Intervista
a CARLO MARZUOLI
su due proposte relative allo
"Stato giuridico degli insegnanti"
a cura di Alessandra Cenerini
15 settembre 2003


A.C.
L’ADi ha per prima lanciato la proposta di ridefinire lo stato giuridico degli insegnanti affrontando il tema in due importanti seminari nazionali:“Riforma della scuola e svolta regionalista: come cambia la condizione degli insegnanti - Lo stato giuridico dei docenti fra passato e futuro", Bologna 22 e 23 Febbraio 2002, e "Un Nuovo stato giuridico per la professione docente", Bologna 30 novembre 2002.

Ora, come ben sai, sono state presentate due proposte di legge sullo stato giuridico, l’una d’iniziativa di alcuni deputati di Forza Italia e della Lega Nord (Camera, n. 4091), l’altra d’ iniziativa del deputato di Alleanza Nazionale Angela Napoli ( Camera, n. 4095).
Considero molto importante poter discutere con te queste iniziative, perché sei una delle persone più competenti e qualificate a farlo. La prima questione che vorrei affrontare è un nodo politico che reputo rilevante. Mi riferisco al fatto che queste proposte avanzate da alcuni parlamentari della maggioranza si collocano nel quadro di un governo che non ha nessuna intenzione di legiferare su tale materia. Due dati a riprova di questa mia affermazione:

  1. Il 15 Gennaio 2003 ha terminato i propri lavori la commissione sul Codice deontologico, di cui posso parlare con cognizione di causa avendone fatto parte. Il documento finale di sintesi di quella commissione ha posto due obiettivi: un nuovo stato giuridico degli insegnanti e la creazione di un organismo di autogoverno della docenza. Bene, in quell’occasione il ministro Moratti ha esplicitamente dichiarato di non volere avviare nessun provvedimento legislativo al riguardo, perché non ha nessuna intenzione di aprire un nuovo fronte di scontro con i Sindacati.
  2. Il 24 luglio 2003 è stato firmato il Contratto Nazionale della Scuola. Ancora una volta quel Contratto si è appropriato di elementi della condizione docente che dovrebbero essere oggetto di stato giuridico. Mi riferisco ad esempio alla definizione della funzione docente e alla “carriera” degli insegnanti per la formulazione della quale è stata prevista un’apposita commissione mista Aran- Sindacati. Una commissione, peraltro, sostenuta pubblicamente dal ministro Moratti anche in recenti dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera.
 


Fatta questa premessa, la mia domanda è : in questo contesto, qual è, a tuo avviso, il significato da attribuire alle due proposte di legge?

 

C. M.
Quello che dici segnala l’esistenza di un evidente contrasto di quelle iniziative legislative (pressoché uguali) con i propositi enunciati e con i fatti realizzati dall’autorità di governo (le citate dichiarazioni del ministro e la sottoscrizione di un contratto nuovamente invasivo di aspetti qualificanti per la funzione docente). Come interpretare questa situazione? Le ipotesi sono due: o qualcuno degli interessati (l’autorità di governo ed i parlamentari proponenti) in realtà non vuole quello che pure afferma di volere, oppure l’autorità di governo e alcuni parlamentari della sua maggioranza vogliono cose fra loro incompatibili. Difficile sapere quale delle due ipotesi corrisponda al vero.

Peraltro, specie in un momento in cui la scuola dovrebbe cambiare, la libertà di insegnamento e le connesse questioni sullo stato giuridico dei docenti sono argomenti assolutamente centrali. Direi anzi che proprio questo è il terreno (dal punto di vista giuridico) su cui si dimostra la volontà di trasformare davvero la scuola, per adeguarla alle esigenze di oggi e del futuro. L’istruzione pubblica è in primo luogo la funzione docente e la condizione giuridica (ed economica, ovviamente) del personale che espleta il servizio (come la giustizia è il giudice, ecc.): se non si procede ad una innovazione su questo piano, tutto il resto rischia di essere pregiudicato, o di provocare molto rumore per esaudire solo interessi particolari, legittimi, ma che non possono essere propagandati come gli interessi della “Nazione”, del “Paese”, della “Società”, della “Scuola”, e così via.

Il tema merita perciò grande attenzione, al di là della circostanza che le due iniziative legislative siano manifestazione di un interesse autentico o, invece, solo di circostanza.

A. C.
Quali sono i punti essenziali da prendere in considerazione per affrontare la materia e quale la valutazione, rispetto ad essi, delle due proposte di legge?

 
C. M.
Oggi, anche alla luce delle nuove disposizioni costituzionali, la materia presenta problemi di diverso livello, da affrontare in modo ordinato.
Al primo posto vi sono delle pre-condizioni.
  • A) La prima riguarda la consapevolezza del valore dell’oggetto su cui si interviene.
    La funzione docente, specie nel sistema dell’istruzione pubblica (scuole “statali” e scuole paritarie, ai sensi della legislazione vigente, e ferma la illegittimità costituzionale, a mio avviso, non della parità in sé, ma della disciplina che ne ha dato la legge n. 62/2000), si caratterizza perché deve svolgersi, per dettato costituzionale, in una condizione di “libertà di insegnamento”. D’altra parte questo è anche l’aspetto che inequivocabilmente differenzia la funzione docente da tantissime altre funzioni: qui sta ciò che fonda l’insegnamento come professione autonoma e distinta da tutte le altre.
  • B) La seconda, e conseguente, pre-condizione riguarda la questione di chi, in relazione al valore dell’oggetto (che è grande, e delicato), deve intervenire: se il Parlamento, o il Governo, o le Regioni, o i sindacati, ecc.
    Dal punto di vista giuridico, da sempre, uno degli strumenti essenziali per garantire le libertà costituzionali e le prerogative delle funzioni pubbliche (come l’indipendenza per i giudici, ad esempio; ma anche l’imparzialità della pubblica amministrazione, vedi l’art. 97 primo comma, Cost.), e dunque anche per garantire la libertà di insegnamento, è che la materia sia regolata con legge.
    La legge, infatti, proviene da un organo (il Parlamento):
    • in cui tutti possono intervenire, maggioranza e opposizione;
    • le cui decisioni sono più facilmente conoscibili, controllabili e criticabili dall’opinione pubblica;
    • che dunque costituisce una sede in cui è più difficile per chi ha in quel momento la maggioranza adottare regole lesive della libertà

A.C.
Tu sai bene che molti sostengono che il ricorso alla legge comporta tempi lunghissimi e gravi ritardi. Come si risponde a questa ricorrente obiezione?

 
C. M.
Opportuna interruzione. Vedi, l’idea per cui la necessità di semplificare o di far presto giustificherebbe sempre (o quasi) l’accantonamento dell’atto legislativo corrisponde ad un’equazione inconsistente, anche se appartiene alla pubblicistica corrente. Ad esempio, si farebbe molto presto a risolvere gli affari condominiali se si desse tutto il potere all’amministratore del condominio, sopprimendo l’assemblea; eppure dubito che il singolo proprietario sia disposto a tanto (io certamente no): che se ne fa (il singolo condomino) di una decisione rapida, se è una decisione che lo priva dei suoi diritti senza che neppure abbia avuto la possibilità di interloquire?
Come vedi, in mancanza di certe regole, la rapidità è un valore utile solo per l’interesse di chi ha il potere, non certo per gli altri. Insomma, alle regole democratiche non vi è alternativa: bisogna solo impegnarsi per farle funzionare presto e bene.

Questo precisato, vorrei aggiungere, a riprova dell’importanza (in positivo) della legge, che proprio il fatto che su una materia intervenga il Parlamento o invece un altro organo è un elemento capace di testimoniare ben oltre le parole (che volano) quale sia il valore che le forze politiche effettivamente attribuiscono ad una certa materia.

A. C.
Torniamo dunque alla legge: puoi esemplificare e indicare le più immediate implicazioni di quanto hai detto?

 
C. M.
Certamente. Il punto è che gli aspetti fondamentali della libertà di insegnamento e quegli aspetti della condizione giuridica del docente che sono determinanti ai fini della garanzia di tale libertà debbono essere disciplinati con legge: si pensi ad esempio al reclutamento, che deve essere pubblico, imparziale e totalmente indifferente rispetto ai diversi orientamenti culturali o religiosi (e qui torna il discorso sulla illegittimità dell’attuale disciplina della scuola paritaria, per non parlare della recentissima legge n. 186/2003 sugli insegnanti di religione), oppure alla costruzione della “carriera” (in senso lato), o alla pluralità e varietà delle funzioni di tipo docente (se una o più; si pensi ai giudici: esiste la funzione giurisdizionale di primo grado, di secondo, di cognizione e di esecuzione, ecc.), alle autorità che debbono avere potestà di indirizzo e di coordinamento (per certi aspetti, in vista della resa del servizio di istruzione), alla valutazione e al controllo.

Le implicazioni essenziali sono le seguenti, tanto ovvie quanto spesso ignorate o contrastate.

  • La materia non può essere disciplinata con regolamento governativo. Un sistema peggiore, per tutelare una libertà costituzionale, non vi può essere (dal punto di vista giuridico). Bene: se, ora, vai a vedere come è concretamente disciplinata la libertà di insegnamento (e tutto ciò che vi è connesso) nei due progetti, puoi agevolmente constatare che essi, in sostanza, niente o quasi disciplinano direttamente, che neppure si rimettono ad un decreto legislativo (come il testo unico D. Lgs. n. 297/1994, o come sono i decreti previsti dalla legge Moratti n. 53/2003), e che invece si affidano ad un regolamento governativo (si vedano gli articoli 8 del pdl n. 4091 e 8 del pdl 4095), cioè ad un atto del solo Governo. La conclusione non è confortante, ma inevitabile: o manca un’adeguata consapevolezza della materia su cui si interviene oppure manca un’adeguata sensibilità per i valori costituzionali di libertà (e già qualche altro segno si è avuto: penso a certe esternazioni sui libri di testo), oppure…..l’una e l’altra cosa. In ogni caso rimane la pericolosità, dal punto di vista della garanzia della libertà di insegnamento (e dei diritti in generale dei docenti), delle iniziative in questione.
  • L’altra implicazione, assolutamente centrale, è la necessità di rideterminare in modo preciso gli ambiti in cui può intervenire la contrattazione sindacale. Il sindacato è un fattore essenziale di democrazia e di libertà ed è uno strumento indispensabile per la tutela di chi lavora e in specie dei lavoratori dipendenti. Ma anch’esso è solamente uno dei protagonisti (insieme ai partiti, al pluralismo degli enti territoriali, alle libertà individuali e associative) e non un protagonista privilegiato: dunque, anche per il sindacato esiste la necessità di mantenersi nell’ambito che gli è proprio. La funzione docente, la libertà di insegnamento ed i connessi aspetti della condizione giuridica del personale docente non sono (giuridicamente) materia di contrattazione sindacale (come non lo sono, fatti i debiti adattamenti, la funzione giurisdizionale e la condizione giuridica del personale che la esercita, cioè dei magistrati). Capisco che il problema è politicamente impegnativo, ma dovrà pur essere affrontato, nella sede giusta, che è, appunto, il Parlamento.

A. C.
Dalle tue notazioni emerge una valutazione molto negativa sia dei due progetti che dell’intero contesto in cui si collocano.

 
C. M.
E’ così. Credo di non esagerare. Considera questo.

Da un lato, alla legge proprio non si pensa. E’ il caso dell’autorità di governo e delle dichiarazioni ministeriali che hai citato. Sono cambiati maggioranza e governo, ma non vi è alcuna intenzione, nella materia di cui parliamo, di rivedere gli ambiti di competenza della legge e della contrattazione (anzi).

Da un altro lato, qualcuno ricorre alla legge. E’ il caso dei due progetti in esame. Senonché, in realtà, siamo davanti ad una (insidiosa) apparenza: quei due progetti, infatti, usano la sede legislativa non già per disciplinare veramente la materia, ma per affidarne la disciplina alla potestà regolamentare del governo, e dunque per sottrarla (e non per darla) al Parlamento. Come dire: al peggio mai vi è fine (dal punto di vista giuridico).

A.C.
Tu pensi dunque che siamo punto e a capo.

 
C. M.
Sì. I fatti ed i dati menzionati non consentono giudizi diversi. La funzione docente e la sua condizione di libertà, con i conseguenti aspetti di stato giuridico dei docenti, sono il cuore del sistema dell’istruzione. E’ ben comprensibile, dunque, che l’insieme delle questioni sia complesso e laborioso. Ma i due progetti non intendono risolvere la questione, intendono esclusivamente darla in appalto al governo.

A. C.
Come procedere, allora? da dove muovere? quali punti affrontare ed in quale sequenza?

 
C. M.
Siamo alle questioni di secondo livello, che vengono dopo le pre-condizioni di cui ho già parlato.

Per andare avanti, in modo fattivo, occorrono spessore e adeguatezza: a) di elaborazione tecnico-giuridica; b) di metodo; c) di tempo: occorre un tempo previamente determinato, che però non può essere né domani, né dopo domani (con una eccezione, di cui dirò fra poco).

Alla luce delle normative, costituzionali e di legislazione ordinaria, degli ultimi anni, affrontare, oggi, la questione della funzione docente ed i connessi aspetti dello stato giuridico del personale docente significa investire alcune problematiche di carattere generale.

  1. Definizione del rapporto fra funzione docente, libertà di insegnamento, stato giuridico e “norme generali sull’istruzione” di cui parla l’art. 117 Cost., comma 2, lettera n, e di cui si dovrebbero occupare i decreti legislativi previsti dalla vigente legge n. 53/2003. A mio avviso, per ragioni che in altri interventi ho cercato di illustrare, molti aspetti della funzione docente e dello stato giuridico debbono costituire parte delle norme generali sull'istruzione (come sembra riconoscere la stessa legge n. 53/2003, che esplicitamente indica il tema della formazione dei docenti); in questo modo sarà possibile garantire una unitarietà delle funzione docente pur in un contesto di autonomia e di decentramento, come previsto dallo stesso articolo 117 Cost. e – sembrerebbe – dalla stessa legge n. 53/2003. Per inciso: anche questo aspetto (che riguarda la legge n. 53/2003) pare essere totalmente ignorato dai due progetti di legge.
  2. Riconsiderazione della congruità della attuale disciplina della contrattazione collettiva in ordine alla nuova configurazione dell’istruzione e rideterminazione dei confini fra ambito della contrattazione e ambito dell’organizzazione del servizio, oltre che della libertà di insegnamento e della funzione docente. Di quest’ultimo aspetto, in verità, i due progetti si occupano (art. 7 pdl n. 4091 e art. 6 pdl n. 4095), ma in modo insufficiente (non bastano poche parole) ed in un contesto distorto: non si può certo pensare, in materia, di sostituire la contrattazione con l’onnipotenza della potestà regolamentare del governo.
  3. De-statalizzazione del personale docente; la strada giuridicamente più corretta e utile è quella della regionalizzazione. D’altra pare, ciò potrà farsi senza rischio alcuno una volta che si siano fatte le norme generali sulla funzione docente e sulla libertà di insegnamento.

Il collegamento fra i due aspetti (regionalizzazione, decentramento e norme generali sull’istruzione, per la parte che ora ci interessa) è strettissimo. Infatti: è ovvio, ed è sacrosanto, che il personale docente sia gravemente preoccupato dell’ipotesi di regionalizzazione se non ha garanzie chiare e compiute di stato giuridico; ancora: è ovvio, ed è sacrosanto, che il cittadino della Repubblica sia gravemente preoccupato dell’ipotesi di regionalizzazione di parte del sistema dell’istruzione se non vi sono norme generali uniformi sugli aspetti qualificanti del servizio dell’istruzione, il che vuol dire sulla funzione docente, sulla libertà di insegnamento, sul personale docente. La via di uscita, a questo punto, per chi solo a parole vuole l’autonomia e il decentramento nella scuola, è fin troppo scoperta : basta evitare di mettere mano a questa opera di regolazione legislativa (della funzione docente, della libertà di insegnamento, di alcuni aspetti di stato giuridico) per contrastare, in modo non dichiarato ma assai più efficace, le pur proclamate istanze di devoluzione, ecc. ecc. Per inciso (di nuovo): niente vi è, sul punto, nei due progetti citati.

A.C.
E quanto al metodo da seguire?

 
C. M.
Un’operazione come quella di cui vi è bisogno non può essere realizzata se non attraverso un processo che coinvolga, in funzione conoscitiva, di rappresentazione di esigenze, di approfondimenti tecnici, tutte le sedi istituzionali e tutte le istituzioni (pubbliche e private) interessate. Ma, soprattutto, non può avere un esito soddisfacente se in particolare non coinvolge i docenti attraverso forme e strumenti giuridici ulteriori e diversi rispetto a quelli delle associazioni sindacali di categoria. E’ ovvio: fra i temi da riesaminare vi è anche quello del rapporto fra la funzione pubblica nell’istruzione ed il ruolo dei sindacati, fra i singoli docenti e le loro stesse forme associative; occorre dunque che i docenti siano investiti della questione non solo sotto il profilo dei legittimi interessi economici di categoria, ma anche (e innanzitutto) sotto il profilo strettamente tecnico-professionale.

A.C.
Mi pare che tu stia portando l’attenzione sulla necessità di apposite forme pubbliche di organizzazione per i docenti e per la funzione docente, di organismi tecnici rappresentativi della funzione docente volti a soddisfare, sia pure in termini diversissimi, un’esigenza di garanzia e di valorizzazione tecnica in qualche modo simile a quella che, in un altro settore, penso ai magistrati, si vuole soddisfare con il Consiglio Superiore della Magistratura.

 
C. M.
Hai ragione. In proposito, vorrei sottolineare che questo dovrebbe essere l’unico aspetto su cui pretendere un intervento immediato del legislatore; si può provvedere subito, non vi è necessità di troppo studio. Ed è indispensabile affinché il processo di elaborazione di un nuovo volto, chiaro, garantito ed efficace, della funzione docente possa avere il risultato migliore possibile. Del resto, ciò corrisponde a tematiche che la tua associazione ha già elaborato, a cui hanno sbrigativamente attinto, mi pare, i due progetti di legge prima ricordati (artt. 4 e 6 pdl n. 4091 e artt. 4 e 5 pdl n. 4095).

A. C.
Il tempo prevedibilmente occorrente?

 
C. M.
Direi (sotto il profilo tecnico) che due anni potrebbero bastare per avere un testo, meditato e discusso con tutti gli interessati (singoli, associazioni, istituzioni), pronto per essere varato (con legge). Il problema è se vi è qualcuno disposto ad impegnarsi su questo termine, ma è un problema politico, e mi riguarda solo come cittadino, dunque in altra sede.

A. C.
Hai indicato le premesse, le impostazioni ed il metodo; puoi elencare i principali capitoli su cui, in tali prospettive, lavorare?

 
C. M.
Mi pare che gli argomenti, in buona parte, siano già individuati, grazie anche all’attività della tua associazione. Sono, ad esempio:
  • uno statuto (limitato agli aspetti essenziali) per ogni docente del sistema nazionale dell’istruzione, sia della scuola statale che paritaria;
  • la libertà di insegnamento in riferimento alla struttura degli organismi in cui il docente opera (le istituzioni scolastiche e la dirigenza);
  • l’istituzione di organismi tecnici, per un verso destinati alla garanzia della funzione docente e per un altro destinati a consentire la partecipazione tecnica della funzione docente all’elaborazione delle politiche dell’istruzione;
  • l’articolazione della funzione docente;
  • un reclutamento pubblico, trasparente e imparziale, per qualsiasi docente del sistema nazionale dell’istruzione;
  • la garanzia di stabilità;
  • le modalità di valutazione e controllo;
  • i mezzi organizzativi e procedurali per assicurare la trasparenza e la conoscibilità dell’attività dei docenti da parte dei cittadini e degli interessati.

I due progetti hanno largamente utilizzato anche questi riferimenti (vedi art. 2 pdl n. 4091 e art. 2 pdl n. 4095). Ma non basta riprodurli per girarli a terzi (alla potestà regolamentare del Governo): bisogna lavorarci sopra, in prima persona. E quando dico : “in prima persona”, intendo proprio loro: i parlamentari, e il Parlamento.

A. C.
Torniamo al punto di partenza: che fare, in conclusione, dinanzi ai due progetti?

 
C. M.
Questo: cerchiamo di evitare che finiscano per fare una pessima pubblicità ad una proposta realmente meritevole di attenzione: un intervento (meditato) del Parlamento per disciplinare gli aspetti fondamentali della funzione docente, della libertà di insegnamento, dei connessi aspetti di stato giuridico dei docenti.

A. C.
Grazie infinite, Carlo, per la chiarezza delle posizioni espresse, fondamentali per capire una delle questioni cruciali, ma al contempo più trascurate, della riforma della scuola.