3. La crisi della qualità dell’istruzione

c) L’autonomia delle scuole

Le indagini sulle scuole efficaci e sul miglioramento delle scuole sono diventate una delle costanti delle riforme scolastiche imperniate sull'autonomia degli istituti d'istruzione. Esse hanno non solo contribuito a preparare il terreno per questo tipo di riforme, ma ne hanno legittimato la pertinenza dal punto di vista scientifico raccogliendo prove sull'efficacia e gli effetti dell'autonomia concessa alle scuole. Gli ultimi vent'anni del XX secolo sono stati marcati dai tentativi di cercare un assetto diverso della distribuzione delle competenze all'interno dei sistemi scolastici . I paesi nei quali questa tendenza, che modifica i canoni del governo delle scuole applicati per decenni, ha più profondamente trasformato il paesaggio scolastico sono stati fin qui l'Inghilterra, la Nuova Zelanda e la Svezia. Queste riforme sono state ispirate in gran parte dalle teorie del “ new public management applicate alla scuola con l'obiettivo di sostituire un modello di gestione di stampo burocratico e gerarchizzato, ritenuto deresponsabilizzante e poco efficace, con uno manageriale, che chiede agli attori scolastici, ossia ad autorità locali, presidi, docenti, e studenti di assumere nuove e diverse responsabilità nella vita scolastica di tutti i giorni, di operare in modo trasparente e di rendere conto dei risultati conseguiti con le risorse messe a loro disposizione (v. Bottani, 2002). Alla base di queste riforme vi è una serie di ipotesi sui fattori che possono contribuire al miglioramento della qualità delle scuole: ad esempio, il ridimensionamento dell'apparato burocratico; la ridistribuzione delle responsabilità d'ordine finanziario, gestionale, didattico, organizzativo in seno al sistema scolastico; l'adozione di incentivi che premiano le buone scuole o di provvedimenti coercitivi che obbligano quelle deboli a migliorarsi; l'instaurazione di forme di controllo della qualità delle prestazioni da parte degli utenti; la concorrenza tra scuole; la libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie, e via di seguito.

La Svezia è stato il primo paese a intraprendere questa strada. In ventincinque anni, tra il 1975 e il 2000, il sistema scolastico svedese, uno dei più centralizzati d'Europa, ha cambiato volto: molte competenze sono state ridistribuite ai comuni e alle scuole;l'operazione è stata radicale al punto di smantellare quasi completamente il ministero che governava dal centro tutto il sistema scolastico. L'autonomia alla svedese è di genere moderato, perché il modo di decisione che vi si pratica è soprattutto la consultazione; con questo modello, docenti, scuole, comuni hanno ottenuto competenze che mai avrebbero potuto sognare prima della grande svolta avviata dalla maggioranza conservatrice che nel 1976 ha sostituito quella socialdemocratica al potere da 43 anni.

La riforma scolastica inglese realizzata dal governo conservatore di Margaret Thatcher nel 1988, l'Education Reform Act , è quella che ha suscitato maggiore scalpore nel mondo scolastico, in primo luogo per la forte impronta neoliberista che l'ispirava e poi per lo stampo anti-progressivo che la contraddistingueva. Anche in questo caso, l'intervento riformistico è consistito in una ridistribuzione delle competenze tra i vari livelli decisionali : il potere centrale, tradizionalmente debole, ha acquistato maggiore forza, con l'imposizione di un programma d'insegnamento nazionale; alle autorità scolastiche locali (L.E.A., Local Education Authorities), tradizionali depositarie del potere scolastico, sono state sottratte parecchie prerogative con l'obbligo di privatizzare molti servizi, come per esempio quello della pulizia delle scuola, dei trasporti degli alunni e della mensa scolastica; infine, sono state adottate nuove formule di finanziamento che hanno dirottato una parte dei fondi per l'istruzione dalle L.E.A. direttamente verso le scuole. Quando il partito laburista è ritornato al governo nel 1997, il nuovo dosaggio di competenze messo a punto dai conservatori non è stato sostanzialmente modificato. Anzi, i laburisti invece di frenare lo sviluppo del partenariato tra settore pubblico e privato, lo hanno ulteriormente promosso, con l'adozione di una norma che impone alle autorità scolastiche locali di ricorrere ai servizi di ditte private specializzate nella gestione se le loro scuole non conseguono gli standard minimi fissati dal ministero. La comparsa di aziende alle quali si cede in appalto la gestione delle scuole pubbliche è un fenomeno agli albori, che si ritrova, su scala più ampia, nell'esperienza delle “ charter schools ” negli Stati Uniti. La riforma scolastica più spettacolare in assoluto della fine del XX secolo è stata quella attuata in Nuova Zelanda dove, nel 1989, il governo laburista allora al potere decise di modificare drasticamente l'intero impianto scolastico. Con la riforma “ Tomorrw's Schools ” il sistema scolastico neozelandese, uno dei più centralizzati al mondo, governato da un corpo di burocrati e di ispettori molto qualificati, venne decentralizzato di colpo. Pressoché tutte le competenze decisionali, ad eccezione di quelle riguardanti la scala degli stipendi dei docenti e il finanziamento delle scuole, furono trasferite alle singole scuole senza per altro imporre un sistema di valutazione con prove strutturate per misurare l'efficacia di questa decisione e per controllarne le conseguenze sul piano pedagogico e sociale (v.Fiske e Ladd, 2000). L'intera responsabilità della gestione delle scuole statali, compresa dunque anche la nomina dei direttori e dei docenti, fu trasferita ai consigli d'amministrazione delle scuole ( board of trustees ), eletti localmente. Questa brusca transizione da un regime di completa dipendenza dall'amministrazione statale e dagli ispettori scolastici a un regime d'autonomia governata da volontari che mai prima d'allora avevano gestito una scuola ha avuto un certo successo, anche se a seguito di questa riforma un quarto delle scuole è diventato ingovernabile e problematico perché sovraffollate da studenti difficili o rifiutati da altre scuole. Se nel settore scolastico vigesse appieno il principio della competizione, queste scuole deboli, allo sbando, incapaci di rispettare gli standard dovrebbero poco per volta scomparire per mancanza di studenti. Ma nessuno potrebbe accettare un esito del genere, perché sopprimere queste scuole, che hanno il merito di esistere nelle zone più periferiche o di accogliere gli studenti in difficoltà, significherebbe mettere in strada centinaia di ragazzi e ragazze. Le leggi del mercato sono una cosa, la realtà sociale è un'altra. Anche se poco efficaci sul piano degli apprendimenti, queste scuole vanno tenute aperte nell'interesse del paese, perchè chiudendole si colpirebbero gli studenti e le famiglie più bisognose, e non certamente i ceti agiati. Non si può dunque fare a meno di una regolamentazione e di eccezioni. Nel complesso, tuttavia, la maggioranza delle scuole neozelandesi è riuscita a cavarsela, ma, come dicevamo, la riforma ha generato una serie di effetti perversi che ne hanno reso meno positivo il bilancio .

  1. I consigli d'amministrazione, tranne qualche eccezione, non sono sempre stati all'altezza del compito. La gestione di una scuola esige competenze in svariati ambiti (contabilità, gestione delle risorse umane, pianificazione, relazioni pubbliche, per esempio) la cui mancanza non può essere compensata che parzialmente con il carisma, la passione, la devozione, l'amore per i bambini, l'interesse per la cultura, il buon senso. Le scuole sono, in un certo senso, comparabili a miniaziende che vanno gestite in maniera oculata: devono offrire prodotti allettanti, valutare la domanda dei clienti, la qualità della merce prodotta (queste metafore non sono del tutto adeguate in riferimento alla scuola, ma rendono bene l'idea dei compiti che un consiglio d'amministrazione deve svolgere), cercare le liquidità per pagare gli stipendi del personale, negoziare le polizze d'assicurazione per le pensioni e l'assistenza sanitaria, occuparsi della sicurezza dei locali e degli stabili e così via. Si tratta di compiti tutt'altro che banali, che esigono, ogni volta, compromessi fra priorità d'ordine diverso.
  2. L'autonomia aumenta il rischio della segregazione scolastica : in Nuova Zelanda, per esempio, la stratificazione delle scuole in funzione dell'appartenenza etnica, dello status socioeconomico e del rendimento scolastico degli studenti è aumentata invece di diminuire. La disparità tra scuole si è aggravata, ed è emerso un sistema scolastico a due velocità, con scuole di prestigio che si accaparrano gli studenti migliori e scuole di secondo ordine nelle quali vanno a finire gli altri.
  3. La competizione tra scuole non funziona : le scuole infatti si accordano tra loro per ripartirsi gli iscritti in modo che ogni istituto abbia il numero necessario di studenti per ottenere i fondi necessari a falo funzionare.
  4. L'autonomia delle scuole non stimola il lavoro di gruppo, non induce i docenti a collaborare tra loro per trasformare la scuola in cui lavorano in una comunità educativa. Al contrario, la solidarietà tra docenti viene meno perché le buone scuole attirano quelli migliori, mentre nelle scuole periferiche o a rischio restano quelli mediocri, meno competenti, meno motivati, oppure gli scettici nei confronti di qualsiasi impresa educativa collettiva. Ognuno persegue i propri interessi, e ciò vale anche per i presidi che vedono i colleghi come concorrenti e non come alleati con i quali discutere le strategie di sviluppo delle scuole oppure condividere iniziative o idee.
  5. L'innovazione pedagogica stagna perché per i consigli d'amministrazione, i presidi ed i docenti sono più preoccupati del calo o dell'aumento delle iscrizioni che non di sperimentazioni o novità didattiche. Poiché le risorse finanziarie di una scuola sono calcolate in base al numero degli iscritti, per un istituto diventa essenziale attirare e conservare il maggior numero possibile di studenti più che sperimentare. L'autonomia induce alla prudenza, a preferire le tradizioni pedagogiche consolidate piuttosto che le innovazioni rischiose, difficili da condurre, e con esiti non garantiti.
  6. Il regime d'autonomia stimola gli egoismi delle comunità benestanti e indebolisce il senso dell'interesse generale e del bene comune : i consigli d'amministrazione delle scuole difendono logicamente gli interessi della propria scuola e non si curano né degli effetti delle loro scelte sulle scuole circostanti, né delle conseguenze generali a livello di sistema.

Questi difetti sono emersi dopo dieci anni di un regime d'autonomia radicale. Peraltro, l'esperienza del quasi mercato dell'istruzione non garantisce di per sé un miglioramento della qualità delle scuole; per ora si può con certezza affermare che tali esperienze non conseguono più di quanto riesca a ottenere il modello burocratico e centralizzato della scuola statale tradizionale. In entrambi i casi non si è riusciti, almeno finora, a realizzare una giusta ed equa distribuzione dell'istruzione tra tutti gli strati della popolazione.

Il movimento delle charter schools negli Stati Uniti , apparso agli inizi degli anni Novanta, è innanzitutto una contestazione del modello imperante di scuola statale, accusato di essere alle origini dell'inefficienza delle scuole. I promotori delle charter schools ritengono che l'uniformità scolastica imposta dal monopolio statale sull'istruzione e la rigidità dell'apparato burocratico che gestisce e controlla le scuole, imponendo dall'alto regolamenti e norme a centinaia di migliaia di docenti che non hanno più nessun interesse per quanto si chiede loro di compiere, siano le cause principali della mediocrità delle scuole americane. Le charter schools sono scuole pubbliche, totalmente finanziate dallo stato, ma interamene liberate dalla tutela della burocrazia scolastica. Esse godono di una franchigia particolare che le esenta dall'applicare i regolamenti e i programmi imposti alle scuole statali convenzionali. Le scuole sono date in appalto ad associazioni di privati cittadini, a enti vari o a gruppi di persone che si impegnano, in cambio dell'autonomia loro concessa, a conseguire determinati risultati concordati in un contratto d'autonomia, per l'appunto la carta della scuola. Queste scuole sono pubbliche perché sono finanziate dallo stato che versa alle associazioni che le gestiscono l'equivalente del costo di funzionamento calcolato in base al costo pro capite di uno studente. Esse devono rendere conto dei risultati conseguiti per pretendere al rinnovo del contratto d'appalto e, nel caso in cui non rispettino le clausole contrattuali, le scuole dovrebbero essere chiuse. Il regime delle charter schools è retto da leggi apposite che fissano le prerogative, le modalità di funzionamento, gli obiettivi da conseguire, le clausole da rispettare. Nell'anno scolastico 1998-1999, 36 Stati americani avevano autorizzato l'appalto di scuole statali al settore privato. Il primo Stato a sperimentare questa soluzione è stato il Minnesota, nel 1991. Da allora in poi, sono state prodotte centinaia di valutazioni e di relazioni su quest'innovazione che propone un nuovo modello di scuola pubblica. I risultati sono molto contraddittori : il sistema delle scuole in franchigia, che è agli albori, non sembra produrre gli effetti previsti, come lo comprova la valutazione del Consortium for Policy Research in Education (CPRE) che riunisce specialisti di politiche dell'educazione delle università della Pensilvania, di Harvard, Stanford, del Michigan e del Wisconsin-Madison (v. Bulkley e Fisler, 2002). Gli avversari del modello sottolineano puntigliosamente tutti i difetti delle scuole sotto franchigia, che sono analoghi a quelli osservati nel sistema delle scuole autonome applicato in Nuova Zelanda, Inghilterra, Belgio o Olanda.

In nessun paese, nemmeno in Nuova Zelanda, Svezia e Inghilterra, dove per il momento ci sono le scuole che usufruiscono di un regime d'autonomia particolarmente ampio, l'autonomia scolastica è totale e piena, perché ciò facendo si realizzerebbe una privatizzazione larvata del sistema scolastico statale a spese dei contribuenti. Anche quando il grado d'autonomia è elevato, le scuole restano sotto controllo e continuano a essere vigilate dal potere centrale, amministrativo o scolastico che sia. Fin quando sarà conveniente tenere in piedi un sistema ibrido del genere ? Se le scuole, che sono radicate nell' humus locale, diventano luoghi controllati dai notabili locali o dai consumatori, rischiano di trasformarsi in istituzioni al servizio dei movimenti sociali o peggio ancora degli interessi immediati di comunità che difendono i propri privilegi, oppure che contestano il patto sociale alla base dello stato democratico prodotto dalla modernità. Non è un caso che negli Stati Uniti il movimento delle charter schools , che mira ad affrancare le scuole statali dal controllo dell'amministrazione pubblica, è particolarmente popolare tra le comunità e i gruppi etnici ai margini della società, come per esempio gli afro-americani oppure la popolazione d'origine ispanica. Queste comunità rivendicano la possibilità di creare proprie scuole pubbliche, finanziate dallo Stato, in compenso del debito accumulato dallo Stato nei loro confronti distribuendo in modo non equo le risorse di tutti; all'estremo opposto, una minoranza appartenente ai ceti agiati non è disposta a cedere parte della propria ricchezza per la causa pubblica ed esige che il proprio prodotto fiscale sia investito in loco , a beneficio del gruppo che l'ha generato. A questo punto è evidente che il problema scolastico è un problema sociale: la scuola statale convenzionale è in crisi non solo per ragioni di inefficienza, per motivi di tipo didattico, per fattori connessi al cambiamento dei saperi o dei valori etici propugnati da una società, ma perché il concetto di stato che ha generato il sistema scolastico pubblico è vacillante. Il problema della scuola dunque, è strettamente connesso alla ridefinizione del patto sociale che fonda le nostre società. Da questo punto di vista il movimento delle charter schools , ma anche quello dell'autonomia scolastica, segna la fine della modernità con le sue aspirazioni di uguaglianza ed è una manifestazione evidente dei fermenti caratteristici delle società postmoderne, della frantumazione del corpo sociale, della presenza di gruppi minoritari che rivendicano di essere riconosciuti come attori di pieno diritto nella vita delle collettività.

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