Portare il mondo del lavoro dentro la scuola per “ispirare il futuro”

SCUOLA, L’AUDACIA DI VOLARE ALTO - Bologna, 21-22 febbraio 2025

di Nick Chambers

Ho iniziato questo percorso perché ero un insegnante, e lo sono diventato perché anche mio padre lo era. Lui era davvero una fonte di ispirazione, io invece mi sono trovato a seguirne le orme, ma senza avere il suo stesso carisma. Ero un insegnante discreto, nella media. Non eccezionale, non il tipo che lascia il segno. Quello che però mi stava davvero a cuore era riuscire a ispirare i bambini. Un modo per farlo era portarli a incontrare persone capaci di trasmettere entusiasmo. Ed è proprio di questo che voglio parlarvi oggi.

Dato che questa mattina abbiamo iniziato parlando di “volare in alto”, ho pensato di mostrarvi un’immagine che riprende questo tema. Quindici anni fa abbiamo fondato la nostra organizzazione con l’obiettivo di far vedere ai giovani ciò che è possibile e di offrire loro l’occasione di incontrare persone capaci di ispirarli. Non avevo mai conosciuto Maggie prima d’ora, ma ho incontrato un altro vincitore del Global Teacher Prize e l’ho portato in una scuola: l’effetto sui bambini è stato sorprendente. Ascoltare qualcuno che ha vinto quel premio e che è stato riconosciuto a livello mondiale ha avuto un grande impatto su di loro.

Ho appena guardato il vostro video con interviste  agli studenti che raccontano le loro esperienze scolastiche. È stato straordinario sentire quanto i loro insegnanti abbiano inciso sulle loro vite. Per questo voglio fare i complimenti a quelle scuole e a quegli studenti: è stato emozionante ascoltare la testimonianza di quanto la scuola possa fare la differenza nelle vite dei bambini.

Oggi dividerò il mio intervento in due parti: una sui risultati delle nostre ricerche a proposito delle aspirazioni professionali di bambini e ragazzi e l’altra sulle azioni che possono fare le scuole.

Le nostre ricerche partono da una domanda: quali sono le aspirazioni dei giovani e chi influenza le loro scelte?

Quasi sette anni fa abbiamo fatto uno studio che ha coinvolto bambini di 19 Paesi. L’esercizio era molto semplice: chiedevamo loro di disegnare il lavoro che sognavano di fare e di spiegare il perché. Conoscevano qualcuno che svolgeva quel mestiere? I risultati sono stati molto interessanti.

Il punto chiave emerso da questa indagine, che abbiamo pubblicato, è che gli stereotipi sono presenti in tutti i Paesi. I bambini tendono a pensare ai lavori in base al genere, all’origine sociale o, in alcuni casi, all’etnia. Questi schemi sono molto radicati. Le aspirazioni professionali dei giovani sono risultate essere influenzate principalmente dalla famiglia e dalla televisione.

Solo pochissimi bambini hanno l’occasione di incontrare modelli di riferimento al di fuori della famiglia, e questo crea un grande divario tra le loro aspirazioni e i lavori realmente disponibili.

Nel Regno Unito, ad esempio, il mestiere più ambito dalle bambine era quello di insegnante. Non è sorprendente, visto che nelle scuole primarie la maggior parte degli insegnanti sono donne: è il modello che le bambine vedono ogni giorno. È quindi naturale che vogliano diventare insegnanti, e questo accade quasi ovunque. Per i maschi, invece, è lo sport.

Fig. 1 – Ricerca E&E nel Regno Unito

In Nuova Zelanda i risultati sono simili. Quando abbiamo chiesto chi influenzasse davvero le loro scelte, al primo posto sono emersi i familiari, seguiti dagli amici di famiglia. L’ambiente in cui si cresce condiziona fortemente le aspirazioni.

Abbiamo chiesto anche in che altro modo avessero sentito parlare di quei lavori. Le risposte più comuni sono state i personaggi famosi e la televisione. In fondo alla lista, con meno dello 0,5 per cento, c’erano le persone che entrano nelle scuole per parlare con i ragazzi. Abbiamo poi confrontato i sogni dei bambini con la reale distribuzione dei posti di lavoro. Si trattava solo di scuole primarie, e so bene che a quell’età non si parla di occupazione. Ma esiste un legame tra le aspirazioni precoci e i percorsi futuri.

Il grafico a bolle mostra la distanza tra i lavori disponibili e le aspirazioni dei ragazzi: c’è davvero poca sovrapposizione.

Di recente abbiamo svolto uno studio in Svezia. I disegni dei bambini erano magnifici: basta sedersi accanto a loro, chiedere loro di disegnare il lavoro che desiderano fare, e si ottengono immagini bellissime, a volte divertenti, ma anche toccanti e profonde.

Come molti di voi sanno, la Svezia è tra i Paesi che hanno i migliori esiti nella parità di genere. Di solito è al secondo o terzo posto, anche se in questa classifica era quinta. Vi chiedo: qual è secondo voi la professione più scelta dalle bambine in Svezia?

Tra le professioni in cima alla lista vi sono quella di infermiera, insegnante, ballerina, cantante, influencer… Ma la professione più scelta è parrucchiera.

Anche l’anno scorso la risposta era la stessa: parrucchiera. Nessuna scienziata, nessuna informatica. Abbiamo condotto indagini simili in altri Paesi e attualmente stiamo lavorando anche in Islanda. I risultati non sono molto diversi. Ci hanno sorpreso, e qualcuno è stato molto colpito.

In Irlanda del Nord, lo scorso mese, i risultati sono stati ancora una volta simili: in cima alla classifica dei lavori desiderati ci sono calciatore, insegnante e  parrucchiera.

Poi abbiamo confrontato queste aspirazioni con i dati reali del lavoro. Molti bambini vogliono un futuro nella cultura, nei media o nello sport, ma in questi settori c’è solo l’1 per cento dei posti disponibili. Al contrario, ci sono moltissime opportunità nell’ICT, nel cinema, nella cybersecurity e in altri campi, ma quasi nessun bambino aspira a quelle carriere. Non è colpa loro: semplicemente non le conoscono.

Come abbiamo detto, le loro principali fonti di influenza restano i genitori e la televisione. L’unico cambiamento significativo dal 2017 è stato l’arrivo dei social media, che hanno avuto un effetto dirompente e molto distorsivo. Le aspirazioni dei ragazzi oggi si basano soprattutto su chi conoscono, su chi vedono in TV o online. Questo influenza profondamente le loro scelte, e lo svantaggio socioeconomico amplifica ulteriormente il divario.

Le aspirazioni cambiano anche in base al luogo in cui si vive: chi cresce in una comunità rurale ha sogni diversi rispetto a chi vive in città. Questo vale qui come in tutto il mondo. Per questo abbiamo confrontato i lavori realmente disponibili con i desideri dei giovani.

Lo scorso anno abbiamo fatto una piccola indagine in tre scuole italiane.

In cima alle preferenze c’era lo sport, insieme al lavoro di chef e di medico. Si trattava però di un campione molto ristretto. Sarebbe interessante estenderlo su scala più ampia. Anche in questo caso, comunque, sono emerse differenze legate al territorio.

Ecco alcuni dei disegni raccolti.

Il primo dice: “Voglio diventare insegnante. Perché? Per il mio insegnante”.

Questi disegni sono bellissimi, trasmettono speranza, aspirazioni e immaginazione. Ci sono anche alcune bambine che hanno disegnato sé stesse come calciatrici, e questo fa piacere.

In alcuni Paesi abbiamo esposto i disegni dei bambini  su pannelli o in gallerie d’arte, e potremmo farlo anche qui. Il mio preferito resta quello dello chef: in una città non può mancare uno chef.

Qualcuno potrebbe chiedersi: perché tutto questo è importante? Si tratta solo di bambini della primaria, e naturalmente le cose cambiano con il tempo. A quell’età conta soprattutto coltivare l’amore per l’apprendimento, la curiosità, l’interesse per le materie, i valori e le idee. Non si tratta ancora di lavoro.

Eppure è importante, perché le aspirazioni dei bambini di sette anni sono spesso simili a quelle che avranno a diciassette. Le aspirazioni si formano presto e, una volta cresciuti, è difficile cambiarle.

Il nostro compito è quindi ampliare gli orizzonti dei bambini fin da piccoli e stimolarli. Qualcuno prima ha parlato dell’importanza di rendere l’apprendimento coinvolgente ed entusiasmante, perché è questo che porta al miglioramento. Chi cresce in un quartiere benestante, tende ad avere aspettative più alte e amore per lo studio. Invece, chi vive in una comunità molto svantaggiata, dove magari le persone non hanno mai studiato per generazioni, spesso fatica a trovare motivazione e aspirazione.

Gran parte del nostro discorso ruota attorno a questo: motivazione e aspirazione.

Questo grafico del World Economic Forum mostra in arancione chiaro le aspirazioni dei bambini di sette anni, in arancione scuro quelle dei diciassettenni, in grigio i lavori reali. L’andamento è chiaro: ciò a cui si aspira a sette anni tende a restare.

Anche quei numeri confermano che le prospettive dei bambini e dei giovani sono molto limitate: si concentrano su lavori tradizionali e sono ancora fortemente segnate dal genere.

Otto anni fa abbiamo realizzato anche un piccolo video. Abbiamo coinvolto due classi e abbiamo chiesto ai bambini di disegnare persone che svolgono tre lavori, quello di pompiere, di chirurgo e di pilota.

Abbiamo fatto questo in Inghilterra, in Danimarca e ora è stato fatto anche in Italia, e la presidente, Mimma Siniscalco, vi mostrerà la versione italiana.

Il film realizzato da ADi è davvero straordinario. Verrà diffuso pubblicamente la prossima settimana, in occasione della Giornata internazionale della donna, e mi auguro che abbia grande risonanza in tutta Italia.

Tornando a noi, ci occupiamo dell’impatto che gli incontri con persone del mondo del lavoro hanno sulla mobilità sociale, le aspirazioni, il superamento degli stereotipi, la motivazione, riducendo il rischio di disoccupazione e migliorando le conoscenze dei giovani.

Su questo tema esistono molte ricerche. Abbiamo anche una vasta biblioteca digitale che si può consultare per argomenti specifici.

Se siete interessati, potete visitare il nostro sito e trovare i nostri rapporti, altri studi, i documenti dell’OCSE, tutti centrati sul rapporto tra scuola, aspirazioni di bambini e ragazzi e mondo del lavoro.

Passo ora alla seconda parte del mio intervento, sulle azioni che possono svolgere le scuole.

Che cosa si può fare di semplice e veloce che abbia davvero un impatto? Penso sia importante il principio del “you cannot be what you cannot see”, “non puoi essere ciò che non puoi vedere”. Le occasioni di incontro hanno un valore enorme.

Dobbiamo offrire ai bambini più opportunità di quelle che normalmente avrebbero nelle loro comunità, cioè di ampliare le loro occasioni di incontrare professionisti diversi.

Quando insegnavo, mettere in contatto i miei studenti con persone del mondo del lavoro mi è stato molto utile. Mi permetteva di ispirare i ragazzi e di mostrare perché le materie che insegnavo, come scienza e tecnologia, fossero importanti. Quegli incontri davano vita alle lezioni. Mostravano anche aspetti delle professioni che io stesso non conoscevo. Del mondo del lavoro sapevo poco, al di là dell’insegnamento. Invitando persone esterne, invece, i ragazzi potevano scoprire direttamente nuovi ambiti.

E oggi possiamo anche sfruttare la tecnologia. La usiamo per prenotare voli, fissare incontri, scegliere ristoranti. Allora, come possiamo usarla per ampliare davvero la prospettiva dei bambini? Non con un video statico, ma con esperienze di interazione reale.

Abbiamo iniziato nel Regno Unito con una tecnologia molto semplice. Fa una sola cosa: mette in contatto le persone. Dietro il sistema c’è una struttura complessa, ma per l’utente è tutto immediato. In sostanza, connette domanda di incontrare professionisti e offerta di professionisti volontari disponibili a incontrare gli studenti.

Per circa 14 anni abbiamo lavorato per creare un sistema estremamente semplice da usare per gli insegnanti.

Il sistema funziona come lo shopping online. Cerchi un cappotto di un certo colore o tessuto, lo selezioni, lo aggiungi al carrello e confermi. Qui è lo stesso, ma al posto dei cappotti ci sono volontari del mondo del lavoro. Gli insegnanti possono cercare tra decine di migliaia di persone, in Inghilterra e ora anche in altri Paesi. Si entra nella piattaforma, si fa una ricerca in base alla materia insegnata, e si trovano i profili corrispondenti.

La differenza più grande questi incontri la fanno nelle scuole che prima non avevano queste opportunità. Soprattutto nei contesti svantaggiati, sia nella scuola primaria che secondaria.

Finora abbiamo raggiunto circa 5 milioni di interazioni. A breve lanceremo il progetto anche in Islanda. La situazione lì è particolare: gran parte del Paese è rurale. Si è visto che le aspirazioni dei giovani di Reykjavik sono molto diverse da quelle delle comunità rurali. Ma perché i ragazzi di queste zone dovrebbero avere meno opportunità? Perché non dovrebbero avere accesso a un’ampia gamma di modelli di riferimento? La tecnologia può garantire che, ovunque vivano, abbiano le stesse opportunità di incontro e confronto. Non c’è motivo per cui tutto debba ruotare intorno alla capitale. Questo è l’approccio che stiamo seguendo.

Come insegnante puoi entrare nella piattaforma e cercare per settore, materia, lingua e altre opzioni.

Se si è interessati, ad esempio, all’ingegneria o al design, si può selezionare il settore aerospaziale. Oppure si può cercare qualcuno che parli cantonese. Funziona come una lista della spesa: scegli i criteri e appaiono i profili corrispondenti.

Si possono poi aprire i profili, leggerli e decidere. Se sembrano utili e adatti a ispirare i propri studenti, si preme “invita”. Se non lo sono, semplicemente non si invita. È davvero semplice.

Organizziamo anche campagne nazionali su temi specifici. Per esempio, una campagna dedicata all’aviazione, con circa mille professionisti del settore in tutti i ruoli possibili.

Ci sono persone che costruiscono il futuro con il loro lavoro, ma anche artigiani: stuccatori, pittori, restauratori, rilegatori, e molti altri. L’obiettivo è motivare, stimolare aspirazioni, rompere stereotipi che restano radicati. Si tratta di accendere l’immaginazione dei bambini, di far capire loro che il mondo è molto più vasto di quanto possano immaginare.

Nelle scuole primarie proponiamo un gioco a indovinelli. I bambini devono capire quale lavoro svolge una persona. A volte questo avviene in presenza, altre volte in forma virtuale.

La settimana scorsa, in Irlanda del Nord, abbiamo avuto una scienziata spaziale svizzera che progetta razzi. All’inizio appariva con uno sfondo normale, poi  – dopo che i bambini le hanno fatto domande per cercare di indovinare il suo lavoro – ha mostrato i razzi e le attrezzature della NASA. Eppure era una persona proveniente dalla stessa località dei bambini. L’idea è molto semplice e gli insegnanti la possono usare con facilità.

Per i ragazzi un po’ più grandi organizziamo invece delle conversazioni in classe. Non servono preparazioni complesse né da parte degli insegnanti né da parte dei volontari. Basta un tavolo, un gruppo di alunni e un ospite che risponde alle loro domande.

Sono i bambini a guidare le domande e a condurre la conversazione.

Abbiamo già accennato agli incontri online: si può organizzare facilmente, è possibile collegarsi con chiunque, ovunque, solo rispettando i fusi orari.

Il vero potere del virtuale è questo: dare ai ragazzi l’opportunità di andare oltre la famiglia, la comunità o quello che vedono sui social. È un cambiamento rivoluzionario.

E accanto alle esperienze virtuali ci sono anche incontri più tradizionali, che restano comunque importanti.

Il messaggio in sintesi è che dobbiamo rivoluzionare le possibilità di incontri dei bambini con il mondo del lavoro, ampliando le loro aspirazioni. Le ricerche dimostrano che la famiglia ha un ruolo centrale, e non c’è nulla di negativo in questo. Anch’io sono diventato insegnante seguendo l’esempio di mio padre.

Ma sappiamo che il contesto familiare può essere limitante, soprattutto in contesti svantaggiati. E con l’avanzata dei social media, tanti ragazzi sognano di diventare Youtuber o influencer.

Un modo per contrastare questa tendenza è offrire ai bambini la possibilità di incontrare, parlare e confrontarsi con molte persone diverse. Non dobbiamo porre limiti. La tecnologia ci permette di mostrare ai giovani il futuro.

 

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ADi