ADi: ANALISI E COMMENTO DEL PNRR PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

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PRESENTAZIONE

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Il Presidente Mario Draghi ha concluso la sua presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, PNRR, in Parlamento il 26/04/21 con queste parole:

Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano. Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità e gli interessi costituiti. Questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità.”

Ebbene è esattamente nel solco di queste parole, con questo spirito di servizio, che abbiamo esaminato il Piano e a questo Piano, per quel che ci compete, intendiamo apportare il nostro contributo, non senza un’analisi critica, anche molto critica, di alcune parti che a nostro avviso non sono tali da condurre agli obiettivi prefigurati.

Il PNRR è articolato in progetti di investimento e in riforme. Se è vero che gli investimenti sono già definiti, è altrettanto vero che le riforme sono in grandissima misura da costruire. E “l’accento sulle riforme è fondamentale”, come ha sottolineato lo stesso Presidente, perché in assenza di riforme la possibilità di praticare gli investimenti sarà fortemente compromessa. E allora sarà proprio sulle riforme che concentreremo la nostra attenzione.

Per quanto riguarda l’istruzione, le riforme delineate dal PNRR si intrecciano con le Linee Programmatiche del Ministero dell’istruzione esposte dal Ministro Patrizio Bianchi alle Commissioni VII di Camera e Senato congiunte il 4 maggio 2021, di cui occorrerà tenere conto.

Il documento ADi qui presentato è così articolato:

  1. brevissima sintesi dell’impostazione generale del PNRR
  2. descrizione sintetica della “Missione” n.4, Istruzione e Ricerca;
  3. analisi critica dei contenuti della Missione n.4 in connessione con le Linee Programmatiche del MI;
  4. alcune nostre proposte in merito alle riforme della Missione n.4, frutto di elaborazioni costruite negli anni anche attraverso comparazioni a livello europeo, e più in generale internazionale.

Descrizione sintetica del PNRR

IMPOSTAZIONE E OBIETTIVI GENERALI DEL PNRR

occhio

L’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del Next Generation EU (NGEU), il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU). Il solo RRF garantisce risorse per € 191,5 mld, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. L’Italia intende inoltre utilizzare appieno la propria capacità di finanziamento tramite i prestiti della RRF, che per il nostro Paese è stimata in 122,6 miliardi.

Con queste risorse il rilancio dell’Italia delineato dal Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo:

  1. digitalizzazione e innovazione,
  2. transizione ecologica,
  3. inclusione sociale.

L’allocazione delle risorse ai 3 assi strategici è indicata sotto in termini percentuali sul totale RRF

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Sono poi indicate tre priorità da considerare come obiettivi trasversali in tutte le componenti del PNRR; esse sono:

  1. parità di genere,
  2. protezione e valorizzazione dei giovani,
  3. superamento dei divari territoriali.

Il Piano poggia su   4 grandi riforme, fisco, giustizia, pubblica amministrazione e concorrenza.

La riforma della Pubblica Amministrazione, che è quella che più ci interessa, si muove su quattro assi principali:

  1. Accesso, per snellire e rendere più efficaci le procedure di selezione e reclutamento e favorire il ricambio generazionale;
  2. Buona amministrazione, per semplificare norme e procedure;
  3. Competenze, per allineare conoscenze e capacità organizzative alle nuove esigenze del mondo del lavoro e di una amministrazione moderna;
  4. Digitalizzazione, quale strumento trasversale per realizzare queste riforme.

Il PNRR è articolato in 6 missioni, ciascuna di esse contiene riforme e investimenti

Nella tabella sotto sono indicate le 6 missioni e le relative risorse:

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Ci occuperemo in particolare della 4^ missione, Istruzione e ricerca.

***

LA 4^ MISSIONE “ISTRUZIONE E RICERCA”

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La 4^ Missione Istruzione e Ricerca vede allocati complessivi € 30,88 mld ed è suddivisa in 2 componenti:

  1. M4C1 – Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università per 19,4 mld
  1. M4C2- Dalla ricerca all’impresa per 11,44 mld

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Le criticità

Sono messe preliminarmente in evidenza tutte le criticità esistenti, così indicate:

  1. Carenze strutturali nell’offerta di servizi di educazione e istruzione primarie ( carenza dei servizi per l’infanzia in particolare nidi d’infanzia, ridotto tempo pieno alla scuola primaria)
  2. Gap nelle competenze di base, alto tasso di abbandono scolastico e divari territoriali. Il tasso di abbandono scolastico raggiunge il 3,8% nelle scuole secondarie di 1° grado, dove è fortemente correlato alle condizioni socioeconomiche ed aumenta considerevolmente nei cicli di istruzione successiva. La percentuale di giovani compresi tra 18 e 24 anni che hanno un livello di istruzione non superiore a quello secondario di primo grado è, in Italia, del 14,5% rispetto alla media europea del 10%. Gli studenti italiani di 15 anni si collocano al di sotto della media OCSE in lettura, matematica e scienze.
  3. Bassa percentuale di adulti con un titolo di studio terziario. La percentuale di popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio di livello terziario è pari al 28% rispetto alla media del 44% nei paesi OCSE.
  4. Skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro. Circa il 33% delle imprese italiane lamentano difficoltà di reclutamento, mentre sono il 31% i giovani fino a 24 anni che non hanno un’occupazione ma la cercano. Allo stesso tempo, solo l’1,7% degli studenti terziari si iscrive a corsi di istruzione professionalizzante (ITS), che pure hanno prodotto in anni recenti esiti occupazionali significativi (più di 80% di occupati a un anno dal diploma)
  5. Basso livello di spesa in Ricerca e Sviluppo
  6. Basso numero di ricercatori e perdita di talenti
  7. Ridotta domanda d’innovazione
  8. Limitata integrazione dei risultati della ricerca nel sistema produttivo

***

LA COMPONENTE M4C1
DAGLI ASILI NIDO ALLE UNIVERSITÀ

Delle due componenti che costituiscono questa 4^ missione, ci occuperemo esclusivamente della prima, Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università.

Questa componente, a sua volta, prevede 4 ambiti di intervento, ciascun ambito definito da riforme e investimenti

I 4 ambiti di intervento della 1^ componente

  1. Miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi di istruzione e formazione
  1. “Miglioramento del reclutamento e formazione degli insegnanti
  1. Ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture
  1. Riforma e potenziamento dei dottorati
1° AMBITO
Miglioramento servizi di istruzione e formazione: 10,57 mld
RIFORME
Riforma 1.1: Riforma degli istituti tecnici e professionali

La riforma, implementata dal Ministero dell’Istruzione, mira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda del tessuto produttivo del Paese. In particolar modo, orienta il modello di istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta da Industria 4.0, incardinandolo altresì nel rinnovato contesto dell’innovazione digitale.

La riforma coinvolge 4.324 Istituti Tecnici e professionali e il sistema di istruzione e formazione professionale e sarà implementata attraverso l’adozione di apposite norme.

Riforma 1.2: Riforma del sistema ITS
La riforma rafforza il sistema degli ITS attraverso il potenziamento del modello organizzativo e didattico (integrazione offerta formativa, introduzione di premialità e ampliamento dei percorsi per lo sviluppo di competenze tecnologiche abilitanti – Impresa 4.0), il consolidamento degli ITS nel sistema ordinamentale dell’Istruzione terziaria professionalizzante. Inoltre, integrazione dei percorsi ITS con il sistema universitario delle lauree professionalizzanti. Si farà riferimento al “modello Emilia Romagna” dove collaborano scuole, università’ e imprese. La riforma sarà implementata dal Ministero dell’Istruzione con la collaborazione del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Riforma 1.3: Riforma dell’organizzazione del sistema scolastico

Fornire soluzioni a due tematiche in particolare: 1) la riduzione del numero degli alunni per classe e 2) il dimensionamento della rete scolastica. In tale ottica si pone il superamento dell’identità tra classe demografica e aula, soprattutto per affrontare situazioni complesse come, ad esempio, le problematiche scolastiche nelle aree di montagna, nelle aree interne e nelle scuole di vallata.

Il processo normativo sarà avviato dal Ministero dell’istruzione e concluso nel 2021.

Riforma 1.4: Riforma del sistema di Orientamento
L’intervento normativo introduce moduli di orientamento formativo – da ricomprendersi all’interno del curriculum complessivo annuale – rivolti alle classi quarte e quinte della scuola secondaria di II grado, al fine di accompagnare gli studenti nella scelta consapevole di prosecuzione del percorso di studi o di ulteriore formazione professionalizzante (ITS), propedeutica all’inserimento nel mondo del lavoro. La riforma sarà implementata attraverso l’introduzione di moduli di orientamento – circa 30 ore annue – nella scuola secondaria di primo e secondo grado, al fine di incentivare l’innalzamento dei livelli di istruzione e la realizzazione di una piattaforma digitale di orientamento, relativa all’offerta formativa terziaria degli Atenei e degli Istituti di formazione professionale (ITS). Infine, verrà ampliata la sperimentazione dei licei e tecnici quadriennali, che attualmente vede coinvolte 100 classi in altrettante scuole su territorio nazionale e che si intende portare a 1000.
Riforma 1.5: Riforma delle classi di laurea

Le nuove sfide poste dalla modernità richiedono, oltre alla specializzazione, conoscenze sempre più ampie. Per questa ragione occorre mantenere una apertura nei primi tre anni di università per abbracciare il sapere in modo più ampio e consentirne una specializzazione durante le lauree magistrali (MSc) o i dottorati (PhD). A questo proposito, occorre allargare i settori disciplinari e congiuntamente consentire la flessibilità nella programmazione dei singoli corsi di laurea triennali.

La riforma prevede l’aggiornamento della disciplina per la costruzione degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea. L’obiettivo è rimuovere i vincoli nella definizione dei crediti formativi da assegnare ai diversi ambiti disciplinari, per consentire la costruzione di ordinamenti didattici che rafforzino le competenze multidisciplinari, sulle tecnologie digitali ed in campo ambientale oltre alla costruzione di soft skills. La riforma inoltre amplierà le classi di laurea professionalizzanti, facilitando l’accesso all’istruzione universitaria per gli studenti provenienti dagli studenti dei percorsi degli ITS.

Riforma 1.6: Riforma delle lauree abilitanti per determinate professioni
La riforma prevede la semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni, rendendo l’esame di laurea coincidente con l’esame di stato, con ciò semplificando e velocizzando l’accesso al mondo del lavoro da parte dei laureati.
INVESTIMENTI
Investimento 1.1: Piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia € 4,60 mld
La misura consentirà la creazione di circa 228.000 posti. L’intervento verrà gestito dal Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con il Dipartimento delle Politiche per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, e verrà realizzato mediante il coinvolgimento diretto dei Comuni che accederanno alle procedure selettive e condurranno la fase della realizzazione e gestione delle opere.
Investimento 1.2: Estensione del tempo pieno e mense € 0,96 mld

La misura mira a finanziare l’estensione del tempo pieno scolastico e rendere le scuole sempre più aperte al territorio anche oltre l’orario scolastico e accogliere le necessità di conciliazione vita personale e lavorativa delle famiglie (con particolare attenzione alle madri). Costruzione o la ristrutturazione degli spazi delle mense per un totale di circa 1.000 edifici entro il 2026.

Il piano è gestito dal Ministero dell’Istruzione ed è attuato, quanto alla costruzione e riqualificazione delle mense e palestre, dagli Enti locali proprietari dei relativi edifici. La durata stimata del progetto è di 5 anni (fino al 2026).

Investimento 1.3: Infrastrutture per sport a scuola € 0,30 mld

L’obiettivo è quello di potenziare le infrastrutture per lo sport e favorire le attività sportive a cominciare dalle prime classi delle scuole primarie, anche attraverso l’affiancamento di tutor sportivi scolastici. Secondo i dati dell’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica il 17,1% delle sole scuole del primo ciclo non dispone di palestre o strutture sportive. Percentuale che sale al 23,4% nelle regioni del sud, c.d. “meno sviluppate” e che sale ulteriormente al 38,4% se prendiamo in considerazione anche le scuole del secondo ciclo di istruzione.

È, quindi, necessario colmare questo gap e ridurre i divari territoriali a cominciare dalla maggiore disponibilità di strutture da mettere anche a disposizione dell’intera comunità territoriale al di fuori dell’orario scolastico.

Il piano è gestito dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con il Dipartimento per lo sport ed è attuato, quanto alla costruzione e riqualificazione delle palestre, direttamente dagli enti locali proprietari dei relativi edifici, sulla base di linee guida e di un Comitato nazionale che ne possa garantire la qualità tecnica dei progetti.

(A questo investimento il Piano dedica più spazio che a tutti gli altri messi assieme ndr)

Investimento 1.4: Riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di 2° grado € 1,50 mld

La misura ha un triplice obiettivo:

  1. misurare e monitorare i divari territoriali, anche attraverso il consolidamento dei test PISA/INVALSI;
  2. ridurre i divari territoriali nelle competenze di base (italiano, matematica e inglese), inferiore alla media OCSE, in particolare, nel Mezzogiorno;
  3. contrastare in modo strutturale l’abbandono scolastico.

In primo luogo, con questo progetto si persegue il potenziamento delle competenze di base degli studenti, a partire da un’analisi degli andamenti scolastici, con l’obiettivo di garantire un livello adeguato (sopra la media UE) di almeno 1.000.000 di studenti all’anno (per 4 anni), anche per mezzo dello sviluppo di un portale nazionale formativo unico.

La misura prevede:

  • personalizzazione dei percorsi per quelle scuole con prestazioni critiche;
  • supporto mirato per i relativi dirigenti scolastici, a cura di tutor esterni e docenti di supporto (per italiano, matematica e inglese) per almeno un biennio;
  • mentoring e formazione (anche online) per almeno il 50% dei docenti;
  • potenziamento del tempo scuola, incremento delle ore di docenza e presenza di esperti per almeno 2000 scuole;
  • mentoring, counseling e orientamento professionale attivo.

In particolare, per quest’ultima azione verranno considerati due gruppi target:

  1. 120.000 studenti di età 12-18 anni, per ciascuno dei quali saranno previste sessioni di online mentoring individuale (3h) e di recupero formativo (per 17h ca.);
  2. 350.000 giovani tra i 18-24 anni, per ciascuno dei quali saranno previste circa 10h di mentoring, o interventi consulenziali per favorire il rientro nel circuito formativo.

Un progetto-pilota verrà realizzato nel primo semestre del 2021 e sarà finanziato dal PON Scuola con le risorse già disponibili. L’attuazione sarà a cura del Ministero dell’Istruzione, con il supporto di INVALSI, scuole, Centri Territoriali di Supporto (circa 100 CTS), per supportare anche i giovani disabili o provenienti da aree svantaggiate.

Investimento 1.5: Sistema di formazione professionale terziaria (ITS) 1,5 mld
  • Incremento del numero di ITS
  • Potenziamento dei laboratori con tecnologie 4.0
  • Formazione dei docenti per adeguare i programmi ai fabbisogni delle aziende locali
  • Sviluppo di una piattaforma digitale nazionale per le offerte di lavoro agli studenti con qualifiche professionali

Obiettivo: aumento degli attuali iscritti a ITS almeno del 100 %.

L’attuazione è a cura del Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con gli enti di formazione professionale.

Investimento 1.6: Orientamento nella transizione scuola-università € 0,25 mld
L’investimento mira a facilitare il passaggio dalla scuola secondaria superiore all’università e, ad affrontare gli abbandoni universitari, con il fine di aumentare il numero dei laureati. Si prevede la formazione di 1 milione di studenti, attraverso corsi brevi erogati da docenti universitari e insegnanti scolastici che consentano di comprendere meglio i percorsi didattici universitari e i gap nelle competenze di base richieste. Erogazione di 50.000 corsi (a partire dal terzo anno della scuola superiore) e la stipula di 6.000 accordi scuola-università. La misura è implementata dal MUR.
Investimento 1.7: Borse di studio per l’accesso all’università € 0,96 mld
Obiettivo: incentivare la realizzazione, da parte dei soggetti privati, di nuove strutture di edilizia universitaria attraverso la copertura anticipata, da parte del MUR, degli oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture stesse. L’obiettivo è quello di triplicare i posti per gli studenti fuorisede, portandoli da 40mila a oltre 100 mila entro il 2026.
2° AMBITO
Miglioramento dei processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti: € 0,83 mld
RIFORME
Riforma 2.1: Riforma del reclutamento del personale docente
  • Rafforzamento di anno di formazione e prova, con rafforzamento di formazione continua in servizio.
  • Superamento del cronico mismatching territoriale;
  • Copertura regolare delle cattedre disponibili con insegnanti di ruolo.

Il processo normativo sarà avviato nel 2021 e concluso nel 2022.

Riforma 2.2 Scuola di Alta Formazione € 0,03 mld
  • Scuola di Alta Formazione e formazione obbligatoria per dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo,
  • leggera, funzionale a corsi di formazione on line,
  • dotata di un comitato tecnico-scientifico (Presidenti di INDIRE, INVALSI, Accademia dei Lincei, rappresentanti OCSE e UNESCO, direttori dei Dipartimenti universitari di pedagogia).
  • Saranno coinvolti, non solo Indire e Invalsi ma anche Università italiane e straniere.
  • Legge nel 2022 e piena attuazione della riforma entro il 2025.
INVESTIMENTI
Investimenti 2.1: Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione del personale scolastico € 0,80 mld
  • Promozione dello sviluppo delle competenze digitali del personale scolastico. Creazione di un ecosistema delle competenze digitali, in coerenza con il quadro di riferimento europeo delle competenze digitali DigComp 2.1 (per studenti) e DigCompEdu (per docenti).
  • Creazione di un sistema multidimensionale per la formazione continua dei docenti e del personale scolastico per la transizione digitale, articolato in un polo di coordinamento promosso dal Ministero dell’istruzione.
  • L’attuazione è assicurata dal Ministero dell’Istruzione e coinvolgerà circa 650.000 persone tra docenti e personale scolastico e oltre 8.000 istituzioni educative.
3° AMBITO
Ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture € 7,60 mld
INVESTIMENTI
Investimento 3.1: Nuove competenze e nuovi linguaggi  € 1,10 mld
Potenziare le discipline STEM anche con nuovi approcci metodologici (Inquiry Based Learning, Problem Solving ecc.). Attuazione del multilinguismo.
L’attuazione sarà in capo al Ministero dell’istruzione, in collaborazione con il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e INDIRE.
Investimento 3.2: Scuola 4.0 – scuole innovative, nuove aule didattiche e laboratori € 2,10 mld
  • Trasformazione di circa 100.000 classi tradizionali in connected learning environments
  • Creazione di laboratori per le professioni digitali nel II ciclo
  • Digitalizzazione delle amministrazioni scolastiche
  • Cablaggio interno di circa 40.000 edifici scolastici e relativi dispositivi
  • L’attuazione è a carico del Ministero dell’Istruzione.
Investimento 3.3: Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica € 3,90 mld
  • Miglioramento delle classi energetiche con conseguente riduzione dei consumi e di emissione di CO2
  • Aumento della sicurezza strutturale degli edifici
  • Particolare attenzione è riservata alle aree più svantaggiate.
  • Responsabilità Ministero Istruzione ed Enti Locali
Investimento 3.4 Didattica e competenze universitarie avanzate € 0,50 mld
  • Iscrizione, in 3 anni, di 500 dottorandi a programmi su transizioni digitale e ambientale
  • Creazione di 3 Teaching and Learning Centres (TLC) per migliorare l’insegnamento nelle università e nelle scuole
  • Creazione di 3 Digital Education Hubs (DEH) per migliorare l’istruzione digitale di studenti e lavoratori universitari
  • Rafforzamento delle scuole universitarie superiori
  • Realizzazione di 10 iniziative educative transnazionali – TNE – in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
  • Attività di internazionalizzazione degli AFAM attraverso 5 progetti di L’attuazione sarà a carico del MUR e coprirà tutto il periodo fino al 2026
4° Ambito
Riforma e potenziamento dei dottorati € 0,43 mld
RIFORME
Riforma 4.1: Riforma dei dottorati
Aggiornamento, attraverso un Decreto Ministeriale entro il 2021, della disciplina dei dottorati, semplificando le procedure per il coinvolgimento di imprese e centri di ricerca, nonché per rafforzare percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica. Ci saranno valutazioni periodiche

INVESTIMENTI

Investimento 4.1: Estensione numero dottorati di ricerca e dottorati innovativi per la Pubblica Amministrazione e il patrimonio culturale

Obiettivo: aumentare di 3.600 unità i dottorati attivando tre cicli a partire dal 2021, ciascuno dotato di 1.200 borse di studio.
Oggi Il numero di dottorati di ricerca in Italia è tra i più bassi nella UE, con una costante riduzione negli ultimi anni (circa 40% in 10 anni tra il 2008 e il 2019).
L’attuazione della misura sarà a carico del MUR.

ANALISI DELLE PRINCIPALI RIFORME

Analizzeremo le riforme presenti nel PNRR, in particolare quelle attinenti all’istruzione, secondo un nostro ordine, più in particolare:

1. Riforma della P.A. in relazione all’Istruzione

1) Riforma del Ministero dell’Istruzione, Regioni, autonomia scolastica

2) Testo Unico sull’Istruzione

3) Stato giuridico del personale docente

4) Reclutamento e formazione del personale docente

2. Riforma del sistema di istruzione e formazione

1) Digitalizzazione del sistema

2) Riforma dell’organizzazione del sistema scolastico

3) Sistema integrato 0-6

4) Percorsi quadriennali di istruzione secondaria

5) Istruzione tecnica e professionale

6) ITS

7) Divari territoriali

1. RIFORMA DELLA P.A. IN RELAZIONE ALL’ISTRUZIONE

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Qui ci preme individuare, entro la riforma generale dell’Amministrazione Pubblica, quale impostazione venga data all’assetto dell’istruzione rispetto a dilemmi storici, quali:

  • centralizzazione o decentralizzazione,
  • potenziamento o depotenziamento dell’autonomia scolastica,
  • rilancio dello Stato Giuridico della docenza o nuova invasività contrattuale,
  • articolazione e differenziazione della carriera docente o permanenza dell’unicità della figura docente,
  • prospettiva di una qualificata formazione iniziale e di un rigoroso reclutamento o regolarizzazione della stabilizzazione emergenziale.

Le risposte, di seguito riportate, le abbiamo trovate attraverso un’analisi puntuale del PNRR e delle Linee Programmatiche del Ministero dell’Istruzione.

image024Forte centralizzazione: “scomparsa” delle Regioni

La risposta al primo dilemma è una forte centralizzazione, dal cui orizzonte scompaiono le Regioni.  Tutto passa attraverso il Ministero dell’Istruzione, MI, e il Ministero dell’Università e Ricerca, MUR, ai quali spetta di normare e gestire praticamente tutti gli interventi indicati nella Missione 4, in assoluta solitudine o, alcune volte, in collaborazione con altri, ma mai con le Regioni.  Come si può vedere dallo schema sotto riportato, le Regioni non sono mai nominate, né sono mai citate nelle Linee Programmatiche del MI.

responsSe leggiamo le Linee Programmatiche del Ministero dell’Istruzione, al capitolo Riforma del Ministero, scopriamo che per “garantire l’unità del sistema”, il Ministero e gli Uffici Scolastici Regionali devono fungere, rispettivamente, da cabina di regia e da cinghia di trasmissione, nel mezzo il nulla.
Ora se appare comprensibile che la straordinarietà del PNRR e la inderogabile necessità di realizzare gli obiettivi indicati, pena la perdita dei finanziamenti, possano indurre a forme di centralizzazione, rimane assolutamente incomprensibile come si possa, stante l’attuale Costituzione, ignorare totalmente le Regioni. Ci si dimentica che hanno competenza esclusiva sull’Istruzione e Formazione Professionale?  Ci si dimentica che sullo 0-6 la Corte costituzionale con sentenza 284 del 22/11/2016 stabilì l’incostituzionalità di alcune norme contenute nella L.107/2015 per il non rispetto delle competenze regionali in materia? Solo per citare due temi centrali della 4^ Missione del PNRR, tralasciando tutte le competenze in materia di programmazione conferite alle Regioni ancor prima della riforma del Titolo V con il Dlgs 112/1998, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali.

image026 L’ autonomia dimezzata

L’autonomia scolastica è ignorata dal PNRR, mentre è citata nelle Linee Programmatiche del MI nel capitoletto Rivitalizzare l’autonomia scolastica nell’unità del sistema nazionale. Lì si scrive:” È necessario rilanciare l’autonomia scolastica, senza però incidere sull’unità del sistema nazionale di istruzione”, un punto ben presto chiarito, nel senso che ad essere rivitalizzato è soprattutto il centro, il Ministero, non l’autonomia scolastica.

Sull’autonomia gli obiettivi indicati sono:

  1. presenza di un dirigente scolastico in ogni istituto, a tal fine saranno banditi nuovi concorsi a cadenza regolare e con logica di programmazione;
  2. supporto di figure professionali specifiche, in modo particolare dei dirigenti tecnici, ossia degli ispettori,
  3. la riforma degli organi collegiali.

Obiettivi condivisibili di cui si parla da 20 anni, ma nulla di nuovo è previsto perché si realizzino. Quale proposta di riforma degli organi collegiali, la cui ultima, affossata, risale al 2012?
Quale autonomia se ancora gli USR sono visti come cinghia di trasmissione del Ministero?
Quali nuove “figure professionali specifichese ci si limita agli ispettori, figure esterne alla scuola? Dal 1997, anno del varo dell’autonomia scolastica, si parla di nuove figure professionali della docenza, quelle che ADi ha definito leadership intermedia, ma qui nessun cenno, eppure sono determinanti per lo sviluppo delle scuole autonome.

Non ci si muove nemmeno all’interno dell’antico dilemma se l’autonomia scolastica debba essere direttamente collegata al Ministero, eliminando tutto ciò che c’è di intermedio fra Stato e scuole, di cui è stato massimo teorico Sabino Cassese, o se invece, come ADi sostiene da sempre, l’autonomia scolastica debba stare all’interno di un sistema di autonomie territoriali.
Qui semplicemente si rafforza il Ministero, non organo di indirizzo, coordinamento e controllo come dovrebbe essere in un sistema di autonomie, ma organo che programma e gestisce attraverso le proprie “cinghie di trasmissione”.

Di relativamente nuovo c’è, e va colto, il richiamo a rinsaldare legami con il territorio, attraverso Patti educativi di comunitàcon le istituzioni locali, le organizzazioni produttive e sociali, l’associazionismo, il volontariato e il terzo settore, finalizzati al potenziamento dell’offerta didattica e formativa e a raccordare l’educazione formale con quella non formale ed informale”.

image028 Testo Unico sull’Istruzione: ripartenza da zero

Di “Testo Unico delle Leggi sulla Scuola” si parla solo nelle Linee Programmatiche del Ministero, ove si prevede la sua riscrittura al fine di “dare ordine e coerenza all’attuale legislazione, semplificando ove più possibile”.
Il Testo Unico in vigore fu varato, dopo lunga gestazione, il 16 aprile 1994 sotto il governo Ciampi, con ministro dell’istruzione Rosa Russo Jervolino e ministro della funzione pubblica Sabino Cassese.

Si tratta del Decreto legislativo n. 297/94 composto di 5 Parti:

  • Parte 1: Norme generali (che comprendono, tra l’altro, gli Organi Collegiali)
  • Parte 2: Ordinamento scolastico
  • Parte 3: Personale (che comprende lo stato giuridico del personale docente, educativo, direttivo ed ispettivo)
  • Parte 4: Ordinamento dell’amministrazione centrale e periferica della Pubblica Istruzione e del relativo personale
  • Parte 5: Scuole italiane all’estero

La legge 107/2015 aveva previsto al comma 181.a1 “la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di istruzione già contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, nonché nelle altre fonti normative”. Come si ricorderà, dei 9 decreti legislativi previsti dalla L.107/2015, questo fu l’unico non varato.

Ora, scaduti i termini di legge, occorre ripartire da una nuova legge delega, come indicato nelle stesse Linee Programmatiche, per poi procedere alla stesura di un nuovo Decreto Legislativo.
I tempi saranno tutt’altro che brevi e non è chiaro come si rapporterà al Dlgs 165/2001, Testo Unico sul Pubblico Impiego.

image030 Invasività del Contratto su Stato Giuridico e differenziazione di carriera

Come sopra indicato, attualmente lo stato giuridico della docenza è parte integrante del Testo Unico sull’Istruzione, dove è trattato nella Parte 3, ancora comprensiva di tutto il personale, docente, educativo, direttivo e ispettivo.

 La Parte 3, relativa alla docenza, è divisa in 6 Capi:

  1. Funzione
  2. Reclutamento
  3. Diritti e doveri (tra cui orario di servizio, congedi, aspettative, mobilità)
  4. Disciplina
  5. Cessazione del rapporto
  6. Personale docente non di ruolo

Negli anni quasi tutte queste voci sono state assorbite dal Contratto, dalla funzione alla formazione, dall’orario di servizio ai congedi e aspettative, dalla mobilità agli incarichi. 

A queste voci si aggiunge il tema della differenziazione della carriera oggetto di un ingente numero di commissioni miste sindacati- amministrazione, svoltesi con zero risultati o solo ipotizzate. Di quel dibattito, iniziato nel 1987, che doveva portare ad “accelerazioni” e a “differenziazioni” della carriera docente, superando gli automatismi della progressione stipendiale, è rimasta solo la parte penalizzante: la soppressione degli aumenti biennali per i “gradoni” di 6 o 7 anni.
E’ rimasto attribuito alla legge il reclutamento, anche se sospinto da costanti vertenze sindacali verso forme di sanatorie volte alla stabilizzazione dei precari.
Si è dunque lontanissimi dal prefigurare un nuovo stato giuridico della docenza, mentre è stato rivitalizzato il peso della contrattazione con successivi patti.
Non è all’orizzonte, al momento, nessuna possibilità di rendere la docenza una professione più complessa, articolata e differenziata.

Ancora una chimera la creazione di una leadership intermedia, funzionale al rilancio dell’autonomia scolastica, forse perché la stessa autonomia, come abbiamo visto, è stata depotenziata.
L’unico possibile appiglio nella componente 2 della Missione 1, Modernizzazione dell’Amministrazione Pubblica alla voce “Competenze e carriera” dove si legge:

Saranno favoriti percorsi di carriera anche tra diverse amministrazioni (…) al fine di rendere più attrattivi i ruoli non dirigenziali non solo per posizioni di ingresso, ma anche a metà carriera, nonché di offrire ai migliori funzionari prospettive di carriera alternative alla dirigenza.”

Si potrà adottare questa misura anche per percorsi di carriera relativi alla docenza?

image031 Reclutamento e formazione: rischio di rendere l’emergenza ordinarietà

Il PNRR, nel 2° ambito della Missione 4C1, Istruzione, tratta esplicitamente di Reclutamento e Formazione e indica un processo che prevede questi passaggi:

  1. rafforzamento dell’anno di formazione e prova e della formazione continua in servizio;
  2. superamento del cronico mismatching territoriale con la regolare copertura delle cattedre disponibili con insegnanti di ruolo;
  3. creazione di una Scuola di Alta Formazione obbligatoria per DS, Docenti, Amministrativi e Tecnici, funzionale a corsi on line dotata di un comitato tecnico-scientifico composto da Presidenti di INDIRE, INVALSI, Accademia dei Lincei, rappresentanti OCSE e UNESCO, direttori dei Dipartimenti universitari di pedagogia (e chi più ne ha più ne metta…).

Dal testo scompare una frase non secondaria presente nella bozza del PNRR: Per favorire in concreto la formazione continua e l’aggiornamento occorre un sistema di incentivi che si fondi sull’idea di una progressione di carriera basata su misurazione di rendimento e disponibilità di incrementarlo passando attraverso percorsi di autovalutazione, valutazione e recupero personalizzato delle competenze.
Scompare insomma un tentativo di differenziazione per quanto discutibile.

Il testo del PNRR va contestualizzato con altri 3 provvedimenti:

  1. le disposizioni dell’art. 10 del L. n.44/2021, che, dettato in nome dell’emergenza, contiene anche precetti per un regime ordinario (valutazione preselettiva ai fini dell’accesso alle prove, riduzione delle prove);
  2. le Linee Programmatiche del MI
  3. il Decreto Legge 25 maggio 2021, n 73 (Decreto Sostegno bis)

Il Decreto Legge 73/21 è in assoluto il più dettagliato, prevede norme transitorie per la stabilizzazione, ma anche norme ordinarie. Al fine di assicurare che i concorsi ordinari siano banditi con frequenza annuale, prevede una semplificazione delle prove concorsuali nei seguenti termini:

  • in sostituzione della o delle prove scritte attualmente previste, viene introdotta una unica prova scritta con più quesiti a risposta multipla, volti all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato sulla disciplina della classe di concorso o tipologia di posto per la quale partecipa, nonché sull’informatica e sulla lingua inglese.
    La prova è valutata al massimo 100 punti ed è superata da coloro che conseguono il punteggio minimo di 70 punti;
  • prova orale;
  • valutazione dei titoli;
  • formazione della graduatoria finale nel limite dei posti messi a concorso;
  • Definitiva assunzione a tempo indeterminato a seguito di positiva valutazione  del  percorso  annuale  di formazione e prova. Apposito decreto ministeriale  disciplinerà le attività formative e le modalità di verifica, comprensive di osservazione sul campo,  competenze e potfolio;
  • I candidati che partecipano ad una procedura concorsuale e non superano le prove non possono partecipare al concorso successivo  per  la  medesima  classe  di concorso o tipologia di posto;

Una prima valutazione è che, pur comprendendo l’assoluta necessità di far funzionare la scuola dall’inizio dell’anno scolastico, l’emergenza  ha di fatto  assunto carattere di ordinarietà, senza nemmeno mettere mano alla formazione iniziale per l’insegnamento nella scuola secondaria.

2. RIFORMA DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE

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Ripercorriamo qui i punti essenziali indicati nella 1^ Componente della 4^ Missione, M4C1, anche con riferimenti alle Linee Programmatiche del MI.

image024 Digitalizzazione del sistema: una grande occasione di cambiamento

L’Italia risulta al 25° posto fra i 27 Stati membri dell’UE in termini di adozione e implementazione dell’innovazione tecnologica digitale.  È stato quindi assolutamente giusto e importante avere posto la digitalizzazione fra i 3 assi strategici del PNRR.

La digitalizzazione vedrà probabilmente le maggiori realizzazioni e avrà la maggiore incidenza sulla modernizzazione del sistema scolastico e della pubblica amministrazione. Per questo è correttamente considerata dal PNRR come “un abilitatore trasversale ad ampio spettro”.

La digitalizzazione dell’Amministrazione Pubblica vede uno stanziamento di € 9,75 mld, mentre quella della scuola di € 2,10 mld. 

Questi gli obiettivi indicati per la digitalizzazione dell’istruzione:

  • Trasformazione di circa 100.000 classi tradizionali in connected learning environments, cioè in ambienti di apprendimento connessi;
  • Creazione di laboratori per le professioni digitali nel II ciclo;
  • Digitalizzazione delle amministrazioni scolastiche;
  • Cablaggio interno di circa 40.000 edifici scolastici e relativi dispositivi

L’unica perplessità è che questa partita è tutta affidata al Ministero dell’Istruzione.

image026 Riforma dell’organizzazione del sistema scolastico: rischi di scelte sbagliate

“Riforma dell’organizzazione del sistema scolastico” è un titolo estremamente impegnativo, ma il contenuto di questa voce di riforma rimane limitato e in parte criptico.

 Si afferma che bisogna fornire soluzioni a due tematiche: 1) riduzione del numero degli alunni per classe, 2) dimensionamento della rete scolastica.

 In tale ottica si dichiara la necessità del superamento dell’identità tra classe demografica e aula, soprattutto per affrontare situazioni complesse come, ad esempio, le problematiche scolastiche nelle aree di montagna, nelle aree interne e nelle scuole di vallata.

 Alcune considerazioni.

  1. La prima è che questa tematica va affrontata alla luce del grandissimo calo demografico, di fronte al quale è bene non cadere nella trappola di scelte contingenti che si trasformano in definitive, come è già capitato, nel bene o nel male, con la riforma del 1990 della scuola primaria, a seguito del calo demografico degli anni ’80.
  1. La riduzione del numero di allievi per classe è un’arma a doppio taglio. Ci sono situazioni da sanare, ma non va dimenticato che il rapporto docente/allievi in Italia è più basso della media sia OCSE sia europea (v. tabella sotto relativa al secondo ciclo ma la situazione non cambia nel primo ciclo). Non sempre abbassare il numero degli allievi per classe è una scelta oculata ed efficace. In altri Paesi di fronte all’opzione fra diminuire gli allievi per classe o aumentare le retribuzioni degli insegnanti si è deciso per la seconda. In “Una scuola di prima classe”, Andreas Schleicher scrive: ”I Paesi che scelgono di avere classi più numerose possono permettersi di pagare meglio i propri docenti. Se l’insegnante è ben retribuito, il reclutamento nella professione è più competitivo”.  In conclusione, indirizzare gli investimenti verso l’abbassamento del numero di allievi per classe, specialmente nelle condizioni italiane, anziché verso l’aumento della retribuzione degli insegnanti può dimostrarsi una scelta sbagliata

  1. Dimensionamento e leadership intermedia. La costituzione di Istituti autonomi attraverso l’aggregazione di più plessi dislocati anche in Comuni diversi, a grandi distanze fra loro, ha creato seri problemi alla gestione dei Dirigenti Scolastici. Questo chiama in causa per l’ennesima volta la gestione piatta della scuola. Sarebbe sbagliato costituire Istituti scolastici troppo piccoli, ma una gestione complessa di più plessi richiede un’organizzazione del lavoro altrettanto complessa, con figure di leadership intermedia e con personale ATA con diverse mansioni specialistiche.
  1. Sì al “superamento dell’identità fra classe demografica e aula”, ma non pluriclassi.  La proposta del superamento delle classi per età anagrafica può costituire una vera rivoluzione se non la si riduce alle antiche pluriclassi. Questo chiama in causa un’autentica autonomia organizzativa e curricolare ora inesistente.

image028 Sistema integrato 0-6. Mancano indicazioni di priorità in una fase di calo demografico 

 Lo 0-6 rappresenta una delle criticità del nostro sistema educativo, con particolare riferimento allo 0-3, ossia agli asili nido, dove   il rapporto tra posti disponibili e il numero di bambini di età compresa tra 0 e 2 anni si colloca in media in Italia al 25,5 % ovvero 7,5 punti percentuali al di sotto dell’obiettivo europeo del 33% e 9,6 punti percentuali al di sotto della media europea. La cosa più grave sono le grandi difformità territoriali.

Gli investimenti di € 4,60 mld per il sistema integrato 0-6 costituiscono il maggior finanziamento della Missione Istruzione. Ciò nonostante, ad esso   sono dedicate solo 8 righe, mentre al potenziamento delle infrastrutture per lo sport a scuola sono dedicate 3 pagine!

Non c’è nessuna indicazione di pianificazione degli investimenti, non c’è nessun cenno a riforme, nemmeno nelle Linee Programmatiche.
È vero che lo 0-6 è regolato dal Dlgs 65/2017 e che sono appena uscite le Linee Guida, ma nessuno dei 2 provvedimenti risolve molti nodi aperti, quali:

  1. lo sviluppo delle sezioni primavera per i bambini di 24-36 mesi, che può essere un elemento strategico per l’ampliamento di questo settore, specialmente in una fase di calo demografico;
  2. lo sviluppo e la gestione dei poli scolastici che chiama in causa l’irrisolto rapporto fra amministrazione statale e amministrazioni locali,
  3. la grande disomogeneità nell’erogazione del servizio fra scuole infanzia statali e scuole infanzia e nidi comunali (ad es. calendario scolastico),
  4. le grandi differenze nelle condizioni normative e retributive del personale docente ed educativo fra le istituzioni statali e comunali, ecc.

image030 Sviluppo dei percorsi quadriennali di istruzione secondaria. Non bastano gli auspici

A questo tema, tutt’altro che secondario, sono   dedicate 2 righe entro la riforma del sistema dell’orientamento, che recitano: “verrà ampliata la sperimentazione dei licei e tecnici quadriennali, che attualmente vede coinvolte 100 classi in altrettante scuole su territorio nazionale e che si intende portare a 1000”. Nulla di più nelle Linee Programmatiche.

Nessuna analisi del perché questa sperimentazione langua e abbia perso il suo iniziale appeal. Nessuna riflessione sul fatto che purtroppo la sperimentazione non prevede una nuova tipologia di istituti con proprio curricolo quadriennale, ma si riduce alla compressione in 4 anni degli istituti quinquennali, di cui devono mantenere tutte le discipline e lo stesso monteore complessivo.

Infatti, non ci si è mai liberati della sentenza del Consiglio di Stato (n. 832/2015) che, per battere il ricorso della CGIL al TAR contro la sperimentazione quadriennale in 4 scuole, sancì che:

alla riduzione di un anno fanno da contraltare:

  1. un maggiore numero di ore settimanali di lezione;
  2. un maggiore numero annuale di giorni di lezione;
  3. la sostanziale invarianza delle materie di insegnamento;
  4. la piena conferma ed applicazione delle vigenti disposizioni in tema di esame di Stato”

Come si vede, se davvero si vuole ampliare la sperimentazione, per poi portarla, come ci si augura, a regime, non basta dire che si passerà da 100 a 1000 classi, ma bisogna indicare con chiarezza che non si tratta di una compressione in 4 anni dello stesso identico curricolo quinquennale.

image031 Istruzione tecnica e professionale: manca una direzione di marcia

Tutta la filiera dell’istruzione tecnica e professionale è giustamente indicata come una delle leve per un rinnovato sistema di istruzione.

Peccato che le proposte di riforma siano general generiche, e nulla di più venga detto nelle Linee Programmatiche. Il testo del PNRR afferma che simira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese. In particolar modo, si orienta il modello di istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta dall’Industria 4.0, incardinandolo altresì nel rinnovato contesto dell’innovazione digitale.”.

Nulla si dice sulla crescente crisi degli Istituti Professionali, omologati agli Istituti Tecnici dall’art. 13 della Legge 2 aprile 2007, n. 40.  Per una loro ripresa non è stato sufficiente il Dlgs 61/2017 “Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale”, tanto che nel PNRR si legge che per l’implementazione saranno adottate apposite norme, senza indicare però nessuna direzione di marcia.

Sono indicati solo gli aspetti quantitativi: saranno coinvolti 4.324 Istituti Tecnici e professionali e il sistema di istruzione e formazione professionale.

Per l’istruzione tecnica e professionale non sono previsti specifici investimenti. Gli investimenti vanno ricercati nel 3° Ambito della 4^ Missione, nella parte generale che riguarda tutte le scuole, in cui sono previsti € 2,10 mld per Scuola 4.0 – scuole innovative, nuove aule didattiche e laboratori.

image033 Istituti Tecnici Superiori: nessuna idea forte per il rilancio

Di tutta la filiera tecnico professionale, gli ITS sono quelli a cui viene prestata in assoluto più attenzione, sia nel PNRR, in cui sono stanziati € 1,5 mld, sia nelle Linee Programmatiche. E ce ne è motivo. Recitano le Linee Programmatiche: “Oggi gli ITS garantiscono all’83% dei propri diplomati un lavoro a un anno dal diploma (…) Tuttavia non riescono ancora ad attrarre un numero di studenti significativo e a soddisfare la domanda espressa dal mercato.”

Gli investimenti hanno dunque come obiettivo l’aumento degli attuali iscritti, ipotizzato in almeno il 100% (18.750 frequentanti e 5.250 diplomati nel 2030).

Questo risultato dovrebbe essere raggiunto attraverso:

  1. il potenziamento del modello organizzativo e didattico;
  2. l’ampliamento dei percorsi per lo sviluppo di competenze tecnologiche abilitanti – Impresa 4.0;
  3. il consolidamento degli ITS nel sistema ordinamentale dell’Istruzione terziaria professionalizzante con un’integrazione dei percorsi ITS con il sistema universitario delle lauree professionalizzanti

Non pare che questi elementi siano sufficienti per un forte rilancio degli ITS. Non sarà certo la possibilità del passaggio alle lauree triennali professionalizzanti che ne accrescerà l’attrattività, anzi potrebbe essere un elemento in più per fare apparire gli ITS percorsi di serie B, non così importanti e prestigiosi come una laurea e l’acquisizione del relativo titolo di “Dottore” da esporre davanti al proprio nome. Siamo in Italia e queste cose contano, come la scelta del “liceo” al posto dell’istituto tecnico e professionale. Forme di provincialismo? Certo, ma alimentate da una lunghissima tradizione culturale tutt’altro che superata.

image034 Superamento dei divari territoriali: siamo ai primi passi

È molto importante che per la prima volta non si indichino solo gli investimenti, € 1,50 mld, ma anche alcune modalità per realizzare gli obiettivi.

Ci si concentra sul contrasto all’abbandono e sul potenziamento delle competenze di base e sulla valorizzazione dell’INVALSI per misurare e tenere monitorati i divari territoriali.

 Si ha il coraggio di proporre misure che rischiano di essere invise ai più, considerato che si prevede:

  • supporto mirato per i relativi dirigenti scolastici, a cura di tutor esterni;
  • docenti di supporto (per italiano, matematica e inglese) per almeno un biennio;
  • mentoring e formazione (anche online) per almeno il 50% dei docenti;

Occorrerà dare un’impostazione per così dire più collaborativa, considerato che siamo già in presenza di una levata di scudi contro un utilizzo delle INVALSI che in questo modo, si dice, valuterebbe insegnanti e dirigenti scolastici.

Infine ci sono misure di:

  • potenziamento del tempo scuola, incremento delle ore di docenza e presenza di esperti per almeno 2000 scuole;
  • mentoring, counseling e orientamento professionale attivo su 2 gruppi target:
    1) 120.000 studenti di età 12-18 anni
    , per ciascuno dei quali saranno previste sessioni di online mentoring individuale (3h) e di recupero formativo (per 17h);
    2) 350.000 giovani tra i 18-24 anni, per ciascuno dei quali saranno previste circa 10h di mentoring, o interventi consulenziali per favorire il rientro nel circuito formativo.

Il problema del recupero formativo è fondamentale considerato lo scandalo italiano del numero più alto d’Europa di NEET, giovani non occupati e non in istruzione e formazione, 2 milioni, il 22% della fascia di popolazione giovanile fra i 15-29 anni. Non è un tema semplice che richiederebbe non interventi sparsi ma la presenza anche in Italia, come avviene in altri Paesi, di agenzie specializzate per il recupero.

PROPOSTE PER AFFRONTARE CON CORAGGIO UN FUTURO INCERTO
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Abbiamo la consapevolezza di trovarci di fronte, come più volte è stato detto, al più grande piano di aiuti dai tempi del piano Marshall. Un piano che impone a tutti, tanto più al mondo dell’istruzione,  di  guardare  oltre l’immediato e di imbracciare  con coraggio le sfide del futuro, un futuro  incerto, che, proprio per questo,  chiede  più coraggio.

Il  Covid 19  ha avuto un impatto quasi su ogni studente del pianeta, e, al di là dei risultati, l’apprendimento a distanza è diventato di fatto, per diversi periodi, il solo modo di impartire l’istruzione. Così è generalmente accettata l’idea che questa crisi abbia stimolato, più di qualsiasi altro evento o circostanza,  l’innovazione  nel settore dell’istruzione.

Se questo è vero, va aggiunto che  i cambiamenti avvenuti nelle settimane e nei mesi della pandemia non sono necessariamente quelli  che  l’educazione richiederebbe. In altre parole  occorre avere la capacità di non fermarsi  ai puri effetti immediati e capire come, dal curricolo alla pedagogia, dall’insegnante allo studente, dai luoghi  ai tempi, l’istruzione possa liberarsi di un modello strutturale e organizzativo entro cui è stata ingabbiata per secoli e che non regge più.

Con questa volontà di immaginare il futuro,  avanzeremo alcune proposte,  pur rimanendo saldamente entro i campi circoscritti  del PNRR.

image024Abbracciare l’autonomia con coraggio

1Qualsiasi tentativo di rilanciare l’educazione,  di personalizzare l’apprendimento, di tessere attivi collegamenti con la comunità  locale e globale,  di attribuire agli studenti  il   potere di scelta e l’autonomia di gestire il proprio apprendimento, si imbatte nelle rigidità del curricolo, dell’organizzazione delle discipline, dell’orario, del calendario, dell’organico dei docenti, ecc.

Ricominciare dall’educazione e non dalla scuola

E allora proviamo a partire dai bisogni dell’educazione e non dalla scuola, da ciò che  modificherà i modi dell’ apprendimento e non dall’attuale struttura  che lo impartisce.

Gli scenari che si aprono per la scuola nei prossimi 20 anni ci dicono che forse guarderemo con incredulità alle rigidità della sua attuale struttura organizzativa. Allora tanto vale  rompere da subito molte di queste inflessibilità, dando autentica autonomia alle scuole, che significa autonomia organizzativa e didattica, con la possibilità di modificare curricoli e orari, autonomia finanziaria e assunzione diretta del personale.

Un’autonomia  che richiede una rigorosa valutazione dei risultati,  con la consapevolezza, comunque, che ci  sono risultati a breve termine e a lungo termine, cognitivi e non cognitivi, istruttivi ed educativi, e che i risultati a breve termine, cognitivi ed istruttivi, non si traducono necessariamente in risultati a lungo termine, non cognitivi ed educativi, che sono quelli che maggiormente determinano il lifelong learning.

Cominciare laddove si è pronti o è indispensabile

Dopo tanti fallimenti occorre avere la lucida consapevolezza che non ci sarà da subito la possibilità  di rilanciare in tutte le scuole  un’autonomia autentica.

Così, mentre si deve cercare di rimuovere da tutto il sistema  alcuni ostacoli, peraltro in contrasto con la Costituzione e  il Regolamento dell’autonomia,  diventa necessario sperimentare situazioni  di autonomia avanzata   laddove ci siano  idee e volontà di innovazione,  spezzando in qualche punto quel circolo vizioso che si è instaurato nelle scuole fra negazione dei diritti e offuscamento dei doveri.

Per sperimentare   un’autonomia scolastica incisiva che possa intervenire sui curricoli, sugli organici, sulle assunzioni, sui tempi scuola non è sufficiente l’utilizzo dell’art. 11 del DPR 275/99, Regolamento dell’Autonomia

Per questo ADi ha predisposto un disegno di legge per la costituzione di Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale,  ISAS,  che si sono ispirati alle Academies inglesi.  Si tratta di autonomia speciale perché:

  • il Consiglio di Istituto assume le caratteristiche di Consiglio di Amministrazione,
  • l’istituto gode di massima libertà nella costruzione del curricolo,
  • gestisce un budget, compreso quello per il personale, senza vincoli di destinazione, calcolato sul costo medio dello studente,
  • pratica l’ assunzione diretta del personale,
  • prevede una pluralità di figure docenti,
  • articola in modo più funzionale profili e competenze del personale ATA,
  • si dà un’organizzazione tecnica articolata funzionale al progetto e ridistribuisce le funzioni del collegio ad organismi competenti.

L’iniziativa è dello stesso Istituto o di altri soggetti. Dipende dalla passione e dalla capacità di una parte almeno del corpo professionale, del corpo sociale, delle istituzioni, degli interessati  di farsi avanti.

 Ma non solo iniziative legate alla volontarietà. Esistono anche situazioni  che, per evolvere, necessitano di un nuovo autonomo assetto organizzativo, ci si riferisce ad esempio ai nuovi istituti quadriennali,  o a  un nuova combinazione di istruzione professionale statale  e istruzione e formazione professionale regionale, oppure ancora al recupero di  situazioni di degrado  dove altissimo è l’abbandono scolastico e che necessitano di interventi radicali.

L’auspicio è che, fra le riforme che devono accompagnare e sostenere il PNRR, ci sia anche questa riforma, o qualcosa ad essa simile, che dia vita ad Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale o avanzata.

image026 Uno stato giuridico per ricreare l‘identità professionale

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Il progressivo declino della professione

Sono decenni che  la politica scolastica è sopraffatta dall’amministrazione del personale, in particolare dei docenti (assunzioni, concorsi,  sanatorie, mobilità), rimanendo comunque  inefficiente, priva di qualsiasi sensato legame con le condizioni oggettive (natalità, curricoli, tempi, ecc.) e in primo luogo con gli obiettivi strategici dell’istruzione.

Tutto questo ha generato al contempo immobilismo, irrazionale allocazione delle risorse, ma  soprattutto  una grave deprofessionalizzazione  della docenza .

Il vuoto di regole, la mancanza di un adeguato “stato giuridico” della professione, ha permesso al sindacato di invaderne  lo spazio, assorbendo  quasi ogni aspetto nel contratto.  Si è venuta così costruendo un’interpretazione della funzione docente come ruolo subordinato  comune a quello di qualsiasi altro lavoratore dipendente. Una concezione in cui l’insegnante va difeso dal proprio lavoro  (immodificabilità dell’orario, volontarietà della formazione, nessun apprezzamento  del merito ecc.) piuttosto che valorizzato nel lavoro. Una visione della docenza perfettamente integrata, peraltro, con la struttura centralistica e burocratica dell’amministrazione.

Il rilancio del professionismo della docenza

Nutriamo da tempo la convinzione che un rilancio dell’istruzione  non possa che passare attraverso il contestuale  riconoscimento dell’autonomia scolastica e della  docenza come professione.

Una professione è contraddistinta da un sapere specialistico (standard professionali) rigorosamente attestato, dall’autonomia professionale contemperata da  un proprio codice deontologico e, sempre più, da una leadership collaborativa.

E’ evidente che solo un rinnovato stato giuridico può ridefinire e rilanciare i diversi aspetti che caratterizzano la professione, da una rinnovata visione dell’ autonomia professionale e della libertà di insegnamento al codice deontologico, dal sapere specialistico (standard professionali) alla formazione e al reclutamento, dalla valutazione alla differenziazione di carriera, da una pluralità di figure professionali a pluralismo di condizioni di lavoro.

Per tutto questo riteniamo che l’insieme delle riforme prefigurate dal PNRR e dalle Linee Programmatiche, tra cui il Testo Unico sull’istruzione, non possa prescindere dalla stesura di un nuovo significativo Stato giuridico della docenza.

Di seguito due punti di stato giuridico che rivestono particolare urgenza 1) formazione e reclutamento, 2) creazione di una leadership intermedia della docenza.

image028Laurea abilitante, albo regionale , assunzione da parte degli Istituti

3I due aspetti formazione e reclutamento non possono essere disgiunti.

Per quanto riguarda la formazione i problemi si pongono principalmente per la docenza nella scuola secondaria.

Formazione iniziale

Crediamo  che vada innanzitutto risolta l’annosa questione dell’abilitazione per la docenza nella scuola secondaria.

Il PNRR nella Missione 4 ambito 1.6 ha previsto  la riforma delle lauree abilitanti per determinate professioni, tale riforma prevede la semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni, rendendo l’esame di laurea coincidente con l’esame di stato, con ciò semplificando e velocizzando l’accesso al mondo del lavoro da parte dei laureati. Questa riforma non riguarda l’insegnamento perché non ci sono lauree magistrali finalizzate all’insegnamento nell’istruzione secondaria, ma vale la pena tenerne conto.

Nelle Linee Programmatiche si fa invece specifico  riferimento a percorsi di formazione post laureamSarebbe opportuno però ricordare che le esperienze degli ultimi 30 anni di percorsi di formazione post lauream ai fini dell’abilitazione, dall’istituzione delle SSIS nel 1990 in poi, sono state tutt’altro che risolutivi.  Varrebbe dunque  la pena fare tesoro della lezione e cambiare.

Crediamo che sia più opportuno fare leva sulla  laurea abilitante o attraverso un biennio magistrale tutto rivolto all’insegnamento  o  attraverso una specifica integrazione per l’insegnamento all’interno di esso.

Reclutamento

Considerati i decennali fallimenti, sosteniamo che la sola soluzione sia assegnare il reclutamento agli istituti autonomi. 

Abbiamo ipotizzato albi professionali regionali, su piattaforme che riportano i portfoli professionali, in cui i docenti abilitati possono iscriversi scegliendo una sola Regione. L’albo regionale costituirà il solo bacino di candidati  da cui gli Istituti autonomi potranno attingere per la loro selezione concorsuale.

Siamo d’accordo sull’ipotesi avanzata dal ministro Brunetta  che l’anno di formazione e prova debba concludersi con un esame di valutazione dell’attitudine e della preparazione, con assunzione a tempo indeterminato  in presenza del suo superamento.

image030 L’indilazionabile creazione di una leadership intermedia

4Abbiamo dato avvio alle nostre proposte con il richiamo a una coraggiosa valorizzazione dell’autonomia scolastica, e di lì ripartiamo per introdurre la  creazione di una  leadership intermedia della docenza,   che  è ormai generalmente accettata come indispensabile fattore di sostegno.

 A quasi 25 anni da quella prima blanda ipotesi contenuta  nell’articolo 21 della Legge 59/1997, istitutivo dell’autonomia scolastica (“l’individuazione di nuove figure professionali del personale docente, ferma restando l’unicità della funzione”), molti pregiudizi e opposizioni sono stati superati e ci sono le condizioni per una puntuale  definizione delle caratteristiche  di questa “leadership intermedia ”, dall’articolazione dei ruoli  alle modalità della sua formazione,  dal suo reclutamento alle condizioni normative. Qui ci preme sottolineare  che il reclutamento deve  essere  decentrato, attuato dalle istituzioni scolastiche autonome,  le sole titolate a stabilire le proprie necessità.

Se è vero che i tempi sono maturi per la creazione di questa fascia intermedia di leadership, si deve constatare, purtroppo, che né nel PNRR, né nelle Linee Programmatiche se ne fa cenno.

image031 Sviluppo dello 0-6: rilanciare la “scuola dei 2 anni”

5Nell’analisi precedente abbiamo visto che, nonostante gli investimenti   per il  sistema integrato 0-6 (€4,60 mld) costituiscano il maggior finanziamento  della Missione  Istruzione,  non è indicata  nessuna priorità per il loro utilizzo. Si ritiene invece che  le grandi disparità territoriali da un lato e il forte calo demografico dall’altro impongano da subito una rigorosa pianificazione degli interventi.

In questa prospettiva  vogliamo  sottolineare  una questione  importante, attuata in Francia: la scuola dei 2 anni,  a cui  in Italia corrisponde una sperimentazione mai decollata che va sotto il nome di  sezioni primavera,  dedicate, per l’appunto, ai bimbi dai 24 ai 36 mesi. Uno sviluppo di queste sezioni aiuterebbe molto a coprire la fascia di età più importante del segmento 0-3.

I motivi del mancato decollo  vanno ricercati innanzitutto nel diffuso rifiuto delle scuole statali di accogliere, a differenza di quelle private, i bambini di 2 anni; un rifiuto in parte riferibile alle procedure per il reclutamento del personale, con la non disponibilità delle insegnanti in servizio, e all’impianto ordinamentale che non ha al momento previsioni specifiche per la fascia 24-36 mesi. Tale mancanza fa sì che si debba ricorrere ad accordi con le Regioni, poiché quella fascia di età è rimasta di pertinenza regionale, con tutta la burocrazia che segue.
Da tempo diciamo che occorre uscire dalla nebulosa sperimentazione delle sezioni primavera e prevedere una specifica norma legislativa.

Così è in Francia  dove la scuola dei 2anni è regolata dal Code de l’Education  che  all’ articolo  L113-1 recita :”Le scuole dell’infanzia o le scuole primarie dove ci sono classi di scuole dell’infanzia,  nelle zone sia rurali che urbane, possono accogliere  bambini a partire dall’età di due anni, in condizioni educative e pedagogiche adeguate alla loro età, finalizzate al loro sviluppo motorio, sensoriale e cognitivo, come  specificato dal ministro dell’educazione nazionale. Questo servizio è organizzato prioritariamente nelle scuole situate in un ambiente sociale svantaggiato, sia nelle aree urbane, rurali o montane e nelle regioni d’oltremare”. E, a differenza delle sezioni primavera, la scuola dei 2 anni francese è gratuita come la scuola 3-6 anni.  Fortemente  sviluppata  dal precedente governo socialista,  fornisce un servizio dove non arrivano gli asili nido,  ed è rivolto soprattutto alla popolazione svantaggiata.

In Italia il numero delle sezioni primavera ammesse al finanziamento statale  nell’a.s. 2018-19 è stato di 1825.
Per quanto riguarda la collocazione geografica, le sezioni primavera attive nel nord Italia sono 993, quelle nel centro sono 183; nel sud e nelle isole sono funzionanti 764 . Sono di più dove ce ne è meno bisogno
Complessivamente le sezioni primavera (finanziate e non) associate ad un nido sono 225, quelle associate a scuole dell’infanzia sono 1.715 (5 sezioni sono associate a strutture che ospitano sia nido sia scuola dell’infanzia)
Una delle cose fondamentali da notare è che delle 1715 sezioni aggregate a scuole dell’infanzia,  1494 sono in scuole private, solo  158 in quelle statali, 63 comunali.

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Per quanto riguarda la gestione statale, essa è più diffusa al sud e nelle isole rispetto al nord e al centro (38 nelle regioni settentrionali, 42 nelle regioni centrali, 78 nelle regioni meridionali).

Nella pianificazione, tutta da costruire, dello sviluppo degli asili nido, si tenga conto non solo dei divari territoriali, ma anche del calo demografico, due fenomeni che spingono a dare  stabilità alle sezioni primavera, trasformandole con un articolo di legge in scuola dei 2 anni, dove il termine scuola non tragga in inganno, perché sono sezioni con un rapporto insegnante/ bambini come nel nido e con un preciso piano pedagogico.

Uniformare la normativa del personale delle scuole dell’infanzia e degli asili nido  comunali con quello delle scuole statali

Un altro problema che si registra nella costruzione del sistema 0-6 e in particolare nei poli 0-6 è la difformità di condizioni normative e contrattuali fra personale insegnante ed educativo comunale e personale insegnante statale, così come sono inconcepibili grandi differenze nel calendario scolastico, spesso entro lo stesso quartiere.

Considerata l’attuale incapacità di addivenire a una gestione unitaria fra servizi statali e comunali, si cerchi almeno di uniformare come primo passo la gestione del personale.

image033Una decisa ridefinizione dell’istruzione professionale

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Non essere ciechi di fronte ai dati

All’inizio del secolo, a.s. 2000-2001  gli iscritti al 1° anno degli Istituti Professionali erano il 25% degli iscritti al 1° anno della scuola secondaria di 2° grado, nell’a.s. 2021-22 sono l’11,9%.
La scelta è fra lasciarli morire di morte  naturale o intervenire drasticamente senza più cullarsi in miniriforme, dopo lo snaturamento  degli istituti professionali e la loro omologazione agli istituti tecnici  da parte del ministro Fioroni con la legge 40/2007.

Quel famoso articolo 13 della L.40/07, in cui, ironia della sorte, si mescolava la riforma degli istituti tecnici e professionali con la rottamazione degli autoveicoli, stabilì che gli Istituti professionali, per rimanere statali, non potevano più impartire qualifiche e assumevano la struttura degli istituti tecnici, un quinquennio costituito da un biennio e un triennio. Era chiaro che gli Istituti professionali in quanto tali scomparivano, tanto che in una prima bozza si parlava di istituti tecnico-professionali, di cui poi  nell’art. 13 rimasero solo i “poli tecnico-professionali”.

Unificare  IP con IeFP

Dopo la messa in atto della legge 40, l’unica decisione saggia  fu presa, non senza contrasti,  dalla Provincia di Trento.  Trento prese atto che l’istruzione professionale era stata di fatto cancellata per 3 motivi: 1) la sua trasformazione in un percorso quinquennale, al pari dei licei e degli istituti tecnici con conseguente soppressione della qualifica intermedia, che costituiva un’attrattiva per chi non se la sentiva di impegnarsi, da subito, in un percorso quinquennale; 2) la riduzione dell’orario settimanale da 36 a 32 ore, 3) il ridimensionamento dell’area professionalizzante che ne garantiva il collegamento con il mondo del lavoro. 

La conseguente decisione fu la confluenza degli Istituti Professionali trentini o negli Istituti Tecnici o nell’Istruzione e Formazione Professionale, razionalizzando in questo modo l’istruzione secondaria di 2° grado strutturandola solo su 3 “gambe” (licei, istituti tecnici, istruzione e formazione professionale).

Da allora ADi propone questa soluzione a livello nazionale, consapevole che l’operazione è più complessa, ma non impossibile.

Si abbia il coraggio fra le varie riforme in cantiere collegate al PNRR di operare queste scelte.

Commissione Europea: importanza dell’apprendistato

Nell’Unione Europea l’IFP rappresenta circa la metà dei diplomati dell’istruzione secondaria superiore, ed è considerata un settore strategico per l’occupazione giovanile. E proprio nell’ambito  del sostegno all’occupazione giovanile nel luglio 2020 è stata emanata una Raccomandazione del Consiglio relativa all’istruzione e formazione professionale (IFP) per la competitività sostenibile, l’equità sociale e la resilienzadi cui è importante tenere conto. 

La proposta  mira a rendere i sistemi  di formazione professionale più moderni, attraenti, flessibili e adatti all’economia digitale e verde.  E c’è  un impegno dell’UE ad aiutare i centri di  istruzione e formazione professionale a diventare  luoghi di eccellenza professionale, sostenendo nel contempo la diversità e l’inclusività.

Si sostiene in particolare un rinnovato impulso per gli apprendistati, che andranno, si dice,  a vantaggio sia dei datori di lavoro sia dei giovani, preparando una forza lavoro qualificata in un’ampia gamma di settori.

In un apposito opuscolo, A future-proof approach, la Commissione Europea  pone l’obiettivo che nei prossimi 5 anni almeno 3 studenti su 5 in Istruzione e Formazione Professionale dovrebbero beneficiare di apprendimento sul Lavoro, in particolare dell’apprendistato.

Una  filiera continua  tecnica e professionale  comprensiva di istruzione secondaria  e  terziaria

Alcuni dati ci aiutano  forse a inquadrare meglio il problema. Quanto proposto non è ancora sufficiente per interrompere in Italia il perdurante trend negativo  che vive l’istruzione professionale, non da sola ma insieme  all’istruzione tecnica.

Il rapporto di AlmaLaurea 2020 indica che solo il 2,1% dei laureati proviene dall’istruzione professionale, il 18,9% dall’istruzione tecnica  e il 76,5%  dai licei.

Questi dati  confermano  la tendenza degli studenti  degli Istituti Professionali, ma anche degli Istituti Tecnici a non proseguire nel percorso universitario, oppure ad abbandonarlo poco dopo l’iscrizione.

Per questo è bene  disporre di un percorso terziario potenziato, quello degli Istituti Tecnici Superiori, che di seguito affronteremo, che privilegi i diplomati degli istituti tecnici e professionali, in un processo di continuità.

image034Dagli ITS alle Scuole Superiori Politecniche

7Le ragioni per valorizzare l’istruzione terziaria professionalizzante

Vorremmo innanzitutto  proporre in modo più articolato le ragioni per sostenere un canale  di formazione terziaria professionalizzante parallelo all’Università.  Federico Butera, in una relazione tenuta sugli ITS nel 2019 a Didacta, ne indicava quattro:

  1. ragioni occupazionali: gli ITS assicurano il pieno impiego
  2. ragioni economiche: accrescono la cultura tecnico-scientifica del capitale umano
  3. ragioni politiche: superano la contrapposizione tra cultura generale e formazione tecnico-professionale e stabiliscono nuovi ponti tra scuola e impresa
  4. ragioni educative e sociali: rispondono  a punti di partenza e bisogni differenziati, alla diversità di talenti e aspirazioni

Superamento dell’ideologia della subalternità

Finalmente in questi motivi non ci si limita al dato occupazionale, ma si mette in rilievo l’importanza strategica di riconoscere pari dignità alla cultura tecnico professionale e all’apprendimento esperienziale, rispetto ad una cultura   accademica  e all’apprendimento  simbolico-ricostruttivo.  Si tratta di fare emergere una maggiore laicità in riferimento alle tematiche dell’educazione, di porre fine al caso italiano secondo cui l’ambito dell’istruzione e formazione professionale  è visto in modo pregiudiziale come un fattore di segregazione e di esclusione, come se tramite esso si sviluppasse un processo di sub-cittadinanza, assolutamente non di pari dignità rispetto ai percorsi generalisti e accademici. Non è così in altri Paesi, nella vicina Svizzera, tra cui il Canton Ticino di lingua italiana,  il 60% di una coorte d’età segue  l’apprendistato, per poi proseguire nel terziario non accademico, è una tradizione di prestigio, selettiva, attraverso la quale è possibile assurgere a funzioni top dell’economia e della politica. Bisogna far crescere la consapevolezza che oggi più che mai gli orizzonti che si aprono alla cultura tecnico professionale appaiono più ambiziosi e perciò da considerare più ambiti di tanti percorsi accademici per esempio di tipo “umanistico. Da questo approccio culturale occorre partire per costruire nei fatti la pari dignità.

Un sistema di pari dignità di quello universitario

Che fare allora per dare vita a un sistema terziario professionalizzante di pari dignità di quello universitario, capace di  portare gli iscritti da 10.000 a 100.000, come indica il PNRR?

Di seguito alcune proposte:

  • Dare agli ITS la stessa dignità delle lauree triennali. A questo fine vanno trasformati da biennali in triennali, con caratteristiche distinte dalle lauree triennali professionalizzanti.
  • Potenziare la governance,  con massima assunzione di responsabilità e  collaborazione  fra Ministeri,  Regioni  e sistema delle imprese.
  • Agganciare lo sviluppo degli ITS alla 4^ rivoluzione industriale.
  • Potenziare la presenza di laboratori di ricerca applicata, che svolgano progetti innovativi per conto terzi.
  • Potenziare la partecipazione delle aziende.
  • Creare un sistema di “passarelle” con l’università, da un lato per il passaggio dal percorso triennale ITS alla laurea magistrale e dall’altro  per l’assorbimento negli ITS di parte degli studenti che abbandonano l’Università (il 20% dopo un anno, il 39% dopo due anni, il 45,2% dopo tre anni), e che  hanno predisposizione per un diverso tipo di apprendimento e formazione non accademica.
  • Cambiare il nome. Il Prof. Butera nella relazione citata del 2019 proponeva Scuole Superiori Politecniche , che a noi pare molto appropriato . A questo punto, se si trasformano questi percorsi terziari da biennali in triennali, si può  anche pensare di modificare il  DM. 270/2004 che ha stabilito le diverse specificità della qualifica di dottore corrispondenti attualmente  ai relativi livelli di studio universitari  (Dottore dopo la laurea triennale, Dottore magistrale, dopo la laurea magistrale, Dottore di ricerca ai titolari di un dottorato di ricerca) e assegnare il titolo di dottore anche a chi conclude il percorso triennale di una Scuola Superiore Politecnica
  • Potenziare la comunicazione alle famiglie e agli studenti, con interventi  della stampa, della televisione, del cinema, dei social media, raccontando  le nuove caratteristiche del lavoro e i percorsi formativi innovativi

image035Gli Istituti quadriennali e fine della scolarizzazione a 18 anni

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Le ragioni a favore della conclusione della scolarizzazione alla maggiore età

ADi  si è sempre espressa favore dei percorsi quadriennali dell’istruzione secondaria di 2° grado, con conclusione della scolarizzazione alla maggiore età. Per questo sostiene ora l’ampliamento della sperimentazione quadriennale, con l’auspicio che  preluda all’andare a regime di tutta la scuola superiore.

I percorsi quadriennali consentono  infatti di:

  • armonizzare la durata della scolarizzazione con quella della maggior parte dei Paesi europei e non solo europei;
  • concepire tempo, energie, risorse in una visione di longlife learning;
  • anticipare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e nel ciclo terziario di istruzione (accademico e non);
  • garantire il raggiungimento, alla maggiore età, della piena autonomia delle nuove generazioni

Inaccettabile l’attuale sperimentazione  senza innovazione

Premesso  il nostro ragionato  sostegno alla sperimentazione  degli istituti quadriennali, dichiariamo al contempo la nostra totale contrarietà  all’attuale impostazione che prevede il mantenimento di tutte le discipline e di tutte le ore del percorso quinquennale semplicemente compresse in 4 anni, con la relativa inalterabilità dell’organico.

E’ venuto, crediamo,  il tempo della disciplina della verità  e dell’autocritica per la scuola e il caso dei percorsi quadriennali  può costituire un potente banco di prova. Il ridisegno su quattro annualità può  e deve essere la leva per rivisitare l’ecosistema dell’insegnamento e dell’apprendimento, liberando nuove energie attraverso il superamento degli assetti tradizionali.

Tutte le precedenti riforme che non hanno intaccato la struttura organizzativa tradizionale  non hanno avuto esiti positivi, nemmeno quando è stata fatta l’operazione inversa all’attuale, ossia quella dell’aumento degli anni della secondaria superiore, che ha caratterizzato le riforme dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Si pensi alla quinquennalizzazione  dei licei artistici e degli istituti magistrali e lo svuotamento delle qualifiche  triennali degli istituti professionali a favore dei diplomi quinquennali.  Queste plastiche additive  non hanno migliorato  la formazione nè aumentato la motivazione ad apprendere, basti guardare allo scarto  tra gli iscritti al primo anno e quelli al quinto per avere  conferma  delle incongruenze e non sostenibilità dei percorsi.

In conclusione anziché concentrarsi, come fa l’attuale sperimentazione, sulla riduzione di un anno e sulla ricerca di soluzioni ed espedienti per recuperare l’anno perduto si ragioni in termini di anno guadagnato!

 

CONCLUSIONI

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In questo percorso di analisi e di proposte abbiamo seguito fedelmente le orme del PNRR, nel senso che non ci siamo discostati dagli argomenti trattati nel Piano sotto le voci  sia di “riforme”   che di “investimenti”.

Non è questo, pertanto, un libro dei sogni, ma il tentativo  di inquadrare i vari argomenti in una visione che ci proietti verso il futuro, sicuramente incerto, ma che preme alle porte con grandissima urgenza.

L’autonomia scolastica come cornice

Si è cercato di inquadrare gli argomenti trattati  in una visione ampia e autentica di autonomia delle istituzioni scolastiche, con la consapevolezza, comunque, che non ci sarà da subito la possibilità  di rilanciare in tutte le scuole  un’autonomia avanzata. Per questo ADi ha predisposto un disegno di legge per la costituzione di Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale,  ISAS, attraverso i quali poter sperimentare   un’autonomia scolastica capace di intervenire sui curricoli, sugli organici, sulle assunzioni, sui tempi scuola, così da consentire di poter volare alto laddove ci siano  idee e volontà di innovare, o dove   esistano situazioni  che, per evolvere, necessitano di un assetto organizzativo radicalmente nuovo, come ad esempio i nuovi istituti quadriennali,  o una nuova combinazione di istruzione professionale statale  e istruzione e formazione professionale regionale, o ancora il recupero di  situazioni di altissimo degrado .

Questa è stata la cornice  entro cui abbiamo sviluppato le nostre proposte.  Nello specifico, fra tutti gli argomenti trattati ( stato giuridico degli insegnanti, formazione iniziale e reclutamento, leadership intermedia, la scuola dei 2 anni, l’istruzione professionale, gli ITS, gli istituti quadriennali) ci preme, in conclusione, soffermare l’attenzione su due in particolare: 1) la leadership intermedia, 2) l’istruzione professionale a livello secondario e terziario

La leadership intermedia: una riforma improcrastinabile

Nutriamo la convinzione che questa riforma, in gestazione da oltre 30 anni, non possa più attendere, pena l’ulteriore deprofessionalizzazione della docenza e l’ingestibilità delle istituzioni scolastiche.

 Crediamo d’altra parte che i tempi siano maturi per seppellire definitivamente  il mito dell’unicità della funzione docente e rendere la professione  più articolata nei ruoli e nelle remunerazioni  così da poter reclutare e trattenere i migliori. Ci sono in questo senso sollecitazioni anche da parte della Commissione europea nel documento  Sostenere la carriera degli insegnanti e delle figure di coordinamento del 2020, e più recentemente di Eurydice nel Rapporto Carriera, sviluppo professionale e benessere,2021.

 La leadership intermedia  si configura inoltre come necessario e indispensabile pilastro gestionale di scuole proiettate verso un nuovo complesso ecosistema degli apprendimenti, che non può più reggersi   sul semplice bipolarismo  dirigente scolastico-docenti, con aleatori e instabili incarichi di supporto.

L’importanza strategica dell’istruzione professionale secondaria e terziaria

Abbiamo posto particolare attenzione a tutta la filiera professionale secondaria e terziaria, nella convinzione che sia proprio la valorizzazione di questo settore a permettere all’istruzione in Italia di fare un reale balzo in avanti. Si tratta innanzitutto di sconfiggere persistenti pregiudizi ideologici nei confronti della cultura del lavoro e dell’apprendimento esperienziale.

Abbiamo decisamente optato per il superamento degli attuali Istituti Professionali, brutte copie degli Istituti Tecnici e in progressiva estinzione, a favore dell’Istruzione e Formazione Professionale, di cui  va sostenuta appieno la valenza educativa, culturale, professionale ed economica.
Nel nostro Paese essa viene, invece, ancora associata a un modello puramente addestrativo, anche se questi  percorsi sono stati elaborati sulla scorta di un’impostazione europea, che considera il settore VET (Vocational Educational Training), che è equivalente all’italiano IeFP, come modalità importante e fondamentale per la formazione del cittadino.  Così mentre in Italia questo settore rimane un fanalino di coda, nelle UE la media del 50% dei giovani fra I 15 e i 19 anni è iscritta a corsi professionali, (in alcuni Paesi addirittura il 70%).

Abbiamo poi rivendicato, non a parole, ma con precisi provvedimenti, lo sviluppo dell’istruzione professionale terziaria, gli ITS, che abbiamo ridenominato  Scuole Superiori Politecniche e richiesto che siano triennali e diventino anche centri di ricerca applicata rivolta alle imprese.

Si tratta di un altro settore dove è vistosa l’anomalia italiana, che continua a privilegiare la sola istruzione terziaria universitaria.

Sarà un grande avanzamento culturale, sociale, professionale ed economico per il nostro Paese quando si riuscirà a considerare e a sostenere nei fatti la pari dignità dell’istruzione professionale terziaria con quella universitaria.

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