico, che conosce bene, può mettere a disposizione dei colleghi le competenze, le pratiche e le innovazioni che ha sviluppato.

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