Le strategie di autodifesa degli studenti (2/2)

 

Le autoriduzioni legalizzate

 

 

Senza strategie di autodifesa, che la scuola tollera fino a legalizzarle di fatto, la vita nella scuola italiana sarebbe oggi un inferno per i ragazzi e nessuno potrebbe trattenerli dalla rivolta e dalla violenza.

Le strategie sono molteplici, e si sono diffuse per contaminazione attraverso i canali informali con cui gli studenti trasmettono la memoria storica delle loro “conquiste”, e possono essere così sintetizzate:

  1. aumento dell'assenteismo, e il relativo venir meno di qualsiasi vincolo efficace sulle assenze (l'iscrizione a scuola è più importante della presenza), inaugurato con la circolare che cancellava qualsiasi soglia minima di presenza a scuola per accedere allo scrutinio finale e alla promozione. Oggi, nonostante la legge di riforma imponga una percentuale di presenze, i tassi di assenteismo vengono tenuti nascosti. Non sono reperibili informazioni ufficiali da parte delle scuole, né vengono richieste dall'Amministrazione o dallo stesso Invalsi, il quale peraltro si occupa di rilevare un'impressionante moltitudine di adempimenti formali delle scuole. Sappiamo da alcune indagini che le assenze arrivano in media al 30% nella scuola del Sud (Assoutenti, 1999); l'indagine PISA 2003 ci informa che il 22% dei quindicenni italiani si assentano regolarmente da scuola; infine, un campione significativo è quello di un istituto professionale di Bologna dove i ragazzi si assentano in media da un minimo del 27,6% a un massimo del 36,6% ( ADi, 2004 ).
  2. la riduzione del tempo dedicato allo studio individuale a casa, uno dei pilastri del sistema di insegnamento tradizionale e, in particolare, di quello liceale. Di questa riduzione – pari al 20% in dieci anni (1998 – 1999) ci informa in una preziosa ricerca di Gasperoni dell'Università di Bologna, non ancora pubblicata (2000). D'altra parte, nessun insegnante può oggi pretendere che con 35-40 ore di lezione e, in media, 14 materie vi sia uno studente in grado di subire un impegno settimanale sui banchi e curvo sui libri di 50 – 60 ore complessive;
  3. la capacità di far convivere un curricolo “bulimico”, formalmente tutto obbligatorio, con il massimo della discrezionalità nella scelta di che cosa studiare, una specie di opzionalità clandestina. Infatti, l'aumento esponenziale delle discipline ha coinciso con l'introduzione del sistema dei debiti, che interessa in media dal 30% (nei licei) al 50% dei ragazzi italiani promossi della secondaria (Miur, 2005). Da alcuni anni, per la prima volta nella scuola italiana, migliaia di ragionieri si diplomano senza aver mai ottenuto una sufficienza in ragioneria, migliaia di studenti del liceo classico supera l'esame di Stato senza conoscere né latino né greco, migliaia di studenti periti chimici sono privi di alcuna nozione di chimica. Gli studenti si comportano da abili strateghi, calcolando il minimo impegno indispensabile per evitare il rischio di fallimento e lo fanno costruendo una curricolo personalizzato che spesso non ha alcuna relazione con gli obiettivi, peraltro velleitari, dell'istituzione;
  4. la riduzione dell'impegno temporale a scuola con iniziative di partecipazione (assemblee, occupazioni, autogestioni, manifestazioni, ecc.) organizzate da una minoranza di attivisti ideologicamente preparati, che per la maggioranza dei ragazzi hanno il merito di ridurre la pressione del tempo scolastico a vantaggio di quello scelto. Sono infatti una sparuta minoranza quelli che partecipano a questi rituali.

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