Competenza Globale in Azione

Verónica Boix Mansilla

INTRODUZIONE

Ringrazio Mimma per questo straordinario invito. Vedere questa sala piena il sabato mattina è un ottimo augurio, significa che in tanti crediamo ancora nell’educazione e ce ne prendiamo cura. E’ una cosa che apprezzo moltissimo, come moltissimo ho apprezzato  l’organizzazione e il susseguirsi degli interventi di questo seminario, che ci hanno davvero aperto a una visione del mondo.

La mia relazione affronterà la competenza globale in azione, ossia il modo di ripensare il nostro agire educativo tenendo conto del mondo.

Il filo conduttore del mio discorso sarà rappresentato da due domande:

  1. Come possiamo decidere qual è lo scopo dell’educazione in un mondo interdipendente?
  2. Come può configurarsi, concretamente, un’educazione finalizzata alla piena realizzazione umana?

Ciò che vi illustrerò è il frutto del mio lungo lavoro al Project Zero della Harvard Graduate School of Education. Una lunga esplorazione di come ripensare le discipline nelle scuole in modo che diventino lenti attraverso cui guardare il mondo. Come combinare le discipline in modo da poter affrontare le questioni importanti del nostro tempo? Come immaginare lo sviluppo di una mentalità globale, di una competenza globale, in modo da instillare abitudini mentali e competenze adeguate nei nostri ragazzi? Quali tipi di scuole ci permettono di farlo? E più recentemente come affrontare la questione dell’immigrazione e dell’integrazione di  tanti bambini stranieri? Negli Stati Uniti un bambino su quattro ha un genitore che proviene da un altro Paese. Viviamo quindi in un mondo molto mobile, complesso, veloce e frammentato.

Per tentare di dare alcune risposte procederò lungo tre direttrici:

  1. Le narrazioni in cui viviamo e come queste possano modellare gli scopi dell’educazione.
  2. La competenza globale in azione, che cos’è e come si manifesta.
  3. Il tipo di apprendimento che cerchiamo – l’apprendimento trasformativoche esporrò attraverso un esempio pratico.

NARRAZIONI

Ogni generazione ha la sfida e l’opportunità di preparare al futuro la generazione successiva. Un futuro che, nel nostro caso, è profondamente incerto.

Le decisioni che prendiamo sono, consapevolmente o inconsapevolmente, fondate sulle storie dei nostri figli, su ciò che sono e fanno e sui tipi di società in cui viviamo, da cui proveniamo e verso cui andiamo. in un certo senso sono le pratiche della vita quotidiana, sia che si tratti di una madre in Guatemala che insegna a sua figlia a ricamare l’ huipil, sia che si tratti di un’insegnante in una scuola degli Stati Uniti che spiega le funzioni logaritmiche. Ogni pratica porta con sé una forma di narrazione del mondo in cui viviamo e contribuisce a tessere una trama.

Narrazioni sul bambino

Dalla caduta del Muro di Berlino, la narrazione sul futuro bambino che apprende, è diventata, per un certo periodo, la narrazione del “bambino futuro lavoratore”. Pensavamo che il modo giusto fosse quello di formare i bambini per il lavoro, di svilupparne le competenze, di prepararli all’inserimento in un mercato del lavoro in continua evoluzione, attraverso  la certificazione e la corrispondenza fra formazione e domanda del lavoro. Questa era l’idea del bambino che volevamo, questo era ciò che ci auguravamo fosse l’educazione di questo bambino. E le narrazioni sulla società in quel periodo erano particolarmente incentrate sulla crescita infinita.

Si trattava di un’ideologia di mercato, un’idea secondo cui, in molte parti del mondo, soprattutto nel Nord e nell’Ovest del pianeta, dovevamo preparare i bambini a competere.

Eppure, ci sono altre idee sul bambino che sono intrise di speranza e che stanno positivamente emergendo, più o meno nell’ultimo decennio.

Hanno a che fare con il bambino nella sua integralità, con il suo intero potenziale umano. Tutte le relazioni che abbiamo sentito in questo seminario parlano di un bambino che non è solo “intelletto”, che non è  solo apprendimento scolastico.

È un bambino che è protagonista attivo, che è un insieme di emozioni e cognizioni. Come dice Hannah Arendt, è un bambino che ha bisogno di una condizione umana, di essere laborioso, di nutrirsi, di avere una vita significativa, relazioni sociali, obblighi reciproci. E’ tutto ciò che ci rende davvero umani e di cui tutti abbiamo  bisogno.

Narrazioni sulla società

Ora, queste idee sul bambino sono anche inscritte in una storia del mondo in cui viviamo.

Forse è la storia di una continua ricerca di democrazie più sostenibili, di modi più sostenibili di governarci.
Forse è la storia della nostra specie che vive in un pianeta fragile e complesso.
Forse è la storia della nostra comune esperienza di migrazione umana, una storia che inizia da qualche parte in Africa, da dove tutti proveniamo.
O forse è la storia di questo periodo senza precedenti in cui uomini e macchine interagiscono in modi assolutamente nuovi,  in cui la tecnologia ci ha indotto a ripensare chi siamo, più o meno dall’inizio dei tempi.

E quello che ho scoperto lavorando con i bambini e con gli insegnanti nelle scuole è che di queste storie unificanti abbiamo bisogno oggi più che mai. Questo non significa cancellare le differenze, ma significa dar valore alla storia del nostro viaggio di migranti, del viaggio di una specie che cerca di sopravvivere nel nostro pianeta e di assicurare che lo stesso pianeta sopravviva anzichè essere distrutto.

Quindi il primo invito è quello di parlare con i bambini del mondo in cui viviamo, della storia a cui apparteniamo e a quali storie stiamo contribuendo.

COMPETENZA GLOBALE IN AZIONE

In questo contesto, molte delle narrazioni che abbiamo appena condiviso, hanno a che fare con storie globali che riguardano l’intera umanità. Per tale motivo abbiamo bisogno di una mentalità e di una prospettiva che ci permettano di guardare a noi stessi nel quadro più ampio del mondo di oggi e di domani, in quel quadro in cui si pongono alcune delle grandi complessità del nostro tempo, quali le pandemie, la crescita demografica e le migrazioni. Non vi è dubbio quindi che i ragazzi debbano essere in grado di sviluppare e appropriarsi di ciò che abbiamo chiamato competenza globale.

Si tratta di un modello, sviluppato con l’OCSE, riconducibile a quattro aspetti importanti:

  1. Imparare a esaminare il mondo, a indagare questioni locali, globali e interculturali, a cercare dati e a porre domande.
  2. Comprendere e apprezzare la prospettiva e la visione del mondo degli altri.
  3. Impegnarsi in interazioni appropriate ed efficaci tra culture diverse, in un dialogo aperto e rispettoso, in quel dialogo che è crollato negli ultimi anni, lasciando il posto a forti polarizzazioni.
  4. Agire per il benessere collettivo e lo sviluppo sostenibile. Ed è proprio la possibilità di agire  in questo mondo complesso, di trovare ambiti di influenza, piccoli, medi o grandi, che sembra dare ai giovani il maggior slancio, la maggiore autonomia e responsabilizzazione.

Alcuni esempi

Il primo esempio ce lo fornisce Emily, insegnante di biologia, che si occupa della mappatura delle pandemie fin dai tempi di Ebola e Zika.

 Per coinvolgere i suoi studenti è solita prendere un grande foglio di carta e scrivervi al centro il nome di una pandemia. Davanti a quel grande foglio, gli studenti cominciano a porre domande: “Cosa sappiamo e cosa vogliamo sapere? Come si trasmettono e come funzionano i virus, e questo virus? Ecc..” Queste sono le domande ontologiche, poi si arriva alla questione epistemologica: “Chi può aiutarci a rispondere?” A quel punto raccolgono informazioni e creano  mappe che alla fine diventano lezioni per gli altri.

È stato davvero molto interessante vedere gli studenti di Emily al tempo del Covid-19, perché erano preparati a porre le domande giuste sulle pandemie globali e sulle potenziali soluzioni.

Il secondo esempio riguarda la crescita della popolazione e la capacità di carico del nostro pianeta. Stephen, insegnante di matematica, ha appreso dalla radio che il pianeta ha ancora  capacità di sostentamento per noi, ma che oltre una certa popolazione, non ci reggerà più.

A scuola pone il problema ai suoi studenti: “Ok, ecco i dati, ecco le funzioni, cosa avverrà? Come crescerà la nostra popolazione? E quando raggiungeremo la massima capacità di carico del nostro pianeta?” Una domanda davvero interessante e di grande impatto. Gli studenti si sentono profondamente coinvolti e si spingono fino alla ricerca dei fattori di controllo ed educazione della popolazione in diverse parti del mondo.

Il terzo esempio potrei definirlo “Dall’amore all’azione”. In questo caso  si tratta di bambini molto piccoli, dai tre ai cinque anni, per i quali la natura non sarà più quella che è stata per noi. Per noi era uno spazio di salute, di gioia, di gioco. Per questa nuova generazione, la natura potrebbe essere quella che ha distrutto la casa della nonna, o tempeste furiose. Quindi, la nostra sfida è stata quella di portare i bambini a innamorarsi della natura, a capire il valore dell’albero dall’altra parte della strada, a guardarlo, osservarlo, sviluppare un rapporto con questo albero, per passare poi dall’amore all’azione per salvare questo pianeta.

Il quarto esempio riguarda la migrazione umana.       Abbiamo invitato i bambini della città di Portland, una città con una popolazione etnicamente molto diversificata, a completare le storie che mancavano nelle biblioteche. In sostanza, i bambini hanno scritto le proprie narrazioni, con un profondo coinvolgimento emotivo, e le hanno condivise con gli altri.

 

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L’APPRENDIMENTO TRASFORMATIVO

In quest’ultima parte affronteremo il tipo di apprendimento che cerchiamo, e che abbiamo individuato nell’apprendimento trasformativo[1] per la piena realizzazione umana.

The lost boys of Sudan

Mi spiegherò attraverso la storia di Amal (nome di fantasia ndr). Sua madre è una rifugiata sudanese. Suo zio, Mayuk, è uno dei ragazzi perduti del Sudan, una storia molto tragica di 20.000 ragazzi rapiti durante la guerra. Amal viene a conoscenza della connessione d ella sua famiglia con questa storia avvenuta nel Paese d’origine di sua madre e decide di intervistare sua madre e narrare tutta la vicenda.

E, come lei, ogni bambino della sua classe intervista qualcuno per scrivere le storie non raccontate delle persone della loro città, Portland, nel Maine. Abbiamo incontrato Amal che ci ha spiegato che suo zio Mayuk non è mai fuggito con sua madre e ci ha detto: “ Ho sentito mia madre dire: Kakuma. Non sapevo cosa fosse, mi sono documentata e ho scoperto che Kakuma era un campo profughi. Penso che sia difficile venire in America e vedere tutto questo dal punto di vista di una mamma, e mi viene da piangere

Così lei unisce il punto di vista di sua madre alla sua storia. E poi continua: “Penso che la storia del Sudan sia una cosa fantastica da scrivere. Alcune persone pensano che i Lost Boys siano un gruppo di ragazzi che si sono persi.

Ma non si sono persi, sono stati catturati. Alcuni badavano al bestiame”,  a questo punto dice: “Sono stato catturato mentre badavo al bestiame.

Mi hanno portato in un campo profughi e ho dovuto nascondere molte cose.” E poi spiega che i ragazzi dovevano nascondere le cose perché potevano essere uccisi solo perché avevano una foto della famiglia. E aggiunge : “ Io l’ho incluso nella mia storia”.

Quindi Amal, in quinta elementare, ha scritto una storia multiprospettica: la storia dal punto di vista di sua madre, che chiama Mary, da quello di suo zio Mayuk, e da quello di Maria lei stessa.

Un anno dopo ha raccontato ciò che ha imparato scrivendo quella storia. Ecco le sue parole quando l’abbiamo intervistata:

  • “Me lo ricordo! Era un giorno in cui Miss Belton e Ms. Smith hanno parlato di prospettiva e hanno letto un libro, e mi sono chiesta: “Cosa sono queste prospettive? Non conosco questa parola”. E allora ho pensato: “E se inserissi questo nella mia storia e avessi le diverse prospettive delle persone?” Potevano capire di chi era il punto di vista perché l’avevo scritto in grassetto, punto di vista di Maria, punto di vista di John, punto di vista di Mary… la mia voce…Ricordo quel giorno. E poi la signorina Belton ha detto che sarebbe stata una buona idea se l’avessi fatto. Mi ricordo. E anche la signorina Smith ha detto che sarebbe stata una buona idea. Me lo ricordo!”
  • E pensi che sia venuto bene a farlo in quel modo? Ci sono cose difficili da fare?
  • Sì, ce ne sono. Ci sono molte cose difficili. Se fai diversi tipi di prospettive, devono avere una tempistica. Nella mia storia all’inizio, avevo una linea temporale quando, ad esempio, dopo la partenza di Majok, Mary parlava e parlava ancora 30 giorni dopo. Volevo che fosse come dire: ecco l’intera prospettiva, questa è l’intera storia. E volevo far funzionare le cose. Nella classe di lingua e letteratura, ora sono la più brava a fare il lavoro di prospettiva. Tutto questo è iniziato in quinta primaria e vorrei ringraziare le insegnanti per questo. Vorrei ringraziare Ms Belton e Ms Smith per avermelo insegnato. Nella vita, sai, il lavoro di prospettiva è davvero importante, perché si scopre come ci si sente a essere nei panni di quella persona. Per esempio, se un bullo prende di mira qualcuno, non sai come si sentono, non sai che cosa stanno passando, non sai nulla di loro, ma vedi che se la prendono con gli altri e questo li stressa. Quindi, se si scrive di quella persona, sai come si sente. Puoi immaginare come si sentono. Da questi testi ho capito che la persona si sente triste e che sta attraversando un periodo difficile e non lo sa. Questo è importante per quanto riguarda le prospettive, bisogna sapere come si sente la persona, come si comporta, bisogna guardare attraverso gli occhi di quella persona. Avete sentito la canzone di Katy Perry? Un ruggito. Aveva l’occhio della tigre. In quella parte è come se avesse la prospettiva di una tigre. Puoi vedere coi tuoi occhi e vederlo da una prospettiva. Puoi comportarti come quella persona per un giorno intero e vedrai la sua prospettiva. Nel suo video musicale dice “Ho l’occhio della tigre, il fuoco, la danza attraverso il fuoco”. Ha la prospettiva della tigre e lo si capisce da quello che dice. E lei dice: “Mi sentirete ruggire”

Disposizioni

Amal ci ha mostrato l’interazione tra cognizione, emozione e identità. Per noi del Progetto Zero questo rappresenta ciò che chiamiamo la disposizione all’assunzione di una prospettiva.

Ora cosa sono e come si coltivano le disposizioni?

Storicamente, quando pensavamo alle disposizioni, le immaginavamo solo come disposizioni di pensiero, ma ci sono anche le disposizioni socio-emotive.

Le disposizioni sono pertanto modelli e abitudini di pensiero e di coinvolgimento socio-affettivo che  comprendono tre componenti distinte:

  1. capacità, la capacità di base di mettere in atto un comportamento;
  2. sensibilità, la probabilità di riconoscere le situazioni in cui mettere in atto il comportamento;
  3. inclinazione; la motivazione o la spinta a mettere in atto il comportamento nel corso del tempo, a “diventare una persona che…”.

Attualmente sto lavorando sulle disposizioni socio-emotive, perché credo che l’idea delle disposizioni,  di queste abitudini mentali, costituite da una particolare capacità, da una particolare sensibilità alle occasioni in cui questa capacità dovrà essere messa in pratica e da un’inclinazione, motivazione a farlo nel tempo, sia al centro della possibilità di trasformare l’educazione nei modi che forse stiamo cercando.

Come abbiamo visto, l’insegnante di Amal aveva deciso che l’assunzione della prospettiva era al centro del suo insegnamento. Così, non appena  arrivava in classe, le prospettive entravano in tutto ciò che faceva. In quell’anno, un gruppo di 20 bambini si abituò a vedere prospettive ovunque.

Ora possiamo farlo con la prospettiva, possiamo farlo con l’azione, possiamo farlo con l’evidenza, ma sappiamo di poterlo fare, di poter dare, cioè,  risposta alle due domande che ho posto all’inizio:

  1. Come possiamo decidere qual è lo scopo dell’educazione in un mondo interdipendente?
  2. Come può configurarsi, concretamente, un’educazione finalizzata alla piena realizzazione umana?

E’ complesso, certo, ma possiamo farlo!

Grazie

***

[1] L’idea di fondo dell’apprendimento trasformativo, che ha preso avvio da Jack Mezirow (1923-2014), è che la pratica educativa può promuovere una trasformazione delle prospettive personali attraverso un processo di riflessione critica che mette in discussione assunti e credenze personali, in un’ottica più ampia di trasformazione sociale.

IL VIDEO DELLA RELAZIONE

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