SCUOLA: GUARDANDO AL VENTENNIO PASSATO IMMAGINANDO QUELLO CHE VERRA’

GOVERNI E MINISTRI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE 2000-2020
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Governi 2000-2020

Ministri Istruzione Università e Ricerca

Governo D’Alema (22/12/1999 – 25/04/2000)

Luigi Berlinguer Istruzione; O. Zecchino Università e Ricerca

Governo Amato (25/04/2000 – 11/06/2001)

Tullio De Mauro

Governo Berlusconi II (11/06/2001 – 23/04/2005)

Letizia Moretti

Governo Berlusconi III (23/04/2005 – 17/05/2006)

Letizia Moretti

Governo Prodi II (17/05/2006 – 6/05/2008)

Beppe Fioroni Istruzione, Fabio Mussi Università e Ricerca

Governo Berlusconi IV (8/05/2008 – 16/11/2011)

Maria Stella Gelmini

Governo Monti (16/11/2011 – 27/04/2013)

Francesco Profumo

Governo Letta (28/04/2013 – 21/02/2014)

Maria Chiara Carrozza

Governo Renzi (22/02/2014 – 12/12/2016)

Stefania Giannini

Governo Gentiloni (12/12/2016 – 01/06/2018)

Valeria Fedeli

Governo Conte I (1/06/2018 – 5/09/2019)

Marco Bussetti

Governo Conte II (5/09/ 2019 – …)

L. Fioramonti (25/12/19); Lucia Azzolina Istruzione; Gaetano Manfredi Università e Ricerca

LA SCUOLA NEL VENTENNIO 2000-2020
UN’ATTRAVERSATA SENZA META

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Proviamo ad accendere qualche flash su questi primi 20 anni di scuola del nuovo secolo, su tante aspettative deluse da una politica che non ha mai considerato l’istruzione una priorità e da ministri arrivati in Viale Trastevere in assenza di palazzi più prestigiosi. Ma c’è anche una scuola che resiste, nonostante tutto.

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Il secolo si apre con il varo e il fallimento della riforma dei cicli del ministro Berlinguer (L.30 del 23/02/2000). Una riforma che aveva tentato di ridisegnare in un unico percorso settennale la scuola elementare e media e di concludere la scolarizzazione ai 18 anni, alla maggior età, entro una scuola dotata di forte autonomia e in un regime pubblico di parità. Il disegno di Berlinguer era guidato da una logica complessiva e da una visione. C’era comunque un punto nero, e non si parla qui dell’onda anomala, che era un dato organizzativo, né del fallimento della carriera per merito dei docenti, strattonato, come fu dai sindacati, che poi gli si rivoltarono persino contro, ma piuttosto della mancata ricomposizione di istruzione professionale e formazione professionale, il problema più serio che nessuno ha saputo affrontare, e che anche Berlinguer ignorò, tenendo avulsa la sua riforma da quella del Titolo V, varata un anno dopo, ma elaborata dai governi di cui lui era membro.

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1. La struttura del sistema istruzione.
Liquidata la riforma dei cicli di Berlinguer, la scuola è andata avanti senza reali trasformazioni strutturali. Qualche cambiamento nominalistico, senza una visione, spintonata da 12 ministri, che nella sciocca presunzione di imporre il proprio limitato punto di vista, disfacevano di volta in volta ciò che il precedente aveva fatto, pur dichiarando a parole le stesse finalità. La riforma Moratti (L. 53 /2003), che abrogò la riforma Berlinguer prima che potesse entrare in vigore, per quanto sia stata la più organica e la più duratura delle riforme di questi 20 anni, non ha saputo, come le successive, dare risposte né alla scuola media, l’anello debole dell’intero sistema, né alla questione nodale dell’istruzione tecnica e professionale. E la nostra scuola è rimasta drammaticamente selettiva senza essere rigorosa (3 milioni e mezzo di studenti in questi vent’anni hanno lasciato la scuola superiore su 11 milioni di iscritti), classista, sconnessa dal mondo del lavoro. E soprattutto incapace di colmare, almeno in parte, il divario Nord-Sud (v. dati INVALSI e PISA).

2. La gestione del sistema.
Dal sogno dell’autonomia di Berlinguer, “tutto ciò che non è vietato è permesso”, siamo arrivati al “tutto ciò che non è permesso dalle circolari è vietato”. Mai come negli anni in cui doveva dispiegarsi l’autonomia è infatti mostruosamente cresciuta la burocratizzazione del sistema scolastico. Mai come negli anni in cui doveva prendere corpo la decentralizzazione del nuovo Titolo V della Costituzione, ha proliferato il centralismo. Né ha potuto realizzarsi in modo corretto la legge sulla parità, una delle tante contraddizioni del nostro sistema. Infatti mentre si nega la liceità dei finanziamenti alle scuole paritarie, nulla si ha da dire sul fatto che la formazione dei più deboli, ossia l’IeFP, l’Istruzione e Formazione Professionale, sia quasi interamente data in gestione a centri privati pubblicamente finanziati, forse perché, se si vuole pensar male, molti di questi sono a gestione sindacale.

3. I docenti
La docenza, come l’edilizia scolastica, ha costituito e costituisce un’emergenza permanente, a cui si rimedia con toppe su toppe: sanatorie a gogò, ogni volta rigorosamente definite le “ultime” della storia. Mentre sulla formazione iniziale ci si permette impunemente di fare e disfare fino ad approdare al nulla assoluto odierno: tutto abrogato ( no SSIS, no TFA, no FIT….), così per i docenti della scuola secondaria si è tornati al ventennio di un secolo fa, al sempreverde Gentile “chi sa, sa insegnare”! E chi non sa, insegna lo stesso! Su carriera e merito possiamo solo stendere un velo pietoso.

4. I finanziamenti
Quando affrontiamo la questione dei finanziamenti per l’istruzione, dobbiamo scomporre i dati, e allora ci accorgiamo che la vera situazione drammatica riguarda l’università, ultimissima in Europa per finanziamenti e questo lo si vede chiaramente anche nei risultati, in Italia la popolazione dei 25/64enni con titolo di studio di livello terziario è la metà della media OCSE ( 19% rispetto al 37%). Per quanto riguarda la scuola i finanziamenti sono certamente pochi e in diminuzione ( diminuiti del 9% dal 2010 al 2016), ma pressochè in linea con la media europea per l’istruzione primaria e secondaria (1,5 e 1,7 per cento del Pil rispettivamente, a fronte di medie UE di 1,5 e 1,9 per cento), ciò che soprattutto ci caratterizza è l’allocazione irrazionale delle risorse, senza priorità e visione, assorbite quasi interamente dal personale, che nonostante ciò risulta mal pagato, in larga misura precario, anziano, non valorizzato nella carriera.

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Mentre la politica, come in un interminabile gioco dell’oca, vara norme che fanno tornare costantemente le riforme al punto di partenza, per poi ripartire da capo, la scuola ha trovato in sé e fuori di sé anticorpi che le consentono di resistere e andare avanti.

Basta essere attenti osservatori del web per scoprire il fermento che c’è, la vasta spontanea aggregazione di insegnanti in rete su argomenti di interesse comune e la capacità di collaborare, anche senza essersi mai visti e senza nessun incentivo, spinti dal solo desiderio di fare meglio e sentirsi una comunità.

Ci sono poi i progetti europei e agenzie come ad esempio l’European Schoolnet che hanno contribuito ad allargare gli orizzonti, a creare contatti e collaborazioni con insegnanti di diverse nazionalità.

E infine si muove il mercato. La nuova organizzazione degli spazi, che presuppone diverse metodologie di insegnamento, è frutto del mercato. E più in generale tutto il tema della nuova architettura educativa.
Ma non solo.

Alcune ditte che si occupano di tecnologia considerano il settore dell’istruzione un mercato che offre grandi opportunità commerciali e scommettono che i big data nel campo dell’istruzione sono un buon investimento. Alcuni esempi di utilizzo di big data a livello internazionale: assegnazione di punteggi e attribuzione di voti; apprendimento personalizzato e adattivo; gestione dei problemi della classe, ecc.. In alcuni mercati internazionali c’è una competizione feroce per vendere alle scuole le migliori soluzioni tecnologiche per la gestione dei big data, per esempio negli Stati Uniti, nella Gran Bretagna, nei Paesi Bassi o in alcuni Paesi scandinavi, dove le scuole e gli enti locali hanno potere di acquisto molto alto e pertanto possono decidere cosa comprare. È interessante, ma anche inquietante, il fatto che molte di queste aziende stiano vendendo soluzioni per rispondere a bisogni che nè le scuole, nè gli insegnanti riescono a soddisfare.

 

IL SECONDO VENTENNIO 2020-2040

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L’immediato: definire alcune priorità

Senza avventurarci in previsioni avveniristiche, cerchiamo di fissare alcune priorità che andrebbero, a nostro avviso, perseguite da subito con tenacia.

 

1^ priorità: la scuola è delle nuove generazioni, non degli insegnanti

x7La scuola va fatta e pensata per i giovani, basta continuare a piegarla surrettiziamente ai problemi degli insegnanti e più in generale del personale della scuola. Basta gonfiare gli organici per smaltire graduatorie inesauribili; basta costruire orari sulle cattedre; basta frammentare le discipline per soddisfare le varie corporazioni; basta far valere sempre e ovunque l’anzianità; basta gonfiare le scuole di “bidelli”, che non esistono in nessuna altra parte del mondo; basta devolvere il bilancio quasi interamente al personale, per giunta sottopagato. Si ripensi ai curricoli, si ripensi all’organizzazione del lavoro e dello studio, con il coraggio, in questa fase di pesantissimo calo demografico, di riprogrammare l’allocazione delle risorse e solo contestualmente a questa operazione aumentare i fondi per l’istruzione. Se si avrà questo coraggio non ne guadagnerà solo la scuola, ne guadagneranno anche gli insegnanti, che potranno aspirare a diventare finalmente dei professionisti. Tutto questo potrà essere raggiunto a una condizione: smetta il Ministero di gestire gli insegnanti e più in generale il personale scolastico, non è costituzionalmente suo compito. I capi d’istituto sono stati trasformati, nel bene e nel male, in dirigenti scolastici, si diano loro le corrispondenti responsabilità, anziché seppellirli di burocrazia.

 

2^ priorità: l’istruzione professionale

x8Il tema dell’istruzione professionale non può più essere affrontato con dei pannicelli caldi. E’ fondamentale per risolvere la drammatica questione dei NEET e della disoccupazione giovanile, raccordando formazione e richieste del mercato del lavoro. Gli istituti professionali statali non hanno più ragion d’essere dopo lo stravolgimento operato dal ministero Fioroni con la Legge 40/2007, che per mantenerne la gestione in capo allo Stato, ha dovuto rinunciare alla qualifica professionale triennale e al diploma professionale quadriennale (competenze regionali) e omologarli agli Istituti Tecnici, di cui sono diventati la brutta copia. Gli istituti professionali statali detengono oggi il primato, indegno di un Paese civile, della più alta percentuale di abbandoni, con il 38,4% nazionale di studenti dispersi tra il 1° e il 5° anno, percentuale che in tante regioni è vicina al 50%. Nel frattempo l’Istruzione e Formazione professionale regionale sta ottenendo risultati di gran lunga migliori sia in termini di successo formativo che di inserimento nel lavoro e persino nelle prove PISA 2018 ha superato in matematica l’istruzione professionale statale. Contemporaneamente gli iscritti all’IeFP sul totale della popolazione in età si stanno avvicinando agli iscritti all’IPS, ma con forti squilibri regionali, a danno del SUD, dove i centri di formazione professionale sono del tutto carenti. In questa situazione l’ADI da sempre sostiene la soluzione praticata a Trento, che ha semplificato i percorsi del 2° ciclo, costruendoli su 3 sole gambe: licei, istruzione tecnica, istruzione/formazione professionale assegnata dalla Costituzione alle Regioni e alle Province Autonome.

Ciò che ADi da sempre chiede è di eliminare l’istruzione professionale statale, trasformare gli Istituti Professionali in parte in Istituti Tecnici e in maggioranza in Istituti con il compito di impartire, in via transitoria in regime di sussidiarietà, i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale. Questa soluzione sarebbe importantissima per le Regioni del Sud e delle isole.

L’istruzione professionale diventi gradualmente un reale sistema duale, con apprendistato retribuito.

 

3^ priorità: autonomia regionale differenziata e Istituti Scolastici ad autonomia speciale (ISAS)

x9Considerata l’incapacità dimostrata in questi 20 anni di attuare la decentralizzazione secondo il Titolo V della Costituzione, riteniamo giusto e necessario procedere con l’autonomia regionale differenziata. Quella configurata dalla Costituzione, non quella rivendicata da Veneto e Lombardia. L’autonomia differenziata, secondo Costituzione, è la possibilità data alle Regioni, in virtù di circostanze “particolari” relative al loro territorio e alla loro comunità, di proporre appositi progetti e obiettivi per meglio soddisfare gli interessi pubblici e i bisogni dei propri cittadini.

Per la scuola i primi obiettivi dell’autonomia regionale differenziata dovrebbero essere l’attribuzione di una reale autonomia agli Istituti scolastici e l’unificazione dell’istruzione professionale statale con l’istruzione e la formazione professionale regionale.

Entro questa autonomia regionale diventerebbe possibile dare attuazione a quelli che ADi ha definito e regolamentato come Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale, istituti configurati in modo da poter finalmente sperimentare un’autonomia autentica e responsabile.

Il futuro: la grande incertezza, ma anche una speranza…

x10Non siamo tanto sciocchi e presuntuosi da azzardare previsioni per i prossimi 20 anni, in un momento in cui l’umanità sta vivendo rivoluzioni senza precedenti e tutte le nostre vecchie storie stanno andando in frantumi. Non ci è realisticamente permesso di costruire una nuova narrazione che prenda il posto delle vecchie, in un mondo scosso da tali inediti sconvolgimenti e radicali incertezze.

Sappiamo che, in un’era di difficile transizione, l’incapacità di delineare un nuovo futuro per il destino umano si accompagna ovunque a spinte per un ritorno al passato, come spesso capita quando le cose non funzionano più. Si impongono visioni nazionalistiche e religiose che privilegiano un gruppo umano su altri. Si alzano muri nel tentativo di restringere il flusso delle idee, delle merci e delle persone. L’immigrazione è out, i dazi sono in.

Ma oggi il genere umano ha di fronte a sé alcuni problemi comuni che si fanno beffa di tutti i confini nazionali e che possono essere risolti solo attraverso la cooperazione globale. Si pensi alla guerra nucleare, ai cambiamenti climatici e agli sconvolgimenti tecnologici. Non si possono costruire muri contro l’inverno nucleare o contro il riscaldamento globale, e nessuna nazione può da sola controllare l’Intelligenza Artificiale o la bioingegneria. Si tratta di problemi globali che nemmeno le grandi nazioni possono risolvere da sole.

E allora, in questo diffuso inverno della ragione, dobbiamo guardare con speranza ai giovani. Loro ci stanno indicando alcune priorità. Non sottovalutiamo il movimento che una sedicenne svedese ha saputo innescare in tutto il mondo. I Fridays for Future non sono una ragazzata, sono un monito, e per noi un richiamo a introdurre nella scuola un’educazione scientifica seria, che si connetta ai grandi problemi dell’umanità, che dia senso a ciò che si insegna.

Guardiamo ai giovani con fiducia e portiamo nella scuola la volontà e l’impegno di contribuire a costruire con loro e per loro un mondo migliore, con il cuore, con la mente e con le mani.

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