Cosa possiamo imparare dai “migliori insegnanti del mondo”

Andria Zafirakou

Un premio straordinario

Buongiorno a tutti! È un piacere essere qui oggi, sono veramente contenta. E grazie anche alle traduttrici!

È proprio successo! Ho vinto un premio straordinario! Ho vissuto un anno surreale nel 2018, e prima ancora nel 2017. Ho avuto l’onore di detenere questo titolo, direi di rappresentare la nostra professione, di rappresentare la professione più importante al mondo, perché gli insegnanti sono gli esseri umani più importanti del mondo.

Scommetto che vi state chiedendo, come ha fatto un’insegnante i cui genitori sono migranti dalla Grecia – i miei genitori si sono trasferiti a Londra, venendo dalla Grecia e da Cipro, all’inizio degli anni ’70 e io sono nata a Londra – come ha fatto questa migrante che insegna arte in una scuola del centro della capitale di un Paese molto ricco chiamato Inghilterra, come diavolo ha fatto a vincere il Global Teacher Prize? Ebbene, ancora non so la risposta. È una cosa che sorprende.

Ma quello che credo e che spero, è che la giuria abbia visto l’importanza di ciò che faccio, e cioè insegnare l’arte a bambini che – siccome non parlano bene inglese – a volte possono avere l’etichetta, lo stigma, di non essere capaci di fare niente. In realtà questi bambini, che possono avere bisogni educativi speciali o non avere – nel mio caso – l’inglese come lingua madre, ma attraverso il veicolo delle arti, del teatro, della musica, dello sport, attraverso queste discipline, possono dimostrare che sono bravi quanto gli altri. Ed è quello che penso sia nostro compito fare, amici insegnanti. Il nostro compito è trovare ciò che aiuterà i nostri giovani a superare la barriera che impedisce loro di brillare e aiutarli a intraprendere quel percorso verso il successo e a raggiungerlo.

Allora ecco un breve riassunto della mia storia. Sono stata candidata da un mio collega e penso che la parola per definire questo atto sia “gentilezza”. Dunque qualcuno mi ha candidato. E durante quel periodo di nomina, sono stata selezionata tra i finalisti. E posso onestamente dirvi che la persona più scioccata di essere stata la vincitrice sono io stessa.

Questi sono gli altri finalisti… Forse ne riconoscete molti.
Potete informarvi su di loro su YouTube. Sicuramente avete sentito parlare di molti di loro. Così ho pensato “OK, sarà un’esperienza divertente”. Andare a Dubai, con tutte le spese pagate. Incredibile. Ma è significativo pensare che ciò che i giudici hanno visto era qualcuno che, a scuola, stava cercando con tutte le sue forze di raggiungere i più vulnerabili della propria comunità.

E questo è il mio mondo da 19 anni. Questa era la mia classe. Questa è stata, penso che lo confermerebbe facilmente anche mio marito, la mia prima casa per molti anni della mia vita. In questa stanza c’era un posto sicuro. Ogni bambino in quella stanza avrebbe potuto sperimentare il fallimento o sentirsi frustrato. Invece ogni bambino ha avuto l’opportunità di essere celebrato, indipendentemente da quanto piccolo o grande fosse il suo risultato. Sono stati tutti celebrati. Il loro lavoro veniva esposto su questo muro. Siamo stati orgogliosi di ciò che hanno ottenuto. Ogni bambino in quella stanza ha avuto l’opportunità di alzarsi e parlare del proprio lavoro e di esprimere i propri sentimenti riguardo al lavoro degli altri. E l’addetto alle pulizie mi detestava, ne sono sicura, perché questa stanza era una catastrofe alla fine della giornata.

Ma per quanto mi riguardava, quella era un’ottima aula di apprendimento perché, quando lasciavo quell’aula e c’erano colori sul pavimento e carte ovunque, sapevo che quei giovani avevano vissuto un’esperienza completamente diversa da quella che avevano avuto in altre lezioni della loro giornata.

Quindi le nostre aule sono luoghi realmente potenti. Le nostre aule sono il luogo in cui i giovani possono entrare e sentirsi al sicuro, sentirsi connessi e avere l’opportunità di mostrarsi, dicendosi: ”Questo è quello che sono in realtà e questo è quello che voglio davvero essere”. Quindi vi prego, non sottovalutate ciò che accade nella vostra classe.

Mi dicevo che per molti di quei ragazzi nella nostra scuola, se avevano una sola lezione di arte alla settimana o una lezione ogni quindici giorni, quella lezione doveva essere buona. Doveva essere quella lezione speciale in cui per il resto della settimana si sentivano di aver bevuto il “super succo” che sarebbe durato per il resto della settimana.

Adesso vi parlerò delle persone che mi hanno reso “la migliore insegnante” o, per lo meno, una buona insegnante, e cioè i nostri studenti. Certamente le persone da cui si impara di più sono i colleghi a scuola, ma anche i ragazzi a cui insegni faranno di te un insegnante migliore. Voglio parlarvi di alcuni degli studenti a cui ho insegnato e vi garantisco che tutti voi riconoscerete questi ragazzi perché sono anche i vostri. Avete insegnato anche a loro.

Alvaro

Questo è Álvaro. Alvaro proveniva da una scuola per bisogni educativi speciali di Brent, ed è arrivato nella mia scuola due anni prima della fine della sua carriera scolastica, nel Regno Unito lo chiamiamo periodo di esame GCSE (General Certificate of Secondary Education). Quando ho incontrato Alvaro per la prima volta e i suoi genitori sono venuti a scuola, i genitori mi hanno detto, signora Zafirakou, so che nostro figlio non riuscirà a affrontare nessuna valutazione, ma vogliamo che arrivi a vivere una vita normale – odio la parola normale – vogliamo che frequenti una scuola normale. Sappiamo tutti che ogni scuola è normale e questo episodio mi ha davvero scioccata, sentire che un genitore pensasse che il proprio figlio non avrebbe potuto sostenere nessuna valutazione. A quel tempo ero un’insegnante molto giovane, ero al secondo anno della mia carriera, quindi ero giovane, stavo cambiando il mondo, avevo energia – ora molto meno – e nella mia classe stavano accadendo grandi cose. Quando è entrato Alvaro, tutto ciò che ho visto è stato questo magro, minuscolo e fragile essere umano che era stato certificato muto, era uno studente “non verbale”. Non poteva (o non voleva) parlare. Aveva molte altre etichette di bisogni speciali come ad esempio dei bisogni complessi, ma voleva venire in una scuola normale. Per le prime tre settimane ho fatto fatica perché Alvaro entrava e non faceva nulla. Si sedeva e si chiudeva nel suo cappuccio, come un bozzolo, così. Per due ore non si muoveva. Noi ci provavamo, cercavamo di farlo sentire il benvenuto… Proviamo questo… Ti faccio vedere… Ma… non ho ottenuto nulla. Un giorno ho assegnato ai miei studenti il compito di disegnare il loro oggetto preferito, quello con cui si divertono a giocare nel loro tempo libero. Di solito ricevo foto di palloni da calcio, mazze da cricket, joystick Nintendo. Ma, in questo particolare giorno, è successo qualcosa di straordinario. Mentre la lezione terminava, stavo parlando con due ragazze e con la coda dell’occhio ho potuto vedere Alvaro che si avvicinava. Come insegnanti, abbiamo una visione a 360 gradi, no? Nel nostro essere acrobati possiamo anche vedere a 360 gradi. E così ho potuto vedere Alvaro che passava di qui, si avvicinava e, nell’angolo della mia scrivania, ha messo un pezzo di carta ed è scappato. Ho esclamato: “Fermati!”. Il povero bambino si è bloccato, come congelato. Quello che mi aveva consegnato era un pezzo di carta. E su quel pezzo di carta c’era  un bellissimo disegno di una chitarra. Forse l’aveva copiato da Internet, ma aveva i toni giusti, un equilibrio straordinario, le proporzioni erano perfette. Da togliere il fiato. E come ogni bambino, quando è orgoglioso della sua opera d’arte, mette il suo nome nell’angolo in fondo al suo lavoro, l’ha firmato proprio come Picasso. Ho preso al volo quel pezzo di carta, sono andata da lui e ho chiesto: “Alvaro, hai fatto tu questo lavoro?”. Il poveretto era terrorizzato. “Álvaro, è tuo questo lavoro? Gli ho detto per favore, di’ sì (mentre annuivo con la testa) o no (mentre scuotevo la testa). L’hai fatto tu?”. E lui ha annuito. Tutto qui. Quello era il mio momento. Cosa potevo fare? Allora ho afferrato matite e colori dalla mia scrivania mentre cercavo di trattenere Alvaro per non farlo scappare. Praticamente gli ho dato una scatola piena di materiali e gli ho detto: “Voglio che mi disegni una mela, una pera…”, e ho elencato cinque cose. Puoi disegnarmele? Alvaro, puoi disegnarmele? SÌ (annuendo) o NO (scuotendo la testa). Dimmelo, ti prego”. Annuì, afferrò il foglio e se ne andò. Due anni dopo, Alvaro sostenne l’esame GCSE.

Il giorno dei risultati, lui e i suoi genitori entrarono nella stanza e fu un momento pieno di abbracci. Miss Zafirakou, esclamò la madre, “Mio figlio ha ottenuto un diploma GCSE! Ha preso la votazione D! Grazie. Grazie. Grazie!”. Alvaro era raggiante, ma poteva vedere che non ero felice. Il motivo per cui non ero felice era che gli mancavano due  punti per raggiungere il voto C. Se avesse preso il voto C, avrebbe potuto studiare a un livello più alto nella mia scuola. Ora, non so se conoscete questo aspetto di me, ma sono essere una persona molto persuasiva. Posso manipolare chiunque (scherzando), compreso il mio preside, che mi ha supportato molto, moltissimo. E ha lasciato che Alvaro facesse un corso di arte di livello A. Era un corso di due anni, e alla fine dei due anni riuscì a ottenere un voto A. E il disegno che vi ho mostrato quando ho detto “questo è Alvaro”, è un suo disegno. Quello che ho imparato da Alvaro è che non importa quali etichette o cosa la gente ti dice di un bambino, se ha bisogni speciali, se ha altre sfide complesse, se proviene dai quartieri più difficili, non importa. Dobbiamo mettere da parte i pregiudizi. Il nostro compito è cercare di scoprire il loro potenziale, ciò che li spinge davvero a dare il massimo. E quello che ho imparato personalmente da Alvaro e dalle parole di sua madre che diceva “mio figlio non ce la farà, non importa”, la cosa più importante che ho appreso è che dobbiamo tutti avere aspettative alte. Dobbiamo davvero, davvero provare a spingere e lavorare un po’ di più.

Reema

E poi abbiamo quei bellissimi bambini invisibili nelle nostre classi. Lei si chiama Reema. Reema è, ed era, perdonate questa strana parola, un fantasma. Reema era quella bambina perfetta che faceva assolutamente tutto quello che volevi facesse, non parlava mai durante la lezione, era educata, eseguiva assolutamente tutto. Il giorno dell’esame GCSE, questo è il lavoro che ha prodotto. È eccellente. È un lavoro di alta qualità.

Ma avevo un problema. E il problema era che lei avrebbe potuto fallire l’esame perché tutto il suo lavoro che portava a questo lavoro, che era vitale per la riuscita dell’esame, era completamente diverso. È stato quasi come se un impostore avesse creato quest’opera. Allora sono tornata a casa, ho dormito, o meglio ho provato a dormire, poi mi sono svegliata e ho pensato “No, c’è qualcosa che non va”. Ho parlato con il mio capo dipartimento e lui ha detto “Chiamiamola”. Così abbiamo chiamato Reema. E lei è arrivata, non lo dimenticherò mai, è entrata nella stanza ed era molto spaventata. “Miss Zafirakou, cosa c’è che non va? Sono nei guai?”. Ma cosa puoi dire a un bambino che ti preoccupa molto? La mia risposta è stata, ovviamente, “No. Questo lavoro è incredibile. Ma… Cosa ti sta succedendo?” Una domanda molto semplice, cosa ti sta succedendo? E poi ho scoperto ciò che alcuni di noi conoscono molto bene, i segni di autolesionismo, quando i bambini iniziano ad abbassarsi la maglietta, a chiudersi, a strofinarsi le maniche. Abbiamo scoperto che Reema si faceva del male. E il motivo per cui era autolesionista era perché tre settimane dopo aver finito gli esami, sarebbe andata in un altro Paese dove la sua famiglia le aveva combinato un matrimonio all’età di 16 anni. Quindi questa era la situazione di Reema. Per fortuna siamo riusciti a parlare con la famiglia, abbiamo coinvolto i servizi sociali  e hanno concordato che Reema rimanesse nel Regno Unito per completare gli studi. Reema voleva fare l’infermiera. Si è laureata circa sei anni fa come medico nel Regno Unito. E quindi quello che ho imparato da quest’opera d’arte e dai miei studenti è che a volte abbiamo bisogno di guardare più attentamente. Non si tratta solo di ascoltare quello che dicono, ma di vedere cosa ci stanno comunicando oltre le parole. Penso proprio che quell’incredibile lavoro fosse il suo modo di dire “aiutami, aiutami”. Sono felice che sia riuscita a crearlo e a raccontarci che cosa c’era dietro, che cosa l’angosciava.

Siamo custodi della loro infanzia, ce ne stiamo occupando?

La salute mentale è un problema enorme, che sono sicura tutti voi conoscete nelle vostre classi. Vi mostro solo alcuni dati. Nel 2017, i casi segnalati per problemi di salute mentale tra i minori di 19 anni erano uno su nove. Nel 2021, uno su sei. E nessuna sorpresa che nel 2022 siano uno su quattro. È come se dicessimo che un quarto delle persone in questa stanza avrà avuto o sarà identificato come affetto da problemi di salute mentale. E queste sono solo le persone registrate, quelle che hanno ricevuto sostegno, che hanno cercato aiuto. Loro sono le persone che si prenderanno cura di noi quando invecchieremo, sono i giovani che guideranno i nostri Paesi tra vent’anni. Cosa stiamo facendo per loro? Quali misure abbiamo nelle nostre aule, nelle nostre scuole per sostenere i giovani, se queste sono le cifre che emergono?

Penso che questa sia la citazione dell’anno per me: “Siamo i custodi della loro infanzia. Stiamo adempiendo a questo compito? [Barry Carpenter OBE] Questa è un’enorme, grandissima responsabilità. Ma stiamo adempiendo a questo compito? Lo stiamo facendo davvero? Stiamo insegnando ciò che dobbiamo insegnare o stiamo insegnando ciò che dovremmo insegnare? I nostri ragazzi stanno cambiando. L’istruzione sta cambiando. Stiamo cambiando anche noi?

L’UNESCO ha affermato che nel 2030 avremo bisogno di 69 milioni di insegnanti nel mondo per soddisfare le necessità educative dei nostri giovani. Sessantanove milioni. Ebbene, nel Regno Unito c’è un enorme problema per il reclutamento degli insegnanti. Nell’intervento precedente, Gianluca Argentin ha chiesto: Chi sono i giovani? Chi sono gli insegnanti del futuro? Li abbiamo nelle nostre aule? A volte, quando insegno e finisco una lezione, mi chiedo: ”Mi piacerebbe che qualcuno come me mi insegnasse se avessi 16 anni?”. Sono la persona giusta per insegnare loro a questa età? Sono io il modello di cui hanno bisogno? Comprendo le loro complessità? Sono una persona che possono sfidare e sono una persona che sa sfidarli? Sono la persona giusta per stare di fronte a loro in questo momento della loro vita, insegnando loro cosa dovrebbero fare e aiutandoli ad avanzare sulla loro strada? È una domanda enorme. E spero che la risposta sia effettivamente sì, perché noi siamo i guardiani del loro futuro.

Cosa ho imparato dai migliori insegnanti al mondo

Io ho avuto una vita grandiosa, fantastica. Ho avuto la fortuna di avere le opportunità offerte dal Global Teacher Prize. Ho incontrato molte persone, ho viaggiato, sono stata invitata a parlare, sono stata consultata da ministri dell’istruzione. Ho potuto dare voce alla professione degli insegnanti e ne sono molto onorata e grata. Ma ho anche avuto l’opportunità di incontrare altri eccellenti e acclamati insegnanti in tutto il mondo, e questo è ciò che ho imparato da loro.

Questo è ciò che ritengo renda “grande” un insegnante, nel momento attuale della nostra società.

Innanzitutto le relazioni. Le relazioni sono la chiave assoluta. Dobbiamo fare del nostro meglio per convincere gli studenti a venire nel nostro mondo e noi a entrare nel loro. Dobbiamo essere in grado, non di essere i loro migliori amici, ma di capire cosa piace a loro e di costruire relazioni. Costruiamo relazioni con gli adulti ogni singolo giorno. Dobbiamo iniziare a migliorare anche il modo in cui costruiamo le relazioni con i giovani. Quindi probabilmente dobbiamo provare a lavorare su questo.

In secondo luogo la gentilezza, che è rilevante soprattutto per il mio mondo. Nel mio mondo, ho molti bambini che vengono a scuola e potrebbero non aver fatto colazione. Se sono fortunati, hanno due adulti a casa. Molti dei bambini con cui lavoravo sono responsabili dei bisogni medici dei loro genitori, dei loro nonni, e si prendono cura di loro, sono essi stessi “caregivers”. Quindi hanno una responsabilità enorme. Anche se i loro genitori non sono adeguati, molti dei miei ragazzi vengono a scuola ogni singolo giorno. E per me è una celebrazione. A volte, quando quei bambini, che sai hanno vite molto difficili, ciononostante entrano a scuola, questo è un successo. E dobbiamo rispettarlo ed essere gentili con loro.

Il motivo per cui dico questo è perché ricordo la storia di un giovane insegnante della mia scuola. Quando John entrò tardi nella sua classe, pur sapendo che John proveniva da un ambiente molto difficile, vedeva ogni giorno violenze domestiche contro sua madre, probabilmente elemosinava il cibo, ebbene, quando entrò nella classe, il suo insegnante disse: “No, sei in ritardo, stai fuori”. Senza rendersi conto che per John entrare a scuola alle 9.30 del mattino era un miracolo. Quindi ricordate la gentilezza. A volte non sappiamo come sono le loro vite a casa. Non conosciamo le loro circostanze. Quindi, prima di giudicare, prima di attaccare, siate gentili.

Inoltre la riflessività. Ricordarci di guardare sempre al nostro insegnamento e assicurarci di metterci costantemente in discussione. Era abbastanza buono? Possiamo imparare dalle altre persone? Come avrei potuto farlo meglio? Chiedete ai vostri studenti. Ragazzi, è stata una bella lezione? Quale parte non avete capito? Quale parte vi è davvero piaciuta?

Poi la preparazione. Questa è così importante. Essere pronti. Si accorgeranno se non ti sei preparato. Si renderanno conto se stai fingendo. Devi essere pronto. Devi mostrarglielo. ”Eccomi, sono pronto per insegnarti. Mi sono preparato. Ora tu devi essere pronto per imparare”.

E mi dispiace molto per quest’altra parola. Questa mi fa male nel profondo del cuore. È la parola resilienza. Dobbiamo essere resilienti perché non stiamo affrontando solo le sfide delle classi multiculturali, aule dove ci sono bisogni complessi, aule dove ci sono alti livelli di deprivazione, ma abbiamo a che fare anche con i genitori e i guai che i genitori portano nelle nostre classi. Quindi dobbiamo essere resilienti e anche gentili con noi stessi. Ma ricordando che alcuni dei genitori dei nostri alunni soffrono essi stessi di alti livelli di ansia e salute mentale.

E infine, grandi aspettative, aspettative elevate. Semplicemente perché, come con Alvaro, se non fossi stata convinta che avrebbe potuto raggiungere il traguardo non avrei spinto e non l’avrei incalzato. “Andiamo, Álvaro. Voglio di più. Voglio di meglio”. Non avrebbe avuto la sua finestra sul mondo, ovvero i suoi certificati, il voto A e il voto D. Quindi avere grandi aspettative. E questo è davvero difficile perché si tratta di sfidare noi stessi. Ma sfidando anche i nostri giovani. Spingendo davvero per ottenere il massimo da loro. Come lo facciamo? Lo facciamo lasciandoci ispirare e scoprendo cosa ci motiva. Adoro questa parola. Significa respirare per prendere ossigeno. Quindi, quando state vivendo dei giorni bui, colleghi, quando state vivendo dei giorni tristi, scoprite che cosa vi ispira. Che si tratti di un brano musicale, di cucinare, di stare sull’erba verde nella natura. Ma assicuratevi di sapere che cosa vi ispira in modo da poter ricaricare le energie.

.

Sampada

Ho un’ultima storia. Avevo una studentessa di nome Sampada e lei ha fatto questo lavoro per me.

Sampada è arrivata dal Nepal quando aveva 12 anni. Ora, il mio problema con lei era che ogni volta che faceva qualche lavoro per me, era il disegno più piccolo. Minuscolo. Le davo un grande pezzo di carta bianca, eppure il suo disegno era il più piccolo, piccolissimo. Io le dicevo: Sampada, per favore, disegna in grande. Riempi lo spazio. Utilizza l’intero foglio. E lei si limitava a ridacchiare. “Ok, Miss Zafirakou”. E ancora disegnava minuscolo, minuscolo, minuscolo.

Questa è stata la sua opera d’arte del GCSE. È entrata nella stanza con un pezzo di carta grande un metro per un metro sono rimasta traumatizzata! Ho dovuto spostare tutto solo per farle spazio per la sua opera. Aveva creato questa fantastica opera. Ed ero così orgogliosa perché l’ultimo giorno del suo esame, l’ultimo giorno della sua carriera artistica, ha prodotto. Ha semplicemente corso un rischio enorme e ha disegnato e dipinto questa straordinaria opera d’arte. Ma poi, cinque o sei anni dopo, mi ha chiamato. “Miss, Miss, indovini un po’? Parteciperò a uno show televisivo nel Regno Unito chiamato The Great Pottery Throwdown, ora sono una ceramista”. E ha partecipato a un concorso televisivo ed è arrivata nona, ma questo è il punto. Ecco perché insegniamo, per quei momenti in cui ti chiamano e dicono: “Miss, indovina un po’? Questo è quello che sono adesso. Miss, indovina un po’? Questo è quello che ho fatto adesso”.

Questo, colleghi, è il motivo per cui insegniamo. E quindi, in questo mondo così complesso, vorrei lasciarvi con quest’ultima citazione: “Quando soffia il vento del cambiamento, alcune persone costruiscono muri, ma altri, gli insegnanti, costruiscono mulini a vento”. Adoro questo detto. Penso che sia davvero potente e che descriva chiaramente chi siamo e cosa facciamo per i nostri giovani nelle nostre aule giorno dopo giorno dopo giorno. Grazie per quello che fate.

Grazie.

IL VIDEO DELLA RELAZIONE

Precedente Successiva

You cannot copy content of this page