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Concorsone da £ 6.000.000 |
Intervista di
Berlinguer a L'Espresso prima dell’emanazione del decreto di rinvio.
L'Espresso
10/02/2000
SCUOLA
/ PROF IN RIVOLTA
Addio
quiz crudele
Davanti ai no al concorso-test il ministro della Pubblica Istruzione ci ripensa. E qui spiega la sua svolta.
Colloquio
di Cristina Mariotti con Luigi Berlinguer
«Ma
se in tivù risulto antipatico che ci posso fare?», si
chiede Luigi Berlinguer dopo la marcia indietro sul
concorso-quiz, un po' scherzando e un po' no; però di fronte
a una protesta così corale da includere i cattivi dei Cobas e i
buoni del Cidi (Centro d'iniziativa democratica degli insegnanti
filo-ministero) ammette: «La mia colpa probabilmente
è stata quella di non essere riuscito a farmi capire».
A
sentir lui, più dei picchetti a viale Trastevere e della minaccia di sciopero e
del dietro-front Cisl e dell'opposizione del Polo, a indurlo a ripensarci è
stata la protesta virtuale del sito
della Pubblica Istruzione, un milione di contatti in cinque mesi, ma da ultimo -
specie dopo l'ultima copertina dell'"Espresso"
- stava scoppiando
Tutti
contro il concorsaccio: le è venuta la tentazione di non farne più niente?
«Assolutamente
no: l'esame si farà invece, eccome. Magari
modificato in qualche sua parte, ma si farà, e soprattutto per
riaffermare un sacrosanto principio. Questo: chi si impegna di più,
nella scuola, deve ricevere un compenso adeguato al merito. Se ne discute da
venti anni ma ogni volta che qualcuno si è provato a misurarsi con il problema
ha finito col mollare tutto. Con me
non accadrà».
Però
intanto ha ceduto accettando di rivedere il meccanismo della prova...
«E
che vuol dire? Se gli insegnanti italiani sono così ostili ad affrontare un
test che in altri paesi è prassi corrente, pazienza, ne stiamo parlando e
valutando se tenerlo o no: ma su una cosa
io non mollo neanche di un centimetro, e cioè sul fatto che comunque questo
esame va affrontato. È una scommessa e non intendo recedere».
Se
spariscono i quiz, resta il curriculum e la lezione in classe: non le sembra
poco?
«Si
propone di studiare un modo per dare spazio e peso alla
valutazione interna alle stesse scuole, con l'intenzione di capire meglio
come lavorano e quanto e in quali condizioni gli insegnanti. Resta da vedere a
chi attribuire questa valutazione: non so se potrebbe essere il preside
affiancato dal collegio docenti, per esempio. Per il momento siamo aperti a
qualunque suggerimento. Purché sensato».
Moltissimo
criticata anche l'idea delle quote fisse di prof di
premiare, il venti per cento per ogni provincia: le sembra
giusta questa equalizzazione geografica del merito? «E qual era
l'alternativa? Una graduatoria unica a livello
nazionale? Ma fare un concorso unico nazionale per oltre 500 mila
insegnanti, quanti sono gli aventi diritto con dieci
anni di ruolo, è semplicemente impossibile.
So
che la scelta delle quote presenta un elemento di iniquità, che se ci sono più
meritevoli a Treviso che a Caltanissetta (o viceversa)
bisognerebbe tenerne conto. E sarei anche disposto a trovare
subito delle misure compensative. Purché, s'intende, vengano trovate le
risorse aggiuntive necessarie. Dirò di più: io ero
contrario fin dall'inizio a questo espediente delle quote, ma la
compatibilità finanziaria per andare oltre non c'era». Dunque i sindacati non
le hanno forzato per nulla la mano?
«Ma
perché adesso si sputa sui sindacati? La verità è che i
sindacati, parlo dei confederali e dello Snals, hanno compiuto un atto di
grande coraggio e ora lo stanno pagando caro, anche rispetto a una parte dei loro iscritti. Per la prima
volta una norma che fissa il
principio della retribuzione legata al
merito è diventata parte di un accordo contrattuale. È una rivoluzione. Per questo solleva tante proteste».
Molti
prof non sono in rivolta contro il principio di introdurre criteri di merito per
qualificare la retribuzione: il problema è come e quale merito...
«Discutiamone pure, purché si arrivi al dunque. Ho accettato revisioni per la legge sulla parità, mettendo d'accordo Mastella e quel tosto di Cossutta. E modifiche alla proposta di riforma dei cicli, ormai in dirittura d'arrivo. E perché non dovrei accoglierne anche su questo concorso? Nessuna apertura però a chi usa le critiche sul metodo come una clava per distruggere il principio. Sì alle nuove proposte, purché ragionevoli e concrete.
Tutto il resto è fantasia: come dare un milione lordo all'anno in più uguale per tutti e via. Moltiplicato 750 mila, quanti sono gli insegnanti, farebbe diecimila miliardi, oneri riflessi inclusi. Mi ricorda il famoso aumento di 400 mila lire dato da un mio predecessore, Riccardo Misasi, che l'inflazione si mangiò nei successivi otto mesi».
Resta
il fatto che per moltissimi prof questo concorsaccio
assomiglia a una riffa...
«Ma
quando mai. Ecco che si torna alla premessa, e cioè che non abbiamo fatto
abbastanza al ministero per farci capire, per
spiegare. Allora: il concorso in questione non è l'ultima
spiaggia dove chi approda vince sei milioni (lordi) in più
all'anno; non si tratta insomma di una prova una tantum, ma
di un esame che, a norma dell'articolo 38 del contratto
firmato la primavera dello scorso anno, entra
nell'ordinamento e dunque sarà ripetuto, per uno scaglione successivo di
docenti che abbiano maturato nel frattempo i
dieci anni di ruolo».
Premiare
il merito va bene, ma l'inerzia sarà sanzionata? Insomma, i lavativi, i tira a
campà, saranno sempre tollerati? «Io ho l'impressione che oggi chi agita le
acque nella scuola tende ad assolvere proprio i lavativi: secondo me questo è
umiliante, e non sottoporsi a un esame che tende a
valorizzare i meritevoli. Fa presto Raffaele Simone a dire:
"Cacciate gli incapaci e pagate quello che è giusto a tutti gli
altri". Mica siamo l'Inghilterra. Da noi - come del resto anche in Francia
o in Germania - non si può.
Abbiamo
introdotto comunque due correttivi: il meccanismo premiale e il principio che
l'insegnante d'ora in poi sarà tenuto d'occhio. I lavativi finiranno in vetrina».
E
come? «Con l'Istituto nazionale della valutazione, capace di pesare i risultati
del lavoro sugli alunni. Ci vorrà qualche anno perché, con la riforma
dell'autonomia, entri a regime. Intanto faremo outsourcing, appalteremo il
controllo dell'apprendimento ad agenzie
esterne, come lo Iard, il Censis, la Doxa, l'Istat. E accumuleremo esperienza.
Non
sono così scriteriato da millantare
una formula magica. È difficile introdurre una cultura della valutazione in una
categoria abituata all'egalitarismo più deprimente».
Rischia di diventare un campo minato, visto il subbuglio in atto, o no? «Un segnale andava dato, e subito. Ecco perché il concorso. E, lo ripeto, non diventerà un segnale di fumo».