UN NUOVO SGUARDO SU “UNA SCUOLA DI PRIMA CLASSE” DI A. SCHLEICHER

A cura di Tiziana Pedrizzi

 PERCHÉ UN’ULTERIORE ATTENZIONE AL LIBRO DI A. SCHLEICHER 

image012 L’ADi  ha già recensito il libro di Andreas Schleicher  “Una scuola di prima classe. Come costruire un sistema scolastico per il XXI secolo” Fondazione per la scuola, Il Mulino,  ma vale la pena ritornarvi  e dedicarvi  più attenzione di quanto non sia fin qui avvenuto in Italia.

Nei primi venti anni del secolo l’orientamento sulla educazione è stato egemonizzato dalle posizioni definite neoliberiste di cui OCSE è interprete e portavoce autorevole anche nei confronti dei potenti organismi internazionali che a diverso titolo e con diversi strumenti sono intervenuti su questo terreno: Unesco, Unicef ,Banca Mondiale ed altri. Strumento e momento di aggregazione fondamentale PISA, l’indagine internazionale che ha raccolto l’eredità soprattutto di IEA,  per divenire un elemento determinante delle politiche europee e dei diversi stati nazionali.

Sostanzialmente estraneo, se non ostile a seconda dei diversi Paesi, il mondo della pedagogia ed anche della sociologia dell’educazione.  Una voce significativa in particolare sembra essere quella della pedagogia anglosassone che si raccoglie intorno alla Università di Oxford e alle sue pubblicazioni che ha il merito di offrire un ampio panorama internazionale sia per i temi che per quanto riguarda i ricercatori.

Il libro di Andreas  Schleicher -capo di PISA, direttore del settore Education and skills di OCSE e consigliere speciale del Segretario Generale di OCSE per i problemi dell’educazione- assume dunque un significato di particolare interesse, perché fa il punto sulla situazione attuale delle politiche educative internazionali dal punto di vista di uno dei protagonisti principali.

Abbiamo cercato qui di sintetizzare quelle che ci sono sembrati gli aspetti principali del libro, riservandoci qualche riflessione in proposito. Uno dei motivi del suo interesse sta nel fatto che è pieno di riferimenti ad episodi e a persone che esemplificano quanto si sostiene, la qual cosa rende la lettura più piacevole ed interessante.

In premessa vengono messi bene in chiaro i problemi. Nel 2015 quasi la metà degli studenti di 70 Paesi a reddito medio o elevato campionati in PISA  non aveva raggiunto il livello 2 ,che viene indicato come il livello minimo di alfabetizzazione nei diversi campi indagati .Negli ultimi 10 anni , alla scadenza dei venti anni di PISA non si registra quasi nessun miglioramento, nonostante un incremento del 20% degli investimenti in educazione. Inoltre, la determinazione degli apprendimenti da parte dello status economico-sociale  sembra costante.

Tuttavia viene ricordato che vi è stato un grande miglioramento in paesi come l’Estonia ed il Vietnam in cui il 10% degli studenti più svantaggiati  raggiunge livelli migliori  di quelli del 10%  delle famiglie più ricche dell’America Latina e sostanzialmente pari a quello degli europei e degli statunitensi.  L’eccellenza dunque si può raggiungere anche nei cosiddetti paesi arretrati, attraverso una forte crescita. Senza istruzione c’è marginalità e nessun avanzamento tecnologico e sociale; ma la istruzione deve essere utile. E puntare anche sulle competenze sociali ed emotive, perché gli apprendimenti “facili” e semplici tendono oramai ad essere digitalizzati .

MITI DA SFATARE

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Il capitolo sui  nove miti da sfatare è certamente fra i più interessanti. Eccoli elencati:

  1. I poveri vanno sempre male a scuola. Ma la forza del legame fra apprendimenti e stato economico-sociale varia notevolmente da Paese a Paese. Nella valutazione PISA 2015 gli studenti più poveri dell’Estonia, di Shanghai e del Vietnam hanno raggiunto risultati pari a quelli dello studente medio dei Paesi occidentali. Negli  USA invece,  che nel complesso è un paese ricco e che sostiene grandi spese per l’istruzione, lo svantaggio socioeconomico ha un impatto particolarmente forte nelle performance degli studenti.
  1. Gli immigrati peggiorano i risultati complessivi dei sistemi scolastici. Ma il livello medio degli apprendimenti di un Paese non è direttamente correlato alla sua percentuale di immigrati perché contano molto il Paese di partenza e quello di arrivo. Gli immigrati (massime i cinesi ) tendono a migliorare più degli autoctoni.
  1. Il successo dell’istruzione sta nella maggiore quantità di denaro disponibile. Ma, superato un certo limite, questa regola non funziona. Le ricerche pongono questo limite ai 50.000 dollari annui di spesa per studente in età compresa fra i 6 e i 15 anni; al di sopra gli incrementi di spesa non danno automaticamente migliori risultati. In breve, il successo non dipende solo dalla quantità di danaro che si è in grado di spendere, ma soprattutto dal modo in cui lo si spende
  1. Le classi meno numerose garantiscono sempre risultati migliori. Non c’è evidenza a livello transnazionale che la riduzione del numero di alunni per classe sia la strada migliore per innalzare i risultati. In effetti i sistemi scolastici con i risultati più elevati nella scala PISA di fronte all’alternativa tra l’opzione di avere classi più piccole e  investire nei propri insegnanti scelgono quest’ultima.
  1. Più tempo sui banchi e nello studio produce risultati migliori. Non è la sola quantità  a fare la differenza. Infatti quando le nazioni vengono tra loro comparate, i Paesi con più ore complessivamente di tempo scuola e di studio domestico spesso vanno peggio nelle prove PISA.  La ragione è semplice: i risultati scolastici sono sempre il prodotto della quantità e della qualità delle opportunità di apprendimento, ivi comprese le attività extrascolastiche.
  1. Il successo scolastico dipende dal talento che si eredita. L’opinione di Schleicher, ribadita in più parti del testo, è che è determinante quello che chiama il duro lavoro. In PISA 2012, alla richiesta agli studenti di medio livello delle cause cui attribuiscono i limiti del loro lavoro, i ¾ degli studenti francesi (la Francia è un po’ un bersaglio polemico costante NdR) hanno parlato di materiale didattico ostico, di incapacità degli insegnanti di suscitare interesse o di spiegare in modo chiaro o di sfortuna. In breve hanno imputato colpe a chiunque tranne che a se stessi. A Singapore invece  gli studenti di fronte a un fallimento hanno ritenuto di non essersi impegnati abbastanza. Conclude Schleicher che nei Paesi in cui si pensa di doversi impegnare molto per riuscire (i Paesi dell’EastAsia NdR) praticamente tutti conseguono regolarmente buoni risultati.
  1. Solo i migliori laureati dovrebbero diventare insegnanti. I risultati mostrano che tra le nazioni con i dati comparabili non c’è nessun Paese in cui gli insegnanti appartengano al 33% più alto dei laureati e non c’è Paese in cui appartengano al 33% più basso. Nella maggior parte dei Paesi le competenze degli insegnanti sono pari a quelle di un laureato con votazione media. Fanno eccezione in positivo Finlandia e Giappone.
  1. Selezionare gli studenti in base alle capacità è il modo migliore per innalzare i livelli di apprendimento. L’evidenza emersa da PISA mostra che nessun Paese con un alto grado di selezione sulla base delle capacità, effettuata mediante separazione, differenziazione per livelli o bocciatura, fa parte dei sistemi scolastici con i risultati più elevati e fra quelli con il maggior numero di top performers. Il discorso cambia per quanto riguarda la formazione di gruppi ad abilità miste o divisi per materia all’interno delle classi, che invece si sono dimostrati efficaci, accompagnati da opportune modifiche al programma e alla didattica.
  1. La migliore istruzione di cui godono alcuni Paesi è dovuta alla loro tradizione culturale. Da ultimo il mito più interessante. Schleicher qui ammette che la cultura di appartenenza effettivamente può esercitare un certo influsso (e fa l’esempio del confucianesimo), ma obietta che celeri miglioramenti sono avvenuti in Paesi con culture e tradizioni diverse, che hanno però uniformemente cambiato le loro politiche e pratiche educative. La cultura non è solo quella ereditata, ma anche quella che si può creare in modo ponderato.

CARATTERISTICHE DEI SISTEMI SCOLASTICI  AD   ALTE PRESTAZIONI

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Cosa fanno verso gli insegnanti:

  • Elevano lo status degli insegnanti. Ne sono indicatori il livello degli stipendi e il rispetto/riconoscimento di cui gode la professione in un contesto che dà importanza prioritaria all’istruzione..  Fra le nazioni  dove è alto il prestigio sociale degli insegnanti vengono ricordati i Paesi di tradizione confuciana, accanto alla solita Finlandia.
  • Attraggono, reclutano e mantengono docenti di qualità. Il prestigio sociale di cui godono gli insegnanti insieme al valore attribuito all’istruzione  è un elemento importante per attirare i giovani nell’insegnamento. Tuttavia  in nessun  Paese, i docenti vengono scelti fra i laureati con  votazione  alta, ed è dimostrato che il reclutamento di laureati con votazione elevata è solo una componente del processo di miglioramento dell’istruzione.
  • Formano docenti di alta qualità, prevedendo anche una forte selezione in ingresso che  innalza l’immagine della professione. Ma puntano non tanto a creare accademici, quanto professionisti scolastici portati anche alla ricerca sul campo.
  • Aggiornano efficacemente la formazione degli insegnanti non puntando esclusivamente alla fase pre-servizio, ma  vedendola come punto di partenza e non culmine del percorso professionale. Importanti le learning communities di insegnanti e l’apprendimento peer-to-peer  che sperimentano fra loro anche attività di apprendimento simili a quelle da proporre successivamente agli studenti, quando risultino
  • Considerano i docenti come professionisti autonomi e responsabili, nonostante la crescente standardizzazione dei curriculi. Autonomia professionale non significa però che i docenti possano fare quello che credono in relazione alle proprie idiosincrasie. I Paesi con migliori risultati hanno soluzioni diverse in proposito, anche perché l’autonomia può avere effetti diversi a seconda del contesto.
  • Valorizzano il tempo dei docenti: il tempo non può essere solo quello dell’insegnamento frontale in aula, ma anche quello impiegato nel confronto e preparazione con i pari. Per quanto riguarda il tempo in aula, è importante l’assunzione di  ruoli che “restituiscono il tempo in aula agli studenti”  come dice uno slogan di Shanghai, cioè  che incrementino le attività degli studenti rispetto all’esposizione dei contenuti da parte del docente. Questo ha comportato un cambiamento fondamentale di quello che si intende per insegnamento efficace.
  • Allineano gli incentivi per docenti, studenti e genitori. Per gli studenti sono importanti gli esami high-stakes cioè con significativa ricaduta sul loro percorso. Per gli insegnanti sono dannosi gli incentivi individuali che li mettono in competizione fra loro. Negli ambienti professionali infatti il successo di tutto il gruppo dipende dalla capacità di sfruttare al massimo i risultati di ciascuno dei suoi membri, quindi va incentivata la capacità di collaborare. Per i genitori sembra funzionare il sistema degli insegnanti di classe  con esplicito obbligo di continuità su una determinata classe e  la responsabilità di seguire gli studenti per diversi anni. Questo sistema serve a instaurare uno stretto rapporto non solo con gli studenti, ma anche con i genitori, con i quali si comunica in modo efficace attraverso i social network
  • Promuovono la crescita di leader educativi efficaci, cruciali per creare bravi insegnanti, una leadership scadente può tarpare le ali anche al miglior insegnante. Uno studio comparativo dell’OCSE sulla leadership scolastica  ha individuato 4 gruppi di responsabilità fra loro interconnesse: 1) supporto, valutazione, sviluppo della qualità dei docenti, 2) definizione degli obiettivi di apprendimento e delle valutazioni per aiutare gli studenti a raggiungere standard elevati; 3) un uso delle risorse strategico e pedagogicamente coerente; 4) la costruzione di partenariati al di fuori della scuola

Cosa fanno nei confronti della didattica

  • Nutrono la convinzione che tutti possano ottenere buoni risultati e non solo le élite. Schleicher porta in negativo l’esempio della Germania e della sua canalizzazione a 11 anni che avrebbe aspetti di segregazione sociale e ricorda il referendum di Amburgo del 2010 che ha purtroppo respinto la generalizzazione della Gesamtschule (scuola unitaria).Contrapposto è quello dei Paesi dell’Estremo Oriente che danno importanza centrale all’impegno e non al talento. Dare compiti facili e lodare facili risultati porta a rassegnarsi e ad abbassare gli standard. Non a caso il Mastery Learning è oggi più diffuso in Asia che nel mondo occidentale dove è stato inventato.
  • Si prefiggono aspettative elevate. Nelle valutazioni standardizzate internazionali i Paesi che hanno esami esterni –la Federazione Russia ad esempio che viene approfonditamente e positivamente citata –  ottengono risultati del 16% superiori alla media .Non si tratta più di domande a risposta multipla, ma soprattutto di prove complesse a risposta aperta,  focalizzate sull’acquisizione di conoscenze approfondite, abilità di pensiero complesso e, in misura crescente l’applicazione di queste ultime ai problemi del mondo reale.
  • Hanno esami collegati a sistemi di qualificazione nazionali. Sono spesso organizzati in modo flessibile, ma estremamente rigoroso.  In Svezia ad esempio i sistemi di qualificazione sono modulari e predisposti in modo che non sia mai troppo tardi per ottenere una determinata qualifica. In questi sistemi per una prova di esame non riuscita non si  parla di bocciatura, ma di superamento non ancora avvenuto. Più gli esami sono frequenti e meno si verifica nei candidati l’ansia che condiziona i risultati.
  • Rendono gli esami fattore trainante per la progettazione del curricolo. Gli standard educativi e gli esami sono il punto in cui  comincia il sistema scolastico, non quello in cui finisce.  Il fattore chiave è come tradurli in un curricolo,  che deve essere” disboscato”, perché oggi è definito sulla base dell’assetto interno delle discipline e non dei bisogni formativi. Il progetto Education 2030 avviato nel 2016 dall’OCSE in collaborazione con l’Università di Harvard ha avviato l’elaborazione di un innovativo quadro di riferimento globale per la progettazione dei curriculi.
  • Si concentrano sul benessere degli studenti. Il benessere sembra legato principalmente al buon rapporto con gli insegnanti e all’appoggio delle famiglie, fattori più forti dell’impatto delle risorse delle scuole. Tuttavia ci possono essere aspetti negativi per studenti assai motivati e preparati che provano molte ansie per le verifiche.

Cosa fanno nei confronti  del  sistema

  • Individuano il livello di autonomia scolastica più adeguato.  Questa capacità  alza i livelli dei risultati e dà forti incentivi per l’innovazione. Deve andare però di pari passo con una collaborazione responsabile con le autorità centrali, a cui rimane la tenuta del quadro complessivo attraverso il controllo reciproco. Esempi positivi l’Ontario (Canada)  e Singapore.
  • Passano dalla responsabilità amministrativa a quella professionale, mantenendo però la rendicontazione come elemento chiave.   Si cerca cioè di attivare un sistema di responsabilizzazione – organizzazione di stampo più professionale  e informale, basato sulla fiducia, rispetto a quello amministrativo più tipico di ambienti di lavoro industriali.  Contemporaneamente però si mantengono i sistemi di valutazione
  • Attivano sistemi olistici di valutazione degli insegnanti. E’ importante fare in modo che  la tendenza a mettere l’accento sulla responsabilizzazione professionale non entri in conflitto con quella a instaurare una cultura della valutazione in tutto il sistema, compresa la valutazione degli insegnanti, che nella maggior parte dei Paesi è ancora un cantiere aperto. Tuttavia un certo consenso comincia a manifestarsi su alcune questioni, per esempio i sistemi di valutazione dei docenti devono far parte di un approccio olistico alla professione. Si cita il sistema di valutazione di Singapore finalizzato alla carriera docente in tre percorsi..
  • Danno un messaggio coerente, armonizzando gli orientamenti centrali e quelli eventuali decentrati federali.
  • Spendono di più, ma soprattutto meglio. Ad esempio in Giappone gli insegnanti hanno classi più grandi ma hanno più tempo per programmare e per lavorare con piccoli gruppi. E’ più efficace avere classi più piccole o valorizzare gli insegnanti?

Da nessuna parte la qualità di un sistema scolastico è superiore alla qualità dei suoi insegnanti. Nel decidere dove investire, danno la priorità alla qualità degli insegnanti rispetto al numero degli studenti per classe.

LA FOTOGRAFIA DI 5 SISTEMI SCOLASTICI DI SUCCESSO

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Schleicher ci propone la fotografia di cinque sistemi scolastici di alto livello: Singapore, Shanghai, Estonia, Finlandia, Canada

  • Singapore, top performer in PISA 2015 è passato a questi livelli da Paese povero con molti analfabeti e poche risorse. Quali gli ingredienti del successo? 1) La decisione consapevole di utilizzare l’istruzione come base per un’economia avanzata; 2)  l’introduzione di un nuovo curriculo e una  forte istruzione professionale e tecnica; 3) la qualità dei docenti, assunti fra i migliori laureati e a cui è garantito sviluppo e differenziazione di carriera; 4)  il supporto delle politiche e di fortissimi investimenti pubblici nell’istruzione. Il sistema integrato, centralizzato, omogeneo e coerente ha come fulcro un processo meritocratico di sostegno alla mobilità sociale.
  • Shanghai dal 2009 è balzata in testa alla classifica PISA. Qui la priorità viene data all’innalzamento dei livelli di apprendimento per innalzare i livelli economici – “città di primo ordine, scuola di primo ordine” il suo biglietto da visita-. Ciò che colpisce è la quasi assenza  di studenti con punteggio basso. Shanghai non è la sola città in Cina ad avere buoni risultati: dal 2015 l’aggregato di Pechino, Jiangsu e Guangdong con i suoi 232 milioni  di abitanti si è collocato fra i primi 10 performer in matematica e scienze. Si tratta di un sistema basato sul presupposto che ogni studente può riuscire, questo vale indipendentemente dal background di provenienza. Gli insegnanti migliori vengono indirizzati verso le scuole a cui occorre maggiore supporto. L’istruzione è fortemente competitiva.
  • Estonia. Si tratta forse di una nuova Finlandia. Come la Finlandia è caratterizzata da un forte senso di equità dimostrato dalla bassa percentuale di studenti con bassi risultati (la metà della Germania e degli Stati Uniti). Questo non certo a causa dell’alto livello della spesa, visto che la Estonia è ancora caratterizzata, oltre che dalla bassa natalità, da un PIL basso  e da un  basso livello degli stipendi.
  • Finlandia. Non è più in cima alle classifiche ma rimane fra i migliori. Occorre ricordare che il Paese ha raggiunto questi livelli dopo un lungo percorso di riforme, partendo da una situazione economica compromessa negli anni 90 e puntando sulla innovazione. Le sue caratteristiche sono  diverse da quelle dei Paesi asiatici: tempo a scuola e  pochi compiti a casa, assenza di controlli pressanti attraverso rendicontazione dei risultati e servizi ispettivi , orientamento fortemente inclusivo, enfasi sulla qualità dell’insegnamento con molto tempo di preparazione a disposizione degli insegnanti. La Finlandia ha fatto dell’insegnamento una carriera assai ambita, con elevato status sociale  e forte selezione per accedere alla formazione ( solo 1 candidato su 10 è ammesso)
  • Canada. Il Paese, composto da tre popolazioni (  francofone, anglofone, autoctone) è ed è stato un modello di integrazione culturale. Integrazione anche verso gli immigrati, che però sono di alto livello e richiesti dal sistema economico e sociale stesso. L’enfasi del sistema canadese è sull’equità e la sua capacità di ottenere risultati eccellenti da studenti di diverse estrazioni sociali,  compresi gli immigrati. Il sistema è a forte articolazione regionale e a responsabilità diffusa. Ciò che rende l’approccio del Canada unico è il fatto che integra nel curricolo contenuti attinti da culture differenti, in modo che gli studenti imparano presto a guardare il mondo da prospettive diverse

L’EQUITÀ: PERCHÉ RIMANE INAFFERRABILE?

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Interessante in premessa cogliere la filosofia generale del testo sul ruolo possibile della  scuola. Se si sente dire spesso che la scuola non può  risolvere i problemi della società, tuttavia il compito delle politiche pubbliche è quello di aiutare le scuole a soddisfare le richieste delle società, che sempre più spesso guardano a loro per porre rimedio a problemi sociali che in passato venivano affrontati da altri. E che dalle scuole non ci  si può aspettare altro che affrontino queste sfide.

Dare un’ istruzione di qualità elevata a tutto il sistema  non è solo un imperativo di giustizia sociale, ma anche la strada per usare le risorse in maniera più efficiente.

Nel 2015 una ricerca di Hanusek per il Forum Mondiale sull’educazione Unesco nel   quadro degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile  ha affermato che la qualità della scuola in un dato Paese è un forte predittore della ricchezza che il Paese si troverà a produrre sul lungo termine. Questo non vale solo per i Paesi poveri, ma anche per i Paesi ricchi solo per la presenza di risorse naturali; viene citato a titolo di esempio la differenza fra i Paesi arabi produttori di petrolio (le cui riserve però sono in via di esaurimento) ed Israele. Ma le analisi di Hanusek si fondano su due assunti importanti: 1) che   la forza lavoro istruita porti ad un flusso di idee che generi un progresso tecnologico più veloce e  2) che  le competenze incrementate vengano effettivamente utilizzate in economia.

La disparità deriva da diverso possesso di competenze che deriva dall’istruzione. Schleicher letteralmente afferma che i nostri genitori  ci hanno spiegato che avremmo dovuto studiare sodo per ottenere un buon lavoro e uno stipendio decente e che questo consiglio è valido oggi più che mai.

 Ma innalzare l’istruzione per tutti può diminuire le disparità sociali? Attenzione, se non ci si occupa in modo mirato dei livelli bassi, l’aumento delle opportunità  può andare a favore dei già favoriti. Succede per la educazione degli adulti ed anche l’incremento dei corsi prescolari ha sostanzialmente favorito i già privilegiati che ne hanno fruito più degli altri strati della popolazione.

E’ vero che in PISA lo status economico sociale è decisivo e che i sistemi scolastici tendono a riprodurre il vantaggio o lo svantaggio sociale , ma non c’è nulla di inevitabile, come dimostrano i casi dei Paesi sopra elencati. In particolare viene citato   l’esempio della Cina, che ha attivato una forte politica meritocratica,  grande sostegno agli studenti meritevoli  in condizioni economiche svantaggiate,  tante opportunità agli studenti più bravi delle zone depresse per facilitare il loro ingresso all’università.  Una politica questa che dovrebbe valere anche nei Paesi ricchi.

Peraltro è da tenere ben presente che la sensibilità allo svantaggio dipende dal contesto. In PISA 2012 i presidi americani hanno individuato nelle loro scuole un 30% di studenti svantaggiati a fronte della presenza di indicatori “oggettivi” solo per il  13% degli stessi. La stessa dispercezione avviene in Francia ove c’è una correlazione dei risultati più stretta con questa percezione che con lo svantaggio effettivo e viene registrata una relazione fra apprendimenti e status molto alta ed in crescita  pari solo a quella di Cile e Slovacchia. L’importanza di questa dispercezione sta nel fatto che spinge semplicemente ad abbassare i livelli di apprendimento attesi e non a moltiplicare gli sforzi per migliorarli.

PERCHÉ  È DIFFICILE FARE LE RIFORME

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Le ricerche, rese possibili dall’ampia mole di dati PISA,  hanno permesso di comprendere molti dei fattori che influiscono sui livelli di istruzione. Ma molte buone idee rimangono bloccate nel processo della loro attuazione politica.

Le strutture istituzionali sembrano bloccate: le riforme si sono concentrate su aspetti estranei  al nucleo pedagogico centrale, presupponevano nei docenti capacità che non avevano, troppi cambiamenti contrastanti si sono sovrapposti e contraddetti senza la convinzione degli operatori cui non si è offerta una visione complessiva delle loro ragioni. Oggi nella istruzione non c’è personalizzazione ma neanche certificazione standardizzata (e perciò attendibile).

Schleicher cita il presidente brasiliano Cardoso, secondo il quale il maggiore ostacolo al miglioramento del sistema educativo nel suo Paese stava nel fatto che gli studenti avessero buoni voti malgrado il basso rendimento. Infatti è difficile giustificare l’investimento di grandi risorse, se l’esigenza di miglioramento non è avvertita.

E soprattutto, in tutti i Paesi, l’istruzione è un settore che coinvolge una enorme quantità di persone ed un reticolo di interessi acquisiti. E’ chiaro chi trae dalle riforme svantaggi, meno chiaro chi se ne avvantaggia. E’ ancor meno chiaro il rapporto costi-benefici.

I politici sono condizionati dai tempi: le elezioni sono sempre dietro l’angolo e i vantaggi dei cambiamenti nel campo dell’istruzione si vedono-quando si vedono- sulla lunga distanza. Per loro è più facile perdere che vincere le elezioni a causa delle riforme scolastiche.

E’ poi difficile allineare i punti di vista e gli interessi dei diversi Ministeri ed i problemi si moltiplicano nel caso di sistemi decentrati.

In definitiva i sistemi sembrano essere fermi ed opposti ai veloci cambiamenti delle società.

Paradossalmente i momenti di crisi e problematici sembrano essere i più favorevoli ai cambiamenti: ad esempio la diminuzione demografica ha dato luogo a ristrutturazioni nella rete delle scuole, creando aggregati più ampi che offrono maggiori opportunità  e limitano la segregazione .

Quello che è chiaro è che, senza la collaborazione degli insegnanti, non si può fare. Anche perché gli insegnanti sono in generale più stimati del sistema cui pure appartengono e qualsiasi resistenza alla riforma da parte loro risulta efficace. Molti hanno dovuto per anni tollerare riforme incoerenti che intralciano le buone pratiche invece di incrementarle, dando la priorità ad interessi politici mutevoli, i cui sforzi non attingono alle competenze ed alla esperienza degli insegnanti stessi.

LE PROPOSTE

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  • Darsi una direzione, costruire il consenso, chiedere l’aiuto degli insegnanti nella progettazione delle riforme, costruire capacità all’interno del sistema, rendere i sindacati degli insegnanti parte della soluzione.
  • Progetti pilota e forme di valutazione permanenti, ampio sostegno, buone capacità di governance poste al posto giusto, attento uso dei dati e progressione graduale attraverso sistemi regolati da continui feedback.
  • La libera scelta educativa non garantisce né pregiudica di per sè la qualità dell’istruzione: si tratta di massimizzare i benefici e minimizzare i rischi di ogni scelta in relazione al contesto. Se in Paesi Bassi e Hong Kong il risultato è stato positivo, in Svezia si è verificato un abbassamento dei livelli.
  • Attrarre gli insegnanti migliori che debbono nutrire per i loro studenti aspettative più alte- e non è solo un problema di remunerazione
  • Unificare i corsi differenziati della formazione secondaria superiore, perchè ancor più dello status della famiglia conta quello dei pari nella scuola frequentata.
  • Definire stanziamenti differenziati per le scuole con risultati più bassi, finalizzati però a specifici obiettivi, e monitorati. Ad esempio è da tenere sotto controllo la differenza fra zone rurali e grandi città che sembrano – non tutte- offrire maggiori opportunità formative.
  • Incrementare la cooperazione con i genitori. PISA ha messo in luce il fatto che la pressione costante dei genitori per adottare standard elevati ed innalzare il livello dei risultati tende ad associarsi ad un più esiguo numero di studenti di livello scarso.
  • I Posto che l’aumento della immigrazione non porta necessariamente ad un abbassamento dei livelli, sembra da evitare la concentrazione abitativa e scolastica degli immigrati e da incrementare la frequenza della scuola materna e la creazione di corsi di recupero linguistici paralleli a quelli curriculari.
  • Essere aperti alle indicazioni degli studenti. Sotto questa voce viene sottolineata l’importanza di una visione che mette al centro le doti caratteriali ed i valori umani al di là del successo scolastico normale.. L’idea è che le decisioni sull’istruzione in genere sono assunte da chi vi ha registrato un buon successo, mentre chi ha avuto difficoltà potrebbe mettere in luce i punti deboli ed i necessari cambiamenti.
  • Progettare un nuovo tipo di valutazione. PISA deve guidare le riforme dell’istruzione e non frenarle, vincolandole ad una gamma troppo ristretta di parametri; perciò deve essere pronta ad una costante evoluzione. E’ vero che variare le unità di misura della efficacia di un sistema scolastico può rendere più difficile la misura del suo progresso e del suo cambiamento, ma d’altra parte i test debbono sviluppare di continuo i loro indicatori per non rischiare di rimanere ancorati al passato. L’uso di prove informatizzate permette di sottoporre a verifica un ventaglio più ampio di conoscenze e competenze, in particolare nel campo delle competenze complesse, da quelle di problem solving  alle competenze globali a quelle sociali ed emotive, l’ultima e più impegnativa sfida in corso. PISA sta anche cercando di rendere i risultati più aperti e più locali. A questo fine ha cominciato a mettere a punto strumenti open source che le scuole possano usare per elaborare autonomamente i propri punteggi. PISA for schools permette di comparare i propri risultati con quelli di scuole con caratteristiche simili o diverse in giro per il mondo. Da ultimo PISA for development è uno strumento finalizzato a valutare i risultati di Paesi a reddito medio-basso costruendo una rete con i portatori di interesse locali ed elaborando prove e questionari di contesto più adatti a quelle situazioni.
  • Occorre preparare i giovani per un mondo incerto caratterizzato dai divari, dalla facilità degli spostamenti, dai problemi di sostenibilità e dalle diseguaglianze. Basta con la memorizzazione, l’apprendimento di routines, lo strapotere dei contenuti.  E’ importante il possesso delle strutture e della capacità di pensiero, riunendo in un puzzle elementi disparati, così come è importante creare  una cultura della condivisione
  • E’ necessario integrare la istruzione con i valori, un aspetto nuovo rispetto al recente passato
  • Gli insegnanti non sono sostituibili con gli strumenti digitali. Anzi le aspettative nei loro confronti aumentano. E’ dimostrato che gli investimenti in informatica ed il loro uso non migliorano automaticamente gli apprendimenti .La tecnologia da sola non basta.

ALCUNE OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

image012Nei suoi primi venti anni PISA è sembrata sostenere una espansione dell’istruzione senza se e senza ma: condizione per lo sviluppo delle economie e  il benessere dei singoli.

Cambia qualcosa? Intanto sembra chiaro che il punto di riferimento siano le economie sviluppate in cui la regola è grandi compagnie e lavoro dipendente. Ma anche l’impostazione di Hanusek sembra proiettare su tutte le economie mondiali  i paradigmi di quella del primo mondo (e neanche tutto). In realtà avanzano le contestazioni a questa tesi sulla base di numerose ragioni di cui la più importante sta forse nella storia del “comunismo reale” che sviluppò molto scuola e cultura ma che cadde a causa principalmente del suo fallimento economico (V. Le trasformazioni  dei sistemi d’istruzione nei Paesi post-socialisti , Oxford Studies in Comparative Education).

Tuttavia oggi Schleicher fa una importante precisazione: bisogna che ci sia un legame con l’utilizzo delle conoscenze nel campo economico anche attraverso idee che migliorino il livello tecnologico.  L’educazione deve essere percepita come utile nel mondo reale per non essere marginalizzata e trascurata. Lo sforzo economico e culturale richiesto da un innalzamento universale dell’alfabetizzazione deve basarsi su solide ragioni per avere successo. E queste non possono che essere l’innalzamento ed il miglioramento dei livelli di vita dal punto di vista alimentare e sanitario, oltre che del tempo libero. Che l’istruzione sia l’elemento determinante a tal fine Schleicher lo afferma con sicurezza, anche se c’è chi non condivide e ritiene che si scambi la causa con l’effetto: sono le società che fanno la scuola o la scuola che fa le società? La risposta è che comunque bisogna impegnarsi. Sta di fatto  che l’ideale utopistico di un’estensione universale degli ideali della cultura umanistica disinteressata, sostenuto dai nemici di quello che bollano come funzionalismo, è stato forse stravolto dalla storia del Novecento, perchè fra le élite non ha saputo evitare due disumane guerre mondiali e fra le masse l’americanizzazione informatizzata dei consumi “culturali”.

 Comincia ad affermarsi l’idea che il contesto sociale e valoriale di un Paese sia importante anche per i destini del suo sistema di istruzione. Pesa anche il fatto che i macroscopici investimenti della Banca Mondiale e altri nei Paesi poveri hanno portato al successo nell’accesso ma non nella alfabetizzazione e nella prosperità economica a causa della loro struttura sociale e che i sazi Paesi dell’Occidente avanzato sembrano ristagnare, magari nell’autocompiacimento come nel caso francese. Ma soprattutto pesa il crescente successo dei sistemi scolastici nei Paesi asiatici ben presenti come esempi positivi in tutto il libro di cui si ricorda, sembra quasi en passant, la cultura confuciana. La  forte determinazione al miglioramento non possono che avere rapporto con le strutture valoriali sottese  visto che la relativa arretratezza nei confronti dell’Occidente è ben presente anche in altre parti del pianeta che reagiscono (o non reagiscono) ben diversamente. Forse bisognerà andare più a fondo alla ricerca delle radici storiche delle differenze culturali e valoriali non per contemplarle sfiduciati ma per trovare le diverse vie alla fioritura dei cento fiori.

Quanto alle soluzioni, il ritratto dei problemi incontrati nel riformare le scuole è lì da leggere anche per noi italiani. E sulle direzioni da imprimere, anche PISA da un po’ suggerisce, attraverso la valorizzazione della variabile “clima di classe”, quello che il libro sottolinea costantemente utilizzando abbondantemente gli esempi asiatici: che bisogna lavorare e magari anche lavorare duro ed avere alte (ed esigenti) aspettative nei confronti di tutti. Sta forse tramontando l’illusione che un clima relazionale favorevole nel senso di indulgente, una “esposizione” costante a stimoli culturali magari benissimo impostati, un assecondamento delle caratteristiche individuali, anche quelle apparentemente meno produttive, possano portare ad un buon rendimento scolastico di massa.

 Schleicher ci ricorda costantemente che le cose possono cambiare, anche se forse più lentamente di quanto ipotizzato. E perciò bisogna:“ Capire cosa funziona meglio a seconda del contesto”. Sembra una considerazione di buon senso, ma negli anni 90 e 2000 la famigerata esportazione delle “buone pratiche” a cura degli zelanti funzionari delle organizzazioni internazionali, economisti senza cultura storica o antropologica, sembrano essere state infruttuose se non controproducenti.  Ed anche nei nostri Paesi…Prendiamo il caso del biennio unico o unitario che dir si voglia E’ stato uno dei Must della prima PISA: i Paesi scandinavi, massime la Finlandia, avevano e hanno una scuola unitaria fino ai 15 anni, i Paesi scandinavi erano in cima alle graduatorie, dunque bisognava applicare ovunque il biennio unico. Prescindiamo dal fatto che probabilmente il bersaglio vero era il sistema di canalizzazione a 11 anni dell’area germanofona- che peraltro non sembra generare bassi livelli di civilizzazione.  In Italia questa impostazione  ha significato il mantenimento di una istruzione professionale con un curriculo generalista di base nel biennio da fare stramazzare…. e tuttora ci si domanda stupiti quale sia la causa di una dispersione scolastica astronomica.

Anche il discorso sugli insegnanti va contestualizzato. Buoni stipendi e prestigio sociale. Ma nei Paesi, in particolare africani, le ricerche hanno dimostrato che questi due fattori possono anche portare al parassitismo perché il sistema statale senza controlli non funziona e l’unica speranza per i deprivati sta in scuole private di tendenza o di profitto che garantiscono prestazioni effettive e reali apprendimenti.

 In conclusione la formula di Schleicher sembra la migliore. Perché per converso chi,  come i pedagogisti “oxfordiani”, giustamente sottolinea il peso della storia e del contesto e ha il merito di mitigare gli eccessi di presunzione del neoliberismo, non sembra però approdare a strategie risolutive e migliorative e pare contentarsi di un sia pur fondato relativismo culturale e di un richiamo ai vecchi buoni tempi di un ideale umanistico.  Del quale viene ad un certo punto il dubbio che la versione corretta attuale sia la political correctness.

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