PRESENTAZIONE
Perché Save the Children sente il bisogno, da dieci anni, di condurre una ricerca come quella dell’Atlante dell’infanzia? Cosa spinge un’Organizzazione, il cui impegno si caratterizza per l’operatività sul campo e la concretezza dei suoi interventi, a dedicarsi all’analisi dettagliata di dati e indagini statistiche? Lo scopo è disporre di una fotografia (inevitabilmente provvisoria e non completa) delle condizioni di vita del patrimonio più grande del nostro Paese: i giovani e giovanissimi che lo popolano.
Edizione dopo edizione, l’Atlante, attraverso un’ampia raccolta di storie, dati e informazioni, ha perseguito l’obiettivo di mettere a fuoco bisogni e risorse dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, tentando di inquadrare alcuni nodi critici e le situazioni di maggior rischio sulle quali è più urgente intervenire.
Nel corso degli anni, l’Atlante si è spinto ad indagare, oltre alle situazioni specifiche concernenti il panorama giovanile italiano, anche le situazioni di contesto che influenzano, talora pesantemente, la vita dei nostri più giovani concittadini: la crisi economica, il futuro, la povertà, i luoghi e gli spazi di vita, la scuola, la tutela dell’ambiente… Dall’analisi sono emerse diseguaglianze, squilibri e divari, ma anche risorse, opportunità, buone prassi.
Giunto ormai alla sua decima edizione, l’Atlante 2019, dedicato al “tempo dei bambini” ci fornisce una proiezione di alcuni dei principali cambiamenti che hanno attraversato l’Italia nell’ultimo decennio: la crisi economica, la denatalità, i problemi ambientali, la rivoluzione tecnologica, per citarne alcuni, e analizza il loro impatto sulla vita quotidiana di bambini e bambine, ragazzi e ragazze.
La ricerca sull’infanzia: i dati e le persone
Il metodo di lavoro adottato con l’Atlante consiste principalmente in due approcci, diversi ma convergenti. Una parte dell’indagine viene effettuata “dall’alto”, tramite la ricerca, la raccolta, l’analisi e la mappatura di dati statistici concernenti specificamente la condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia o (più raramente) dati di contesto che chiariscono alcuni aspetti del panorama nel quale bambini e ragazzi crescono e vivono. La selezione dei dati e delle fonti è un aspetto fondamentale del lavoro di ricerca, necessario a gestire l’eterogeneità – e talora la contraddittorietà – delle informazioni disponibili. La ricerca dei dati statistici viene condotta consultando una vasta gamma di fonti autorevoli e accreditate, sia a livello nazionale che internazionale: in particolare l’Istat, ma anche l’Eurostat, vari Ministeri italiani, l’OCSE, l’ONU, il CNR, enti o istituti di ricerca, associazioni, e molti altri.
I dati selezionati vengono rielaborati e trasformati in mappe, grafici e infografiche che ne agevolano la lettura e la fruizione. La georeferenziazione dà infatti modo di andare oltre il dato medio nazionale e di cogliere nell’immediato le differenze territoriali, consentendo così di individuare a colpo d’occhio i margini di criticità e di opportunità esistenti sul territorio nazionale.
A questo tipo di ricerca è sempre stata affiancata un’analisi “dal basso”, condotta sui territori e consistente in sopralluoghi sul campo, interviste con esperti, colloqui e confronti con chi le situazioni descritte dai dati statistici le vive in prima persona: bambini, bambine e adolescenti, ma anche genitori, docenti, dirigenti scolastici, operatori sociali, educatori, amministratori locali e tutti coloro, in generale, che mettono le loro competenze ed esperienze al servizio dell’infanzia. Questo consente all’Atlante di realizzare affondi specifici su determinate situazioni, acquisendo una migliore e più diretta comprensione delle tematiche affrontate.
Se la situazione descritta dall’Atlante anno dopo anno è la medesima, il panorama dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, il taglio narrativo è sempre differente, così da poter approfondire sfaccettature e aspetti ogni volta diversi; se nel 2017, ad esempio, il focus era quello sulla scuola e nel 2018 quello sulle periferie (intese non solo in senso geografico, ma anche sociale ed educativo), nel 2019 la narrazione si è concentrata sul “tempo” dei bambini/e e dei ragazzi/e; tempo inteso in senso cronologico, con l’analisi dei cambiamenti intervenuti in particolare nel corso degli ultimi 10 anni; e tempo in senso atmosferico, nell’era dei cambiamenti climatici e delle sempre maggiori richieste di tutela dell’ambiente, temi che come abbiamo visto stanno coinvolgendo e appassionando centinaia di migliaia di giovani in Italia e nel mondo.
Il tempo dei bambini: bambini nel tempo nuovo
Il “tempo nuovo” evocato nella prima parte dell’Atlante dell’infanzia 2019 è quello della massiccia mobilitazione giovanile in favore della protezione dell’ambiente, della lotta ai cambiamenti climatici e alle diseguaglianze e della richiesta di adottare stili di vita più sostenibili così da preservare le risorse naturali del nostro pianeta non solo per le generazioni presenti, ma anche per quelle future. Ispirati e trascinati dall’esempio di Greta Thumberg, la sedicenne svedese che per prima ha chiesto ai policy maker mondiali, con determinazione e fermezza, una decisa svolta in tal senso, centinaia di migliaia di giovani in tutto il mondo, Italia compresa, hanno popolato le piazze con manifestazioni e cortei. Il movimento Fridays for Future ci ha mostrato una gioventù impegnata, assetata di sapere, che vuole comprendere i fatti sulla base delle evidenze scientifiche, informandosi, approfondendo, studiando. Le insistenti richieste dei giovani hanno avuto il merito di riaprire e rafforzare, a livello nazionale ed internazionale, il dibattito sul tempo in cui viviamo.
Un tempo in cui il cambiamento climatico incide già sulla vita di molti, visto che le stime ci parlano, nel periodo 2009-2017, di quasi 200 milioni sfollati interni nel mondo per soli disastri naturali. Un problema destinato a crescere nel futuro, secondo gli esperti dell’IDMC, visto che “le minacce legate alle condizioni metereologiche riguardano ormai l’87% di tutti gli spostamenti per disastri”.
D’altro canto, che il riscaldamento globale non sia una mera percezione ma una concreta realtà, anche in Italia, ce lo dicono le misurazioni disponibili: 7 degli ultimi 10 anni (2009-2018) sono stati tra i più caldi mai registrati da quando si hanno ragionevoli misure globali. Uno degli esperti intervistati, il dott. Brunetti, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, ha fornito i dati relativi allo scostamento dalle temperature medie annuali di quando lui era bambino rispetto a quelli delle proprie figlie di 9 e 5 anni; si può così avere contezza di quanto il clima sia cambiato nel corso di una sola generazione. Alcune città, in Europa ed in Italia, stanno realizzando piani di adattamento ai cambiamenti climatici, tema di grande importanza anche per bambini e ragazzi, visto che più di 8 minorenni su 10, nel nostro Paese, vivono in Comuni con più di 5 mila abitanti e il 37% si concentra nelle 14 città metropolitane, in territori che spesso, come ci raccontano i dati, non sono a misura di bambino. Città sempre più inquinate (a dicembre 2018, 19 città avevano superato il limite giornaliero di PM10 per più giorni nell’anno, e superamenti significativi in 5 delle 14 città metropolitane), in cui il verde pubblico è talora sotto la media; in cui la mobilità alternativa e sostenibile paga il prezzo allo sviluppo ridotto di metropolitane e tram, all’invecchiamento delle reti ferroviarie suburbane; in cui l’utilizzo dell’automobile sulle strade è in crescita, tanto da portare l’Italia in cima alla classifica europea, con 616 vetture per 1000 abitanti.
Gli effetti del cambiamento climatico si rilevano anche dal susseguirsi di una serie di eventi climatici estremi (Legambiente ne ha censiti 446 in 263 Comuni su tutto il territorio nazionale tra il 2010 e il 2018), quali allagamenti, trombe d’aria, esondazioni fluviali, frane e danni al patrimonio dovuti alle piogge intense. Qual è il grado di esposizione all’intensificarsi degli eventi estremi di un Paese caratterizzato da un territorio geologicamente fragile, esposto al rischio di alluvioni e terremoti, e densamente antropizzato e cementificato come il nostro? Ebbene, se consideriamo solo gli edifici scolastici, nelle cui aule bambini e ragazzi trascorrono gran parte del loro tempo, su un totale di poco più di 40 mila edifici censiti dall’anagrafe dell’edilizia scolastica, 7 mila sono considerati “vetusti”; oltre 15 mila sono privi di collaudo statico, oltre 21 mila del certificato di agibilità.
Crescere in un tempo segnato da perturbazioni atmosferiche e sociali non è facile e significa scommettere sul cambiamento e sulla ricerca di nuove vie, dai massimi sistemi produttivi ai comportamenti di tutti i giorni. La sfida non è semplice, e potrà essere vinta solo investendo nella società della conoscenza, nella lotta senza quartiere alle povertà educative, nella promozione di un’istruzione al passo coi tempi.
Perché in un contesto di trasformazioni globali il cambiamento deve partire dai banchi di scuola: come ricorda il World Watch Institute nel rapporto State of the World 2017, “Ripensare l’istruzione in un mondo che cambia”, “Avremo bisogno di ridisegnare l’educazione insegnando agli alunni a diventare campioni di sostenibilità: persone disposte ad uscire coraggiosamente dalle situazioni attuali e ad impegnarsi a guidare il cambiamento sociale, politico, economico e culturale, affinché le società umane possano vivere in maniera sostenibile sul pianeta. Altrettanto importante, l’educazione dovrà rendere gli studenti più resilienti ai cambiamenti del loro futuro, offrendo loro una molteplicità di competenze per la vita e la cooperazione”.
Ovviamente, la scuola non può affrontare questo compito da sola; ma alleandosi con la società civile, collaborando a costruire una comunità educante, può giocare un ruolo essenziale nel fornire capacità, strumenti, percorsi per preparare i giovani ad un avvenire incerto. Come afferma Luca, giovane promotore di Fridays for Future a Torino: “I cambiamenti climatici colpiranno prima le popolazioni più povere […]. Quindi il riscaldamento globale apre un grande problema di giustizia climatica e sociale, due aspetti che sarà fondamentale tenere insieme se vogliamo costruire un futuro di pace”.
Il tempo dei bambini: bambini nel tempo perduto
Il “tempo perduto” dei bambini nell’ultimo decennio richiama gli eventi che l’hanno caratterizzato: a partire da una crisi economica durissima, per intensità e durata, che ha visto scivolare nell’ombra grigia della povertà moltissime famiglie. Una crisi che ha colpito soprattutto i più giovani e che ha avuto un fortissimo impatto sulla vita di molti di loro, creando intollerabili divari ed aumentando le diseguaglianze. In un Paese segnato da profondi squilibri in termini di servizi e di spesa per l’infanzia tra le diverse Regioni, Province e Comuni, la politica sociale, e quella per l’infanzia in particolare, pare un’eterna incompiuta. La parziale applicazione della riforma federalista, la mancata approvazione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), in un quadro segnato da crisi economica, vincoli del debito e riduzione dei trasferimenti agli enti locali, ha avuto l’esito di alimentare gli squilibri esistenti a livello di servizi e prestazioni per l’infanzia, condannando proprio i bambini e le famiglie in maggiore difficoltà a fare fronte quasi da sole agli effetti della crisi. E niente è più paradigmatico, sul fronte della tutela dell’infanzia, del “tempo perso” dell’inazione politica neo confronti delle povertà minorili.
Se nel 2008 era relativamente povero circa un bambino o ragazzo su 8 (il 12,5% del totale, pari a circa 1 milione 268 mila), 10 anni dopo, nel 2018, questa condizione concerne oltre 1 bambino o ragazzo su 5, il 22% del totale, quasi 2,2 milioni. Se si guarda alla povertà assoluta, quella più dura, che priva chi ne è afflitto anche del minimo indispensabile per condurre una vita dignitosa, questa nel corso del decennio è cresciuta di tre volte tra i bambini e ragazzi: se a esserne colpito nel 2008 era circa 1 su 25 (il 3,7%), nel 2018 la stima dell’Istat è balzata a 1 su 8, il 12,5% dell’intera popolazione minorile, per un totale di oltre 1,2 milioni di bambini e ragazzi. L’impennata della povertà si ha in particolare tra il 2011 e il 2014, quando il tasso passa dal 5% al 10%; come si rileva dai dati, nel giro di pochi anni la povertà minorile diviene una questione grave e urgente per moltissimi giovani. Come ha ricordato Chiara Saraceno, a capo delle Commissioni di indagine sulla povertà e l’emarginazione, “Malgrado la pubblicazione di rapporti sempre più puntuali, la povertà minorile è rimasta tenacemente fuori dall’agenda politica. Ci siamo limitati nel tempo a qualche intervento tampone (assegno per il terzo figlio, bonus bebè, assegni al nucleo familiare, detrazioni fiscali per figli a carico che escludono gli incapienti e quindi i più poveri, eccetera), iniziative sporadiche e selettive che non fanno mai sistema”.
Nel frattempo, va mutando anche il panorama demografico italiano: il Governatore della Banca d’Italia Visco osserva: “L’Italia invecchia rapidamente e la popolazione tende a ridursi; sono caratteristiche comuni a molti Paesi dell’Unione, più marcate da noi”. Il punto non è, ovviamente, la lunga sopravvivenza delle coorti più anziane della popolazione, fatto di per sé positivo, ma la rarefazione di quelle più giovani, tanto che il demografo Alessandro Rosina descrive il fenomeno come “degiovanimento” della popolazione residente. Dati alla mano, nel decennio registriamo infatti la diminuzione di bambini e ragazzi: calo che si registra sia nel valore assoluto (i minorenni sono passati dagli oltre 10 milioni del 2008 ai 9,8 milioni del 2018) che in valore percentuale sul totale della popolazione: se nel 2008 rappresentavano il 17,1% del totale dei residenti in Italia, nel 2018 il 16,2%. Uno dei fattori del “malessere demografico” che attraversa l’Italia è dovuto alla denatalità, che nel corso dell’ultimo decennio, con un calo progressivo e costante di nuovi nati, ha inciso notevolmente sul panorama nazionale: se gli iscritti in anagrafe per nascita nel 2008 erano quasi 577 mila, 10 anni dopo non si tocca quota 440 mila, un nuovo record negativo dall’Unità d’Italia. Aumenta l’età media delle donne al parto, che passa dai 31,1 ai 31,9 anni e diminuisce il numero medio di figli per donna (da 1,45 a 1,32); l’indice di vecchiaia, che misura il rapporto fra le fasce più giovani e quelle più anziane della popolazione, registra una vera e propria impennata, passando da 143,4 a 173,1.
Un freno alla deriva demografica italiana è costituita dall’aumento di bambini e ragazzi di origine straniera, che con la loro più marcata presenza contribuiscono provvidenzialmente a rinfoltire il sempre meno popoloso contingente giovanile nazionale. Nel decennio appena trascorso, infatti, l’Italia è divenuta più multiculturale: se nel 2008 i bambini e ragazzi di origine straniera erano poco meno di 700 mila (il 6,9% della popolazione minorenne residente), 10 anni dopo la presenza supera il milione di unità, e bambini e ragazzi di cittadinanza straniera rappresentano il 10,6% della popolazione minorile. La loro dislocazione sul territorio nazionale non è omogenea, com’è logico aspettarsi, ma è più incisiva nelle aree (del Centro e del Nord Italia) in cui la presenza straniera è più stabile e radicata nel tempo. Oggi bambini e bambine, ragazzi e ragazze di seconda (o terza) generazione rappresentano un contingente con caratteristiche complesse e articolate, ma sempre più incisivo nel panorama giovanile italiano. Aumenta la loro presenza dietro i banchi di scuola (i “nuovi italiani”, bambini e ragazzi con cittadinanza straniera, passano dai circa 574 mila dell’a.s. 2007/2008, pari al 6,4% sul totale, ai quasi 842 mila dell’a.s. 2017/2018, pari al 9,7% del totale) e contribuiscono ad arricchire il panorama culturale: nella musica (per fare qualche esempio, Ghali, Mahmood, Tommy Kuti, Diamante e molti altri); nel cinema (con registi quali Suranga Katagumpala, Phaim Bhuyan…); nella letteratura (Igiaba Scego, Inailda Ibrahimi, per citare solo alcuni nomi); nello sport, con ad esempio i successi della nazionale femminile di pallavolo, composta tra le altre da Paola Egonu, Myriam Silla, Ofelia Malinov, giocatrici di seconda generazione.
Il “tempo perduto” è anche quello dei ragazzi e delle ragazze che non concludono gli studi: coloro che li abbandonano prematuramente (calcolati sulla percentuale di 18-24enni con al più la licenza media, che non sono impegnati in attività di istruzione o formazione) in Italia sono, nel 2018, il 14,5%, circa 1 su 7. Per quanto rispetto a 10 anni fa si siano registrati progressi positivi (visto che la percentuale, allora, era del 19,6%, quasi 1 su 5) è fondamentale non abbassare la guardia sul versante di un problema importante come la lotta alla dispersione scolastica, fenomeno che spesso colpisce coloro che provengono dai contesti familiari e sociali più deprivati e che quindi maggiormente si avvantaggerebbero delle competenze e degli strumenti che un maggior livello di educazione può fornire. Guardando oltre l’orizzonte della media nazionale, emerge inoltre uno scenario molto disomogeneo a livello territoriale: se in alcune regioni (Trentino, Umbria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia) la percentuale degli Early School Leavers è inferiore al 10%, in altre (Sardegna, Sicilia, Calabria) è drammaticamente superiore, attestandosi oltre il 20%.
Ancora, il “tempo perduto” delle giovani generazioni emerge con tutta la sua graffiante drammaticità se si guarda al triste primato italiano nella classifica europea dei NEET, coloro che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi; il loro numero, pur in misura variabile, è cresciuto nel decennio in tutte le regioni, ad ulteriore dimostrazione di come siano stati proprio i giovani a pagare il prezzo più alto della crisi. Nel 2018, era in questa condizione in Italia il 23,4% dei 15-29enni, quasi 1 giovane su 4 (nel 2008, erano il 19,3%, meno di 1 su 5), ma in alcune regioni (Sicilia, Calabria, Campania) la percentuale vola oltre il 35%, più di 1 su 3.
Il tempo dei bambini: bambini nel tempo ritrovato
Nel bilancio del decennio appena trascorso non emergono solo criticità. Accanto all’infanzia perduta della crisi economica, della carenza di politiche e della mancanza di servizi, spicca infatti l’infanzia ritrovata dalla comunità educante, dall’intervento e dalla ricerca sociale, ovvero da coloro che, in questi anni, si sono adoperati con passione e determinazione per promuovere e far rispettare i diritti dell’infanzia, e contribuire a migliorarne le condizioni di vita su tutto il territorio nazionale. Un contingente vario e composito di dirigenti scolastici, insegnanti, pediatri, associazioni di genitori, operatori e assistenti sociali, psicologi, amministratori accorti, volontari impegnati in associazioni o comitati di quartiere, attivisti, mediatori e operatori culturali che in maniera diversa, spesso facendo i salti mortali per fare fronte a tagli di bilanci, chiusure di servizi, difficoltà organizzative, si sono impegnati in prima persona, ovunque nel nostro Paese, per stare a fianco dei più giovani e delle loro famiglie per insegnare, accogliere, integrare, prendersi cura di migliaia di bambini e ragazzi.
Un insieme di professionisti ed esperti che si è adoperata affinché a bambini e ragazzi, soprattutto ai meno avvantaggiati, fosse consentito l’accesso ad esperienze e attività ricreative, culturali e formative; il loro contributo alla lotta contro la povertà educativa sta dando i suoi frutti. Secondo l’indice di deprivazione culturale dei 6-17enni, realizzato dall’Istat per l’Atlante dell’infanzia, pur essendo ancora troppi i bambini e ragazzi lontani dalla cultura – in media circa 7 su 10, con vistosi distacchi regionali -, la quota dei “disconnessi culturali” (coloro che fruiscono di meno di 4 tra le 7 attività considerate: teatro, cinema, musei/mostre, concerti di musica classica, concerti di altro tipo, visite a siti archeologici o monumenti, spettacoli sportivi) è comunque diminuita di 4 punti percentuali nel corso del decennio. In particolare, cresce il numero dei “bambini ritrovati” a siti archeologici e monumenti (+ 8,2%) e mostre e musei (+ 5,6%), mentre diminuisce in gran parte delle regioni la quota di coloro che non vanno mai a teatro.
Anche sul versante dell’adozione di sani stili di vita fin dall’infanzia si registrano dei progressi, segno che le campagne e le iniziative condotte in tal senso nel corso degli anni stanno facendo breccia nel comune sentire. Diminuiscono nel corso del decennio i giovanissimi sedentari: se nel 2008 i 6-17enni che non praticavano attività sportive erano più di 1 su 5 (il 21,6%), 10 anni dopo la quota cala di 4 punti percentuali, attestandosi al 17,9%. Contemporaneamente, in tutte le ripartizioni geografiche si registra un aumento di quella di coloro che svolgono attività sportive in maniera continuativa.
Uno dei cambiamenti che ha caratterizzato l’ultimo decennio, in molti aspetti della comune esistenza, è la rivoluzione digitale. La presenza sempre più pervasiva di internet nelle nostre vite, con i suoi pro e i suoi contro, ha creato un impatto dirompente. Giovani e giovanissimi nativi digitali, con sempre maggiore frequenza, si destreggiano tra notebook, tablet e smartphone per comunicare, studiare, informarsi, giocare, ascoltare musica, esprimersi. Nel corso del decennio crolla la quota degli adolescenti che non utilizzano internet: se nel 2008 la connessione alla rete era ancora una chimera per quasi un 14-17enne su quattro, 10 anni dopo a non connettersi sono poco più di 5 su 100. In tutte le ripartizioni geografiche, da Nord a Sud dello stivale, aumentano i bambini e ragazzi che accedono alla rete tutti i giorni, con una quota che raggiunge o supera il 50% in quasi tutte le regioni.
Last but not least, è da sottolineare che le analisi e ricerche condotte sull’infanzia in questi anni hanno trovato buona base sulla sempre maggiore diffusione e disponibilità di dati statistici specificamente dedicati a bambini e ragazzi. Grazie alla produzione e diffusione di nuovi strumenti di indagine, ricerche e disaggregazioni in base all’età, soprattutto grazie al lavoro dell’Istat, è stato possibile progettare e costruire interventi sociali ed educativi che poggiano su solide basi informative, che hanno consentito di individuare aree e priorità di intervento ed elaborare progetti e policy a partire da una conoscenza più approfondita dei fenomeni.
CONCLUSIONI
L’occasione del decennale dell’Atlante dell’infanzia (a rischio) in Italia ci ha dato l’opportunità di fare un bilancio delle condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza nel nostro Paese; con un occhio rivolto al decennio appena trascorso e l’altro al presente, la situazione presenta ancora molti chiaroscuri. Nell’analisi di questi dieci anni emergono ancora le disparità, gli squilibri, le difficoltà di accesso alle opportunità che colpiscono troppi bambini e ragazzi nel nostro Paese. L’Italia degli ultimi dieci anni è quella che ha affrontato, e affronta tuttora, gravi problemi: le conseguenze della crisi economica e l’impoverimento che ne è derivato; la carenza di politiche e servizi dedicati specificamente all’infanzia; i crescenti divari e disuguaglianze territoriali; la denatalità e il “degiovanimento” della sua popolazione. Ma è anche l’Italia che mette a disposizione dell’infanzia e dell’adolescenza l’enorme patrimonio educativo costituito dal vasto e variegato contingente di persone e strutture che, in tutto il Paese, si fanno comunità educante, costituiscono reti territoriali di supporto, forniscono il proprio contributo e collaborano, al Nord come al Sud, nelle grandi città come nei piccoli centri, per essere attori del cambiamento positivo volto a migliorare concretamente la vita di centinaia di migliaia di bambini e ragazzi e fornire loro gli strumenti che li rendano più preparati e resilienti di fronte alle sfide della vita. Educatori, docenti, genitori, operatori, assistenti sociali, amministratori pubblici, volontari, che ovunque si impegnano perché tutti i bambini e ragazzi abbiano le stesse opportunità di inseguire i loro sogni, sviluppare i propri talenti, coltivare le proprie ambizioni. Perché, come ci insegna l’esempio dei ragazzi del movimento Friday for Future, i ragazzi vogliono esserci, mettersi in gioco in prima persona, essere partecipi e coinvolti nelle politiche che riguardano il futuro dell’umanità, essere cittadini attivi e artefici del cambiamento verso una società più giusta, equa e sostenibile.
L’Atlante dell’infanzia (a rischio) 2019 di Save the Children: una fotografia aggiornata dell’infanzia nel nostro Paese – questa pubblicazione