UN PIANO SENZ'ANIMA E SENZA STRATEGIA
a cura dell'ADi
Questo piano-programma nasce all'interno di una legge economico finanziaria, (attuazione dell'art 64 del DL 25/06/08, n. 112 convertito dalla L. n. 133, del 6 agosto 2008, di cui abbiamo dato notizia nelle brevi di luglio). Non si tratta dunque di un progetto riformatore, bensì di puro contenimento della spesa.
Premesso, con estrema chiarezza, che concordiamo sulla necessità di:
- razionalizzare la spesa dell'istruzione, su cui si cimentano da 10 anni i governi sia di destra che di sinistra senza riuscirci,
- tenere del tutto distinti i bisogni degli alunni da quelli di salvaguardia dei posti di lavoro, contro cui si sono arenate finora tutte le riforme,
riteniamo che questo programma, disposto dal ministro Gelmini di concerto con il ministro Tremonti, sia una raccolta di provvedimenti contingenti privi di respiro strategico, che eludono, anzi mortificano, le tre questioni cardine di qualsiasi serio disegno riformatore:
- la decentralizzazione dei poteri alle regioni ivi compresa la gestione del personale, senza la quale non esiste decentralizzazione,
- la costruzione di una leadership intermedia come condizione ineludibile per l'avvio dell'autonomia scolastica (bloccata da 10 anni)
- la valorizzazione dell'istruzione e formazione professionale, con l'avvio improcrastinabile dei percorsi di alternanza scuola-lavoro
DECENTRALIZZAZIONE
Il MIUR non può parlare di razionalizzazione se prima non razionalizza se stesso, decentralizzando tutte le funzioni di gestione.
Fino ad oggi ogni riforma del MIUR ha visto la proliferazione delle sue Direzioni Generali: nel 1997 erano 7 oggi sono 44. E tutto questo è avvenuto contestualmente all'attribuzione dell'autonomia alle istituzioni scolastiche: una contraddizione in termini. Un'autonomia che non ha mai funzionato perché ingabbiata e controllata dalla struttura amministrativa.
E' singolare che un piano-programma che fa costante riferimento al Dlgs 226/2005, di quel decreto non citi e non applichi la parte più importante, ossia il comma 4 dell'art. 28, a suo tempo concordato con la Conferenza delle Regioni, che così recita:
4. Con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base di accordi da concludere in sede di Conferenza unificata, sono individuati modalità e tempi per il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti alle Regioni e agli Enti locali nell'ambito del sistema educativo di istruzione e formazione, secondo quanto previsto dagli articoli 117 e 118 della Costituzione, in stretta correlazione con l'attuazione delle disposizioni di cui al Capo III. ..."
Lo vogliamo dire ancora una volta: nessun piano di razionalizzazione sarà credibile finchè non si attuerà il trasferimento di tutto il personale dirigente, docente e ATA alle regioni. Sono passati 7 anni dall'entrata in vigore del nuovo Titolo V, è ora di applicarlo! E di applicarlo senza "trucchi", perché finchè si scriverà, come è scritto in tutti i documenti finora prodotti dalla Conferenza delle Regioni e dal gruppo tecnico che " il personale dirigente, docente e ATA delle scuole resta alle dipendenze organiche dello Stato" non ci sarà alcuna decentralizzazione, ma solo simulacri che aggraveranno la situazione esistente.
LEADERSHIP PROFESSIONALE INTERMEDIA
L'autonomia scolastica è l'altra faccia della decentralizzazione. I poteri conferiti dal Titolo V alle regioni non devono rappresentare un nuovo apparato burocratico che soffochi l'autonomia scolastica, ma un sostegno al suo sviluppo.
Perché ciò avvenga le scuole devono essere messe in condizione di funzionare, di avere cioè non solo adeguati finanziamenti ma un gruppo tecnico altamente qualificato che sappia guidarle. Ciò significa procedere senza più indugi alla costruzione di una leadership intermedia fra la dirigenza scolastica e il collegio docenti, scelta per concorso pubblico e non di nomina discrezionale, che costituisca una fascia di progressione di carriera stabile e adeguatamente remunerata.
Affermare come fa il documento che "Il 30% delle economie che saranno realizzate sarà destinato al merito e allo sviluppo professionale del personale della scuola", non vuole dire nulla, non solo per l'aleatorietà di quel 30%, ma perché il "merito" così genericamente indicato è una sorta di iceberg contro cui sono affondati negli ultimi 20 anni tutti i tentativi di definirlo e valutarlo. Oggi "meritevole" è chi ha le competenze e le attitudini per guidare il lavoro in equipe. Il bravo professionista "solitario" appartiene al secolo scorso, ora le competenze devono essere distribuite e condivise, solo così l'innovazione e il miglioramento possono stabilizzarsi e diventare patrimonio di tutta la scuola. Perchè ciò avvenga occorre guida e coordinamento.
Ma c'è un'altra motivazione. Nel momento in cui si vogliono giustamente costruire istituzioni scolastiche autonome di dimensioni più ampie, occorre contestualmente porsi il problema di come governarle al meglio. Occorrerà non solo un adeguato apparato amministrativo con Dirigenti amministrativi altamente qualificati, ma un gruppo tecnico professionale di leadership educativa che insieme al dirigente scolastico guidi e sostenga l'apprendimento. Se questo non sarà fatto il processo che si intende avviare non sarà di razionalizzazione, ma di distruzione di quello che ancora rimane. Va peraltro ricordato che il famoso comma 16 dell'art. 21 della legge 59/1997, istitutiva dell'autonomia scolastica, aveva già previsto che contestualmente all'istituzione dell'autonomia e della dirigenza scolastica fossero create "nuove figure professionali dei docenti"
ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE
Stupisce che nessuno si scagli contro l'operazione più grave compiuta dal ministro Fioroni e oggi acriticamente assunta dal ministro Gelmini: lo snaturamento e la progressiva distruzione dell'istruzione professionale. Per scongiurare la riforma Moratti che, nel rispetto del dettato costituzionale, prevedeva il passaggio dell'istruzione professionale alle regioni, si è stabilito per legge (Legge 40/2007) che gli istituti professionali rimangano statali, con la conseguente perdita del percorso triennale di qualifica, di competenza regionale, e l'omologazione agli istituti tecnici (percorso solo quinquennale, biennio+ triennio). Ma non solo, tutti i percorsi professionali di cui esistano corrispondenti negli istituti tecnici saranno soppressi (quindi, ad esempio, la grande parte dei professionali industriali). Un'operazione suicida che penalizzerà le fasce più deboli. Ricordiamo che il Progetto 2002
(impostato da Berlinguer nel 1997) rivendicava:
"il mantenimento della qualifica a conclusione del terzo anno poichè va conservato - nel quadro generale dell'offerta di percorsi di scuola secondaria - il tratto distintivo essenziale dell'Istruzione professionale che è quello di consentire un livello intermedio di qualificazione e certificazione per la fascia di utenza che chiede itinerari formativi di breve-media durata".
La parte più importante e significativa della riforma del 2° ciclo, doveva essere costituita proprio dalla riforma dell'istruzione professionale, una riforma che valorizzasse la didattica esperenziale e laboratoriale e costituisse una reale alternativa ai tradizionali modi da fare scuola, che una fascia sempre più ampia di giovani non tollera più. Era importante avviare in questo nuovo contesto percorsi seri di alternanza scuola-lavoro, come ne esistono in tanti altri Paesi europei e che in questi ultimi anni sono andati ovunque espandendosi. Il caso più recente è quello svedese, un paese dove tradizionalmente il secondo ciclo era fondato quasi esclusivamente sul sistema liceale.
Da noi, al contrario, in modo assolutamente cieco, si butta a mare l'immensa ricchezza di attrezzature ed esperienze professionali di questi istituti per consegnare tutti i percorsi triennali di qualifica e quadriennali di diploma alla sola formazione professionale, ben sapendo che in molte parti d'Italia quest'ultima è pressoché inesistente o comunque affidata al privato anche a fine di lucro. A quest'ultimo riguardo non importa andare al Sud, basta leggere la legge regionale 30 giugno 2003, n. 12 dell'Emilia Romagna che all'art. 33 recita "Gli organismi pubblici e privati erogatori di servizi di formazione professionale, aventi o meno scopo di lucro, devono essere accreditati dalla Regione al fine di beneficiare di finanziamenti pubblici".
Il processo di progressiva unificazione non doveva essere fra istituti tecnici e professionali, ma piuttosto fra istituti professionali e formazione professionale, per costruire insieme un ampio ventaglio di alternative ai percorsi scolastici esistenti, dove il numero dei bocciati sta drammaticamente aumentando, con soddisfazione dei ministri di turno ("merito!" "merito"!).
Perchè nessuno interviene di fronte a questo scempio? Perché questa operazione soddisfa gli interessi di tutti:
- degli insegnanti e dei dirigenti scolastici degli istituti professionali che non vogliono essere regionalizzati e separati da tutto il restante personale docente e dirigente rimasto in capo allo Stato,
- dei Centri di Formazione Professionale che vedono ampliarsi a dismisura le loro possibilità di intervento,
- del Ministero che si riappropria degli istituti che gli stavano sfuggendo,
- dei Sindacati scuola che mantengono inalterato il loro potere.
Ma c'era un altro modo, molto semplice, di risolvere il problema e "mettere tutti pari", ed era quello di applicare la Costituzione, trasferendo alle Regioni tutto il personale di tutte le scuole di ogni ordine e grado, senza discriminazione alcuna.
Si è ancora in tempo per farlo, contiamo sulla lungimiranza politica di alcune regioni, sia di centrodestra che di centrosinistra.
In questo commento generale abbiamo inteso evidenziare le questioni che noi consideriamo centrali e preliminari all'avvio di qualsiasi piano, e che sono colpevolmente ignorate da entrambi gli schieramenti. Abbiamo volutamente evitato di trattare qui le questioni relative alla scuola primaria poiché ciò a cui assistiamo a noi pare uno scontro tra due blocchi conservatori. All'atteggiamento ambiguo, anacronistico e protervo del Governo, si oppone la pura rivendicazione dello status quo. Una situazione deleteria che ripropone un copione vecchio di troppi anni. Segnaliamo in particolare il nostro commento al Capitolo Revisione dei quadri orario nei diversi ordini di scuola |