Gli interessi corporativi e le retoriche pedagogiche


Non ci sono solo vincoli e regole formali a condizionare il tempo scuola. Contro una sua razionale organizzazione hanno via via congiurato pressioni corporative, esigenze astratte del sapere (non dell'apprendere), retoriche pedagogiche di vario tipo.
Questo ampio fronte politico, sindacale e culturale ha ottenuto nell'arco di un ventennio:

Questi fenomeni hanno garantito l'integrità dell'occupazione, soprattutto in presenza della riduzione delle iscrizioni; e hanno aggirato il pericoloso conflitto coi rappresentanti dell'Accademia dei saperi (università, associazioni disciplinari, ecc.), che restano a guardia della materie e dello spazio conquistato nel territorio scolastico. Di tutto questo era già perfettamente al corrente quasi un secolo fa Luigi Einaudi (1913):

 “Ogni professore diventa il rappresentante e il difensore di una disciplina, che egli vorrebbe tutta insegnare ai suoi giovani, disciplina di cui l'utilità è incontestabile, del cui insegnamento monco si deplorano gli inconvenienti nella pratica, nei concorsi alle cattedre. Ognuno opina che il proprio orario è insufficiente; che le tre ore settimanali dedicate ad una materia non bastano, ma sono necessarie le quattro, le cinque, magari le dieci”.

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