Essenzializzare i curricoli: l’esperienza del Portogallo

João Costa

INTRODUZIONE

Grazie infinite per la bellissima introduzione alla mia relazione e grazie a Mimma e all’ADi per avermi invitato. Un grande onore e un grande piacere, ma anche, lo ammetto, una grande responsabilità. Vorrei chiarire innanzitutto che io non c’entro nulla con la lusinghiera presentazione che avete appena udito: non è propaganda del Governo portoghese!

Il mio compito oggi è parlarvi dei complessi processi che abbiamo avviato e sviluppato in Portogallo su un argomento difficilissimo, il sovraccarico del curricolo.  Di fronte all’evidenza e ai costanti richiami all’impossibilità di portare a termine i piani di studio, il mio Governo ha assunto l’obiettivo e la responsabilità di ridimensionare il curricolo.

Vi racconterò delle molte difficoltà incontrate, delle azioni realizzate, delle opposizioni e delle critiche di cui siamo stati fatti bersaglio, ma soprattutto cercherò di spiegare perché l’abbiamo fatto. Sono convinto infatti che se non si è sicuri del perché delle proprie azioni, il risultato sarà peggiore della situazione di partenza.

Nulla di tutto ciò che abbiamo fatto è stato esente da contestazioni. E mentre la bella introduzione da voi fatta al mio discorso pareva in qualche modo rispecchiare consensi alle nostre riforme, sappiate che non è stato così. Voglio essere onesto e trasparente con voi. Lasciamo dunque le belle immagini e le belle parole di cui mi avete gratificato, e insieme affrontiamo la cruda realtà, così come l’abbiamo vissuta.

CHI HA PAURA DELL’IDEOLOGIA?

 Sono molto grato a quanti mi hanno preceduto, perché non dovrò ripetere a che punto siamo ora, quali sono i problemi generali dai quali la scuola è gravata oggi: la valanga di informazioni e di fake news che travolgono i nostri ragazzi, il complesso rapporto con l’intelligenza artificiale, il riscaldamento globale e tanto altro ancora.

 A tutto questo vorrei però aggiungere un altro elemento.  Non so come funzioni in Italia o in altri Paesi, ma in Portogallo nei vari dibattiti, in particolare in quelli sulla scuola, la parola ideologia è costantemente usata come un’ingiuria, un’onta.

Ma tutto quello che facciamo nell’istruzione è una dichiarazione ideologica!

 Assumere l’istruzione obbligatoria è una forte dichiarazione ideologica. Dire che vogliamo insegnare la storia e la filosofia è un’altra dichiarazione ideologica. Definire i contenuti, i punti di vista che assumiamo è ideologia. Il bellissimo video che Veronica Mansilla ci ha mostrato sull’assunzione della prospettiva, sul voler considerare il punto di vista degli altri, ebbene, anche quella è una posizione ideologica.

Quindi non ha senso agitare lo spauracchio dell’ideologia, non ha senso usarla come leva contro le riforme.

PERCHE’ LE RIFORME?

Quello che personalmente e politicamente mi preoccupa, è il rapporto con il tempo, il rapporto con la tecnologia e la vulnerabilità insita nei nuovi radicalismi e populismi e nelle fake news. Preoccupa che le nostre posizioni politiche possano essere controllate dagli algoritmi e manipolate da qualunque cosa appaia su uno schermo con messaggi sommari e veloci. Un recente studio in Portogallo ha rivelato che, se votasse solo la popolazione di 18-24 anni, il nostro Paese sarebbe governato da un partito di destra ultra-populista. E ciò perché i social media guidano le scelte di voto dei giovani.

Tutto questo preoccupa e ha a che fare con l’istruzione. Uno dei più bei risultati a cui è giunto l’Ocse è la forte correlazione tra l’impegno civico e il livello di istruzione. Quanto più sei qualificato, tanto meno sarai vulnerabile alle teorie complottistiche e maggiore sarà la possibilità che tu possa partecipare al volontariato, ad azioni dimostrative, a proteste sane.

Quello che intendo è che l’istruzione fa bene alla democrazia e naturalmente questo è uno dei perché noi ci impegniamo tanto sulla scuola.

Abbiamo appena esteso a 18 anni l’obbligo scolastico.

Non c’era un piano di studi nazionale, il Paese non si era interrogato sul perché volevamo che lo studente restasse a scuola fino a 18 anni. C’era un curricolo un po’ raffazzonato, ma non c’era un perché gli studenti dovessero essere costretti a restare a scuola fino ai 18 anni.

Nei Paesi democratici sono poche le cose che la popolazione è costretta a fare. Le persone hanno dei diritti, hanno dei doveri, ma non subiscono molte imposizioni. Nella maggior parte dei nostri Paesi la vaccinazione è obbligatoria perché è per proteggere gli altri non soltanto se stessi, ma quando rendiamo la scuola obbligatoria questo richiede a chiunque eserciti questo obbligo un grande impegno etico. Come potevamo allora rispondere alla domanda sul perché? Perché stiamo costringendovi a restare tanto a lungo sui banchi di scuola? Perché vi mandiamo i carabinieri a casa, se non vi presentate a scuola? A tutte queste domande sul perché bisognava dare risposta.

I TRE PILASTRI DEGLI INTERVENTI
SULLA SCUOLA

 Per rispondere a tutti questi perché abbiamo individuato 3 pilastri, tre importanti sostegni e motivazioni per i nostri interventi sulla scuola. Questi sono:

  1. Successo
  2. Inclusione
  3. Cittadinanza

Li esaminerò singolarmente, ma sono tutti e tre assolutamente intrecciati; ciascuno ha bisogno degli altri due per dare una visione completa e comprensibile di ciò che vogliamo perseguire.

Successo

Abbiamo parlato molto di successo nella scuola, ma alla parola successo bisogna dare un preciso significato.

Chi è e che cosa fa lo studente che ha successo? La risposta semplice è: uno studente che torna a casa con dei buoni voti. Ma se poi ai buoni voti corrisponde il fatto che non ha imparato niente? E se, come è stato detto e ridetto più volte oggi, lo studente prende buoni voti, ma la settimana successiva non ricorda assolutamente più nulla? Ed è lì che abbiamo iniziato a interrogarci: Qual è il vero significato di avere successo?

Inclusione

Allora siamo passati al secondo pilastro: l’inclusione

Infatti non bisogna parlare solo dello studente che ha successo, ma di un sistema scolastico che ha successo. Io posso avere i migliori obiettivi di questa terra, il miglior profilo degli studenti del mondo, ma se il successo non è per tutti, se è solo per i privilegiati, questo sistema scolastico fallisce. Quindi non dobbiamo pensare a qualcosa di ideale, perché così ci dimentichiamo del background degli studenti che abbiamo sui banchi di scuola.

È duro quello che sto per dirvi, e rimane ancora per me una grande sfida: spesso le scuole e i sistemi confermano soltanto le disparità che ci sono già in ingresso. Si continua a vedere il background economico e sociale della famiglia come predittore forte del successo scolastico.

Ma se è così, continueremo a fallire.

Quindi parlare di inclusione significa pensare il curriculum secondo altri criteri, perché diversamente non daremo mai una risposta a coloro che oggi non riescano a imparare. Significa reimmaginare un curricolo per tutti, significa flessibilità e adattabilità, significa crescere insieme, significa individuare il nucleo centrale del curricolo.

Cittadinanza

Il terzo pilastro per noi è stata la definizione di cittadinanza o educare alla cittadinanza.

Se diciamo, come qui è stato tante volte detto, che le sfide più grandi del mondo sono il cambiamento climatico, i diritti umani, l’eradicazione del razzismo, ecc. non possiamo poi lasciare tutto questo fuori dalla scuola.

Ecco allora che i tre pilastri si legano fra loro.  Non si può parlare di uno senza parlare dell’altro.

 Quando si parla di inclusione dello studente nel piano di studi, si intendono dimensioni che hanno a che vedere con la multiculturalità, l’apertura alla diversità, l’empatia, ambiti e dimensioni che possono essere sviluppati solo se c’è cittadinanza nel curricolo.

Inclusione e cittadinanza vanno di pari passo.

Negli anni ‘50 furono create in Portogallo istituzioni specifiche per chi aveva dei bisogni speciali: era la segregazione. Nel 2008, dopo la Dichiarazione di Salamanca, è cominciata l’integrazione nelle scuole comuni ma con classi separate. Nel 2015 avevamo il 98% dei bambini e giovani con bisogni speciali che frequentavano le scuole comuni, ma sempre in spazi segregati. Nel 2018 abbiamo approvato una legge molto ambiziosa, difficilissima da implementare, che ha sostituto l’integrazione con l’inclusione, stabilendo che tutti crescano insieme, nella stessa classe.

 Quanto abbiamo detto per l’inclusione si adatta anche al successo.  Infatti non si può parlare di successo se non si pensa a tutti, se non si è in grado di lavorare con tutti e fare squadra.

DAI TRE PILASTRI AL CORE CURRICULUM

La definizione e l’assunzione dei tre pilastri che vi ho appena illustrato, sono state il frutto di un grande dibattito a livello nazionale,  aperto a tutti gli enti e ambiti associativi. Ci siamo consultati con tutte le scuole, le università e le imprese e con chiunque volesse partecipare al dibattito.

Abbiamo formulato e pubblicato un documento che ha rappresentato la base per il profilo dello studente al termine dell’obbligo scolastico. Poi abbiamo individuato dieci aree di competenze da potenziare nel corso della scolarizzazione.  Non le passerò in rassegna singolarmente, sono in fondo le stesse che sono state più volte citate nella mattinata, anche se a volte con nomi diversi. Vorrei però citarne una, non tanto perché piace a me, ma piuttosto perché ha un legame speciale con quanto abbiamo fatto. Si tratta dell’inserimento nel curricolo della sensibilità artistica ed estetica.  Perché è così importante?  La risposta sta nella democrazia e nel bisogno di ripensare il rapporto con il tempo.

I giovani sono vulnerabili in termini di capacità di pensare per la velocità di tutto ciò che accade su TikTok. Invece quando andiamo a teatro, quando andiamo al cinema, quando leggiamo una poesia o un romanzo, il tempo si ferma e ci costringe ad affrontare la complessità, a immergerci nella complessità. Ed è la complessità che è nemica del populismo, perché il populismo ha a che vedere con risposte semplici a domande complesse. Per tutto questo è necessario re-immaginare la relazione che i discenti hanno col tempo, e mostrare loro che per dare  risposte a questioni complesse c’è bisogno di dibattere, c’è bisogno di riflettere, c’è bisogno di tempo.

Ecco perché è così importante la sensibilità estetica e artistica.

 Anche l’inclusione degli alunni con bisogni speciali rende tangibile l’importanza del tempo. Ora che in Portogallo questi allievi sono nelle classi comuni, non si può più avere un approccio univoco per tutti, ma flessibilità nell’adattare il curricolo ai diversi bisogni. Significa predisporre una progettazione che permetta a ciascuno di raggiungere il massimo delle proprie potenzialità, e questo richiede tempo.

 Questi esempi vi fanno capire perché avevamo l’esigenza di stabilire un core curriculum. Solo così avremmo potuto affrontare il sovraccarico dei piani di studio. E ciò ha a che fare con il nostro terzo pilastro, la cittadinanza.

C’è stato un grandissimo dibattito sui diversi ambiti di educazione alla cittadinanza: i diritti umani, l’educazione all’ambiente, alla salute,  l’uguaglianza di genere e l’educazione sessuale.  Su quest’ultima gli scontri sono stati violenti. Ci hanno rivolto l’accusa di indottrinamento degli studenti. E’ stata invece una grande occasione per loro di dibattere ed essere messi in grado di operare delle scelte. Con l’educazione sessuale nelle scuole, è calato il tasso delle gravidanze indesiderate tra le adolescenti. Quindi la scuola ha partecipato alla soluzione di un serio problema sociale. 

Come siamo arrivati ad affrontare il sovraccarico del curriculum a partire da quanto vi ho finora raccontato?

 Innanzitutto, siamo riusciti a dimostrare che il sovraccarico del curriculum non è un’opinione, è un problema vero, perché l’inclusione richiede tempo, perché la cittadinanza richiede tempo per lo sviluppo del pensiero critico. Occorre tempo per comparare le fonti e non apprendere da un unico libro di testo, senza possibilità di validare le “verità” in esso contenute. La scienza richiede sperimentazione, laboratori, e quindi tempo, come ci ha detto Andreas Schleicher.  

Ora se il piano di studi è solo un lungo ammasso di nozioni, non c’è tempo per fare ciò che i nostri tre pilastri richiedono.

Occorre cambiare strategia. Quando ad esempio si affronta l’educazione alla cittadinanza, ci si accorge subito dell’interconnessione fra le discipline. Prendete il cambiamento climatico. Ebbene il suo studio richiede la geografia, le scienze, l’etica, ma anche la biologia e l’economia, se si vuole capire davvero il fenomeno.

Allora che cosa abbiamo fatto?

Abbiamo definito una matrice comune per tutte le discipline, abbiamo collegato gli argomenti del piano di studio di ogni disciplina alle aree di competenza del nostro profilo degli studenti. Abbiamo un documento molto snello con i contenuti, con esempi di strategie, e con questa connessione allele aree di competenza.

E’ stato un processo lungo, laborioso e tutt’altro che tranquillo.

LA TEMPESTOSA NAVIGAZIONE
PRIMA DELL’APPRODO

La navigazione della riforma è durata 2 anni ed è stata molto laboriosa, a volte tempestosa.

Sapevamo dall’inizio che il confronto con gli accademici sarebbe stato infruttuoso, poiché sono tutti ostinatamente “attaccati” alla propria disciplina e non sono disposti a retrocedere di un passo.

 Il linguista vi dice che la grammatica è intoccabile, il letterato non cede di una virgola sul programma di letteratura, e così gli storici, ciascuno convinto che del periodo di cui si occupa, sia esso il Medioevo o l’età contemporanea, nulla può essere tolto. E potrei continuare con tutti gli ambiti disciplinari.

 Ma noi avevamo il compito di disboscare il curricolo, di essenzializzarlo; quindi, abbiamo pensato di rivolgerci non solo agli accademici, ma di affidare alle associazioni professionali degli insegnanti la conduzione di questo processo.

Abbiamo iniziato con una grande conferenza sul curricolo e il sovraccarico era chiaro a tutti i professionisti. E ciascuno aveva la soluzione in tasca: “Salviamo le mie ore di insegnamento!”

Quando la conferenza si è conclusa, ho calcolato che, se il curricolo avesse contenuto tutto quello che i docenti dicevano di voler impartire, le ore per gli studenti sarebbero state 27 al giorno!

Allora ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato a lavorare seriamente insieme. Non è stata una passeggiata, perché è facile identificare il sovraccarico, molto più difficile operare dei tagli. E ci sono piombate addosso critiche da tutte le parti.

Quindi se volete intervenire sul sovraccarico del curricolo, dovete essere coscienti che ci saranno critiche e opposizioni, soprattutto dal mondo dell’accademia, ma non solo. Ci sono anche i genitori, quelli che hanno avuto successo e che vogliono che i propri figli imparino esattamente quello che a scuola hanno appreso loro, anche se questo tipo di insegnamento lascia indietro altri bambini, anche se non è più adeguato alle esigenze dell’oggi come lo era 30 o 40 anni fa.

Per avventurarsi in questa impresa bisogna creare punti di forza, avere molta pazienza e saper affrontare l’opposizione su più fronti.

Un’altra accusa molto comune è stata: “State abbassando gli standard”.

Ed è difficile spiegare che identificare un core curriculum non significa ridurlo al minimo, significa individuare qual è il cuore e come da quel cuore ci si può allargare, si può far fiorire il resto, si possono prendere fatti, fenomeni che accadono nel mondo e portarli a bordo. Abbiamo visto in questi due giorni tanti esempi: si può usare la pandemia per sviluppare la conoscenza su una serie di ambiti del piano di studi, oppure le guerre, o episodi di segregazione, di discriminazione ecc..

Nulla di quanto vi sto raccontando è semplice, occorre coraggio per intraprendere questo viaggio e attrezzarsi per arrivare alla meta.

LA VALUTAZIONE

  Ho ormai finito il tempo e poco posso dire su una questione molto importante: la valutazione.  Non possiamo infatti dividere l’insegnamento dalla valutazione. Insieme alla riforma del curricolo abbiamo infatti varato la riforma della valutazione, dando risposta a tre domande:  che cosa valutare, quando valutare, come valutare.

  Non c’è più tempo, vi dico solo che dal punto di vista concettuale abbiamo seguito una serie di criteri, che in modo assolutamente schematico vi elenco:

  1. lo scopo della valutazione è quello di essere uno strumento per migliorare l’apprendimento;
  2. ci deve essere complementarietà tra valutazione interna ed esterna;
  3. la funzione principale della valutazione è quella formativa;
  4. la valutazione è un’importantissima fonte di informazione;
  5. la valutazione va assunta come diritto, non come dovere;
  6. la valutazione non deve essere un fattore di esclusione;
  7. il curricolo basato sulle competenze ha grandi implicazioni sulla valutazione.

LA VOCE DEGLI STUDENTI

Non posso chiudere questa mia relazione senza dirvi quanto importante sia stato per noi dare voce agli studenti, metterli in condizione di partecipare al progetto.

Nella legge abbiamo introdotto una raccomandazione, affinché ogni scuola faccia partecipare gli studenti alla progettazione del piano di studi. E questo è strettamente connesso alle opzioni sostenute dai tre pilastri che vi ho illustrato.

Non si può puntare al successo se si lasciano fuori dal dibattito coloro che devono apprendere e conseguirlo. Sarebbe come se un medico non ascoltasse l’ammalato e prescrivesse rimedi alla cieca, prima ancora di sapere dal paziente come e cosa si sente.

Ugualmente non si può includere se non si ascolta coloro che vengono esclusi.

 Ho organizzato assemblee con gli studenti in tutto il Portogallo e ho fatto domande sul successo e loro mi hanno dato tante risposte.

Una volta ho chiesto: “Perché non state imparando?”, mi hanno risposto: “Abbiamo bisogno di qualcuno che ci sorrida quando entriamo in classe.” La cosa mi ha fatto piacere perché in fondo non costava nulla, dovevo semplicemente chiedere ai docenti di sorridere!

Siamo giunti alla fine, lasciatemi concludere con queste poche schematiche indicazioni:

  • l’inclusione non si raggiunge senza la voce degli studenti;
  • per un’inclusione efficace bisogna ascoltare coloro che sono esclusi;
  • per il successo bisogna ascoltare coloro che (apparentemente) non lo cercano;
  • per una cittadinanza attiva, il silenzio non è la strada giusta.

Avrei tantissime altre cose da dire, se soltanto avessi altre 4, 5 o 6 ore…..

Grazie.

IL VIDEO DELLA RELAZIONE

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