Il desiderio degli adolescenti di contare – Daniela Marzana

SCUOLA, L’AUDACIA DI VOLARE ALTO - Bologna, 21-22 febbraio 2025

Faccio parte del gruppo di lavoro dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e oggi vi racconto in anteprima una parte del nostro prossimo rapporto, che ha a che fare con uno dei temi proposti quest’anno da Generazione Z.

L’Istituto Toniolo e l’Osservatorio giovani

L’Istituto Toniolo è un ente storico molto importante, è l’ente fondatore dell’Università Cattolica, e ha una sua propria natura nella ricerca e soprattutto nel lavoro di prossimità coi territori.

Nel 2012 è stata fatta la prima rilevazione nazionale sui giovani, su una fascia d’età che va dai 18 ai 34 anni, il giovane adulto, e poco dopo è stato fondato l’Osservatorio. Si è deciso di andare oltre quella prima rileva zione, di costituire proprio un osservatorio permanente sul mondo del giovane adulto, che potesse seguirne annualmente le varie evoluzioni. Alcune tematiche ritornano, che seguiamo nel tempo, come – per citarne una – quella del mondo del lavoro, giovani al lavoro o giovani e partecipazione. Ci sono insomma tematiche più presenti, ma ci sono anche approfondimenti specifici per ogni anno. È un patrimonio ricco di informazione ed anche l’unico oggi. Ce n’erano altri in passato in Italia e adesso quello dell’Istituto Toniolo è rimasto l’unico osservatorio nazionale che presenta una documentazione aggiornata ogni anno sul mondo giovanile.

Generazione Z e Positive Youth Development

Qualche tempo dopo la prima rilevazione, ma siamo ormai al sesto anno, è stata avviata la ricerca sui fratelli minori dei giovani di 18-34 anni, noi li chiamiamo così, quindi sugli adolescenti, che è quella che viene nominata Generazione Z. Ogni anno viene presentato il lavoro con i dati aggiornati e le tematiche nuove che si scelgono di volta in volta, e quindi Generazione Z ci consente proprio di entrare più nel vivo del mondo giovanile. Proverò a portarvi la voce dei giovani, nel senso che una delle dimensioni che caratterizza il lavoro sia di Generazione Z che del rapporto giovani è quella di dare la parola ai giovani.

Noi ci limitiamo a raccogliere, attraverso dati sia qualitativi che quantitativi, la loro voce, con l’idea proprio di non parlare di loro, ma parlare con loro e poter avviare una riflessione su quello che percepiscono, che sentono, che vivono; quindi, una fotografia a partire da quanto dicono, non da ciò che il mondo adulto legge, che delle volte è corretto e adeguato, ma che rischia anche di allontanarsi dalla reale percezione dei giovani.

Un’altra importante informazione di premessa, è che nella scelta di fondo dello sguardo da adottare in Generazione Z, la nostra decisione è stata quella di partire da un modello, un modello americano molto famoso nella letteratura sul mondo adolescenziale, che è il Positive Youth Development.

Al di là dello specifico modello sul quale non mi addentro, mi sembra interessante sottolineare che è una prospettiva che tende a guardare il mondo adolescenziale puntando su punti di forza e risorse. Nella storia, soprattutto della psicologia, il mondo adolescenziale è sempre guardato per tutto quello che non va, quindi tutte le devianze, tutti i deficit, tutte le problematiche, e quindi è una scelta di campo importante che consente ovviamente anche di evidenziare questioni problematiche o critiche, però avendo molto in mente che c’è tutto un corpus di risorse, alcune già presenti, altre da attivare, che meritano di essere guardate e di essere utilizzate come lente per lo sviluppo migliorativo degli adolescenti, perché altrimenti il rischio è che l’adolescenza ad un certo punto sembri quasi una malattia. Ora, è vero che è una fase problematica, non possiamo esimerci dal riconoscerlo, che ha tutta una serie di criticità, ma non è una malattia, non è un problema di per sé, e quindi mi sembra interessante avere in mente che il Positive Youth Development è la prospettiva da cui guardiamo gli adolescenti, e con la quale scegliamo le misure da utilizzare o la lettura dei dati che poi raccogliamo.

Il “Mattering”

Il tema specifico che vi porto oggi ha a che fare con un concetto che è stato sviluppato soprattutto nella letteratura nordamericana, che è il sense of mattering, quindi in italiano potremmo tradurlo con l’idea del contare, anche se spesso si preferisce lasciare il termine inglese, perché è più noto, e perché in italiano non c’è proprio un termine specifico, ma ha a che fare con il contare, con il sentirsi valorizzati, con l’essere riconosciuti. Credo che tutti e tre questi termini italiani possano rendere il mattering, un concetto che in letteratura si conosce più o meno dall’inizio degli anni Ottanta e che partiva proprio dall’idea di analizzare che tipo di effetti ha la percezione di essere significativi per gli altri.

Chiaramente ha a che fare con un bisogno universale, umano, però le ricerche ci dicono che sicuramente nella fascia d’età adolescenziale è davvero un costrutto centrale perché consente di migliorare, come dirò tra poco, la costruzione dell’autostima e la definizione dell’identità. Sentire di avere valore poi aiuta anche ad orientarsi, a capire che cosa mi piace, a definire meglio chi sono e chi voglio essere, quindi ha un impatto veramente molto importante nella costruzione di sé e arriviamo addirittura a dire, – questo è un contributo più recente, del 2022 –  che forse non è soltanto un desiderio, il mattering, non è soltanto qualcosa da sviluppare, ma in questo momento lo identifichiamo proprio come un bisogno psicologico di base, quindi qualcosa da cui non si dovrebbe prescindere. Sentirsi apprezzati e riconosciuti è essenziale per lo sviluppo e contribuisce anche ad arginare o contrastare gli effetti negativi del non contare, quali il ritiro sociale e la depressione. Non è lo specifico del mio intervento di oggi ma sappiamo, senza tornare all’idea di adolescenza come malattia, che nell’area dell’adolescenza c’è davvero un tema di depressione e ritiro sociale molto importante, che riguarda soprattutto questa generazione, con la pandemia e tutte le questioni anche socio-strutturali che conosciamo.

Quando parliamo di mattering e quindi di contare in adolescenza, la scuola – che ci piaccia o no – è chiamata in causa perché rappresenta l’ambiente chiave per gli adolescenti, è proprio il luogo dove sentono di potersi affermare, di poter essere riconosciuti, insieme alla famiglia rappresenta l’ambiente evolutivo e di sviluppo.

Spesso, tra l’altro, per alcune situazioni, la scuola non è solo accanto alla famiglia ma a volte è in alternativa alla famiglia e quindi diventa veramente il luogo centrale.

L’altra cosa che la letteratura evidenzia è che la percezione di contare sembra avere un’incidenza anche diretta sui risultati scolastici: nel momento in cui migliora la capacità relazionale del docente, migliorano i risultati. Quindi il mattering ha a che fare anche con la competenza relazionale, quella di poter riconoscere chi abbiamo davanti nel suo valore, con i suoi aspetti positivi.

Inoltre, le interazioni significative tra studenti e insegnanti sono fondamentali anche per costruire importanza e senso di appartenenza.

Quindi il mattering, ormai la letteratura lo ha documentato abbastanza, è molto importante sia rispetto ai bisogni psicologici – quindi sviluppo, costruzione di identità, autostima – sia più tecnicamente rispetto alla performance e ai i risultati scolastici. Quindi andiamo a lavorare sui due esiti principali della scuola: la formazione umana e quella tecnica e di contenuto.

L'”anti-mattering”

Parlare di mattering, quindi di contare, ci impone però di parlare anche del suo contrario, cioè l’anti-mattering. Infatti, nella rilevazione di cui adesso vi presenterò i dati, noi abbiamo analizzato entrambe queste variabili. Abbiamo fatto delle domande per ricavare sia quanto i giovani, gli adolescenti, sentono di contare, soprattutto a scuola, sia quanto sentono di non contare, soprattutto nella società.

Il mattering lo abbiamo rilevato soprattutto a scuola, perché è a quell’età che può essere maggiormente sviluppato, ma è altrettanto importante sottolineare quale percezione di non contare i ragazzi sviluppano a scuola, ma anche nel contesto più allargato, di comunità, società, nel contesto di vita.

L’anti-mattering è caratterizzato dalla percezione di essere invisibile e non ascoltati. Molti adolescenti parlano di questa percezione di senso di esclusione che gli viene dalla vita, da esperienze di emarginazione, e l’impatto sulla salute mentale è purtroppo molto alto. Da qui deriva una serie di conseguenze sul piano dell’umore, le dimensioni depressive che citavamo, e in generale una maggiore vulnerabilità a quelle che sono le patologie psicologiche. Non dimentichiamo che l’età adolescenziale è anche l’età dell’esordio di alcune patologie, anche di ordine psichiatrico.

Questo lo sottolineo, perché tra l’altro si è anticipata l’età di esordio delle malattie psichiatriche, che prima si collocava oltre i 18 anni, tra i 18 e i 21, mentre le ultime statistiche parlano di 16-18.

Le conseguenze ovviamente non sono solo sulla salute mentale, sono anche emotive e sociali.

Parliamo per esempio di problemi di regolazione emotiva, che hanno a che fare con la possibilità di reggere e sostenere stress quotidiani, non necessariamente straordinari, ma ad esempio la verifica è andata male o l’amico con cui ho litigato, e quanto questo possa diventare fattore di sregolazione emotiva. E poi il ritiro sociale e l’isolamento, che di per sé non è necessariamente già un sintomo di depressione o di disturbo patologico, ma sicuramente è un elemento chiave che ci dice di una conseguenza emotiva e sociale del non sentirsi adeguati, perché poi non contare vuol dire non sentirsi adeguati. Tutto questo ovviamente ha delle implicazioni ancora maggiori su una questione più generale di giustizia sociale e di equità.

Non entro nello specifico del tema, ma è molto importante avere in mente che la percezione di contare o di non contare non è uguale per tutti, è diversa. Aumenta quella di non contare e diminuisce quella di contare quando parliamo di gruppi di giovani in condizioni di svantaggio, che siano economici, che siano culturali, che si tratti di situazioni di scuole, magari in quartieri più disagiati o di famiglie che presentano problemi economico-sociali. Questo è un punto da avere in mente, perché non c’è giustizia sociale rispetto a come ci si sente di contare anche a scuola – senz’altro nella società che è ancora molto marcata da queste disuguaglianze – ma anche a scuola.

La ricerca – i dati del questionario

La ricerca di cui intendo parlarvi, e di cui vi presento qualche dato, è una ricerca più ampia su molte tematiche, io mi soffermerò solo su questa del contare.

Alcune domande sono più specifiche, le prime due sono: quanto gli adolescenti sentono di contare a scuola e nel contesto societario o quanto non sentano di contare, quindi mattering e antimattering. Poi, come facciamo abitualmente con ‘Generazione Z’, tutti i costrutti oggetto di analisi vengono declinati rispetto ad alcune variabili strutturali, che sono il genere, l’età, l’istituto frequentato e la collocazione geografica nel nostro Paese. E poi, c’è un approfondimento qualitativo, perché abbiamo provato attraverso dei focus group a chiedere in che modo cercano di contare e che tipo di difficoltà incontrano, quindi abbiamo una dimensione più narrativa, perché i questionari sono interessanti, ci danno tanti dati utili, ma non ci permettono di entrare nel vivo delle percezioni.

I dati, quindi, sono sia quantitativi che qualitativi. Abbiamo 48 adolescenti che hanno partecipato ai focus group, di età compresa tra i 14 e i 19 anni, e 800 adolescenti che hanno compilato il questionario. Il questionario IPSOS è partner del Toniolo e quello che rende questa rilevazione interessante è la sua rappresentatività statistica; quindi, parliamo di dati che dovrebbero essere una fotografia affidabile del Paese, proprio perché il campione è rappresentativo per età, per genere, per provenienza e per tipo di scuola.

 

I dati quantitativi ci dicono intanto un dato generale, “contiamo abbastanza, ma non molto”, questo è quello che dicono gli adolescenti. Non hanno dei punteggi bassissimi, ma neanche alti, stanno lì sulla metà, non vi ho riportato il grafico perché era solo un numero, però ci dice che hanno un punteggio intermedio di mattering e ne hanno uno medio-basso, sull’anti-mattering, quindi “contiamo, ma non così tanto”, perché sentono di contare mediamente e di non contare abbastanza e su questo, per esempio, non c’è differenza fra maschi e femmine, sentono di contare e non contare allo stesso modo. Questo mi sembra un dato significativo, ho pensato che abbia a che fare con un dato generazionale, quindi non tanto di genere, e neanche di tipo di scuola, ve lo anticipo; sembra proprio più un dato generazionale. Abbiamo una differenza lieve, ma statisticamente significativa, quindi interessante, sul piano dell’età che ci dice che i ragazzi e le ragazze più piccoli (14 anni) si sentono maggiormente valorizzati nel loro contesto scolastico di quelli più grandi.

Poco cambia il tipo di scuola frequentato, non è significativo statisticamente, quindi non ve l’ho riportato, c’è una lieve differenza rispetto non tanto alla regione ma alla zona d’Italia, ma neanche questa è altissima, però c’è una piccola differenza che mette il sud e le isole in una posizione di vantaggio rispetto a questa possibilità di contare, di valorizzare rispetto al nord o al centro.

La ricerca – i risultati dei focus group

Per quanto riguarda i focus group, abbiamo identificato tre tematiche generali, a partire dalla trascrizione di tutti i focus e quindi di un corpus narrativo importante. Le tre tematiche sono l’anti-mattering societario, quindi che cosa fa sì che i giovani non si sentano di contare nella società, il secondo tema è quali barriere psicologiche sentono alla partecipazione e quindi alla possibilità di essere visibili, e il terzo grande tema è la proposta di un mattering quotidiano, noi lo abbiamo ricodificato così, cioè parlano di qualcosa che ha a che fare non con grandi significati, ma con piccoli cambiamenti quotidiani. Ognuno di questi grandi temi poi ha dei sottotemi che vedete nella tabella, io però vi ho riportato il nucleo centrale, e rimandiamo a “Generazione Z” il dettaglio dei dati di questi tre grandi temi.

Il primo tema allora è l’anti-mattering della società. I giovani si sentono spesso ignorati, sottovalutati e considerati irrilevanti – sono parole forti – non solo dalla politica, di cui siamo abbastanza consapevoli, ma anche dagli adulti e dalle istituzioni in generale. Sentono un anti-mattering sociale, una società che – attraverso la politica, ma anche attraverso gli adulti e le istituzioni – non li riconosce, se non addirittura li denigra. Non è, cioè, solo non riconoscerli, ma proprio non ritenerli all’altezza. Qualcuno dice: “Sembra che per gli adulti noi non abbiamo niente da offrire. Pensano che non capiamo nulla e che le nostre opinioni non contano. È frustrante sentirsi sempre giudicati così.”, e via dicendo, non ve le leggo tutte, ma sono tutte di questo tenore.

L’altra grande area tematica è quella delle barriere psicologiche alla partecipazione. Gianluca Argentin ci ha parlato di autoefficacia dei docenti, qui parliamo anche di autoefficacia degli studenti, degli adolescenti, perché uno dei temi principali è la sensazione di inefficacia, che porta a non partecipare, a non coinvolgersi. “Certe volte pensi che anche se fai qualcosa, non cambierà niente. C’è una specie di senso di impotenza che ti fa sentire inutile, anche se provi a fare del tuo meglio”, e questo è vissuto come una barriera psicologica al provarci, vale per la partecipazione più in generale, ma vale anche per la partecipazione scolastica, per il tentare di migliorare, e porta al timore di impegnarsi. Le parole che abbiamo raccolto parlano meglio di quanto possa fare io: “Gli adulti si aspettano che cambiamo il mondo, che facciamo tutto perfettamente, ma è troppo. A volte le aspettative sono così alte che non ci provi nemmeno perché hai paura di non farcela”.

Genitori e insegnanti qui, lo dico anche da genitore, si sentono molto chiamati in causa. Quanto deleghiamo, senza poi offrire reali opportunità, ma chiedendo delle dimensioni che vanno veramente oltre la possibilità di sentirsi adeguati? Lascio questa domanda come riflessione.

E l’ultimo tema è il mattering quotidiano. Giovani ragazzi e ragazze vogliono tentare di contare attraverso un impegno quotidiano, impegno di volontariato, piccoli gesti, proprio per smorzare quell’aspettativa di cambiamento del mondo. “Vorrei che ci ascoltassero non solo quando succede qualcosa di grave, ma anche nel quotidiano, nelle piccole cose. Spesso ti senti preso in considerazione solo quando c’è un problema serio”, ”Alla fine, quello che vogliamo è sentirci parte di qualcosa di più grande, sentirci utili. Vogliamo essere visti per quello che possiamo dare, non solo per quello che facciamo a scuola”, dice un altro.

Conclusioni

Concludo dicendovi che c’è un ruolo molto importante della scuola nella promozione del mattering, un ruolo che già riveste ampiamente, ma che può ancora di più essere implementato, proprio perché è il luogo dove si può costruire identità e creare relazioni significative. Soprattutto – questo mi sembra l’elemento forse più nuovo – la possibilità di promuovere attraverso la scuola la partecipazione alle attività extrascolastiche, tenendo conto di quanto queste abbiano effetti sul benessere degli studenti. In generale abbiamo molte evidenze, anche internazionali, che ci dicono che le attività extracurriculari sono importanti per rafforzare il senso di mattering, perché vanno al di là della dimensione della scuola, in senso stretto. Posso avere cinque in una materia, ma contare molto nel mostrare sensibilità su altri ambiti extra-scolastici e quindi questo è un campo che, purtroppo, con l’assottigliarsi sempre di più della società civile, tocca sempre di più alla scuola che deve fare da ponte.

ADi