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Dalle competenze al curricolo
per competenze

Pro e contro

ADi Ass. Docenti Italiani Associazione Qualificata per la Formazione dei Docenti

 

Sintesi del documento di Giovanni Campana

COMPLESSITA' E NUOVI CURRICOLI:

LA QUESTIONE DEI CURRICOLI PER COMPETENZE

Il bisogno di governare la complessità

Ciò che oggi motiva il grande interesse per la costruzione di curricoli per competenze e non per contenuti è la crescente complessità della società, che richiede nuove sintesi, nuove connessioni selettive per comprendere, orientarsi e agire .

L'espansione del quadro totale degli scambi (dell'economia e dell'informazione, del costume e della politica, della cultura e degli studi), insieme alla  crescita esponenziale dei saperi ha reso sempre più problematica la costruzione cognitiva individuale e sempre più irrealistica la pretesa della scuola di  assolvere al suo compito mediante la trasmissione di saperi preconfezionati, cioè mediante sintesi disciplinari già fortemente definite sul piano dei contenuti.

Ciò che ormai si impone è un approccio all’insegnamento-apprendimento che sia in grado di governare selettivamente la complessità,  cioè di ridurla.  “Ridurre la complessità” non deve  evocare qualcosa di più semplice. Al contrario, significa possedere strumenti intellettuali e cognitivo-operativi più potenti, perciò essi stessi più complessi.

La sfida che la scuola si trova  ad affrontare è , dunque,il passaggio dalla trasmissione di percorsi preconfezionati ( entro i saperi tradizionali) alla dotazione di strumenti di autonoma organizzazione concettuale. Il possesso di contenuti diviene cioè meno importante della capacità di elaborazione. O meglio i primi devono essere fortemente finalizzati  alla seconda.

E' la strada da tempo indicata della costruzione di curricoli per competenze e non più  per oggetti di  conoscenza. Ma facendo i necessari distinguo.

Problemi

1.     Aumento di astrazione

Passare dal trasferimento di mappe (apprendimento  di saperi già elaborati)  al trasferimento di competenze (acquisizione  di abilità di autonoma elaborazione),  significa passare da processi di un  grado inferiore di complessità, più diretti e superficiali, e perciò stesso più concreti, a processi di un grado superiore di complessità, più comprensivi e più strutturali, cioè più astratti.

2.     Aumento di selezione scolastica

Se è vero che questo passaggio costituisce una necessità, è falso il mito secondo cui è possibile passare da un livello descrittivo-concreto ad uno più concettuale-astratto senza un aumento di selezione.

E su questo occorre riflettere profondamente, perché l'insuccesso scolastico, già ora drammatico nella scuola dell'obbligo, non può certo essere ulteriormente dilatato. Questa preoccupazione non pare abbia finora toccato il Ministero. Il documento ministeriale sui “Saperi essenziali di base”, ad esempio, propone una figura di “sedicenne epistemologo” che potrebbe realizzarsi in un numero di casi assolutamente ristretto e che non può quindi essere ipotizzata come obiettivo della formazione generale di base.

3.   Inadeguata formazione dei docenti

Il primo passo, decisivo, per la costruzione non velleitaria di curricoli per competenze è di  formare i docenti a ragionare per competenze.

Tutti gli insegnanti dovrebbero essere indotti ad assumere piena consapevolezza della relatività ed insufficienza dei quadri disciplinari tradizionali, e ad  intraprendere una formazione centrata sulla epistemologia delle discipline (ne parlava più di trent'anni fa Schwab, oltre a Bruner ed altri). Con una necessaria specificazione: non si tratta di qualcosa di pronto, né tantomeno di pronto per la didattica.

Si tratta di avere in primo luogo chiari i grandi impianti concettuali e gli schemi cognitivo-operativi, cioè le strutture epistemologiche delle discipline.  Più precisamente l'epistemologia scientifica - i modelli probabilistici, la molteplicità delle modellizzazioni, il crollo dell’oggettività, le insuperabili solidarietà multidisciplinari, ecc-  e l'epistemologia genetica (Piaget)- l’evoluzione delle strutture cognitive in ambito linguistico, fisico, matematico, cosmologico, dello spazio e del tempo, ecc. e le teorie spontanee del soggetto in età evolutiva. 

Queste conoscenze da parte dei docenti porterebbero, anche in modo abbastanza automatico, a cambiamenti vistosi nell’approccio alle discipline e al loro insegnamento, in direzione di una maggiore centralità degli  aspetti moltiplicativi e di matrice dei saperi.

I riferimenti dovrebbero ancora essere Popper, Kuhn, Feyerabend, Lakatos, ecc. per l’assunzione del taglio culturale fondamentale, con la grande svolta recente del pensiero sistemico e le nuove teorie biocibernetiche e costruttivistiche: Bateson, Maturana e Varela, Morin, Von Foerster, Von Glasersfeld.

Un posto particolare ha il costruttivismo dell’ultimo Piaget sistemico e biocibernetico, con le sue formidabili analisi  del rapporto tra la costruzione storica delle scienze e la formazione delle strutture cognitive del soggetto in età evolutiva.

Non mi sembra, invece, che dal lato del cognitivismo vengano contributi significativi in questa precisa direzione. In ambiti specifici vi sono ormai ovunque riferimenti epistemologici importanti. In storia, ad esempio, hanno un grande significato epistemologico e precisa applicabilità didattica le impostazioni degli “Annales” di Braudel, Le Goff, ecc. e altre più recenti.

Il permanere dell'importanza dei contenuti

Entro questo quadro generale di riferimento, occorre comunque ribadire che le nozioni continuano  ad avere una grande importanza.

 E' forse sufficiente il buon senso per sostenere che gli studenti devono in ogni caso conoscere una gran quantità di cose che sono patrimonio comune. È vero, ad esempio, che il senso della storia è lo scopo profondo della conoscenza storica, ma un cittadino italiano, europeo, occidentale, un qualunque cittadino del mondo d’oggi non può, ad esempio, non conoscere la seconda guerra mondiale (naturalmente non come grosso episodio storico, ma come sbocco di qualcosa e presupposto di altro che è seguito).

 C'è un altro motivo per cui la conoscenza di un’ampia messe di contenuti disciplinari è necessaria: i contenuti veicolano in forma implicita strutture logiche e presupposti scientifici e culturali, che emergeranno nei tempi lunghi, ma che  fin dall’inizio, molto prima di essere assunti consapevolmente, aiutano a strutturare la mente sul piano logico e culturale.

Proprio come Vigotskij mostra avvenire per le parole: prima vengono assunte e usate in modo pragmatico, senza consapevolezza semantica, poi in modo sempre più efficace e pertinente, rendendole parole in senso pieno. Così Piaget, soprattutto in La presa di coscienza e Riuscire e capire, mostra come l’oggetto cognitivo, posseduto dapprima superficialmente, struttura progressivamente la mente, la quale, solo successivamente, prende coscienza degli schemi da essa stessa costruiti ed applicati nell’apprendere quel determinato contenuto.

Il movimento evolutivo della conoscenza procede, nel corso degli anni, dalle strutture dell’oggetto a quelle del pensiero stesso, dalla conoscenza alla conoscenza dei propri processi di conoscenza. È' questo il senso più autentico di ciò che si definisce metacognizione.

In sintesi: la lotta contro il nozionismo è sacrosanta, come lo è quella contro i saperi chiusi e statici, ma è anche attraverso le conoscenze concrete che si deve puntare ai livelli metacognitivi e trasversali.

L'educazione al cambiamento

Il cambiamento e la rapidità dei cambiamenti, l’instabilità dei riferimenti sono caratteristiche ormai stabili. Possiamo dire che la contingenza è diventata  condizione permanente. Di qui la necessità di educare al cambiamento. Educare al cambiamento significa due cose:

1.     formare alla varietà, nel senso di superare le concezioni culturali e disciplinari univoche e asfittiche che circolano ancora nella scuola,

2.     fornire strumenti cognitivo-operativi più potenti. L'aumento della complessità non può infatti essere affrontato attraverso l'impegno impossibile e nevrotico di controllare un numero infinito di conoscenze e informazioni, ma attraverso la capacità di sintesi e di astrazione che ci consentono di trattare  materiale sempre nuovo. Gli aspetti più descrittivi delle scienze, per fare un esempio, sono più soggetti al cambiamento, affidarsi alla loro conoscenza  anziché al possesso di solidi schemi operativo-cognitivi di base, significherebbe trovarsi rapidamente spiazzati.

Il primato del codice della lingua scritta e del codice matematico

In questo quadro di individuazione di strumenti più potenti di interpretazione e di selezione delle informazioni, spiccano, a mio avviso, due primati: la codifica-decodifica della lingua scritta, che ha ormai informato di sé tutti gli ambiti professionali e di vita, anche nella sua forma orale (qualunque lavoratore parla oggi un linguaggio fortemente specifico e tendenzialmente modellato sulla lingua scritta) e delle elaborazioni matematiche.

 La lingua scritta, veicolata ora da uno strumento di elaborazione fine come il computer, non ha  perso, ma aumentato  la sua penetrazione a tutti i livelli della nostra esistenza professionale e personale.

Su un piano più generale, l'accesso consapevole e critico al testo scritto (il giornale, ecc.) rimane una garanzia di civiltà, di democrazia , in definitiva, di etica, considerato che  i valori, per l'altissima aggressività manipolatoria dei mezzi di informazione, reggono solo se diventano il frutto di acquisizione e di elaborazione personale, non di semplice trasmissione.

Accanto alla lingua scritta aumenta la pervasività delle elaborazioni matematiche, delle diverse matematiche: la statistica, le rappresentazioni grafiche, ecc..

In questo contesto, dunque, è  il perseguimento  dei livelli più alti e complessi di codifica-decodifica della lingua scritta e delle elaborazioni matematiche, per il maggior numero possibile di individui, che crea   le potenzialità per mantenersi a galla nel quadro della competizione mondiale. Se, sul piano del trattamento di questi due codici fondamentali, si abbasserà la guardia, accontentandosi di livelli mediocri, invece di intensificare gli sforzi per implementarne tutte le  potenzialità, la decadenza dell’Italia sarà un destino inevitabile.

I rischi di un abbassamento del livello generale.

Proprio dagli ambienti del Ministero arrivano proposte pedagogiche che, al di là delle intenzioni, sembrano di fatto di segno opposto rispetto alla centralità dei processi fini dell’apprendimento, quali il pieno possesso della lingua scritta e dei codici matematici.

Cito da Maragliano (dalla “Sintesi dei lavori della commissione dei quarantaquattro saggi sui saperi essenziali”, maggio ‘97): “Compito prioritario della nuova scuola è la creazione di ambienti idonei all’apprendimento che abbandonino la sequenza tradizionale lezione-studio individuale-interrogazione per dar vita a comunità di discenti  e docenti impegnati collettivamente nell’analisi e nell’approfondimento degli oggetti di studio e nella costruzione di saperi condivisi”.

Dunque un’impostazione esclusivamente seminariale e laboratoriale. Non si dice infatti  che "integrino", ma che "abbandonino" la sequenza tradizionale. Se a questa presa di posizione si aggiungono le dichiarazioni della commissione ristretta sui saperi essenziali, presieduta dallo stesso Maragliano, che afferma la pari dignità” della parola scritta, dell’immagine, del suono, la “pari dignità” di tutti i saperi disciplinari (in quanto tutti prodotti dalla mente umana”!), viene da chiedersi a quali rischi si stia andando  incontro.

L'ambito educativo-cognitivo

Il problema di formare all’attuale società complessa non è solo cognitivo in senso stretto, ma anche educativo in senso più lato, sicché, risultano obiettivi irrinunciabili, anche:

1.     il saper relazionarsi alle persone (operare collaborativo e cooperativo);

2.     il saper gestire le situazioni (gestire il tempo, i cambiamenti, le situazioni che richiedono iniziativa e assunzione di decisioni, ecc.);

3.     il saper accedere alle informazioni (uso delle tecnologie informatiche, ma anche sapersi comunque muovere in un ambiente dove l’eccesso di informazioni è divenuto un terribile rumore informativo);

4.     il possesso di diverse educazioni (stradale, alla sessualità, ambientale, alla cittadinanza "cityzenship"), che naturalmente devono essere incardinate organicamente.

I due ambiti, quello cognitivo a maglie più strette e quello educativo-cognitivo, devono intrecciarsi nella pratica didattica,  non essere vissuti separatamente.

Conclusione

Si tratta, come si vede, di un ambito di riflessione di carattere decisivo. L’urgenza del problema e delle vicine scadenze  dell’autonomia scolastica e della riforma dei cicli può alimentare il rischio di una certa  superficialità.

Potrebbe accadere che all’insegna dei nuovi saperi e di nuove dottrine della modernità si offuschi il senso autentico della ricerca e la "visione" della scuola nuova, che, sia chiaro, non è garantita dall’abbattimento del vecchio (ad esempio l’abbandono della sequenza lezione-studio individuale-interrogazione o l’abbandono del tema di italiano, ecc.), bensì dalla capacità di assolvere al compito storico di  "collegare", senza emarginazioni, i giovani alla società complessa, facendone soggetti capaci di scelte consapevoli e intenzionali.